C'era una foresta e c'era una giraffa,
Il suo collo si spingeva verso il cielo. Si nutriva dei germogli e dei raggi di sole che la scaldavano e la illuminavano. Un vento leggero intriso di azzurro sempre la accarezzava e i suoi occhi morbidi ammiccavano una specie di sorriso.
Racchiudeva molte cose quello splendido animale.
Era come una montagna in mezzo alla foresta, una foresta supportata da una fonte di saggezza.
Era solita parlare al vento perché lassù solo lui poteva sentire. Un bel giorno le disse il vento: " giraffa tutte queste nostre discussioni a che portano se nessuno poi le può sentire. " !
E la giraffa pensierosa poco dopo le rispose :
" Caro vento io le cose che ho da dire non le posso trattenere, e tu sei qui vicino a me non ho altri che mi sentono, sai nessuno vuol venire fin quassù!"
Il vento che era libero di andare soffiò oltre la foresta, oltre le montagne, radente la pianura e si spinse fino al mare.
Sulla spiaggia passeggiava un pettirosso, si scaldava sotto il sole, perchè il mare un po' l'aveva inumidito. Apriva le sue alette con il becco si strusciava. Soffiando un po' più lentamente il vento sussurrò:
"Pettirosso cosa fai tutto solo in questa spiaggia, non c'è nessuno qui con te, vieni a farmi compagnia, ti farò volare proprio in alto, così potrai godere di un paesaggio sconfinato".
E il pettirosso incuriosito rispose : Vengo vento via con te ".
Varcarono di nuovo le montagne sconfinate dall'alto si vedeva una terra incantata e via via di questo passo poi raggiunse la giraffa.
Subito si piacquero e il pettirosso e la giraffa, si posò sulla sua testa proprio in fronte.
La giraffa strizzò l'occhio al vento che nel divenire della sera si placò !
"Sei bella e molto alta " le disse il pettirosso," nostro fratello vento mi ha detto che tu sei molto saggia e che sai tante cose, ed io mi sento tanto solo ma se ti va con me tu puoi parlare." E cosi' la giraffa amorevolmente iniziò a parlare.
"Ho un co
Si avvicinava il Natale. Le vetrine dei negozi mostravano, sotto luci abbaglianti, alcune vestiti eleganti, altre cibi ricercati ed altre ancora giocattoli di tutti i tipi, da quelli elettronici a quelli di legno dipinto, come il bel cavallino a dondolo.
Roberto era fermo con la mamma davanti ad una vetrina dove troneggiava una grande macchina da corsa dotata di telecomando. Roberto guardò la mamma e le chiese: "Che dici? Se chiedo a Gesù Bambino di portarmi quella macchina, mi accontenterà?" La mamma sorrise e rispose: "Tu provaci. Poi vedremo!". Roberto sperava, sperava. La notte sognava la grande macchina rossa e la mattina, quando si svegliava, pregava Gesù Bambino. I giorni passavano e le strade diventavano sempre più affollate e luminose perché c'erano appese, da un capo all'altro, lampadine di tutti i colori che formavano abeti, stelle e ghirlande.
Intanto Roberto aveva allestito, con l'aiuto del papà, un grande albero di Natale molto originale. Era stato realizzato con tanti rami di quercia che il papà aveva uniti, con molta bravura, a forma di abete. Con i grandi pupazzi che risalivano addirittura ai bisnonni di Roberto avevano fatto, tutta la famiglia insieme, anche un Presepe., Ai piedi dell'albero, dopo qualche giorno, comparvero i doni tra i quali uno scatolone con dei buchi su tutti i lati.
Quando venne il momento di aprire i pacchi, il papà trovò uno strumento per lavorare il legno, la sorellina di Roberto una bella bambola di pezza con i capelli di lana, biondi e la mamma una collana di conchiglie marine. Roberto aveva aspettato ad aprire il suo pacco per prolungare la gioiosa attesa. Era sicuro di trovare la macchina. Alla fine lo aprì. La macchina non c'era! In fondo allo scatolone c'era un cagnolino che dormiva tranquillo. Aveva un collare nel quale era infilata una busta. Roberto, deluso, aprì la busta e, nel foglio che conteneva, lesse: " Caro Roberto, la macchina era troppo costosa ed io dovevo comprare tanto cibo per molti,
Topolino Ghino, candidato unico, al Congrasso del Partito dei Topolini del Groviera, gongolava a sentire gli squittii degli animaletti a lui vicini, anche loro topolini da cavia bianchi, che lodavono la sua immagine sia come topolino di famiglia, che topolino pubblico. Il suo squittire fluido era addirittura riuscito, nel lontano 2010, a convincere un gatto randagio, durante un azione di aggressione per fame nei suoi confronti, delle ragioni del suo far politica. E di come avesse convinto lo stesso gatto, a sentirsi topo, e a fargli da guardia del corpicino. Che poi, con la furbizia del gatto, il randagio si era trasformato in topo gigante, e aveva convinto tanti gatti a fare lo stesso pur di partecipare all'assemblea programata dai topolini.
Topone gatto randagio, era stato a capo della corrente politica più estrema del Consiglio di quartiere dei Gatti di Via delle Panchine, leader legato a una frangia violenta di gattacci che la notte li senti che fanno miaooomiaooo, quanto si graffiano tra loro. E i gatti suoi amici che si erano rifiutati di seguire il suo credo, e quello di piccoli ratti succulenti, si stupirono dalla sua trasformazione e ne erano addirittura schifati. Un gatto topone che fa "Squittao"... mai visto un ibrido così schifido.
Segretamente, Topolino Gone padre di Topolino Ghino, era stato chiamato da Topolino Saggio che condivideva con l'altro vecchio il fatto che era troppo pericoloso, durante il congresso dei Topolini del Groviera, la presenza di strani topoloni, in realtà gatti, che si erano così resi mansueti, guarda caso alla vigilia ufficiale del più grande raduno di appetitosi topolini, programmato nello scantinato della Signora Carletta Carlini, di Via del Buio, numero civico 5 di Paese in provincia di Città, della Regione di Nazione. Topolino Gone ne aveva visti già troppi di topolini presi in trappola da gatti furbissimi, come Gatto Randagio!
E fu così che rischiando la pelle, Topolino Gone e Topolino Saggio
Tutto accadde in una cittadina del Nord America, alla Vigilia di Natale. Scegliete voi un paese a caso, non fa differenza: c'è sempre una villetta, un viale, un box, un giardino, uno steccato. In questa cittadina come tante, una vigilia di un Natale come tanti, un bimbo di nome Peter, stava disteso sul parquet della sala, di fronte al suo mega-albero-superdecorato. L'atmosfera del quartiere e delle villette intorno era quieta, serena; natalizia appunto. La neve scendeva a fiocchi, lentissima, le luminarie intorno alle finestre tingevano di mille colori il candido manto fuori ed intorno le case, in lontananza si ascoltavano canti e musiche, cariche di campanelli e voci infantili. Nulla mancava al copione già letto e riletto del solito "felice e lieto Natale" tanto gradito al "nord del mondo". Peter era annoiato, infelice. Aveva appena litigato con il fratello maggiore e per di più la mamma aveva stabilito il castigo "zero TV", cioè divieto assoluto di visione cartoni animati o telefilm. La sopportazione di Peter era arrivata al minimo. L'istinto fu quello di scappare da casa, dimenticare tutte quelle brutte facce cattive e pensare solo a divertirsi e mangiare dolci e cioccolate. Purtroppo nulla di tutto questo. Aveva appena sparpagliato intorno a sé decine di animali di plastica e attorniato da questo zoo improvvisato stava cercando l'ispirazione per la letterina a Babbo Natale. «Vediamo;la bici no perché era l'anno scorso, la minimoto neanche perché zio Jessy me l'ha regalata al compleanno, la consolle dei giochi è nuova nuova. Uffa! È possibile che ogni Natale sia sempre la solita fatica» e gettò via un'altra pallina di carta. Prese un altro foglio. Peter non aveva pace: la scelta dei regali era troppo difficile. Ogni anno occorreva una dose enorme di fantasia. Assediato da noia e sconforto, Peter si distese a pelle d'orso sul pavimento e, preso con la mano un ippopotamo lo fissò negli occhi, in silenzio, quasi si attendesse dalla bestia una ris
[continua a leggere...]Era il 27 dicembre e subito dopo la santa messa la gente si scambiava gli auguri del Natale appena passato. Salutandosi e abbracciandosi calorosamente, tra una chiacchiera e l’altra, a gruppetti se ne stavano sulle gradinate dell’ingresso della chiesa oppure nella piazza adiacente.
Una piccola folla, circa venti persone in tutto, si era anche riunita di fronte al presepe allestito dalla parrocchia e con stupore e disappunto commentava quanto poteva ammirare.
Ovviamente, i commenti della gente non si riferivano solamente al presepe in sé, una composizione semplice e tradizionale che da svariati anni veniva riproposta, pressoché immutata, in occasione delle festività natalizie.
Una capanna in paglia e bambù al centro e svariate sagome di carton-gesso sistemate al suo interno oppure sparpagliate tutt’attorno.
All’esterno se ne stavano quindi una mezza dozzina di pastori, alcuni in piedi con il volto rivolto alla capanna, altri intenti a seguire il gregge di pecore finte di che pascolava attorno immerse nella rada vegetazione. Dirimpetto alla costruzione di bambù, in mistica contemplazione, i tre re magi nelle loro vesti esotiche dai colori sgargianti. Mentre a terra, di fronte ai tre, i doni che portavano facevano bella mostra di sé sul selciato e sul finto terreno creato per l’occasione.
Ma era a ciò che stava all’interno della capanna che la gente di Trebaseleghe indirizzava i propri commenti.
E critiche, soprattutto.
Non tanto per la resa dell’asinello e del bue, animali ricostruiti con discreta fedeltà e dall’aria innocua e sonnacchiosa.
E nemmeno per le sagome di San Giuseppe o della Madonna, due figure semplici e dal volto gioioso in sobrie vesti dai colori tenui: azzurro e marrone per il patrono dei lavoratori, mentre una tunica rosa e bianca definiva la beata Vergine Maria.
Neppure criticavano la resa del bambin Gesù, un frugoletto tutto rosa con le braccia protese in avanti in un gesto di apertura e dono al mondo.
Nien
Dopo qualche giorno arrivarono a destinazione, Amos lasciò Camilla davanti al negozio e andò a salutare i suoi genitori. Rimasero d'accordo di trovarsi vicino al pozzo dove andavano sempre e si erano incontrati la prima volta.
Camilla, vide che il negozio era chiuso, anche se era orario giusto di apertura e lo trovò strano. Decise di entrare in casa, anche se si sentiva un po' angosciata, per come avrebbe reagito suo padre rivedendola. La porta non era chiusa a chiave e in casa c'era un silenzio profondo, quel posto l'aveva sentito nel cuore tra i suoi più vivi ricordi per tante volte.
Non vide subito suo padre e si cominciò a preoccupare, lo chiamò girando un po'per la casa ma, non ebbe nessuna risposta, finché non raggiunse la camera e lo trovò nel letto con brutti malesseri. Aveva la febbre alta e una tosse fastidiosa e quando la vide gli sembrò di sognare. Lei si avvicinò e gli disse preoccupata: "Come stai papà? Presto, bisogna chiamare il medico."
"Non preoccuparti non è nulla di grave mi passerà, tu piuttosto pensavo fossi caduta nel pozzo e fossi morta, da quando te ne sei andata quel pozzo è rimasto senza fondo. Quanto mi sei mancata, mi sembra di vivere un sogno, piccola mia."
"Perdonami papà io sono andata via per vivere con lui, perché lo amavo, ma non riesco a dimenticare tutto il bene che mi hai dato, sei sempre stato nel mio cuore."
Lui rimase un po'sconfortato, ma la gioia di averla ancora accanto in un momento così difficile gli fece dimenticare tutto. Lei gli mise un fazzoletto fresco sulla fronte e andò a cercare il dottore nel paese. Quando lo trovò, gli spiegò che aveva bisogno, così andarono insieme a casa. Il dottore lo visitò e disse che era una brutta polmonite, così gli diede degli antibiotici.
Poi aggiunse: "Se non veniva a chiamarmi, però non sarebbe mai riuscito a guarire, deve ringraziare sua figlia. Ora si riposi, prenda le medicine e presto si rimetterà in forma!"
Lei sorrise, contenta dell'aiuto che
C'era una volta, nei profondi abissi marini, una dolce pesciolina di nome VIOLETTA. Essa viveva laggiù insieme alla famiglia e alla sua amica Margherita, con la quale si divertiva a nuotare e vivere mille avventure, ma dopo un po' si annoiarono. Violetta desiderava vedere qualcosa di diverso e sperava sempre che un giorno qualcosa sarebbe cambiato, purtroppo la sua famiglia non la capiva e nemmeno la sua amica. Infatti, loro erano contenti di vivere così, non desideravano altro e allora lei si sentiva un po' sola.
Un giorno mentre nuotava e chiacchierava tranquilla con la sua amica, vide sopra di loro una barca e incuriosita risalì alla superficie del mare. Sopra la barca c'era un ragazzo di nome Giacinto, che non si accorse di lei, ma Violetta ne rimase colpita e restò lì ad osservarlo finché non se ne andò. Verso il tramonto lui tornò alla riva per andare a casa e Violetta avrebbe voluto seguirlo, perché sentiva dentro di sé una strana emozione, ma tanto lui non la pescava nemmeno. Quindi un po' delusa tornò giù, dove c'era la sua amica Margherita che l'aspettava e dopo averle raccontato tutto, le chiese un consiglio. Lei le disse che l'unico modo per farsi notare era diventare anche lei un essere umano, una ragazza, e per fare questo doveva chiedere aiuto alla perla dorata nella gran conchiglia dei desideri.
Violetta si mise a cercarla, anche se non era sicura, di trovare subito una cosa così preziosa nell'immensità del mare, così chiese aiuto all'animale più saggio del mare: il granchio reale. Lui le indicò la strada per il labirinto marino e le spiegò, che per arrivare alla perla dorata doveva superare tre prove difficili.
Violetta era un po' preoccupata, ma decise di partire. L'entrata del labirinto era una grotta buia e misteriosa dove nuotò per un po', ma poi dovette fermarsi perché la strada era bloccata da uno specchio molto grande: lo specchio degli incubi. Infatti, appena si avvicinò vide delle brutte immagini come uno squalo catt
Questa sezione contiene favole e storie per bambini e adulti, racconti con morale e allegorie
Le favole sono dei racconti breve che trasmettono un insegnamento di carattere morale o didascalico. I protagonisti sono solitamente animali antropomorfizzati che rappresentano vizi e virtù degli uomini. La presenza di un intento morale le differenzia dalle fiabe - Approfondimenti su Wikipedia