Ce ne usciamo. Io e Sandro.
Ci avviamo giù lungo la prima traversa della casba verso la sinagoga.
È strano come evolve una città. Una volta questo doveva essere un bel quartiere. Forse residenziale. Una vecchia mi aveva spiegato un giorno, che sulle pareti delle scale del suo palazzo, quando c’era entrata lei, c’erano degli affreschi. Scene di vita in campagna, putti, madonne.
Poi un giorno qualcuno li aveva sotterrati sotto uno strato di verde sbiadito, e gli affreschi vivevano ormai solo nel suo ricordo.
Il quartiere si era evoluto, la città si era ingrandita, le zone residenziali si erano spostate verso nuovi rioni che nascevano attorno a quella che sarebbe divenuta la casba.
Poi anche questi si erano degradati, ma ne erano nati di nuovi ancora un po’ più in la, un po’ più in su, e così avanti.
In più si erano sviluppate le periferie. Nate male e cresciute peggio.
Prima o poi qualche amministrazione un po’ più dura avrebbe rimodernato questa o quella zona riportandola agli antichi splendori, per aspettare poi che si degradasse di nuovo.
Le uniche zone che non cambiavano erano la collina, dove abitavo io, e il centro che da sempre erano zone bene e lo sarebbero rimaste per sempre. Inno alla normalità borghese della città.
Voltammo all’angolo della sinagoga e ci avviammo verso la cloaca.
Il viale correva dritto perdendosi nella nebbia fino al cuore della casba.
- Me la ricordavo peggio- dice Sandro
Io lo guardo per vedere se scherza. Scherza.
- Paura? ?" gli chiedo
- … - mi sorride
Ci siamo avviati nella nebbia che si richiude alle nostre spalle dimenticando il nostro passaggio.
All’angolo successivo c’era il bar dei finocchi, non per niente, ma la padrona tanti anni fa coltivava finocchi in un’orticello che si era ricavata sul retro del locale.
Due marocchini si urlavano in faccia mentre un gruppetto di guardoni aspettavano di vedere se ci veniva fuori un po’ di show.
I marocco gridano spesso p
"Sei ancora lì?" Chiede lei, io cerco di non voltarmi a guardarla, cerco di non voltarmi per non ritrovarmi inchiodato dal suo sguardo di sufficienza, lo stesso che anni fa mi fece innamorare, ma che ora odio con tutto il cuore, con tutta l'anima. Come se l'amore si fosse, nel tempo, prima cristallizzato, poi avesse cominciato a regredire fino a diventare il suo opposto, la sua immagine riflessa nello specchio. Ed il suo atteggiamento degli ultimi tempi non aiuta di certo.
"Sei ancora lì?" Chiede di nuovo, nonostante non possa vederla, me la immagino torreggiante alle mie spalle, con i pugni serrati attorno alla vita stretta, la testa inclinata e gli occhi duri, come una mamma che ha sorpreso il figlio con le mani infilate nella torta. Alzo lo sguardo dalla tastiera alla pagina sul monitor, vuota, sempre vuota, ostinatamente vuota nonostante tutti i miei sforzi. Alla fine mi accorgo che la visione dello schermo bianco mi provoca più dolore di qualsiasi altra cosa, faccio ruotare la sedia quasi con sollievo, perché so che qualunque cosa vedrò sarà più sopportabile della vista del monitor vuoto. E me la ritrovo davanti, bellissima e freddissima, dolcissima e crudele.
La mia espressione deve essere veramente sconsolata, perché persino sul suo volto truce vedo passare per un istante un'ombra di compassione, che lei si affretta a far sparire subito, probabilmente per paura che io la interpreti come una minima forma di incoraggiamento. "Senti," Comincia a dire, so già quello che dirà, mi preparo a sentire le sue parole come potrei prepararmi a ricevere un proiettile in fronte guardandolo arrivare al rallentatore. "mi dispiace che debba essere proprio io a dirtelo, ma è stato un bel sogno, solo un bel sogno, e come tutti i bei sogni è svanito nel nulla con l'arrivo dell'alba."
"Sei quasi più brava di me con le parole." Dico, cerco di sorridere, ma come risposta lei indurisce ulteriormente lo sguardo, per non concedermi nessun appiglio, nessun'ancora di salv
La mattina seguente mi alzai verso le sette. Mi infilai un maglione e un pantalone della tuta. Zio doveva essere già sveglio. Andai in cucina e mi bloccai sulla porta. Mi appoggiai allo stipite e sorrisi mentre lo guardavo preparare con cura la colazione.
Lui si voltò e mi sorrise a sua volta.
"Se la memoria non m'inganna, latte e caffè, zucchero, torta semplice e biscotti."
Io annuii, mi portai una mano chiusa a pugno sulla bocca, e risi.
Andai a dargli un bacetto sulla guancia e presi posto.
"Non c'era bisogno che facessi da solo, ti avrei dato una mano..."
"Mi fa pacere, e poi non sono riuscito a dormire. Mi sono alzato presto..."
Io annuii, e cominciai ad inzuppare nel latte, prima una fetta di torta e poi i biscotti.
Lui mangiava in silenzio, ma non riuscii a trattenermi dal chiedergli: "Zio?"
"Sì?"
Poteva essere un semplice sogno quello che avevo fatto la notte, ma forse poteva essere qualcosa di più. Valeva la pena scoprirlo.
"La vecchia cascina, quella dove io e Marta andavamo a giocare, è sempre lì?"
"Sì, sempre lì, abbandonata e più malandata di prima. Perché?"
"Perché voglio andare a controllare una cosa."
"Non metterti nei guai, me lo prometti?"
Io annuii. "Sì, te lo prometto."
Un'ora dopo stavo già dirigendomi verso la radura. Parcheggiai sulla stradina e scesi a piedi.
Dopo una buona mezz'ora di cammino, fissai dal basso la strada in alto.
Dal fondo della gola vedevo bene le strade tortuose che portavano al paese vicino, e qualche auto percorrerle.
M'incamminai ancora di qualche metro finché, tra gli alberi, scorsi il tetto malandato della cascina segreta.
M'inoltrai nel bosco ed infine entrai.
Dentro c'era puzza di umido, e il pavimento era frastagliato. Ricordavo bene dove nascondevamo il diario segreto. Avevo voluto lasciarlo lì in ricordo della nostra amicizia. Credevo di essere stata io l'ultima ad utilizzarlo e ad annotarci sopra l'ultimo "segreto": forse mi ero sbagliata.
Salii al primo piano, e m
"Vendesi mandarino rosso" l'annuncio era più che esplicito, dovevo rientrare quanto prima, ovviamente seguendo tutte le regole relativa alla sicurezza. Il giorno stesso ho interrotto le ferie in Tunisia, col primo volo ho raggiunto Catania, in autobus a Messina, traghetto e a Reggio l'Eurostar per Milano.
Sono sceso a Taranto, con un altro autobus ho raggiunto Bari e adesso sto aspettando un altro Eurostar per Milano, che non raggiungerò direttamente perché scenderò a Piacenza e quindi con un regionale arriverò finalmente a Milano. Il tempo del percorso si triplicherà ma non avrò lasciato tracce dirette del mio viaggio.
È quasi sera, pochi minuti alle diciotto, lo speaker annuncia l'arrivo del treno, è in orario, non sosterò a lungo sul marciapiedi. Ho preso un biglietto di prima classe, non lo faccio quasi mai ma siamo ad ottobre e prevedo la prima classe abbastanza vuota e al riparo da viaggiatori impiccioni.
Non mi sono sbagliato nello scompartimento vi sono solo due persone, un bambino di circa cinque anni e una donna, probabilmente la madre. Lui ha un aspetto birichino, di sfrontata ingenuità lei, invece, è bella da morire, il suo sguardo mi ha trafitto cuore e cervello, non mi è mai successo fino ad oggi una simile sensazione. Come un adolescente alla prima cotta le punto addosso gli occhi, lei fa altrettanto, nessuno abbassa gli occhi e restiamo a fissarci per un minuto abbondante. Ho modo di osservarla attentamente, il vestito dalla gonna larga non lascia intravedere le forme ma è snella e ben fatta, anche il volto, per le sue fattezze, non è eccezionalmente bello ma i suoi occhi azzurri posizionati su un anso piccolo e a punta in su mi hanno letteralmente catturato, non riesco a distogliere i miei dai suoi, e pare che sia ampiamente ricambiato. Non so chi per primo ha abbozzato un sorriso, peraltro subito ricambiato, ma il nostro reciproco rapimento viene interrotto dal piccolo che tirandomi i pantaloni mi chiede a voce alta:
"N
La morte è il mio mestiere. Sono cresciuto tra queste quattro mura, e la mia mente anno dopo anno si è abituata al mio stile di vita. Ho esattamente trent'anni, compiuti da una settimana. I miei capelli sono neri, i miei occhi verdi, amo il mio cane e la mia casa, non ho una famiglia, non sono mai stato capace di stare con qualcuno. I miei genitori sono periti in un incendio parecchi anni fa, non ho fratelli né sorelle. Ho cominciato a fare il mio lavoro esattamente quindici anni or sono. Sono molto ricercato per il ruolo che ricopro, amo il mio soprannome e ciò che svolgo.
Ah, a proposito... il mio soprannome è Lo Stampatore, e di mestiere faccio il killer.
Quella notte mi era sembrata interminabile. Avevo contato le righe sul muro almeno una decina di volte prima che il telefono emettesse il suo squillo.
Fissai la cornetta nera e l'alzai l'istante dopo.
"Sì?"
"Ho un lavoro per lei", mi disse la voce tremante.
"L'ascolto."
"C'è una casa, vicino al bosco. È isolata. Ci vive una coppia di vecchi."
"Vecchi quanto?"
"Sull'ottantina."
Attesi.
"Li deve uccidere", mi disse.
Annuii lievemente.
"Perché?"
La voce esitò.
"Non posso dirglielo."
Sorrisi, e i miei denti bianchi risaltarono tra le labbra carnose, quasi porpora.
"È la prassi."
Ma dall'altra parte non vi fu rimando.
"Se mi ha chiamato saprà anche come lavoro. Devo lasciare lo stampo. Devono pagare per i loro peccati."
Il mio interlocutore esitò. In quell'istante capii che stava ansimando, indeciso se andare avanti o fermarsi in tempo.
"Lui abusava di me; la moglie lo sapeva e non ha mai detto niente."
Esitai nel rispondere.
"Va bene."
Il ragazzo all'altro capo del telefono non disse nulla; e percepii in quel silenzio, la paura.
"Se non è convinto possiamo lasciar perdere."
"No!" aveva esclamato con ferma decisione.
Fu allora che sembrava stessi dialogando con un amico di vecchia data, passando direttamente al tu.
"Non dovrest
Questo racconto è nato per una nota manifestazione bresciana riguardante il giallo, e l'anno con cui ho partecipato al concorso per le scuole "A qualcuno piace giallo" i testi da presentare dovevano presentare i personaggi o stili del romanzo giallo tipico di Agatha Christie.
Io ho deciso di far vivere il mio racconto ai suoi 2 personaggi meno noti... i coniugi Beresford magari meno soprendenti di Ercule Poirot o Miss Marple ma ugualmente intelligenti ed interessanti, ora vi lascio alla lettura del mio:
CHIAVI & MISTERI
Personaggi:
Thomas (Tommy) e Prudence (Tuppence) Beresford:
Una simpatica coppia di coniugi investigatori inglesi.
Miss Helene Mahy:
Giornalista libera, residente a Toronto, da ormai 20 anni, negli ultimi mesi, si stava occupando di un articolo “scottante”.
Clarissa (Cle) Lake:
Psicologa d’origine irlandese, amica fidata di Miss Mahy e Mrs Beresford.
Ashley Lake:
Figlia adottiva di Clarissa Lake.
Lady e Miss Carson:
Madre e figlia.
Miss Mary Johnes:
Erpetologa francese, vicina di appartamento di Helene.
Mr. Jerome Dart:
Imprenditore
Mr. Jonathan (Jhonny) Dart:
Figlio di Jerome Dart.
Commissario Westall:
Un gigante buono, grande e grosso, dagli occhi di bambino.
C’è strana posta, oggi, per i coniugi Beresford.
Oltre alla solita posta, nella cassetta delle lettere, c’è una busta di carta azzurro-verde, con un non so che d’infantile. Sembra che faccia parte di uno di quei set che si regala ai bambini, di carta colorata, magari con qualche decoro o disegno, come alcune di quelle buste in cui si mettono le cartoline d’auguri…
La lettera viene da molto lontano. Ha attraversato l’Atlantico, per arrivare lì da loro. Viene da Toronto, in Canada, ed è indirizzata alla signora Beresford.
Albert, il domestico di famiglia, ha raccolto da poco la posta e ora la sta portando alla coppia. Andiamo a vedere cosa succederà…
I P
Otto e mezza di lunedì mattina appena passate. Dalla finestra del mio ufficio guardavo le persone indaffarate nello shopping natalizio, chiedendomi dove avrei passato il Natale. Mi alzai e andai in mensa per un rifornimento di caffeina. Due colleghi si avvicinarono e mi posero la fatidica domanda
<<Dove passi il Natale?>>
<<Ho in programma un pranzo in famiglia.>> risposi, mentendo spudoratamente.
<<Noi abbiamo organizzato una festa tra colleghi.>>
<<Dove?>> chiesi, fingendomi interessato.
<<In un locale a pochi chilometri da qui.>>
<<Ah. Beh, non contate su di me.>>
<<Ok. Però a capodanno ci sarai, vero?>>
<<Certo.>> avevo risposto poco convinto.
<<Comunque se dovessi cambiare idea…>>
<<So dove trovarvi.>>
“Passerai il Natale da solo come gli altri anni” pensai.
Mentre bevevo appoggiato al muro della sala relax sentii squillare il telefono nel mio ufficio. Alzai la cornetta al dodicesimo squillo e temetti che avessero riagganciato, quando sentii la voce del sovrintendente Corsi chiamarmi per grado.
<<Ispettore Morante?>>
<<Si.>>
<<È arrivata una segnalazione di un cadavere ritrovato tra i rifiuti alla discarica comunale.>>.
<<Va bene, Corsi. Grazie.>>
“Si può morire il giorno prima di Natale? Non dovevano essere tutti più buoni a Natale?” pensai scendendo le scale che conducevano in garage.
Salutai l’agente di guardia all’ingresso e svoltai con la mia auto sul lungomare.
Arrivai alla discarica mezz’ora più tardi, a causa del traffico natalizio.
Scesi dall’auto e una ventata d’aria gelida mi ricordò che non avevo preso la sciarpa dall’ ufficio. Imprecai tra le labbra e mi avvicinai alla scena del delitto.
Un’agente mi riconobbe e sollevò la striscia fluorescente della polizia di stato, facendomi passare. Riconobbi una collega accanto al lenzuolo che copriva il cadavere e mi avvicinai.
Si chiamava Alessandra Montevago, era alta, castana, ab
Questa sezione contiene storie e racconti gialli, racconti polizieschi, di indagini e di crimini