È un soleggiatissimo giorno d'estate, l'ideale per fare una bella, lunga, rilassante e tranquilla passeggiata pomeridiana domenicale. Serpe Zoppina Ovovipara, dopo avere pranzato a sazietà, gironzolò come d'abitudine nei dintorni fischiettando e cantando allegramente: "Fffiùùh, fffiùùh, la pancia piena mi mette allegria, fffhiùùh, fffiùùh, la pancia vuota mi mette malinconia". Aggirando un grosso macigno incontrò serpe Stortina Proteroglifa, sua antipatica coetanea e rissosa vicina di casa, le due striscianti creature non si sopportavano a vicenda e per poco non sbattevano violentemente la testa tra di loro, rischiando di farsi molto male. Entrambe infastidite dall'indesiderato incontro, quasi scontro, finsero di non vedersi e ognuna girò di scatto, sbuffando, l'affusolato muso inviperito dall'altra parte. "Voglio proprio vedere dove sta andando la vecchia decrepita pettegola", disse incuriosita serpe Zoppina Ovovipara. "Voglio proprio vedere dove sta andando la vecchia stolta ruffiana", disse incuriosita serpe Stortina Proteroglifa. per alcuni minuti si rincorsero comicamente, avanti e indietro, su e giù, girando maldestramente di continuo intorno alla stessa grossa, calda pietra, fingendo di ignorarsi a vicenda, ma rischiando più volte di scontrarsi con violenza e farsi molto male. All'improvviso un debole squittio di paura risuonò poco distante, richiamando la loro attenzione, un nido di teneri topolini, ancora nudi, appena nati, si trovava al centro della instancabile disputa, dimenticando per un momento la loro antica rivalità si precipitarono su di loro. Anche serpe Stortina Proteroglifa doveva avere mangiato a sazietà, si notava dal gonfiore della pancia appesantita, ma nessuna delle due colleriche bisce voleva cedere all'altra la soddisfazione di rivendicare le gustose prede. serpe Zoppina Ovovipara impettita, disse di essere stata lei la prima a vedere il nido, perchè aveva la vista più acuta, serpe Stortina Proteroglifa baldanzosa, riba
[continua a leggere...]Viaggiare in aereo per me si traduce in un misto di paura ed eccitazione, non capisco come facciano tutti quanti ad essere così rilassati e sorridenti ma ora che Palermo è collegata con Oslo da un volo diretto non voglio perdermi la Norvegia!
Un week-end mi basterà e con pochi soldi ce la posso fare.
Il volo parte da Punta Raisi alle quindici in punto e arriverà a Rygge dopo poco più di tre ore di viaggio.
La fase del decollo è sempre un trauma, per fortuna che accanto a me sta seduta Emilia, una studentessa della mia città, così facciamo amicizia e iniziamo a parlare del più e del meno. Ho scelto il posto panoramico così -da vero masochista- mi godo tutti i paesaggi, le nuvole, il mare.
Comunque, aleggia sempre una certa inquietudine ben celata, che riesco a percepire.
Poi, verso le 17, dopo due ore di volo tranquillo si vede già il mare del Nord e una nuvola scura, rotonda... si muove, non è una nuvola!
Si avvicina sempre di più, ma che diavolo... Riesco a vedere una luce rossastra, pulsante al centro.
Emilia, ma... guarda. Oddio... ma cosa.. È vicino... Poi una forte scossa di terremoto, l'aereo sobbalza, in poco tempo è il panico... cadono giù le maschere... perdiamo quota e io sono di pietra, Emilia gli occhi sbarrati...
Guardo fuori, la cosa è ancora lì, appena fuori dall'oblò. Poi si allontana ad una velocità inspiegabile, l'aereo riprende quota, la gente applaude.
Laggiù in lontananza, con uno sforzo di immaginazione, riesco a vedere le luci del fiordo di Oslo.
"Ora posso solamente piangere pensando al mio passato, ma purtroppo ho finito tutte le lacrime che avevo in corpo. Per tutti arriva un momento in cui la coscenza fa capire cose che senza un'accurata riflessione potrebbero andare perdute.
Questo è il mio momento, ora posso rimediare agli errori che ho compiuto, specialmente ala quello più grave: la sconfitta."
La città era ormai caduta, insieme a tutti gli abitanti che la popolavano. Cereza, oscurata dalla fama della madre, aveva smesso di credere in se stessa, lasciando che la sua anima scappasse dal corpo.
Klaire era supina sui ciottoli, si era ustionata un braccio e aveva perduto la sua ascia, non poteva essere sconfitta, essere principessa significa anche proteggere la propria terra. Si sfilò l'elmo che emise un cigolio sinistro. Una giovane donna dai lunghi capelli castani e due speranzosi occhi verdi, era figlia della defunta regina degli elfi, Essa da giovane, era stata violentata da un soldato umano, e nove mesi dopo, si era trovata una mezz'elfa in grembo. Klaire si alzò a fatica e corse verso un corpo steso a terra senza vita, il cui volto le sembrava conosciuto. "come, come è possibile?", urlò la ragazza sconvolta dopo aver scoperto l'identità del cadavere, era Cereza, la sua più cara amica, ed era lì avvolta dal sangue. "Cara amica, perdonami se ti ho lasciato morire, le tue spade saranno le armi della nostra vendetta. Ti prometto che presto riceverai una degna sepoltura", asciugatasi le lacrime, Klaire marciò verso il castello, l'ultimo degli edifici rimasti, il luogo dove il tiranno si era rintanato per pianificare la sua nuova città, Raganash. La strada brulicava dei serventi del nuovo re, che però non diedero troppo fastidio alla giovane impavida, le spade di Cereza parevano mosse dal suo spirito e Klaire le assecondava mossa anc'essa dalla rabbia. I colorati mattoncini erano distrutti e intrisi del sangue dei loro costruttori, coloro che avevano visto nascere e morire il
Alcuni mi dissero poi di averlo visto allo stesso tavolo anche in anni lontani, nel pieno della notte romena.
Ma chi può saperlo, è nostra abitudine provare a rendere la realtà meno opaca e pesante, più vicina alla verità che vorremmo colorandola con dosi robuste di invenzione e di leggenda.
Nella lingua degli ebrei un solo termine designa parola ed azione, per noi romeni parola è cuvintul, viene pronunciata e si allontana, scompare, leggera e misteriosa, come il vento fisico.
Io comunque, che avevo sempre frequentato la birreria, iniziai a vedere quell'uomo solo dal 2001, dalla primavera.
La Caru cu Bere è la birreria storica di Bucarest.
L'edificio, in stile neoclassico, fu ultimato nel 1879.
Sino alla fine della seconda guerra mondiale fu il locale della giovane borghesia di Bucarest, degli studenti, delle comunità straniere, italiani e francesi.
Durante il regime, il locale divenne di proprietà dello stato.
La frequentavano perlopiù i dirigenti del partito, per i quali credo funzionasse, nelle stanze dei ballatoi superiori, anche come bordello.
Io, Ion Dinu Gabrieli, nacqui a Bucarest nel 1977, l'otto febbraio.
Della notte romena non vidi che la fine, ma la conosco bene.
Ben prima e ben meglio che dagli studi, dalle vite mancate dei miei genitori, dai grigi crolli che si intuivano nella loro anima, dalla loro infinita stanchezza.
Ricordo come la nostra casa, ogni suo dettaglio, la facciata, i pianerottoli delle scale e poi gli interni, i nostri mobili e gli oggetti dichiarasse la notte con la forza terribile di cui solo sono capaci le cose materiali.
Nel 1989 il regime cadde.
Non sapevamo cosa sarebbe mutato, cosa sarebbe stato possibile recuperare nei nostri cuori ma sapevamo ciò che saremmo diventati, negli anni, nella libertà e sotto altri demoni: l'Europa.
L'anno successivo la mia vita attraversò un passaggio fondamentale.
Mi fu diagnosticato un tumore maligno, un sarcoma alla radice della coscia sinistra.
Fui operato in It
Ghlendak Mondo fantasy illuminato da due grandi stelle : Dhlaniol e Guorn il significato rispettivo italiano è Argento e Fuoco. Questo pianeta ha un moto rivoluzionario molto più lento di quello terrestre:un anno è lungo (circa) 502 giorni ed un giorno dura dalle 48 alle 36 ore circa. Gli abitanti di Ghlendak hanno una pelle di color Argenteo molto robusta e resistente ad urti ed ai raggi ultravioletti che emettono le due potenti stelle, persino le palpebre dei loro occhi sono rivestite di uno strato doppio, consentendo loro di non soffrire di problemi riguardanti la vista. Le Città di Ghlendak Le città di Ghlendak sono 10 contando l'isola Zrezin nel Oceano delle acque di Vetro, ognuna di queste città ha un nome ed un linguaggio unico, come linguaggio universale con cui possono capirsi tutti c'è il Kotoba, un linguaggio che ha origini molto antiche e che viene rispettato ed insegnato a tutti fin dalle età più piccole. Elenco delle città Dètren : Città posta al nord sopra una grande pianura, caratterizzata da un linguaggio melodioso ma allostesso tempo molto difficile da parlare. Dèfren : Città del tutto contraria a Dètren caratterizzata da varie coltivazioni di piante e frumenti di ogni genere, nemica di Dètren dopo lunghe guerre combattute per indipendenza su di essa, gli abitanti stessi per rivolta, cambiarono linguaggio inventadolo a Tavolino, il loro linguaggio attuale suona molto duro e sgradevole. Gurgum Città posta a Sud di Ghlendak stessa sotto un antico vulcano in continua eruzione, le sua incessanti Eruzioni hanno frmato una cappa Oscura e Tetra che non lascia penetrare alcun spiraglio di luce, gli abitanti infatti si sono adattati ad uno stile di vita rude e maleducato, non hanno rispetto di niente e di nessuno se non per l'antichissima cattedrale nera posta al centro dell'oscura città abitata da un tenebroso stregone chiamato Zurum. Il loro linguaggio è unico per suoni e per scrittura, presenta simboli ben distinti per ogni lettera
[continua a leggere...]Il Re nel suo alto castello, circondato dalle mura spesse, dagli alberi del bosco fitto, dalle case dei sudditi al suo servizio, guarda verso l’impero sconfinato, l’orizzonte lucido dove il sole tramonta e porta la notizia del suo potere. Ad una finestra larga, in piedi vestito di regalità e stanco, guarda.
Corvi aleggiano come pensieri turbinanti. E odore di carne che brucia, fieno tagliato, legna fresca.
In lontananza messi cavalcano in tutte le direzioni, veloci e fidati.
Il suo consigliere entra nella stanza inchinandosi:
- Sire, i soldati aspettano una sua decisione…
Il Re neanche sente la supplichevole voce dell’uomo. Ha nebbia dalla quale vorrebbe districarsi, i suoni così sono ovattati, spenti.
- Dobbiamo fare in fretta… i nemici avanzano. Ogni tentennamento parrebbe simbolo di debolezza…
Adesso avverte il senso delle parole. Il Re conosce la situazione. L’ennesima guerra, contro diversi barbari feroci, contro gente affamata di potere come lui. Partire bisognerebbe, e attendere quegli animali al confine, per massacrarli. Solo che il Re è stanco.
Ricorda la sua investitura, alla morte del padre, Re severo e forte, che con l’esempio fece di lui un dominatore. Se lo portò in battaglia quando questi non aveva che dieci anni. E a dieci anni uccise, scalpitando nella ressa dei corpi e delle urla. E da allora quanti scontri? Quante uccisioni? Quante vittorie?
Andare avanti, fino a che le terre non furono distese supine di teste umane, nuove genti pronte ad accogliere quella forza che avanzava, senza più bisogno di lottare. Bastava la fama a precederli, perchè i popoli si arrendessero. E alla fine, quando tutto il mondo conosciuto stava nelle sue mani compresso, tornò indietro, verso l’origine e il cuore del suo regno. Le celebrazioni sontuose, folli di ebbrezza i suoi sudditi gridavano il suo nome, mentre loro entravano attraverso le mura, i cavalli colmi di ricchezze e schizzi di sangue. E il matrimonio con la Regina. La loro uni
Prima parte
"Bisogna aiutare i meno fortunati di noi. La prossima volta giuro che non sarò di braccio corto".
Questo raccontavo a me stesso ogni volta che incrociavo un barbone.
Mi è sempre suonato male questo termine.
Il barbone è una persona con la barba lunga; pertanto, tale termine, male si presta a rappresentare una condizione che può essere di ambo i sessi.
Forse è meglio chiamarli clochards. Quelli che camminano "à cloche"pied", che si trascinano senza meta guardando un piede dopo l'altro che avanza.
Meglio ancora chiamarli "senza tetto", nel senso civico che noi diamo al termine residenza come posto dove la società viene a cercati per chiedere conto delle tua azioni, magari utilizzando sigle NFA, SDF (No Fixed Abode Sans domicile fixe).
Personalmente, la cosa che mi colpisce di più di questi individui sono gli occhi. Il loro sguardo vuoto e rassegnato. La quinta essenza della percezione temporale dell'ora, inteso come adesso, il presente, senza ieri e senza domani.
Per questo motivo Lei mi colpì; i suoi occhi erano diversi".
Ero a Milano dalle parti della stazione centrale. Uscito da una riunione durata meno del previsto, facevo due passi nei dintorni.
Fu allora che la notai. La solita Donna senza età, infagottata e informe dalla coltre di vestiti sovrapposti che portava indosso. Capelli da pazza di colore grigio cenere. Sembrava una lumaca in retromarcia che invece di trascinare la propria chiocciola, spingeva lenta la sua casa carrello di supermarket, sede di tutti i suoi averi terreni.
Insomma una delle tante anime di purgatorio che orbitano attorno alle stazioni delle grandi città. Quando però percepì la mia attenzione, alzo il capo e si guardò attorno alla ricerca di qualcosa. Era come se il mio sguardo l'avesse destata da chi sa quali meditazioni profonde. I nostro occhi si incontrarono, i suoi erano quelli vividi e profondi di una mente indagatrice. Sorrise sorniona e venne verso di me. "Offrimi qualcosa da m
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