C'era una volta un cigno, chiamato "lo Splendido"; un po' perchè era uno degli esemplari più belli, effettivamente, della zona ed un po' per ironia perchè poi, via, negli atteggiamenti e nei modi... se la tirava!
I cigni erano i volatili più belli ed imponenti di quella zona del Necktar, il fiume che bagna la città di Tubinga, e lui, pertanto, sentendosi il più bello tra i cigni aveva facilmente fatto le somme!
Il migliore dei migliori.
Si sentiva il re indiscusso di quella parte di fiume, di tutto il tratto che tagliava in due l'amena cittadina.
C'è un vantaggio, certo, ad essere cigni, ma non bisogna approfittarne perchè gli svantaggi sono in agguato. Ed il nemico era... un ponte.
Tutti i cigni ci passavano sotto; era il modo più semplice per passare da una parte all'altra del fiume, che il ponte divideva. Scavalcarlo era faticoso e passarci attraverso pericoloso.
Non era un ponte piccolo, nel suo interno ci passava l'arteria principale del traffico urbano nonché due ampi marciapiedi dove passavano, specie nel pomeriggio, molte persone.
Ma lui era "lo Splendido" e la saggezza non faceva parte delle sue qualità.
Così azzardò l'impresa che lo avrebbe reso ancora più orgoglioso di se stesso, ed avrebbe messo a tacere anche le battutine ironiche che si facevano sul suo conto: grande, grosso e...
E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo, per certe battute che venivano fatte tra i cigni e tra gli altri uccelli del Neckar, decise che era il giorno giusto.
Bhe, insomma, la rabbia lo accecò non poco nel decidere che sarebbe passato attraverso il ponte e che avrebbe anche attraversato la strada per poi planare dall'altra parte.
Lo disse prima di allonanarsi dalla mezza dozzina di cigni che sostavano, stanchi ed indolenti, sotto il ponte, godendone la frescura.
Un breve volo risalendo il fiume per prendere lo slancio, e via.
Il ponte si avvicinava rapidamente, occorreva essere accorti, rallentare mettendo le ali pi?
C'era un paese di campagna, e c'era una banda di animali che vi abitava. Tre di questi non avevano un nome, e non facevano niente per gli altri. Dormivano, mangiavano, scherzavano tra di loro, ma non avevano nessuna occupazione. Erano felici, o almeno così sembrava.
Il più giovane dei tre era una creatura dalle orecchie affusolate; era basso e rotondello, con un muso simpatico e un paio di lunghe vibrisse biancastre. Il suo manto bianco a macchie scure splendeva sotto la luce del sole.
Costui aveva una sola certezza nella sua vita: la Divinità esisteva. Ne era sicuro, perchè lui poteva vederla e poteva parlarci! Al mattino, quando non si sentiva troppo pigro o troppo stanco, si alzava alle 4, prendeva la bicicletta e si dirigeva verso una vecchia fattoria diroccata. Lì, in una delle stanze abbandonate, trovava un arazzo polveroso appeso alla parete. L'arazzo rappresentava una bestia mitica, in posa trionfante, con spada e armatura. Sotto di essa era ricamata una scritta un po' sgualcita ma ancora ben leggibile: "La Divinità".
Fu così che un giorno il nostro amico andò all'arazzo e chiese aiuto alla mitica bestia.
<<Divinità, mostrati a me ti prego!>>
La figura prese vita, si scrollò di dosso la polvere e rivolse il suo sguardo regale verso la creaturina al suo cospetto.
<<Che cosa vuoi?>>
<<Ho bisogno di spiegazioni. Io faccio quello che mi pare in questa vita: mangio, dormo, scherzo coi miei amici! Non mi va di lavorare? Non lavoro! Non mi va di faticare? Non fatico! Passo le mie giornate a divertirmi.>>
<<Questo me lo ripeti sempre, e te ne vanti.>>
<<Infatti. Ma sento dentro me come una lotta, una battaglia, un diverbio che non mi permette di essere felice totalmente. I miei due amici non se ne sono accorti, ma io soffro molto a causa di questo. Divinità, ti prego, cosa devo fare per avere la felicità??>>
<<Questo te l'ho ripetuto sempre, e non mi ascolti!>>
<<Non capisco le tue parole...>>
<<... perchè dentro di te non vuoi capirle.>>
<
...
- Dici a me? – rispose prontamente l’astuta formica
- a chi se no? Ci sei solo tu qui come agente segreto-
-io non ho mai detto che sono un agente segreto. Ho solo detto che sono in missione per la Regina-
La Regina assistendo divertita chiese:
-Ah sì, e che missione ti avrei affidato?-
-Sua maestà, non mi ha incaricato di andare a procurarmi del cibo?-
-Sì certo-
-E non è una missione questa?-
-Sì certo-
-io ho sempre affermato questo. Il saggio Grillo può confermare che non ho mai detto che sono un agente segreto-
- Hummm-un po’ spazientita la Regina congedò il grillo e rivolgendosi ad Enrica:
-Bene Enrica, dove è il cibo?-
-Ah, è successo che mentre ne andavo alla ricerca, ho incontrato un insetto che mi ha chiesto di aiutarlo. Un certo cocciniglia, mi ha detto che noi formichine li nutriamo perché loro ci regalano poi il nettare che piace tanto alle Regine. Io pensando di farle piacere, sono corsa a cercare una bella fogliolina da dare a cocciniglia, e lei mi ha dato tanto nettare…-
-Ma che brava sei stata e tutto questo nettare dov’è?- chiese la regina guardandosi intorno
Fingendosi disperata la scaltra formica aggiunse:
-L’avevo accumulato tutto nel mio sacco di trasporto, poi tornando verso il nido mi sono stancata e ne ho bevuto un pochino. Giuro solo un goccio per rimettermi in forza, ma quando sono arrivata qui non ce ne era più. Non riesco ad immaginare cosa possa essere successo. Prima c’era ed ora non c’è più. Una magia, forse.-
La Regina non sapeva se castigare Enrica o premiarla per la fervida fantasia. Decise di punirla solamente per quella sera. L’avrebbe mandata a dormire senza mangiare nulla.
-Enrica, lo sai che il nettare prodotto dalle cocciniglie serve a noi formiche per l’inverno? Lo immagazziniamo ed è il nostro nutrimento durante il grande freddo, quando il cibo scarseggia, il nutrimento del nettare ci permette di arrivare alla nuova primavera senza soffrire e specialmente senza farci
Qui dove il fiume Congo scorre solitario e impetuoso, vi è la foresta di Kisangani. Regno incontrastato di feroci carnivori e veloci erbivori, simpatiche scimmiette e imponenti elefanti. Qui nasce la nostra storia. Non temete, noi non corriamo nessun pericolo, è sufficiente rimanere tutti vicini e non abbandonare l’autobus della fantasia.
Se avete acquistato il biglietto, prego salire: si parte.
Enrica è una scimmietta pettegola e simpatica, nata 2 anni fa nella foresta di Kisangani, ha imparato in fretta a farsi voler bene da tutti gli animali. Quando uno di loro desidera mandare un messaggio, incarica lei, che in quattro e quattr’otto lanciandosi da una liana all’altra, recapita la missiva. Ma è da un giorno o due che nessuno la vede, dove sarà mai?
Venite, addentriamoci ancor più in questo intrigo di piante e felci…shttt piano.
Attenti a non disturbare quell’enorme pitone Ehi eccola, ma che sta facendo?
Rannicchiata dietro un albero, concentrata al massimo, non si accorge nemmeno di noi, è in attesa di un evento straordinario: Regina, moglie di Ras è in procinto di partorire l’erede legittimo al regno di Kisangani.
Non sapete chi è Ras? Ras è il re della foresta, temuto da tutti gli animali, Ras è sua maestà il leone. Folta criniera, occhi gialli impenetrabili, fisico possente e mandibole terribili. Tutti lo temono, non ha pietà per nessuno, ogni suo desiderio è ordine. Regina è la moglie, leonessa dolce, dal carattere mite, nella foresta si mormora che è stata una fortuna per tutti che Ras abbia sposato una così tranqulla leonessa, se malauguratamente, si fosse invaghito di Rasha, la perfida, brrr: meglio non pensarci.
Torniamo a Enrica, eccola in attesa, ci siamo, Regina è prossima al parto.
Ras, nervosissimo, non smette di camminare avanti e indietro.
Enrica si sporge ancor più, quando improvvisamente sente gridare: è nato, è maschio! È nato il nuovo re della foresta. Immediatamente Ras, si precipita sul cucciolo
Tutto accadde in una cittadina del Nord America, alla Vigilia di Natale. Scegliete voi un paese a caso, non fa differenza: c'è sempre una villetta, un viale, un box, un giardino, uno steccato. In questa cittadina come tante, una vigilia di un Natale come tanti, un bimbo di nome Peter, stava disteso sul parquet della sala, di fronte al suo mega-albero-superdecorato. L'atmosfera del quartiere e delle villette intorno era quieta, serena; natalizia appunto. La neve scendeva a fiocchi, lentissima, le luminarie intorno alle finestre tingevano di mille colori il candido manto fuori ed intorno le case, in lontananza si ascoltavano canti e musiche, cariche di campanelli e voci infantili. Nulla mancava al copione già letto e riletto del solito "felice e lieto Natale" tanto gradito al "nord del mondo". Peter era annoiato, infelice. Aveva appena litigato con il fratello maggiore e per di più la mamma aveva stabilito il castigo "zero TV", cioè divieto assoluto di visione cartoni animati o telefilm. La sopportazione di Peter era arrivata al minimo. L'istinto fu quello di scappare da casa, dimenticare tutte quelle brutte facce cattive e pensare solo a divertirsi e mangiare dolci e cioccolate. Purtroppo nulla di tutto questo. Aveva appena sparpagliato intorno a sé decine di animali di plastica e attorniato da questo zoo improvvisato stava cercando l'ispirazione per la letterina a Babbo Natale. «Vediamo;la bici no perché era l'anno scorso, la minimoto neanche perché zio Jessy me l'ha regalata al compleanno, la consolle dei giochi è nuova nuova. Uffa! È possibile che ogni Natale sia sempre la solita fatica» e gettò via un'altra pallina di carta. Prese un altro foglio. Peter non aveva pace: la scelta dei regali era troppo difficile. Ogni anno occorreva una dose enorme di fantasia. Assediato da noia e sconforto, Peter si distese a pelle d'orso sul pavimento e, preso con la mano un ippopotamo lo fissò negli occhi, in silenzio, quasi si attendesse dalla bestia una ris
[continua a leggere...]Tanti, ma tanti anni fa'... nella Citta' dell Amore... era scesa la sera,
e mentre Rometto..., micione vagabondo, fissava la luna intirizzito dal freddo mentre cercava tepore accanto a quel comignolo... a malincuore si accorse che il comignolo aveva smesso di tirare e più passava il tempo e più sentiva il gelo che si stava insinuando oltre la pelliccia, ma.. voleva restare ancora un pochino su di quel tetto.. ad ammirare la luna... e guardarla riflessa in un abbaino li vicino era un gioco che a lui piaceva tanto, si spostava con la testa per creare dei mosaici di luce...
Duchetta, invece una micetta fortunata, ospite di una casetta riscaldata dal camino, ogni notte si sedeva comoda, sul suo cuscino a fiorellini rosa, davanti all abbaino e lo guardava sognante... era innamorata di quel bellissimo micio fulvo.. dal portamento da guappo di quartiere, dagli occhioni scuri ed una meravigliosa coda da fare invidia persino ad una volpe... ma era anche curioso il fatto che passasse tutta la notte con i baffetti all'insu' invece che scorazzare per i tetti della citta'..
Aveva timore di attirare la sua attenzione, quindi stava attenta a non farsi scorgere, Duchetta era molto timida a causa di un piccolo difetto di pronuncia, dalla nascita, la zeppola, ... e poi chissa' quante micette aveva intorno Rometto su' per i tetti... quindi non le restava che adorarlo ed amarlo da lontano...
Improvvisamente qualcuno accese una candela nella stanzetta di Duchetta e questa luce diffusa attiro' l'attenzione di Rometto, che non riusciva più a vedere la luna riflessa sui vetri... ma vide una stella solitaria bellissima, da quanto tempo lei era li' ad osservarlo..?
Lei gli sbatte' le lunghe ciglia per ricambiare quello sguardo intenso... allora lui, facendosi coraggio, si avvicino' all abbaino.. e le chiese :
come ti chiami principetta...
mi chiamo Duchetta... e tu?
.. io Rometto...
Eh si... a volte i luoghi non contano... ma il chi ed il quando...
zeppolando zeppolando.
Dalla campagna un cane giallo e grosso ogni tanto veniva giù in paese, a Gioiosa. Scendeva dalla strada del fiume, girava l’angolo del Conad e quello dell’officina, tirava dritto sulla Nazionale fino alla doppia fila di alberi davanti al circolo Roma, e lì stava, col posteriore acculato e le zampe ritte e ferme davanti, pure se la pioggia lo colava sano. Dopo un poco – quando gli pareva – se ne tornava indietro.
Ci vollero un po’ di volte, ma alla fine ci fu chi si accorse che col cane, immancabilmente, in paese scrosciava la pioggia e arrivavano burrasca e tempesta.
Così si riunirono gli abitanti in Municipio per decidere il da farsi.
E se c’era chi diceva di lasciar perdere, gli altri urlavano: “Cacciamolo”. Finchè non si alzò uno che di mestiere tirava agli animali – faceva il cacciatore cioè – e disse: “Ci penso io”.
Infatti il giorno appresso con la migliore delle sue doppiette in spalla si mise all’uscita del paese ad aspettare l’arrivo del cane giallo e quando gli fu a tiro lo sparò e l’uccise.
Poi, per il rimorso forse, lo seppellì sotto le pietre del fiume, davanti la Puntura.
Passò del tempo.
La gente del paese sembrava contenta che le giornate di sole non si disturbassero con le piogge e che vento e burrasca non li infastidissero più.
Così l’estate passò – senza le piogge di dopo mezz’agosto – e anche in ottobre e in novembre non stillò dal cielo. A dicembre non cadde neve, né in gennaio né a Carnevale; tanto che qualcuno, i contadini, cominciò a lamentare: “I miei campi… le zolle crepano… i piedi del giardino…”.
In breve, la campagna pareva fatta di rena.
Allora tutti se ne tornarono al Municipio e non c’era chi non si malediva per aver deciso di ammazzare il cane giallo che si portava la pioggia che riviveva la terra.
Anche stavolta mentre ognuno diceva la propria e nessuno sapeva che fare e che pesci pigliare, il cacciatore si alzò e disse “Ci penso io”. E l’indomani
Questa sezione contiene favole e storie per bambini e adulti, racconti con morale e allegorie
Le favole sono dei racconti breve che trasmettono un insegnamento di carattere morale o didascalico. I protagonisti sono solitamente animali antropomorfizzati che rappresentano vizi e virtù degli uomini. La presenza di un intento morale le differenzia dalle fiabe - Approfondimenti su Wikipedia