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Racconti gialli

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Il giallo della partita di poker

Giocatori 5.
Roberto, Ivan, Andrea, Lorenzo, Cesare.
Casa: garage di Andrea.
Tavolino verde, con panno da casinò.
Luce soffusa, proveniente da una lampadina 15Watt.
Bottiglia di Bourbon lato sinistro del tavolo.
5 mini bicchieri pieni fino all’orlo.
3 pacchetti di sigarette, un solo posacenere.

Freddo.

Carta più alta inizia.
Cesare Donna, Lorenzo8, Ivan9, Roberto Asso di fiori, Andrea Re.
Tocca a te Roberto,
No, interviene Andrea tocca a me, l’asso vale uno.
Non iniziamo eh, l’asso è il maggiore.
OK!!!
Andrea mescola, passa il mazzo a Cesare che taglia e si beve in un unico sorso la prima dose di bourbon.
Inizia la distribuzione da sinistra.
Quattro bicchierini vuoti e due sigarette sul posacenere.

Fuori, intanto nevica.

1, 2, 3, 4, 5 carte a testa.
Cesare spilla lentamente, Lorenzo lascia le carte sul tavolo, Ivan guarda solo la prima, Roberto le guarda tutte insieme, Andrea ne guarda quattro lasciando l’ultima sul tavolo.

Cesare: asso di cuori, re di picche, asso di fiori, asso di quadri, …bicchierino pieno, vuotato…primo spicchio di carta, colore nero…lentamente…asso!!!
Apro, 25 euro.
Ci sto, ci sto, ci sto, +25.
4OK.
Carte: servito, una, una, una, servito.
Cesare: parola,
Lorenzo +50, +50, +50, +100.
Cesare: Ok 250+100
Cinque vedo.
Tocca te Cesare.
No io ho detto parola, tocca Lorenzo.
No tocca a te, chi apre è il primo a giocare.
Va beh, POKER d’assi
Sulla tavola 4 bellissimi bambini 2 neri e 2 rossi ed il sorriso di Cesare.
Otto occhi spalancati, stupiti
Allora cosa avete:
POKER D’ASSI, POKER D’ASSI, POKER D’ASSI, POKER D’ASSI.

Qualcuno ha barato!!!

   1 commenti     di: cesare righi


La casa dalla configurazione mutevole

Costeggiando la vecchia strada nel brullo Carso triestino che porta i numerosi turisti della domenica provenienti da Monrupino i quali decidono di farsi anche qualche altro goccetto nei paesi di Zolla e Rupingrande, senza accorgersi, si passa molto vicino a un enigma insoluto degno della fantasia di molti abitanti della zona. Imboccando una stradina sterrata che porta verso il confine con la Slovenia e in comune di Dol Pri Vogliah, ci si trova all'improvviso di fronte alla grigia facciata di un'antica dimora ottocentesca ben poco amata dagli abitanti della zona.
Molti sanno, infatti, che quelle vecchie quattro mura coperte da rampicanti rinsecchiti e dal tetto semi sfondato, celano un cupo segreto sussurrato al più dai vecchi fifoni che abitavano la montagna molti anni fa. Ti dicevano: <<Non andarci se non vuoi finire male, c'è il diavolo là dentro>> e sciocchezze del genere adatte a un'antica cultura rurale ormai dimenticata, o quasi.
Un sabato mattina di una grigia giornata di fine ottobre, un giovane studente universitario ben più affascinato dei misteri del nostro mondo che della tesi di diritto costituzionale in preparazione ma mai terminata, gironzolava senza meta lungo le piste battute che pullulano da quelle parti. L'obiettivo, invece, era ben chiaro nella sua testa coperta da lunghi capelli biondi spettinati. Aveva scommesso con gli altri, doveva farlo e ne avrebbe ricavato un bel gruzzoletto. Non si trattava nient'altro che trascorrere la nottata nella famosa "casa dei fantasmi" che, come in ogni comune che si rispetti, immancabilmente è presente.
È vero, la "villa dei pazzi", com'è chiamata nella zona, è molto temuta dagli abitanti, tanto che nessuno si è mai pensato di comprare quel terreno ormai non più di proprietà di nessuno da molti anni e il comune ha dovuto lasciare l'abitazione così com'è visto che a nessuno interessava il suo acquisto. Nemmeno il solo terreno invogliava vista la zona così impervia e fuori mano.
La storia diceva

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eccesso di velocità

1.
La camicetta, mavì come un mattino di sole invernale, arricciava sul seno.
Lei, la indossava con la consapevolezza di chi sa verrà guardata.
E tu guardavi. Con fatica, ma guardavi.
I bottoncini di madreperla aggrappati alle asole raccontano notti di sesso, di libidine e di lieve dolore.

Che non sarebbe stata una notte facile, il tenente del 58° distretto di Polizia, Alfio Moretti, l’aveva capito subito. Avvolto in un lungo cappotto nero, osserva incantato il corpo senza vita della donna.
I binari dell’adiacente ferrovia si avvicinano, si incrociano e si allontanano come due vite qualsiasi che si rincontrano dopo anni di separazione.
Dei ratti si muovono sicuri tra i cumuli di sporcizia e sassi, dileguandosi veloci su vagoni abbandonati come vecchi all’ospizio.

È mattina, quando arriva la scientifica. Cominciano subito a fotografare, selezionare, circoscrivere, recuperare ogni cosa. Qualunque cosa può essere utile a svelare l’identità dell’omicida.
Al tenente Moretti sembra invece non importare nulla di scoprire l’artefice di quel delitto. Passeggia avanti e indietro lungo i binari con un leggero fastidio; nessuno gli rivolge la parola, impegnati come sono a svolgere le proprie mansioni.
Il sole è quasi tramontato, il corpo esanime viene portato via per l’autopsia. Ma lui, il tenente Moretti, resta da solo.
Solo con i propri pensieri e qualcosa da fare prima di andare via.

2.
La stanza è in penombra. Un cono di luce illumina la scrivania traboccante di cartelle di vario colore. Un odore di chiuso e di vecchio aleggia nella silenziosa stanza. Antonio Capone con la testa all’indietro e gli occhi chiusi, sembra che riposi, ed invece sta pensando.
Un leggero ticchettio alla porta lo desta.
Silenzio.
Antonio Capone con la bocca impastata di saliva ordina di entrare.
Giacomo Vitolo, il suo braccio destro entra, in punta di piedi. A vederlo così sembra un ragioniere del catasto. Invece è un animale. Rozzo e violento

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   3 commenti     di: luigi pagano


L'idolo non è nulla

Eccolo il mio idolo, la mia ragione di vita, il mio tormento!
Steso sul freddo marmo della cucina, indegno e volgare, un vuoto fantoccio senz'anima.
Eppure non mi era apparsa così la prima volta in cui i nostri occhi si erano incontrati.
Elena, non poteva chiamarsi in un altro modo, un nome da semidea, distruttrice dei destini, capace di passare anche sopra mille cadaveri in putrefazione, mantenendo il colore del sole sul viso.
Elena... imprendibile, o meglio " impossessible", per dirla alla francese.
Quella sera ero andato senza mia moglie alla festa di Marco, costretta a casa a causa di un malore improvviso della baby-sitter.
Lei era lì, sbucata chissà da dove, nessuno sembrava conoscerla, apparsa dal nulla come solo una divinità sa fare.
Le bastò poco: un sorriso, uno sguardo e io non ero più.
Sì era trasferita da poco in città, era giunta lì con un'amica che ora sembrava introvabile.
- Come farò a tornare a casa?- Chiese con un broncio da bambina.
Inutile dire che tutti i maschi che non avevano al seguito mogli o fidanzate si erano mostrati disponibili.
Io solamente non avevo avuto il coraggio di risponderle.
Me ne stavo lì, muto e idiota, a guardare qualcosa di troppo grande per me.
Ma lei mi aveva sorriso e indicato, chiedendomi di accompagnarla.
Ero dunque io il prescelto, quello che fra tutti aveva il privilegio di stare vicino al miracolo?
Balbettai una risposta e lasciai che mi seguisse in macchina.
Lungo la strada non faceva che parlare e parlare, raccontava del suo momentaneo lavoro come modella e hostess di congressi, e del suo sogno di fare l'attrice, e altre cose simili.
Non aveva però importanza quello che diceva, ma come le parole uscivano dalla sua bocca, flautate e carezzevoli come velluto.
La seguii frastornato dentro casa sua, come un cane randagio che spera in una carezza, e lei sembrava disposta a darmi anche più di questo.
Mi baciò (dovette farlo lei, perché io non ne avrei avuto mai i

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   1 commenti     di: Sabrina Abeni


Doppio intrigo per Norman Parker -conclusione-

Venerdì 25 febbraio ore 9, 00
Ho controllato il nostro casellario giudiziario e l’uomo denominato vittima numero due non risulta essere schedato. ?"affermò Gordon- Scoprirne l’identità non sarà semplice neanche per te caro Parker.”
“Può darsi che tu abbia ragione, ma potrebbe anche essere più facile di quanto tu possa credere.”
“Cosa intendi dire?”
“Vedi, mio buon amico, il fatto che quell’uomo sia stato trovato morto nel palazzo di Hunter, non indica necessariamente che l’autore del delitto debba essere il maestro, ma prova senz’altro che i due si conoscevano. Tuttavia se vuoi la mia opinione, credo che la cosiddetta vittima numero due sia la stessa persona vista dal custode salire da Hunter prima che quest’ultimo sparisse. Supponiamo che Hunter avesse un movente che lo avesse indotto ad ucciderlo, supponiamo anche che non vi era alcuna premeditazione. L’uomo si presenta senza preavviso a casa del maestro, entra nella sua casa e qualche minuto dopo scoppia un violento diverbio, Hunter perde il controllo e con il primo oggetto che gli capita sottomano sferra, senza misurarne la violenza, il colpo fatale. A questo punto, resosi conto di ciò che ha fatto, cade in una totale confusione, non vuole chiamare la polizia, forse non può. Inizia a fare cose senza senso. Per prima cerca di far sparire ogni traccia della visita dello sconosciuto pulendo le sue impronte sia dall’appartamento che dal ballatoio, poi cancella la stella che l’uomo, chissà perché, aveva disegnato sulla sua porta quindi indossa il mantello del malcapitato inclusi sciarpa cappello ed occhiali scuri. Esce dal palazzo e passando davanti alla guardiola saluta il custode che non si accorge del travestimento. Una volta in strada si libera del travestimento e si reca a teatro. Con insospettabile sangue freddo dirige la sua orchestra. Chi mai potrebbe sospettare che ha appena commesso un omicidio e che la vittima è chiusa nel suo appartamento? Du

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Giallo d'Autore(prologo)

Oltre allo scrivere alcune cosucce, affidate alla generosità dei rari
lettori, amo gironzolare in cerca di pace.
All'Agenzia va tutto bene per merito di Mina, ed io, ogni tanto,
mi ritrovo al bar di Augusto in cerca di clienti.
Poi va detto che, cascasseil mondo, il caffè, servito dalla Mulatta,
giustifica l'interesse degli avventori. Già, La Mulatta! Che splendido
chicco di caffè! Proprio quella mattina, avvicinandomi,
e proprio in quel bar, vidi brutti ceffi in circolazione, per cui,
cambiai strada o perlomeno avrei voluto farlo, ed invece...?
Invece, mi ritrovai su una sedia, trascinatovi da un energumeno.
Di fronte a me, un vecchietto che, poi,
seppi chiamarsi Don Bernardino. Vestito fumo di Londra, occhi di ghiaccio e cappello calato sulla testa. "Dottore, scusate i nostri bruschi sistemi, ma dovevo parlarvi."" Bah, visto che la frittata è fatta, ditemi."Vi risparmio la sua lunga lagna sulla veneranda età e sul cancro che lo stava divorando di brutto. Amplio comunque le vostre conoscenze ed il vostro sapere, riferendo il nocciolo del suo dire."Sono stato informato che avete aperto un'agenzia di informazioni ed è forse la volta buona per scoprire il perché della morte di mio figlio che, venticinque anni fa, è stato ucciso con un solo colpo di pistola."Ditemi almeno il nome di vostro figlio e cercheremo di fare il possibile."" Saverio Baratieri e adesso a voi, non mi è sfuggito il vostro soprassalto e vi ripeto che non voglio sapere chi è stato, ma perché"? Per il soprassalto, Don Bernardino aveva ragione perché, pur non sapendo che fosse morto, avevo conosciuto suo figlio, venticinque anni prima."Saverio è stato a scuola con me al quarto anno delle superiori e mi sembra che avesse alcuni anni in più rispetto alla media della scolaresca.""Esatto, lo avevamo scritto a quella scuola per i nostri buoni motivi.""Posso sapere quali erano questi buoni motivi"?"No, scoprite perché è stato ammazzato." Don Bernardino era stato chiarissimo. La

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   2 commenti     di: oissela


Nel nome del padre (Prima parte)

Nel pomeriggio inoltrato di tardo autunno, in una giornata tiepida che i torinesi avrebbero rimpianto fino alla primavera successiva, un uomo alto e massiccio se ne stava davanti alla Fontana dei Dodici Mesi, nel cuore del parco del Valentino, con le mani ficcate a fondo nelle tasche di uno sformato cappotto scuro, spostando il peso del corpo obliquo da un piede all'altro e contraendo il viso oblungo in una smorfia di malcelato terrore. Singhiozzava sommessamente, mordendosi di tanto in tanto il labbro inferiore, e versava lacrime grosse quanto palline da golf. Si fosse trattato di un bambino, quel broncio avrebbe suscitato tenerezza, ma su quel colosso deforme suscitava soltanto inquietudine.
La bellezza della fontana era per lui orrore, la grazia delle statue raffiguranti i mesi era minaccia, l'acqua limpida che spruzzava gocce dal bagliore diamantino gli metteva voglia di fuggire lontano, i fiori, semplicemente, lo disgustavano. Non avrebbe mai voluto trovarsi lì. Non v'era luogo, in effetti, che lo rasserenasse, ma quello era un vero coacervo di incubi.
Sapeva di destare una strana impressione, sapeva che un uomo grande e grosso non dovrebbe piangere, ma non biasimava se stesso più di quanto facesse con le persone che gli gettavano occhiate timorose o divertite, poiché lui, quantomeno, sapeva, mentre la loro ignoranza li condannava a cadere nelle trappole del demonio.
La bellezza altro non era che l'abito buono di Satana, ciò che indossava per ammaliare i deboli. Lui vedeva il mondo per quel che era, non per come appariva, perciò sapeva questo e sapeva riconoscere le manifestazioni della bestia, come suo padre gli aveva insegnato senza mai ammettere dubbi. Nella grazia scorgeva gli ammiccamenti del peccato, nell'acqua riconosceva la fetida urina del diavolo e trovava che i fiori fossero il trucco più misero che quell'angelo caduto avesse mai inventato.
La tentazione ottenebra i sensi, disse suo padre con la consueta voce severa. Ma colui

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