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Favole per bambini

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La Foresta Indaco

C'era una volta, in un luogo segreto e nascosto di una foresta in cui é sempre primavera, una famiglia di ricci. Vivevano al sicuro sotto un meraviglioso e profumatissimo cespuglio di gelsomino e la notte uscivano ad ascoltare i suoni della natura e a fare qualche passeggiata per il bosco in cerca di cibo. Il piccolo Faby era il più piccolo dei tre fratellini. Mamma riccio, appena era nato, aveva urlato a gran voce: "Che dannazione! Un figlio riccio con gli occhi da cerbiatto!". Così Faby cresceva e i suoi aculei si rinforzavano giorno dopo giorno, ma si sentiva sempre più triste e diverso dagli altri fratellini. Una notte, rimasto solo davanti a una pozza d'acqua illuminata dalla luna, si specchiò e vide la sua immagine riflessa. Vide la profondità, la dolcezza e la vulnerabilità dei giovani occhi di cerbiatto e si sentì solo pensando al fatto che mai nella vita avrebbe potuto incontrare un riccio uguale a lui. Decise quindi che i suoi aculei sarebbero stati la sua salvezza e che avrebbe fatto in modo che diventassero più appuntiti e fitti di quelli dei suoi fratelli: lo avrebbero difeso da ogni pericolo e l'avrebbero fatto sentire più forte. E fù così. Ogni volta che un qualsiasi animale si avvicinava a Faby, che esso fosse una farfalla, un cinghiale o una lucertola, lui si appallottolava minaccioso e riusciva sempre a isolarsi da tutto sentendosi protetto e al sicuro.
I giorni passavano e il nostro giovane amico viveva con la sua famiglia trascorrendo silenziose giornate al fresco del biancospino e notti intere a scovare insetti da mangiare o ad ammirare la sontuosità della foresta. Ma si sentiva solo, tanto solo.
Dopo quella notte in cui, ancora cucciolo, aveva visto i suoi occhi di cerbiatto, non aveva più osato specchiarsi nelle pozze d'acqua. Ma sapeva che i suoi occhi erano diventati ancora più profondi e dolci. Lo capiva dallo sguardo di Mamma e Papà Riccio e da come lo trattavano i suoi fratelli: lo lasciavano in disparte, non lo invitava

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   0 commenti     di: Margherita


Il Sole nel Cuore

Sia l’uomo fonte di vita per il mondo e non arido deserto dove la vita langue.
Le lacrime versate nella comprensione, saranno il mare dal quale vi ergerete completi.
Occhi nuovi vi guideranno sino a quel Sole che ne avrà accresciuta la sapienza.

Quando la sorgente viva presente in ogni cuore avrà ripreso a scorrere copiosa,
la luce del Sole vi chiamerà per nome, solo allora le porte del vivere si schiuderanno al degno passo di un nuovo sovrano
che s’innalzerà al cielo con il Sole nel cuore.

***

Meriti di più!

Disse il Sole all’Acqua.

Tu tra tutte sei la limpida sorgente della verità, attraverso i tuoi allegri fluttui la luce dell’arcobaleno viaggia veloce nelle buie ferite della terra, e le aride zolle rivivono al tuo semplice scorrere.
Acqua vorrei che del vivere tu divenissi regina, perché nessuno più di te merita di ricevere tale onore.

Acqua, si ridestò dal suo elemento naturale, la sua limpida trasparenza e le sue fresche forme, incantarono il creato, scoiattoli volanti, uccelli variopinti, volpi dall’occhio vispo, e lupi affamati, fermarono la loro corsa, che incantati dalla sua rara bellezza, restarono a guardarne la nascita, riconoscendola degna regina già prima del suo divenire.
Quel silenzio innaturale racchiudeva nel suo intimo un concerto di melodie mai ascoltate prima, capace di rinfrancare le aride terre dimenticate da secoli.
Acqua non si accorse del clamore nascosto dietro a quel silenzio, aprì le sue ampie ali e prese a volare incontro al Sole per ricevere la sua corona.
Durante il volo, piccolissime particelle d’acqua scivolarono leggiadre dal suo meraviglioso abito, e al contatto con l’aria presero vita. Ogni goccia allungò le sue piccole manine e stringendosi ai raggi di luce del primo sole, incominciarono a danzare. Le loro acrobazie incantarono il viver del mondo, creando uno spettacolare arcobaleno di luci tra cielo e terra.
Quando Acqua giunse al cielo, il Sole degno sovrano del c

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   2 commenti     di: Cleonice Parisi


Invoca le ali

Piccola farfalla non lasciare mai lo spazio attorno a quest'albero eterno che è il vivere, ogni suo fiore incanterà il tuo tenero cuore, ed ogni nuova farfalla riempirà il cielo di nuovi colori, insieme saremo l'arcobaleno del vivere, noi saremo l'orizzonte per quanti come noi intraprenderanno lo stesso faticoso cammino. Vedrai meravigliose metamorfosi trasformare fiori in farfalle e farfalle in angeli, e il cielo e la terra torneranno ad incontrarsi nella vita del mondo.
Una formica che era salita molto in alto sul ramo di un massiccio albero, che non sapeva essere un melo, alzò il capo e tra le molteplici foglie e vide un grosso globo rosso e arancio, riflettere la calda luce del sole e pensò:
Ho fatto bene a intraprendere questo lungo e faticoso cammino, non fosse altro che per vedere questo meraviglioso globo dai colori caldi del tramonto, la sola visione già mi riscalda il cuore, resterei qui per sempre ad ammirarlo.
Le sue accorate parole furono ascoltate da un bruco che era da lì poco distante, il quale intervenne dicendo:
Sempliciotta di una formica tu gioisci nel vedere un umile mela, e pare che quel niente riesca a sollevarti il cuore al cielo, non hai capito che si tratta di un semplice frutto di questo grande albero e non di un miracolo, come la tua piccola mente ora ti suggerisce.
E la formica senza staccar gli occhi dal meraviglioso globo, allungò le zampette come per sfiorarlo e poi con occhi colmi di lacrime di gioia, si rivolse al bruco dicendo:
Comprendo le tue parole e son certa che tu abbia ragione, ma non mi interessa ciò che i tuoi occhi scorgono, mi interessa solo ciò che posso scorgere io, questa speranza nutrirà il mio cuore. Quella umile mela, come tu la chiami è per me molto di più, è la mia speranza di un domani.
Il bruco guardò la formica quasi compiadendola, dicendo:
Formica sei e formica resterai, la tua visione è talmente ristretta, e pertanto non sprecherò altre parole per indirizzart

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   2 commenti     di: Cleonice Parisi


La ballerina

C'era una volta Marisol, una splendida ragazza dagli occhi azzurri e capelli lunghi, che quando ballava erano legati a chignon. Fin da piccola si era allenata per diventare una brava ballerina, la danza le piaceva molto, aveva nel sangue l'istinto di muoversi leggermente ogni volta che sentiva la musica.
All'inizio era una ballerina di danza classica, poi scoprì anche la ginnastica ritmica. Imparò a volteggiare nell'aria, librarsi e girarsi con il nastro che le roteava attorno, creando piccole spirali e cerchi immensi. Delicati erano i movimenti seguiva la musica ad ogni passo, saltava si abbassava e si alzava e con le braccia muoveva il nastro di seta rosa, attaccato a una bacchetta. Provò anche a danzare con la palla che lasciava scorrere sul suo corpo, lanciava e dopo capriole la riprendeva al volo. Fece diverse gare e saggi poi imparò ad usare anche il cerchio, sempre con leggerezza, lo muoveva, lo lanciava e lo faceva girare attorno alla vita. Tutto questo con passione e gioia, allenandosi tutti i giorni, con energia e vivacità in una concentrazione che le faceva superare ogni difficoltà, facendola sentire soddisfatta di se stessa.
Una notte, dopo una lunga giornata faticosa era molto stanca e si addormentò profondamente senza accorgersi dello spirito maligno che era entrato nella tetra stanza e penetrando nella sua anima le lanciò una maledizione. All'mattino si risvegliò e anche se aprì gli occhi non vide nulla perchè era diventata cieca, non udiva nulla e non riusciva a muovere le gambe, era totalmente bloccata nel letto senza poter fare nulla e dovendo rinunciare al sogno della sua vita. La sua vita non aveva più senso ed era disperata, le carezze della madre le davano coraggio e gli amici le stavano vicino, ma non riusciva a reagire a quella inutile vita.
Una notte, nonostante la sua cecità, vide una luce intensa davanti a sè mentre era sdraiata nel letto e nonostante la sordità riuscì a sentire le parole di una splendida donna che le

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   11 commenti     di: sara zucchetti


La leggenda del pozzo senza fondo (seconda parte)

Passò ancora poco tempo e Amos era arrivato alla disperazione, non sapeva cosa fare e decise di scappare. Avvisò Camilla e le disse: "Se mi ami veramente, vieni con me, non ce la faccio più! Sto rovinando la mia vita e la tua." Lei non voleva farsi abbandonare e si buttò nel vuoto delle scelte. Non sapevano, dove andare, perché la sua casa era troppo vicino, così decisero di incamminarsi per il bosco prima dell'alba, sperando di trovare qualcosa, con quello che si era messo da parte Amos per le emergenze.
Entrambi non presero molte cose, ma lei non poteva lasciare lì ciò che racchiudeva i ricordi più importanti della sua vita. Era un piccolo cofanetto di legno dolce con all'interno uno specchietto, laccato su tutta la superficie in nero, con decorazioni dorate raffiguranti paesaggi e pagode; coperchio bombato con fascia mossa. Cerniere e bocchetta cesellati in lamierino sbalzato, formanti nastri d'amore ed altri motivi tipici della Cina. Questo cofanetto era tra i vari oggetti del negozio, quando lei era piccola, ne rimase così incantata che suo padre lo regalò a lei che lo custodì con amore, sul comodino vicino al letto, fino a oggi. Dentro questo cofanetto ci mise il petalo della rosa, che le aveva regalato Amos, un ricordo importante come l'amuleto che le aveva regalato la madre.
Un giorno quando sua madre era ancora viva, entrò nel negozio una signora giapponese con kimono colorato, capelli tradizionalmente legati a chignon e un fiore di ciliegio sulla testa. Aveva notato il negozio e si mise a guardare senza disturbo, ogni oggetto antico, ma senza comprare nulla. Infatti, regalò alla mamma di Camilla un amuleto, perché lei non aveva figli e nella tradizione della sua civiltà dopo cinque anni, doveva essere passato a un figlio. La signora notò la bimba molto tranquilla e graziosa ed era convinta che se lo meritasse. Quest'amuleto era una splendida spilla a forma di farfalla, con ali decorate e di colore bianco come un diamante. La madre di Ca

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   4 commenti     di: sara zucchetti


La moglie del contadino

Un uomo sposato con una donna bella e molto più giovane di lui, non riuscendo più a campare emigrò in un altro paese. Essendo molto innamorato di sua moglie, benché ella aspettasse un bambino, decise di chiederle di affrontare il viaggio con lui.
La notte che partirono, due vipere si avvicinarono al loro carro già carico per il viaggio. La donna le catturò e le mise in un vaso con piccoli fori perché vivessero. Disse al marito di catturare due topi, che l'uomo non fece fatica a trovare.
La donna mise i due piccoli topi di campagna nello stesso vaso condannandoli a morte certa.
Il contadino era un gran lavoratore e nel nuovo paese trovò presto da lavorare e guadagnare abbastanza per dar da mangiare a sua moglie e molto presto anche al bambino che lei gli diede.
Lavorava per un signore vedovo e senza figli che lo ricompensava giustamente per il suo lavoro nei campi e nel ricco orto della sua sfarzosa villa.
La giovane coppia ed il loro figliolo vivevano in una grotta lungo il corso di un torrente alla periferia della città.
La donna che si occupava del bambino e non lavorava fuori di casa, scavò nel tufo della grotta, sino a ricavarne nuove stanze ed un camino per raccogliere il fuoco e permettere di cucinare le verdure che suo marito riceveva dal suo padrone.
La donna catturava di tanto in tanto piccoli topolini che faceva scivolare nel vaso delle vipere che si erano riprodotte ed erano diventate una numerosa famiglia di dodici vipere.
La donna dopo un po' di tempo lasciò il vaso scoperto e le vipere impararono ad uscirne quando avevano fame. La donna faceva trovar loro piccole uova d'uccello topi e lucertole.
Le vipere impararono a muoversi per casa ed a prendere il cibo dalle mani della contadina e a ritornare sazi ne vaso dove restavano a dormire fino a sentire nuovamente la fame.
L'uomo lavorava sodo e non parlava mai al suo padrone della giovane moglie, e questa non andava mai al villaggio e conduceva una vita molto rise

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   4 commenti     di: Michele Loreto


L'eremita e la porta invisibile

Un eremita raggiunse una porta chiusa sul sentiero della sua vita, e dopo averla a lungo osservata, si mise a spingerla per cercare di aprirla, ma la porta non accennò a cediture.
Ti aprirò maledetta!
Disse l'eremita profondamente provato dallo sforzo e quando le forze gli furono tornate, escogitò un sistema per aprirla. Raccolse dei rami di legno secco e con tutte le sue forze cercò di fare una leva per rompere la serratura. Ma neppure questo sistema diede i frutti sperati.
Non fermerai il mio cammino!
Disse con fermezza, e tornò indietro sui suoi passi, durante il suo procedere aveva scorto in un pascolo lontano un toro, lo catturò portandolo con se sino alla porta, che aveva dipinto di rosso e incitando il toro, fece in modo che la sfondasse con le corna.
L'eremita passò oltre la porta soddisfatto, era riuscito a superarla, e mentre procedeva sul suo sentiero si trovò di fronte a un portone, rinforzato da una struttura di ferro. Stavolta non perse tempo a cercare di aprirlo e neppure provò a scassinarlo, tornò indietro nel suo cammino, aveva visto strada facendo un trattore abbandonato, lo mise in moto e si lanciò contro il portone abbattendolo.
Sul sentiero dell'eremita non furono certo le porte a mancare, più ne buttava giù, e più se ne contrapponevano. Sino a quando si trovò di fronte a una porta invisibile, una porta che non avrebbe mai potuto aprire, perché neppure riusciva a vederla. E davanti a quella porta invisibile, l'eremita si fermò.
Erano ormai trascorsi molti giorni da quando aveva fermato il suo cammino, e improvvisamente dinnanzi ai suoi occhi si materializzò una clessidra, l'eremita spostò immediatamente l'attenzione verso questa inattesa novità, e la clessidra prese nel dire:
Fermi il cammino, ma non puoi fermare il tempo!
Il tempo passa per tutti clessidra, ed io ne sono pienamente consapevole, ma questa porta è invisibile ed io non posso aprirla!
Eremita il problema non è la porta, ma il tuo

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   1 commenti     di: Cleonice Parisi



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Questa sezione contiene favole e storie per bambini e adulti, racconti con morale e allegorie

Le favole sono dei racconti breve che trasmettono un insegnamento di carattere morale o didascalico. I protagonisti sono solitamente animali antropomorfizzati che rappresentano vizi e virtù degli uomini. La presenza di un intento morale le differenzia dalle fiabe - Approfondimenti su Wikipedia