Ci troviamo in un giardino privato, dove c' è un angolo cottura apposito, fatto di una specie di caminetto aperto, dove c' è anche un bel calderone di rame, pronto per essere utilizzato.
Una piccola pila di legna da ardere è lì ad aspettare.
- Che brutta fine ci tocca fare a noi poveretti!
Esclama un piccolo pezzo di legno secco; poi aggiunge:
- arsi sotto questo calderone sconosciuto.
Il calderone risponde:
- Non ti lamentare, dovresti esser contento, d' esser utile a qualcosa.
Il pezzo di legno ribadì:
- Il mio genitore albero era un bell'imbusto, prima di invecchiare e d' essere abbattuto.
Il calderone:
- Per quel che so io, non siete di legno nobile, destinati a far bella figura come armadietti o comodini alla moda, per cui il vostro miserabile destino è quello di alimentare il fuoco sotto il mio sederino.
Il pezzo di legno:
- Per far che?
Il calderone:
- E che ne so io!
A quel punto entrarono in scena dei valletti, con vassoi in mano, portando in ordine:
cipolla ed aglio ben tritate, con olio di girasole;
tocchetti di carne suina, con patate tagliate grossolanamente;
sale, pepe in grani, cumino, peperone rosso dolce in polvere e peperoncino in quantità;
per finire, l' ultimo tocco, maggiorana in quantità.
Disposti disciplinatamente attendevano il cuoco, a noi ormai ben conosciuto, che brillo come sempre, portava solo la fiaschetta nota ed il suo calice prediletto.
Mise sotto il bel calderone di rame la legna da bruciare, e con un po' di carta straccia e un fiammifero speciale diede fuoco.
Poi tracannandosi a sua volta un bel bicchiere di vino rosso, cominciò l' opera.
In quel calderone di rame entrò per primo l' olio di girasole, seguito dalla cipolla e l' aglio ben tritati. Appena rosolati entrarono trionfanti i bei tocchi di carne suina.
Nessuno si accorse, nemmeno il cuoco, che la legna scoppiettando, in realtà piangeva. Infatti lacrime un po' strane apparvero sulla legna, che man man
La nostra storia ha inizio in una tranquilla e prosperosa contea, un luogo fuori dallo spazio e dal tempo, in cui vivevano un padre e la sua bella figlia ventenne, Giselle. Un giorno, però, la pace di quella regione venne improvvisamente interrotta dall'arrivo di una strega e del suo drago. La strega ridusse in schiavitù l'intera popolazione, e con lei anche Giselle e suo padre. Le giornate per quella gente erano lunghe e faticose, perché tutti erano tenuti a praticare la propria arte a beneficio della strega. Molti per lungo tempo tentarono di spodestarla, ma senza mai riuscirci. Una sera, in una piccola casupola, alcuni giovani, tra cui la stessa Giselle, decisero che era ora di annientare la strega e di riportare finalmente la pace nella contea. Fu così che la notte stessa quei giovani si diressero verso il castello dove la strega aveva stabilito la sua dimora. Entrati di soppiatto nel castello, e ignari di cosa li aspettasse, alcuni di loro iniziarono a dar fuoco alle cose, ma, scoperti, vennero uccisi dal drago. I restanti, terrorizzati per quel che era successo, batterono in ritirata e trovarono rifugio presso un paese vicino, dove furono benignamente accolti dal re. Dopo essere stati tranquillizzati da quest' ultimo, la tremante Giselle iniziò a raccontare al re la terribile situazione in cui versava la sua contea. Gli raccontò della malvagia strega e del suo drago, che agli occhi dei nostri amici sembrava essere invincibile. Il re, carezzandosi il mento, fece convocare il mago di corte, un uomo potentissimo ed esperto di draghi, al quale avrebbe potuto chiedere consiglio. Il mago, pregando Giselle di descrivergli il più accuratamente possibile il drago, consultò il suo libro degli incantesimi e subito pregò il re di procurargli degli ingredienti magici, che gli sarebbero serviti per ottenere un potentissimo infuso, con il quale i giovani avrebbero così potuto sconfiggere il drago. A questo punto il mago chiese d'esser lasciato solo e, dopo tre gio
[continua a leggere...]Juliette era una povera orfanella che vagabondava nei sogni, aveva dieci anni e portava una semplice gonna molto vecchia, con una camicetta anche lei molto consumata ed entrambe scucite. Le sue lunghe trecce bionde scivolavano sul suo cuore nella solitudine dell'amore che gli regalava solo il Signore.
Desiderava con tutto il cuore avere dei genitori che l'amavano per quello che era e dimenticare quelli che l'avevano abbandonata. Un giorno l'accolsero nell'orfanotrofio e dopo qualche anno, una coppia dolcemente e gentilmente la scelsero, così lei vide le stelle per la gioia che provava.
Andò a vivere in una splendida villa enorme con un giardino, la sua cameretta e i vestiti nuovi la rendevano felice. Dopo qualche giorno scoprì che i suoi genitori erano molto severi, non poteva fare nulla. Gli insegnavano ogni cosa, senza libertà di pensiero e senza permessi. Le vietavano di girare per la villa e andare nel giardino.
Lei non capiva la loro durezza ma crescendo percepì che faceva parte del loro carattere. Ormai aveva sedici anni e loro, oltre i problemi della vita, ne creavano altri erano pessimisti e ogni cosa la trasformavano in tragedia. Si preoccupavano per nulla e ogni momento le dicevano di stare attenta. Queste parole le affliggevano l'anima, le tormentavano la vita e la mente.
Dopo due anni la sua pazienza aveva superato ogni limite e decise di scappare, ormai era maggiorenne, ma aveva vissuto sempre fuori dal mondo così si sentiva dispersa. Vagabondava nella fantasia della vita, sperava di non essere più sola, ma trovare qualcuno che l'aiutasse. Passo dopo passo raggiunse un parco, il sole splendente le accendeva la gioia di libertà e si rifletteva nel piccolo stagno vicino alla panchina. Il prato verde era risaltato dai fiori colorati, semplici fiorellini come i piccoli insetti e gli uccellini che cinguettavano.
Decise di sedersi sulla panchina a riflettere sulla vita nella solitudine e nella libertà. Mentre pensava una coccinella si appog
Un campo spoglio, il fetore dell’erba riarsa dal sole punge le narici e secca le labbra deboli storpiandone il riso. Cala la notte e le sue gelide, seppur dolci, spire catturano il rumore dei pesci in trepida ricerca di spazi nel letto secco del fiume. Il buio è breve ed a malincuore deve lasciare spazio al Fratello Sole, ma una cosa strana accade; il lezzo di morte è stato coperto dal profumo dell’aria fresca, mentre la luce viene lentamente spenta da nere nubi colme di pioggia. L’Acqua giunge tiepida alla Terra assetata che par riprendersi da un letargo non voluto; il fiume si riempie copioso ed avido di vita rincorre la fauna giunta quasi ad abbandonare l’attesa.
Nel frattempo, in un campo infangato, si fanno spazio ciuffi d’erba che colorano di verde argenteo la selva sbigottita. Le nubi fanno spazio ad un sole nuovo, tiepido e carico d’affetto per un giovane ramoscello che veloce cresce in questo verde mare. Accompagnato da questo caldo sorriso e dalla pioggia generosa viene sfamato crescendo rigoglioso e fiero.
Una notte il giovane Albero venne destato da un suono dolce e leggero ed avvertì immediatamente la fresca brezza annunciare l’arrivo delle nubi. Contento si mise in attesa di ricevere il solito dono; purtroppo al posto della fame fu saziato nel dolore da un’ira alla quale non chiese mai di partecipare. Fiero si erse a combattere la follia del Vento ululante e tagliente, mentre i suoi piccoli rami venivano spezzati dalla furia della grandine. Il Vento aumentava ed allo stesso modo aumentava la resistenza posta dal giovane Albero, ma le sue radici cominciarono a fremere di dolore. Il respiro si fece urlo ed infine boato; alla pioggia ed alla grandine si mescolarono le lacrime di fiducia infranta ed il delicato fusto cominciò ad abbandonarsi alla follia del Vento mettendo a nudo le sue radici in preda all’incubo. Quando cominciò a sentir venir meno la scintilla che gli diede vita ecco che venne afferrato da qualcosa, una forza pos
Iniziò a rigirarsi fra le lenzuola, sentiva freddo ma coprendosi sentiva il calore avvamparle dentro. Si alzò per spegnere la lampadina che illuminava la camera e chiuse le tende della finestra per non far filtrare neanche i raggi della luna e gli occhi curiosi del cielo. Si buttò sul letto con gli occhi chiusi, li riaprì. Non poteva crederci, era ancora là.
Davanti a lei, sul muro pieno di foto e disegni, uno strano simbolo luminoso continuava a troneggiare nonostante non ci fosse più nessuna fonte luminosa.
Si guardò spaesata intorno, riconobbe le ombre della sua camera, un brivido le salì per la schiena. Glielo avevano detto, ma lei non aveva mai creduto. Gliene avevano parlato, ma lei ascoltando aveva lasciato che le parole scivolassero via.
Una "S" e una "T" si intrecciavano dentro ad un triangolo verde racchiuso in un cerchio blu. La "S" era come un serpente che stritolava il debole corpo dell'altra iniziale. Socchiuse nuovamente gli occhi e quando li riaprì notò che le lettere si muovevano, come in una danza, come in una lotta, mentre lentamente le figure geometriche iniziarono a vorticare, fino a giungere ad una velocità che sfumava i loro contorni rendendole un'unica linea retta.
"jenny".
Una voce suadente chiamò il suo nome.
"Jenny vieni qui..."
ancora una volta quella voce maschile l'attrasse a sè, mentre la ragazza cercava di resisterle. Per quanto si opponesse si sentiva come un frammento di metallo in balia della forza di una calamita posta a pochi centimetri di distanza. Non sapeva che fare, non sapeva cosa pensare.
Sentì la paura riscaldarle il cuore. Sentì il rimorso prendere a pugni la sua anima Percepì le lacrime che il suo corpo stava iniziando a purgare dalle ferite che con fatica aveva tentato di nascondere.
Una musica dolce iniziò a risuonare nella stanza. Le note danzavano in modo macabro nell'aria e l'ossigeno sembrava rarefarsi man man che il tempo passava.
"Piccola... dai, lo so che mi stavi aspet
Era d' estate, caldo afoso, un piccolo barboncino aveva inseguito i suoi padroni fino all'aeroporto cittadino.
Qui perse ogni traccia; amareggiato, col cuore in gola sul rovente asfalto faceva ritorno.
Un canarino di un bel colore giallo, invece, approfittando della distrazione della sua anziana padrona nel lasciare la gabbietta aperta, prese il volo e fuggì via.
Vide questo barboncino, bianco di natura, ma così sporco da sembrar nero. Era talmente allo stremo da cadere da un lato assopendosi. Il canarino lo credette morto, e sbattendo pian pianino le sue belle alette gialle su di lui lieve si posò.
Ne sentì il polso, era ancora vivo, con la sua voce lirica alzò un Inno al Signore. Il piccolo barboncino allora aprì gli occhietti suoi profondi, credendosi già in paradiso.
Il canarino gli disse:
- Sciocchino sei ancora fra noi vivi, sono un canarino e son scappato via, ma te non posso lasciar qui mezzo morto e mezzo vivo.
Il barboncino rispose:
- Tu sei scappato, mentre io sono stato abbandonato e non ho le ali per volare fino a loro.
Il canarino:
- Veramente non ti capisco, forse non sai cos'è la libertà, andare dove ti pare e non tenere conto a nessuno.
Il barboncino:
- Come il mio destino e la mia natura è diversa dalla tua; io sono un piccolo cane, nato in una casa degli uomini, di quelli stessi che oggi mi hanno lasciato, non so chi fu la mia mamma, né il mio papà. Per tutto questo tempo ho ritenuto i miei padroni come genitori. Una buona coppia in apparenza. Sono andati in ferie chissà dove e senza scrupoli per strada mi han piantato.
Il canarino:
-Lo vedi! Noi uccelli siamo di tutt'altra pasta. La vecchietta mi teneva per il mio bel canto, in cambio di mangime da quattro soldi. Cosa pretendeva dunque! Alla prima occasione ho tagliato la corda e spiccato il volo. Assapora anche tu questo profumo di libertà!
Il barboncino:
- Ed io mi mangio il profumo della libertà! Sono abituato che ogni giorno e puntualmen
Solo un sogno cullato saprà dipingere la grigia realtà;
Solo una realtà di colori, saprà ridarti la voglia di vivere;
Pertanto vivi sognando e sogna vivendo
è questo il segreto della vita.
Cerca il tuo sogno e tra le sue braccia la vita;
Chiama il tuo sogno nella sua luce il tuo stabile sorriso.
Vivi il tuo sogno tra i suoi sentieri alberati gli anni creduti persi:
Apri le ali dei tuoi sogni,
la realtà non conta il vero,
essa è ammantata dal grigiore voluto da chi ci vuole figli scaltri
e tu ne aggirerai l’inganno
immergendoti nel sogno di una vita;
Sogna quando l’anima ha sete di speranza;
Sogna e nel grigiore del vivere tu coglierai i colori;
Il sogno è quell’aquilone che non ha mai teso al cielo;
Il sogno è quel sorriso che non mai stretto al cuore;
Il sogno è quella stella non hai mai osato sfiorare:
Sogna e di quel sogno alimenterai la tua vita.
Lascerai che il suo scorrere come limpido ruscello ti trascini in un vortice di inusuali piaceri,
e quando cullata dal suo dondolare ti sentirai attraversare dal suo dolce canto,
ti concederai pienamente al suo vibrare,
ed in quel sentire tu ascolterai la tua più grande emozione.
Sogna e nel volo tu ritroverai il sentiero di luce che a te è riservato.
Sognerò!
Disse la sirena alla luna.
E di questo sogno che ora stringo al petto farò sentiero per i miei giorni avvenire.
Piccola sirena non conta cosa nei farai dei sogni, in essi c’è la preziosità dell’istante e di quell’istante dovrai cogliere l’essenza, al domani non rivolgere pensiero, perché al domani sempre e solo chiederai di offrirti altri sogni.
La sirena cullava il suo sogno e nei suoi occhi di luce si sentiva trasportare lontana in mondi incantati e pieni di stelle, unguento miracoloso per il suo cuore afflitto ed affamato di felicità.
Luna ma se il sogno non diverrà realtà, di cosa allora potrà avere certezza i
Questa sezione contiene storie e racconti su fate, orchi, giganti, streghe e altri personaggi fantastici
Le fiabe sono un tipo di racconto legato alla tradizione popolare e caratterizzata da componimenti brevi su avvenimenti e personaggi fantastici come orchi, giganti e fate. Si distinguono dalle favole per la loro componente fantastica e per l'assenza di allegoria e morale - Approfondimenti su Wikipedia