La ragazza era persa nei suoi pensieri come al solito e temeva il giudizio degli altri. Dentro di sé sentiva un dolore profondo, i motivi erano diversi, ma tutti senza un significato come la sua vita.
Il sole cominciava a risplendere, ma lei aspettava la notte per sognare, oppure aspettava di sentire ancora per un attimo il battito del suo cuore. Ciò che desiderava non lo sapeva, perché la sensibilità la distruggeva, ogni cosa la faceva soffrire molto se era brutta e le belle cose non le poteva sentire piacevolmente.
Cercando di nascondere il dolore, pensò ancora a lui che l’aveva sopportata, ma mai amata veramente. Stringendo tra le dita il ciondolo azzurro con l’immagine della madonna socchiuse gli occhi e respirò.
Un attimo dopo una luce accecante, che solo lei poteva vedere, le fece aprire gli occhi e vide davanti a sé la Madonna, vergine, madre di Dio che le regalò un dolce sorriso. La prese per mano e la portò via.
Così si ritrovò vicino ad un piccolo lago e la Madonna, che era accanto a lei, prima di andarsene le disse questa frase: “Devi trovare la strada della tua vita, non è difficile e accanto a te ci sarà sempre il tuo angelo custode che ti aiuterà in ogni difficoltà. Dovrai solo imparare a sorridere e non preoccuparti sempre perché il Signore ti vuole bene e ti aiuta. ”
“Tu sai già perché sei qui e sai quello che devi cercare. ”
“Davvero? ”si chiedeva perplessa la ragazza.
“Si, quello che vuoi trovare è la felicità e la felicità è in ogni cosa così come la puoi trovare nel nulla infinito. ”
Detto questo, la madonna scomparve, con il ciondolo che aveva attaccato al collo la ragazza. Lei rimase incantata e mentre rifletteva sulle sue parole, osservava silenziosamente il lago. Panorama spettacolare di alte montagne con i riflessi del sole che brillavano nell’acqua. Tutto era sereno e piacevole così decise di incamminarsi nel bosco, ma la solitudine la preoccupava e il terrore gli echeggiava nella testa
La signora Dielma aveva seguito, incantata la musica di Prokofiev, aveva ascoltato la voce narrante e la sua attenzione era tesa ad ascoltare la conclusione della storia.
Aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva sentito che il lupo non era stato ucciso.
Lo avevano portato allo zoo con una marcia trionfale guidata dal nonno di Pierino.
La mente di Dielma ebbe un guizzo: "Andrò a trovarlo allo zoo" - si disse. Dovete sapere che la signora Dielma amava i lupi che aveva incontrato tante volte nei boschi dove faceva lunghe passeggiate. Tra lei e i lupi si era stabilita una bella amicizia dal giorno in cui aveva offerto ad un lupo che le si era avvicinato due belle fette di prosciutto del panino che si era portato per la merenda. Il lupo l' aveva ringraziata con un elegante scodinzolamento della bella coda e Dielma gli aveva fatto una carezza sulla testa.
Dunque Dielma andò allo zoo e si fermò davanti ad una gabbia dove era rinchiuso un lupo dagli occhi tristissimi. Anche gli occhi di Dielma si rabbuiarono. "Ora provo a parlargli"- si disse.
"Lupo - sussurrò - come ti chiami?" Non ci crederete, ma il lupo rispose, con una voce fioca e dolente. "Non abbiamo un nome noi lupi. Ci chiamiamo e ci rispondiamo mutando il tono della nostra voce. "E come fai a parlare la mia lingua?" - chiese Dielma. "Me l' hanno insegnata la disperazione, la vergogna e la rabbia. Riesci ad immaginare che cosa ho provato ad essere legato per le zampe ad un palo, a testa in giù e trascinato in questa prigione? Io ho una compagna e due cuccioli bellissimi. Ora sono soli e non so come se la caveranno. Moriranno? Saranno catturati e finiranno anche loro in questa prigione?" Dielma restò turbata. Chiese al lupo: "Ma tu volevi mangiare Pierino?" "No. Volevo soltanto giocare. Pensavo che gli facesse piacere. Anche lui è un cucciolo" "Devo crederti?" - chiese Dielma. "Fai come ti pare" - rispose il lupo. Si distese a terra e non parlò più. Dielma pensò un po' e disse: "E se io ti
Dopo qualche giorno arrivarono a destinazione, Amos lasciò Camilla davanti al negozio e andò a salutare i suoi genitori. Rimasero d'accordo di trovarsi vicino al pozzo dove andavano sempre e si erano incontrati la prima volta.
Camilla, vide che il negozio era chiuso, anche se era orario giusto di apertura e lo trovò strano. Decise di entrare in casa, anche se si sentiva un po' angosciata, per come avrebbe reagito suo padre rivedendola. La porta non era chiusa a chiave e in casa c'era un silenzio profondo, quel posto l'aveva sentito nel cuore tra i suoi più vivi ricordi per tante volte.
Non vide subito suo padre e si cominciò a preoccupare, lo chiamò girando un po'per la casa ma, non ebbe nessuna risposta, finché non raggiunse la camera e lo trovò nel letto con brutti malesseri. Aveva la febbre alta e una tosse fastidiosa e quando la vide gli sembrò di sognare. Lei si avvicinò e gli disse preoccupata: "Come stai papà? Presto, bisogna chiamare il medico."
"Non preoccuparti non è nulla di grave mi passerà, tu piuttosto pensavo fossi caduta nel pozzo e fossi morta, da quando te ne sei andata quel pozzo è rimasto senza fondo. Quanto mi sei mancata, mi sembra di vivere un sogno, piccola mia."
"Perdonami papà io sono andata via per vivere con lui, perché lo amavo, ma non riesco a dimenticare tutto il bene che mi hai dato, sei sempre stato nel mio cuore."
Lui rimase un po'sconfortato, ma la gioia di averla ancora accanto in un momento così difficile gli fece dimenticare tutto. Lei gli mise un fazzoletto fresco sulla fronte e andò a cercare il dottore nel paese. Quando lo trovò, gli spiegò che aveva bisogno, così andarono insieme a casa. Il dottore lo visitò e disse che era una brutta polmonite, così gli diede degli antibiotici.
Poi aggiunse: "Se non veniva a chiamarmi, però non sarebbe mai riuscito a guarire, deve ringraziare sua figlia. Ora si riposi, prenda le medicine e presto si rimetterà in forma!"
Lei sorrise, contenta dell'aiuto che
C'era 'na vota a lu nostru paisi di la Sammuca 'na coppia di spusini chi circavanu di jiri avanti, ma la fimmina era troppu bedda e quannu niscia pi la strata tutti li masculi si firmavanu a talialla, cc'eranu puru a lu cummentu di li cappuccini 'na maniata di monaci chi a chista picciotta la 'nsurtavanu, chi assulutamenti la vulianu cunfissari, chi la vulianu cumminciri, e tutti a dirici chi la vulianu cunfissari a la sò casa. Quannu sta fimmina nun nni potti cchiù, pigliau e lu dissi a lu maritu. Iddu si la pinsau e cci dissi a la muglieri:
"Sunnu tri li monaci"? Dicci di si, a unu a unu, a unu pi vota e cci duni appuntamentu a la tò casa a uri diffirenti, a unu cci dici chi avi a veniri a li novi, a l'autru cci dici chi avi a veniri a li deci e all'urtimu cci duni appuntamentu pi l'unnici. Sta bona e attenta, parlaci in manera chi nuddu di l'autri capisci nenti".
La fimmina fici comu cci dissi lu maritu, parlau cu li monaci ognunu pi li fatti sò e a la fini cci dicia:
"Però quannu trasi m'avi a dari cent'unzi".
Cent'unzi a ddi tempi eranu beddi sordi, ma la fimmina era bedda e li monaci basta chi arrivavanu a lu scopu eranu disposti a la quarsiasi cosa.
Quannu si ficiru li novi, lu primu monacu si prisintau a la casa di li spusini, tuppiau e mentri chi lu maritu chi era dintra s'ammucciau, la muglieri ju a grapiri la porta. Lu monacu trasiu e subitu la fimmina 'ncatinazzau la porta.
"Sapi" - cci dissi - "me maritu eni fora ma nun si po' mai sapiri".
"Si, si, veru eni", lu monacu a un corpu cci cuntau li cent'unzi. La fimmina mancu appi lu tempu di jiri a sarvarli chi a la porta quarcunu si misi a tuppiari: Tum, tum, tum.
"Cu eni ddocu"? - dumannau la patruna di casa.
"A cu aspetti"? - rispunneru di fora - "Sugnu tò maritu".
"Gesù, Gesù, e comu e fari ora"? La fimmina si muvia comu si cci avissi cadutu lu celu supra la testa.
"Vinissi ccà, frati santu, trasissi dintra stu furnu".
Cc'era un gran furnu dunni cci facianu lu pani e a forza di spi
Fratelli
Erano ormai parecchi i giorni trascorsi dacché avean lasciato casa?" la cara casa dove ogni cosa può nascondersi ma si ritrova, dove l’indispensabile dell’ospite è l’inutile pel visitatore, quel luogo dell’anima dove si torna (col pensiero almeno) nel momento in cui s’è tristi altrove?" quando incontrarono un anziano signore.
Assiso sur un lastrone di pietra, incassato nel muricciolo antico quanto lui, rimirava, costui, fisso un punto vuoto innanzi a sé, ma macilento e?" va detto?" male un pochino in arnese, tutto compreso?" circondato persino?" d’una irreale immobilità, d’una apatia tetragona fuor dal tempo?" si direbbe?" comune, pareva voler solo mostrare, come residuo segnale di appartenenza a questo mondo, un fremito impercettibile nei polsi cerei e scarni, dalla vecchiezza rosicchiati.
Un refoletto impertinente?" frequentatore unico di quell’angolo di solitudine dimentica e rara, tirava a far dispetto a un ciuffetto di capelli, radi e sbiancati come logore lenzuola al sole, la qual cosa poteva essere notata a condizione d’osservare il vecchio adusto di profilo.
E così Patonsio e Carmine fecero, poi che l’esame dal di fronte non li incoraggiò nel progredire approcci e conoscenza. L’osservarono pertanto da variate prospettive, lo studiarono un po’ dietro e al lato un poco, gli girarono d’attorno, assai curiosi del come e del perché, sinché fattisi vicino, piano piano, come a scoprir che fosse vivo, gl’inviarono un saluto:
?" Buon Giorno, egregio signore, saprebbe dirci, per favore, che strada è meglio fare per raggiungere il paese?
?" …
?" Se non è troppo incomodo, s’intende…
?" …
?" Questo dorme, ?" disse Patonsio indovinando un che d’insolito negli occhi assenti, benché aperti?" pare che è sveglio, e invece dorme. ’U jabbu arriva e ’a stima no!
?" Va bene, ?" fece Carmine, riguardoso ancora verso quel vecchio austero e strambo?" ci scusi tanto del dis
Era un caldo strano, il sole era nervoso, scaldava ad intervalli, si lasciava imprigionare dalle nuvole in movimento, sembrava volesse rinunciare al suo dovere di astro. Ad un tratto un fulmine, rumoroso e luminoso come non mai, squarcia l'aria, dal nulla in mezzo alla piazza un omone grande come una casa comincia a cantare, una vocina fine dolce sottile, un po stridula, si ode come d'incanto. è il gigante buono che trasmette le sue doti vocali. dal vicolo a sinistra piano piano esce una donzella affascinante, avvolta in un mantello rosso sotto un abito bianchissimo, con delle scarpette gialle, sembra voglia rispondere alla vocina dolce stridula e lo fa con un vocione da orco inferocito. lo sgomento colpisce tutti i presenti i quali spaventati si riuniscono tutti in fondo alla piazza aspettando forse qualcosa di brutto. il miracolo si manifesta quando l'omone si inginocchia ai piedi della fanciulla e con voce normale da uomo le dichiara il suo amore, la fanciulla lo accarezza con delicata maniera e con la vocina stridula lo riassicura ammettendo anche il suo amore.
ATTO UNICO
PERSONAE
Peppe Pappo : Il vecchio avaro lussurioso da raggirare.
Bruno Bucco : ghiottone vanaglorioso maleducato servo.
Dario Dossena : Il gobbo astuto perfido imbroglione.
Mario Macco : lo sciocco il balordo.
Scena prima nel vecchio centro storico di Napoli
In un antico palazzo al secondo piano Peppe Pappo
è a letto per un forte raffreddore.
Peppe Pappo : Mi giro e mi rigiro nel letto non riesco
a pigliare sonno , questa influenza mi ha castigato.
I soldi miei me li sono nascosti sotto alle lenzuola,
qui al sicuro vicino a me.
Questa è una casa di mariuoli, non c’è da fidarsi
di nessuno.
Vivo circondato da ladri , di gente che campa sopra
alle spalle mie.
Aspettano che io tiri le cuoia per prendersi tutto
quello che sono riuscito a mettere da parte, lavorando, risparmiando. I miei denari non si toccano.
Figli miei, quanto siete belli.
( Conta i denari, uno ad uno) . Tutto ad un tratto lancia
un urlo impaurito si nasconde sotto le coperte.
Con voce tremante grida: Chi và là.
Bruno Bucco: ( Accende, la luce) Don Peppe sono io
Bruno, dabbasso ci sono delle persone che vogliono conferire con lei.
Peppe Pappo : Disgraziato spegni la luce, mi vuoi vedere rovinato. a fine mese la bolletta la pago io.
Da oggi in poi mi segno sopra un quaderno ogni volta accedi la luce inutilmente senza il mio permesso così mi ripaghi
ciò che hai consumato illegalmente.
Bruno Bucco: ( Parlando tra sé : Quanto è brutto vecchio spilorcio ma qualche giorno all’altro ti do una mazzata
in testa, adesso mi vuole far pagare pure la luce accesa senza il suo permesso.)
Con aria disinvolta :Come vi sentite stamani, cosa dite l’apro la finestra, ho avete paura di sciuparvi alla luce del sole.
Peppe Pappo : No apri un po’ di sole farà senz’altro bene
a queste povere ossa mie infreddolite.
(Scende dal letto s’infila le pantofol
Questa sezione contiene favole e storie per bambini e adulti, racconti con morale e allegorie
Le favole sono dei racconti breve che trasmettono un insegnamento di carattere morale o didascalico. I protagonisti sono solitamente animali antropomorfizzati che rappresentano vizi e virtù degli uomini. La presenza di un intento morale le differenzia dalle fiabe - Approfondimenti su Wikipedia