A volte l'affetto non sempre è sinonimo di positività. Quello maniacale ed ossessivo poi, non potrebbe essere più pericoloso.
PASSATO:
La bambina dai capelli lunghi e biondicci fissò con odio le mani della ragazza sfiorare il profilo del viso che aveva di fronte, e i suoi occhi rispecchiarono la ferocia in persona. D'ora in poi sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
PRESENTE:
Lullaby entrò nella stanza e si richiuse la porta alle spalle. Daniela si voltò sentendo lo scatto.
"Lullaby!", esclamò chiudendo il cassetto, col rimbalzo del sedere. "Mi hai spaventata!"
"Scusa, non era mia intenzione."
Trascorse qualche secondo prima che riprendesse a parlare.
"Stavi cercando qualcosa? "
La donna scosse il capo.
"Solo una matita per annotarmi un appunto", disse sorridendo per mascherare il timore.
Lullaby annuì incredula.
"Ora se non ti dispiace, vado di sotto e ne cerco una".
Prese a camminare quando Lullaby, con una domanda la costrinse a bloccarsi.
"Non me lo vuoi proprio dire cosa stavi cercando nei mie cassetti? "
"Scusa?", domandò voltandosi.
"I miei cassetti."
Daniela cercò di mantenere la calma e sorrise ancora.
"Te l'ho detto, solo una penna."
"Lo so cosa mi hai detto. Bisogna capire se è la verità o meno."
La donna la fissò indispettita, e incrociò le braccia.
"Stai cercando di dirmi qualcosa?"
Lullaby sorrise, e Daniela a quel punto fece lo stesso.
Nessuna delle due avrebbe mollato tanto facilmente, ma Daniela decise di parlare per prima.
"Sei solo una pazza."
Lulluby continuava a fissarla col sorriso stampato in volto.
"E... per quale motivo mi considereresti pazza?"
"Ho scoperto il tuo segreto. Ti ho osservato bene in queste ultime settimane; da quando sto con Ivan non hai fatto altro che metterti in mezzo e mandare a monte i nostri progetti... Ho visto i diari che tieni nascosti nel muro, e li ho letti. Ho le prove della tua pazzia. Sorella affetta da gelosia eccessiva", disse em
"Vendesi mandarino rosso" l'annuncio era più che esplicito, dovevo rientrare quanto prima, ovviamente seguendo tutte le regole relativa alla sicurezza. Il giorno stesso ho interrotto le ferie in Tunisia, col primo volo ho raggiunto Catania, in autobus a Messina, traghetto e a Reggio l'Eurostar per Milano.
Sono sceso a Taranto, con un altro autobus ho raggiunto Bari e adesso sto aspettando un altro Eurostar per Milano, che non raggiungerò direttamente perché scenderò a Piacenza e quindi con un regionale arriverò finalmente a Milano. Il tempo del percorso si triplicherà ma non avrò lasciato tracce dirette del mio viaggio.
È quasi sera, pochi minuti alle diciotto, lo speaker annuncia l'arrivo del treno, è in orario, non sosterò a lungo sul marciapiedi. Ho preso un biglietto di prima classe, non lo faccio quasi mai ma siamo ad ottobre e prevedo la prima classe abbastanza vuota e al riparo da viaggiatori impiccioni.
Non mi sono sbagliato nello scompartimento vi sono solo due persone, un bambino di circa cinque anni e una donna, probabilmente la madre. Lui ha un aspetto birichino, di sfrontata ingenuità lei, invece, è bella da morire, il suo sguardo mi ha trafitto cuore e cervello, non mi è mai successo fino ad oggi una simile sensazione. Come un adolescente alla prima cotta le punto addosso gli occhi, lei fa altrettanto, nessuno abbassa gli occhi e restiamo a fissarci per un minuto abbondante. Ho modo di osservarla attentamente, il vestito dalla gonna larga non lascia intravedere le forme ma è snella e ben fatta, anche il volto, per le sue fattezze, non è eccezionalmente bello ma i suoi occhi azzurri posizionati su un anso piccolo e a punta in su mi hanno letteralmente catturato, non riesco a distogliere i miei dai suoi, e pare che sia ampiamente ricambiato. Non so chi per primo ha abbozzato un sorriso, peraltro subito ricambiato, ma il nostro reciproco rapimento viene interrotto dal piccolo che tirandomi i pantaloni mi chiede a voce alta:
"N
A Caterina, che mi legge e domanda ancora.
Cap. 3
Il sardo si è messo a telefonare in un angolo del bancone, io mi sono fatto fare una birra e finalmente dalla porta entra Sandro che mi sorride e mi saluta con la mano.
-che cazzo… non dovevamo trovarci alla pizzaria rumena- esordisce, niente ciao, niente come va?
- fottiti Sandro, sei sempre in ritardo. Come cazzo fai a tenerti il lavoro.-
-ehi bello, io sono un creativo, mi pagano per l’inventiva non per la puntualità. Come stai? Cristo saranno… quanti, otto anni che non ci vediamo. Per rintracciarti ho dovuto chiamare mezzo mondo. Gran parte della gente che ho chiamato non si ricordava nemmeno chi fossi.-
- magari gran parte della gente non si ricordava nemmeno di me.-
- Infatti. Come stai?- e mi allunga la mano.
Glie l’ho stretta forte, con calore, a lungo, ci siamo sorrisi. È bellissimo rivederlo dopo tanti anni senza sentirci, dopo tante cose fatte insieme, come fratelli, come una banda. È proprio bellissimo, mi sembra di esserci salutati solo ieri, mi ha preso un senso di malinconia, e gioia. Mi sono sentito di nuovo ventenne, pronto a spaccare il mondo, pieno di ideali.
- beviamo- gli ho detto.
Mi sono allungato dietro il banco e gli ho spinato una birra mentre il sardo mi bestemmiava dietro con la cornetta incastrata tra spalla e orecchio, imprecando con una mano e salutando Sandro con l’altra.
- Allora che vita fai? ?"
- Grafico pubblicitario, m’hanno preso subito dopo l’accademia, non sono mai tornato a casa. D’altronde c’era poco da cui tornare. Tu ricordi i miei vero? Tu te n’eri andato a studiare a Roma, così io mi sono fermato la. Poi, lavori, trovi un paio di amici, un po’ di figa e non ti muovi più. E tu?-
- Ho finito di studiare, e adesso faccio il commercialista in un grosso studio del centro. Vivo da tre anni con una ragazza ricca, in collina, in un sottotetto grande cinque volte quella che era casa mia. Cazzo, c’è una vista. Molto alla moda. L
Il giudice chiese ed ottenne silenzio, si apprestava a leggere la sentenza.
Non appena ebbe finito, prima timidamente, poi con entusiasmo, la platea si associò al suo giudizio con un applauso.
Un altro processo era finito, ci sarebbe stato l'appello, ma intanto quei delinquenti sarebbero andati in galera, una piccola soddisfazione per tutti quelli che erano stati vessati, minacciati, intimiditi, e in qualche caso rovinati da attentati alle proprie attività. Una contentezza moderata dal timore che tra qualche giorno avrebbero conosciuto qualcuno che subentrava ai primi, con la consapevolezza che quelli dopo sono sempre più cattivi. Ma per qualche giorno c'era sempre la speranza che non sarebbe successo.
Il giudice Rosi era obbligato a vivere con una scorta, suo malgrado, ma questa era la condanna per il suo impegno contro tutte le forme di delinquenza. Aveva come una seconda famiglia, formata da quei ragazzi che lo seguivano ovunque.
C'erano momenti e posti più pericolosi di altri, dove l'attenzione doveva essere estremamente rigorosa, ed altri, come in Tribunale, dove al contrario regnava, per una malintesa abitudine, una certa rilassatezza.
In ogni caso quella mattina in quel Palazzo di Giustizia era stato segnato un punto a favore della legalità. Non c'erano altri processi, per cui si stava svuotando, e anche fuori, tutti i pulmini delle televisioni stavano smobilitando.
Non c'era quasi più nessuno quando anche il giudice Rosi uscì, passò davanti alla scorta, li salutò facendo segno che sarebbe andato a prendere i giornali all'edicola di fronte. Ritirò la borsa piena di quotidiani che gli era stata preparata e tornò indietro. Non li avrebbe mai letti. Era esattamente al centro della strada quando un'auto lanciata a folle velocità lo falciò lanciandolo in aria, per poi precipitare a terra, macchiando all'istante l'asfalto col suo sangue. Fu una sequenza velocissima, e stranamente silenziosa. Quando fu realizzato l'accaduto la macchina era sparita
La vicenda si svolse molto velocemente.
Era la sera del 19 luglio. Tommaso aveva parcheggiato a pochi metri dalla ringhiera sul belvedere. Un panorama stupendo, il crepuscolo e la città ormai illuminata sotto di lui. Stava ammazzando il tempo, in vista dell'appuntamento che aveva un'ora dopo, alle dieci, in un locale del centro. Fermo dentro la macchina, sorseggiava una birra. Un cd dei Pink Floyd con le sue melodie maestose echeggiava nell'abitacolo; "Animals" - stava pensando - pur essendo poco considerato tra gli estimatori del gruppo, lo aveva sempre emozionato per quel senso di epica maliconia che emanava. D'estate era scelta obbligata.
Osservava dallo specchietto retrovisore i movimenti che avvenivano nella piazza. In realtà non c'era nessuno a quell'ora, era troppo presto per le passeggiate del dopocena e troppo tardi per gli aperitivi. Abbassò un attimo lo sguardo verso l'autoradio per mandare avanti di due canzoni, poi riprese le sue osservazioni. Finalmente un'anima viva, anzi, tre.
Erano due uomini, di spalle, e una ragazza, in mezzo. Parlavano in modo tranquillo. Dopo i fatti che accaddero quella sera i due furono fermati quasi subito, e Tommaso si ritrovò in un commissariato di polizia come testimone oculare di un omicidio.
Il verbale firmato da Tommaso e controfirmato parola per parola durante il processo riporta oggettivamente tutti gli eventi.
"Io Tommaso G., nato..., ero fermo in macchina quando vidi due uomini e una donna. Erano tutti e tre di spalle e camminavano tranquillamente discutendo in modo che a me sembrava sereno"
"Sa descrivere le tre persone?"
"Gli uomini erano di spalle, altezza media entrambi, vestivano di scuro, questo è quello che ricordo. La donna invece un vestito chiaro, capelli lunghi lisci"
"Cosa vide poi?"
"Parlavano, dicevo. D'un tratto, senza nessun indizio premonitore, l'uomo sulla destra sollevò la donna e la gettò giù dalla ringhiera. Sentii un urlo e poi un botto. In principio ebbi
Il ritiro di Moretti
Ho ucciso Ziegler tre mesi fa, ho dovuto farlo, non avevo scelta, e da allora la mia vita è cambiata.
È cambiata già nel momento stesso in cui premevo il grilletto, mentre lui mi ringraziava perché mettessi fine alla svelta alla sua esistenza.
Pochi minuti prima gli avevo chiesto del perché della sua sventatezza, l'aver rivelato il proprio nome è una regola che nel nostro campo non si deve mai infrangere e lui, poi, l'aveva fatto per ben due volte nella stessa missione. Avevo intuito che ci fosse di mezzo una donna, lui me l'ha confermato. Era ciò che volevo sapere perciò gli ho sparato al corpo e non alla testa, come nostra abitudine.
Per farlo fuori ho dovuto servirmi di un secondo sicario, non era facile eliminare il numero 1 dell'Agenzia, in uno scontro diretto forse non ci sarei riuscito ma volevo parlargli prima che morisse, volevo sapere il perché del suo atteggiamento. Per questa bramosa curiosità ho sacrificato l'altro sicario, votato in partenza alla morte, perché Ziegler è uno tosto. Anzi lo era.
Aveva in mente di vendicare la morte della sua donna, da lui stesso fatta fuori per contratto, è entrato nel salone del suocero armato con due pistole. Ho detto al secondo uomo appostato alla sua sinistra di far fuoco appena lui estraesse le pistole e così ha tentato di fare, ma non sapeva di tenere sotto tiro Ziegler che fulmineo ha sparato incrociando le armi. Due colpi in tutto, alla testa, uno alla sua vittima predestinata e l'altro al sicario alla sua sinistra. Solo allora ho fatto fuoco anch'io, alla sua destra, cogliendolo al fegato ma sconquassandogli tutto il torace.
Perché Ziegler? Perché tanta inutile distrazione? Una donna vale la vita di un uomo? Un uomo di nome Ziegler? Questo volevo sapere direttamente da te e per questo non ho mirato alla tua testa.
Da quel giorno sono passati tre mesi, la vita doveva rientrare nella sua quotidianità e tale è sembrato, invece nulla per me è stato come prima.
Tu
" Eccomi, di nuovo, puntuale, ogni tre giorni, con i fiori nuovi, belli freschi, comprati poco fa. Non si può dire che non mi curi di te, anzi nessuna è così costante da venire qua, caldo o freddo, sole o pioggia. Sì, solo io, amore mio, in un ricordo che non si è mai spento. Di te rammento tutto: quando ci siamo conosciuti, le lunghe passeggiate insieme, i primi baci, e anche il resto. Anzi, non puoi capire quanto mi manchi il resto, come la giornata vuota lo diventi ancora di più la sera quando mi corico in un letto che è sempre troppo grande. A volte, spenta la luce, il pensiero corre al passato, alle tue mani, così prodighe di sapienti carezze, a certe notti che nemmeno abbiamo dormito. La voglia c'è, è naturale, mica sono di legno, ma resisto, soffoco il tutto in una fedeltà che non conosce crepe.
Sembra ieri che te ne sei andato, che in punta di piedi sei scomparso nell'ombra. A volte ti immagino lassù a guardarmi e quando rivolgo lo sguardo al cielo per un momento ho l'illusione di scorgere il tuo bel volto in qualche nuvoletta che spezza l'uniformità dell'azzurro. Certo che il mio amore per te è superiore a qualsiasi difficoltà, al trascorrere del tempo, perfino all'appannamento della memoria.
Sì, non c'è alcun dubbio che io abbia amato te più di quanto tu abbia amato me e per questo tu sei ancora mio, sei ancora dentro di me. Mentre io sfiorisco tu sei sempre lo stesso, come l'immagine dei giorni felici che ora mi guarda dalla fotografia con la cornice di ottone.
Io ho saputo fermare il tuo tempo e tu sei rimasto tale e quale, senza che i capelli cominciassero a imbiancare e le rughe a increspare il tuo volto, come invece accade a me.
Se questo non è amore, che cos'è allora? No, sei proprio l'uomo più fortunato del mondo."
- Zia, è ora di andare.
"Vado, ma fra tre giorni ritorno con i fiori freschi."
- Possiamo andare.
- A volte mi chiedo se stai meglio, se sei guarita; dopo così tanti anni non ti sei ancora stancata di
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