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Racconti fantastici

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Festa medioevale a Villa Valente

Il terzo sabato di settembre mi ero recato all'inaugurazione di una mostra di pittura nella cinquecentesca Villa Valente. Come sempre il buffet era affollato. In tali occasioni la gente si dimostra sovente più interessata alle cibarie e alle bevande offerte che alle opere esposte, ma già che c'è un'occhiata ai quadri la dà anche.
Si trattava di una collettiva a tema. Il titolo prescelto era <<Italia tra passato e presente>>. Passai le opere in rassegna. Come sempre accade con le collettive, i lavori erano validi oppure insulsi a seconda della qualità dei singoli artisti.
Ad esempio c'era un trittico ambientato qui in città. Il soggetto era quell'antico rione, oggi rimpiazzato da due palazzoni con i portici, distrutto da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale. In una delle tele le case si ergevano ancora intatte, mentre in un'altra le figure umane si aggiravano tra macerie ed edifici ormai diroccati. E nei due dipinti i moderni palazzoni apparivano, come evanescenti fantasmi, sullo sfondo delle movimentate rappresentazioni artistiche. Infine l'ultima tela del trittico mostrava la realtà attuale tra fantasmagoriche visioni del passato. Un'idea interessante e ben realizzata.
Erano inoltre notevoli i paesaggi veneziani o dell'entroterra con immagini mitiche soprastanti, dipinti da Luigi Pretin, un quadretto di tal Geido dedicato a un affascinante esempio di antiquariato industriale e una tela dipinta con competenza dal proprietario della villa.
Erano poi presenti opere d'ambientazione medioevale o rinascimentale, purtroppo non meritevoli di considerazione perchè analizzavano i secoli passati in maniera insignificante. Si trattava di scialbi bozzetti privi di succo e di spessore. Vi era un'unica eclatante eccezione: una grande tela ambientata proprio all'interno di Villa Valente al tempo in cui era stata appena costruita, dipinta con incisiva matericità e straordinaria precisione di dettagli. I personaggi in costume si aggiravano tra il salo

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   3 commenti     di: Massimo Bianco


Non si recide un fiore

È diventato impossibile vivere sul nostro pianeta nel 2251: da tempo le industrie male utilizzate hanno creato solo inquinamento, mezzi super veloci consentono spostamenti in tempi brevissimi ma ognuno raziona l'ossigeno da un dispositivo presente nel taschino della camicia, non ci sono carburanti naturali, il benzoepirene lo producono solo le tre sorelle arabe degli Emirati, dei sauditi e di un piccolo centro che domina il mondo. Un tempo si chiamva sultanato dei Brunei oggi Fahadtown, re Abdelfahad ha preso tutto per sé e distribuisce cibo, materie prime, mezzi di locomozione e interviene nella formazione delle famiglie di tutto il mondo. Una lotta di razze dilania il mondo: tutti vogliono prevalere, non sono riusciti a creare una forza lavoro indipendente e sono ormai esauriti fiumi e frutti della terra, l'agricoltura è un ricordo lontano del passato. Si uccide senza frontiere, si sentono tutti diversi e superiori, tutti piccoli Fahad sanguinari e vendicativi, non resta che fuggire, i mezzi ci sono ma bisogna trovare nuovi spazi vivibili nell'universo. Due scienziati italiani Roberto e Tiziana trapiantati in America compiono il tentativo estremo: si costruiscono da soli una navetta e provano a cambiare la loro vita cercando nello spazio un nuovo posto per rinascere, i soldi sono razionati da Fahad ma si ruba, esistono ancora quelli che fanno prestiti in piccoli empori ovviamente clandestini che stampano titoli di credito in proprio. Le banche ci sono ma sono tutte in Asia con soli quattro proprietari che si spartiscono le proprietà di un pianeta intero: vengono tutti dalla famiglia di Fahad: sono i suoi figli prediletti, quanti ne ha? Nemmeno lui lo ha mai saputo, forma lui le famiglie con governatori fedeli e meccanici ma per lui questa regola non serve, lui può e sceglie chiunque e tutte si sentono privilegiate ad essere scelte anche se sono picchiate e abbandonate. Il lavoro di costruzione della navetta che salva la vita o ne può creare una diversa dura

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Leira la regina dei Lupi di Lunalandia cap 2

Roarr, arf, hunf, grrr, i versi del branco lo interruppero e a quel punto Stregatto cominciò a preoccuparsi, ma prima di decidersi a “scomparire” lasciando visibile solo il suo “sorriso magico”, tentò un nuovo approccio:
-“Non sapete parlare? Oppure non conoscete la mia lingua? Come possiamo riuscire a comunicare? Chi siete? A che razza appartenete?”-
-“Basta!”- esclamò nervoso, ringhiando, un anziano lupo del branco, -“ci hai seccato con le tue chiacchiere, è ora di finirla”-
E, detto questo, con un cenno della testa diede ordine ad un giovane del gruppo di saltare sull’albero e acciuffare lo Stregatto.
-“Fermi! Cosa fate?”- Esclamò ad altissima voce la lupa bianca, -“Qui gli ordini li do solo io, e non mi sembra d’avervi permesso di sbranarlo!”-
-“Sì, Regina, scusaci se per la foga della cattura non ti abbiamo lasciato l’onore d’esser tu a uccidere questo essere, accomodati pure, nostra Signora, e perdona il nostro ardire”-
Leira, è questo il suo nome, a quel punto, si avvicinò al tronco dell’albero dove, un oramai spaventato Stregatto, stava decidendo il momento adatto alla “sparizione”, e cominciò ad annusare tutt’intorno.
Leira, prima femmina nella storia del popolo dei Lupi di Lunalandia ad essere “regina” del branco, aveva avuto una vita difficile; primogenita di Nokio, il vecchio re del branco, e capo supremo di tutte le tribù della valle, si era da subito, ritrovata a dover combattere contro i pregiudizi, la tradizione del suo popolo infatti, voleva che il primogenito del re, diventasse il suo successore, e, nel caso che il primogenito fosse femmina, questa, veniva “tranquillamente” divorata dal padre per dare spazio al secondo, purchè maschio! Ma Leira, appena nata, quasi ancora con gli occhi chiusi, aveva sentito in sé una forza, una potenza, una voce perfino, che l’aveva guidata ad affrontare il consiglio del branco e con una voce dolce, tenera, infantile, ma al contempo

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   2 commenti     di: luigi deluca


Il mare ritorna

Ho sognato di andare al mare ed appena arrivato, l'ho visto lentamente ritirarsi e lasciare solo sabbia al suo posto... poi una voce dal tono profondo all'improvviso dice: "basta, non meritate più il piacere delle mie onde, del dolce cullarvi con il mio movimento, immergervi per guardare le mie meraviglie sommerse, avete profanato ed inquinato troppo la mia esistenza, mi ritiro e vi lascio ciò che meritate:sabbia solo un'arida distesa di sabbia!" Incredulità, sgomento e per qualcuno paura sono i sentimenti che assalgono tutti i presenti all'evento, il silenzio viene rotto solo dal pianto di tutti i bambini presenti, allora grido dalla parte dove prima c'era il mare "cosa dobbiamo fare per farti tornare?"Nessuna risposta, solo vento e sabbia, mi avvicino dove prima arrivavano le onde e vedo un oggetto, lo raccolgo e lo mostro a tutti i presenti, è un palloncino colorato ed allora ho un'intuizione sul segnale che il mare ci ha lasciato, i palloncini li usano i bambini per giocare, qui tutti loro stanno piangendo se costruiamo delle mongolfiere dicendo loro che è un gioco e li convinciamo a salirvi sopra quando raggiungeranno la parte opposta potranno scendere e chiedere a mare di tornare! La maggioranza dei presenti mormora commenti negativi, qualcuno avvicina il dito indice alla tempia per farmi capire che sono matto, ma accade una cosa sensazionale, tutti i bambini, nessuno escluso mi circondano e mi chiedono urlando, saltando tirandomi per le braccia, come si costruisce una mongolfiera? Non lo so gli rispondo ma dobbiamo provare a farlo, a quel punto qualche genitore, fratelli e sorelle più grandi si avvicinano e cominciano a prendere sul serio l'idea. Siamo in tanti ognuno di noi può essere utile, cerchiamo e troviamo quello che serve per costruire più mongolfiere possibile e qualcuno che sa governarle per accompagnare i bambini, nel giro di pochi minuti la spiaggia si svuota e tutti partono alla ricerca del necessario per riavere il mare. Non so quanto tem

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   4 commenti     di: leopoldo


Il Temporale

<<Dai lancia>> disse Roberto all'amico Stefano che finalmente si decise a tirare il pallone verso di lui.
Roberto lo inseguì e lo tirò nuovamente verso il compagno di giochi che sembrava essere turbato da qualcosa.
<<Senti Roby, io devo tornare a casa, mia mamma si arrabbia altrimenti>>.
Roberto sembrò deluso dall'improvviso abbandono dell'amico.
<<Va bene>> disse infine, <<fa come ti pare, io me ne starò qui e continuerò a giocare anche senza di te>>.
Stefano abbassò il capo offeso e si allontanò dal campo in cui stavano giocando a pallone oramai da diverse ore, uscì da esso e si avvicinò alla sua bicicletta appoggiata al terreno polveroso del sentiero. La raccolse e si allontanò.
Roberto rimase così completamente solo in mezzo alla campagna. Alzò le spalle e tornò a giocare.
Si immaginò di essere il campione di una squadra di calcio, simulò di superare in dribbling innumerevoli avversari, di trovarsi a tu per tu col portiere e di batterlo con un potente e preciso rasoterra. Immaginò la rete gonfiarsi e migliaia di persone esultare e applaudire il proprio begnamino.
Immerso com'era nel suo gioco e nelle sue fantasie di bambino sognatore, Roberto non si accorse che il cielo si stava incupendo, una fitta coltre di nuvole nere lo stavano coprendo.
Sporadici fulmini e tuoni si stavano avvicinando da chissà dove e finalmente Roberto si accorse di tutto ciò e, dopo aver raccolto il vecchio e logoro pallone che stava utilizzando, si allontanò raggiungendo in un batter d'occhio la sua bicicletta
appoggiata in terra sul margine sinistro del sentiero.
Vi salì a cavalcioni e iniziò a pedalare a più non posso sperando che il tempo reggesse ancora un po' per permettegli di raggiungere la sua abitazione, distante circa quattro chilometri da quel luogo, ancora asciutto.
<<Avanti avanti>> diceva Roberto come ad autoincitarsi.
Il temporale era sempre più vicino.
Dalle sue fantasie scaturì questa volta una stretta strada di montagna, du

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   2 commenti     di: Demis Italiano


La principessa dei fiori - (1° e 2° capitolo)

Prefazione.


Il racconto che seguirà è formato da diversi capitoli, ogni persona o cosa è puramente casuale, tutto frutto di fantasia.
Il racconto inizia in una nota cittadina Ligure e si svilupperà in una grossa città della Francia,
tra realtà e fantasie avrà numerosi colpi di scena.


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( 1° capitolo) - (Gerard.)



La mia vita è sempre stata caratterizzata da alti e bassi, momenti d'euforia e tanti altri d'angoscia, non so come è accaduto, ma in questa storia che racconto, all'improvviso ho perso tutto, moglie, figlio, lavoro e casa; è strana la vita, t'ubriaca con le sue bellezze e poi di colpo quando le luci riflettono tutto su di te, accade l'imprevisto che ti manda all'inferno...(la ditta dove lavoro fallisce, lasciando tutti i dipendenti disoccupati, a 50 anni chi mi assume?), in Italia le Leggi non ci proteggono, tutto il mondo si muove intorno ai giovani, le Leggi aiutano le ditte che assumono i giovani... (e noi?), noi siamo pronti al macero, prepensionamenti a quattro soldi, a volte nemmeno quelli...
(Cosa faccio sono confuso, intanto inizierò a prendere la disoccupazione o la mobilità, vedremo dopo gli eventi).
Dopo... già dopo; il tempo ha due fasi: la prima, quando non hai problemi, viaggia nella sua normalità e lo guardi attraverso l'orologio; la seconda, quando il tempo è contato com'è nel mio caso, vola in un attimo, ti accorgi che è trascorso quasi un anno, intanto la situazione non è cambiata, rimangono ancora un paio di mesi di disoccupazione e poi... spero sempre di trovare un lavoro.
Preso dai pensieri, mi scuote il suono del (drin)... il telefono chi sarà?
"Pronto"
"Ciao Piero, come stai è molto che non ci sentiamo"
"Gerard, ma sei tu, quanto tempo è trascorso dall'ultima telefonata, sicuramente più di due anni"
"È vero, ma qui a Parigi la vita scorre veloce, spesso non troviamo lo spazio per telefonare ai vecchi a

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Getflok lo Sciamano

I refoli ciarlieri ed autunnali del sottobosco maculato di funghi multicolori, sembravano accompagnare i passi di Getflok, lo Sciamano del popolo della Terra di Confine.
Girovagava apparentemente senza méta, ma con lo sguardo attento agli alberi, che iniziavano a spogliarsi dell'abito di foglie. In realtà stava cercando un ramo di tasso adatto per costruire un arco per Tosit, suo grande amico e fratello, invaghito della ragazza più bella del villaggio. Ma, il mugnaio suo padre non voleva sentir ragione e andava ripetendo che avrebbe concesso la mano della sua Gedea solo al miglior cacciatore della valle. ossia, al vincitore della gara che anche quell'anno si sarebbe tenuta nel Campo del Sole d'inverno, il grande circolo sacro circondato dalle sacre pietre dei giganti. Chiunque vi poteva partecipare e questo era motivo di apprensione nel cuore di Tosit, si era confidato con Getflok, chiedendogli aiuto. E lui ora s'aggirava nel bosco alla ricerca di un albero vibrante, il Tasso, l'albero preferito da Janna, la dea della caccia. In quel momento Evos, il dio del vento alzò la voce, quasi un fruscio a coprire il cricchiolìo dei suoi stivali di pelle di daino, sulle foglie croccanti sparse a mò di tappeto.
Getflok capì che quella voce era un segnale del dio Evos e tese la mente per sentirne il messaggio pronto a seguirne i consigli. Dal limitare del bosco dove si trovava gli occhi saettarono verso i lontani alberi di acacia, che crescevano sulle rive tormentate del fiume Tonante. Sì, aveva capito bene e conosceva quel posto anche se si trovava oltre i limiti delle terre Conosciute. Lo Sciamano s'avviò. La voglia di far contento il suo amico-fratello e fargli vincere quella tenzone gli metteva le ali ai piedi.

Getflok era il migliore costruttore di archi da caccia, perché conservava gelosamente tutti i segreti che gli aveva trasmesso suo padre, che a sua volta li aveva appresi anche lui dal padre e così via via, dagli antenati sin dagli inizi del t

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