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Racconti gialli

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Ho già buttato la spazzatura

Il bambino avanzava sorridendo, e l'uomo lo fece con lui, ma man mano che si avvicinava, il piccolo viso gli divenne livido; aveva gli abiti strappati e sangue ovunque.
Spalancò la bocca come a voler chiedere aiuto, ma senza riuscirvi.
L'uomo si svegliò nel suo letto, bagnato fradicio e col fiatone.
Si appoggiò alla testiera del letto e fissò il comodino. I numeri luminosi della sveglia rivelarono che era l'una di notte.
Tastò l'interruttore dell'abbajoure, e l'accese. Poi si portò seduto, con i piedi a terra. Guardò la foto che teneva sul comodino che raffigurava una donna e un bambino.
Stava sorreggendosi la testa con le mani, quando udì un rumore. Rimase in attesa, e lo sentì nuovamente.
Si alzò così e si mosse verso la cameretta del figlio.
Si trovava a pochi metri dalla porta quando lo vide in piedi, che gli diceva: "Perché gliel'hai lasciato fare? "
In un istante gli occhi dell'uomo divennero opachi dal pianto.
"Non dirmi così, ti prego. "
"Se non fossi uscito quella sera, saremmo ancora vivi. "
Abbassò lo sguardo a terra, e quando lo rialzò, suo figlio era svanito. Camminò fino ad arrivare nella stanzetta buia e immobile; si guardò in giro, andò a sdraiarsi nel lettino e abbracciò l'orsacchiotto. Infine pianse.
La stessa notte uscì e si diresse dove era certo di trovarlo.
Alla TV aveva sentito di un altro caso. Un ragazzino di dieci anni era stato rapito mentre era al campetto a giocare. Il suo corpo era stato ritrovato dopo dieci giorni di ricerche, abbandonato in un canale di un quartiere malfamato. Il referto del coroner era stato chiaro: tracce evidenti di pestaggio, abuso e stupro erano stati rinvenuti sul piccolo corpo.
L'uomo che era stato indagato per il rapimento e l'omicidio volontario, era stato scagionato dopo due mesi di indagini per mancanza di prove.
Fabio però non avrebbe lasciato la questione a metà.
Mentre si dirigeva con la sua auto verso l'abitazione, dentro sé giravano com

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   5 commenti     di: Roberta P.


Penny è volata dal tetto. (Cap 1)

Cap 1.
Fuori.
Freddo.
Cazzo se fa freddo ‘sta sera.
Le macchine passano con violenza. I semafori si colmano e si svuotano di bare metalliche piene di fretta, come clessidre continuamente rigirate.
Fari illuminano squarci di notte davanti alla stazione.
Cazzo se fa freddo.
Le strade sono invase da una nebbia squallida che sale dal fiume.
La via dello shopping di natale sbocca in faccia alla stazione. Coppie, a decine, arrivano, girano di boa cambiando marciapiede e ritornano verso il centro illuminato e festoso, concedendo un unico sguardo preoccupato alla stazione e alle ombre che si aggirano nei suoi pressi.
La stazione è una triste, bella dama, incappottata da impalcature metalliche e teloni, che pubblicizzano la nuova millaccessoriata utilitaria del momento, a guardarla sembra una ferrari, a guidarla probabilmente sembra una scatola d tonno col motore. La grande dama che inghiotte treni e sputa umani affrettati, spaesati, speranzosi, stanchi, è dal chirurgo per la ristrutturazione.
Verranno grandi eventi e la città deve mostrare il suo volto migliore.
Si pulirà la putrida fontana, si netteranno i vomiti dalle strade e le cacche di cane, si chiederà agli immigrati, clandestini e non, di andare a rattristare l’ambiente centro metri più in la, dove non saranno in vista.
Attraverso l’antro della stazione e via della disperazion, ed entro nella casba.
Devo aspettare Sandro davanti alla pizzeria rumena: pizza e polli arrosto. La pizza sa di pollo e il pollo sa di pizza. Meraviglia dell’integrazione etnica: proprietario italo rumeno, commessa slava, pizzaioli a turno: marocchino, rumeno, bielorusso.
Pizza in the world.
Gira in automatico il girarrosto, con lenta malinconia espone sulla pubblica via culi e cosce di polli crudi, appena rosolati, o croccantemente girarrostati.
“Fumo?”
“no grazie”
“Caramello?”
“no, grazie”
“zero zero? roba buona”
“no, grazie”.
I piccoli spacciatori ti ronzano attorno come mo

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   3 commenti     di: Umberto Briacco


Penny è volata dal tetto. (Cap 6)

Mi avvio con Sandro verso il centro della cloaca. Una volta c’era un kebab. Non mi dispiace l’idea.
La strada mano a mano prende colore.
Le lava asciuga automatiche sparano fuori luci blu.
Il porno shop le spara rosa. Da un tombino sale luce rossa riflessa dal seminterrato d’un locale.
Un gargoil troneggia all’angolo di una casa. Lo guardo mentre ci avviamo ad entrare nel cuore della casba. Il luogo protetto dal male, il logo dove nessuno è al sicuro, neanche Sandro, neanche marione, neanche il pitone, e noi siamo li a dimostrarlo.
Entriamo nel kebab.
Le rivendite di carne di agnello, che pallida e tagliuzzata gira spiedata all’in su sono un’altra zona sicura.
Nessuno farebbe casino in un kebab, perché è come pestare i piedi ad un’intera comunità. Devi poter reggere l’onda d’urto della vendetta. La guerra tra bande rivali da molto è finita nella casba. S’è capito che ad attaccare una comunità c’è il problema che non ne ammazzi mai abbastanza. Che la vendetta del branco arriva sempre. Tutto ciò che accade nella casba avviene tra persone. Noi contro te, io contro te, tu solo che muori o vivi, tu solo che hai fatto lo sgarro. La comunità non c’entra. Si evitano molti casini così.
-kebab, agnello e patate- ordino.
-uguale- dice Sandro.
Tutti ci guardano, siamo piuttosto pallidi rispetto al resto della clientela.
Siamo piuttosto ben vestiti rispetto al resto della clientela.
Prendiamo il nostro kebab e ci nascondiamo in un angolo del bancone sotto gli sguardi curiosi ce ci scrutano, ci spogliano, ci pesano.
- piano?- fa Sandro.
- Non so. ?" gli rispondo?" dovremmo entrare nel bordello, vedere che posto è, cerare informazioni, così ne sappiamo troppo poco.-
- E come entriamo?-
- Sei tu lo scassinatore.-
- Da davanti pare difficile. Ci sarà di sicuro qualche robocop a rompere i coglioni. Hanno detto che è un posto vip… Qualche robocop ci sarà sicuramente.-
- Da dietro?-
- Già. O dai te

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   1 commenti     di: Umberto Briacco


A sud di nessun nord

"Non diranno niente", dissi salendo le scale. "Hanno troppa paura."
Clensi mi seguì. "Come lo sai?"
"Conosco quegli sguardi."
"E che ti dicono?"
"Omertà."
"Come lo sai?"
"Da ragazzina passavo le vacanze estive in un piccolo paese della Sicilia. Tutti chiusi nei loro pensieri ottusi, le anziane sedute sui balconi o dietro le imposte. C'erano ma non le vedevi. Tutto taceva, una paese fantasma, solo le cicale rompevano il silenzio."
Poi mi bloccai e Clensi m'imitò.
"Vedo lo stesso timore in questa gente. Hanno paura di parlare", ripresi. "Hai fatto caso quando siamo passati sotto quei caseggiati?"
Clensi fece spallucce.
"Ti schivano", dissi "E l'indifferenza inizia proprio così. Con una, dieci, cento, mille tapparelle che si abbassano."
Ripresi a salire le scale, e ripetei come una maledizione. "Omertà."

   9 commenti     di: Roberta P.


La promessa

Mara entrò in casa tremante e a piccoli passi si diresse verso la cucina.
Fabiana e Asia asciugavano i piatti e intanto scherzavano ridendo. Mara rimase sulla porta.
Quando le due la videro si precipitarono su di lei.
Teneva le mani insanguinate strette fra loro come a proteggersi il cuore, macchiando l'impermeabile bianco che indossava.
"Dio mio, che ti è successo?"
Fabiana l'abbracciò e la sentì tremare, quindi la fece accomodare sul divano in salotto. Sul tavolino le due sorelle notarono un coltello insanguinato.
Dopo qualche minuto durante i quali cercarono di farla calmare, si fecero raccontare cosa le fosse accaduto.
"Aveva alzato la voce, e mi aveva picchiata di nuovo."
"Di nuovo?" domandò Fabiana.
Asia la fissò.
"Lasciala finire."
Mara riprese: "Ho preso la prima cosa che ho trovato e l'ho colpito."
Dopo una mezz'ora di racconto, Asia cercò di tranquillizzarla.
"Ascoltami, è stato un incidente, non volevi farlo."
"Tu lo sapevi?", domandò Fabiana con un pizzico di ribrezzo nella voce.
"Non è il momento", disse la sorella maggiore scandendo bene le parole.
Allora Fabiana si alzò, inclinò il viso e domandò: "E quando sarebbe il momento?"
"Non ora. Non vedi che è sconvolta?"
"Certo che lo è! La picchiava, tu lo sapevi e non hai fatto niente!"
"Basta!", esordì a voce alta Mara.
Le due sorelle la fissarono farsi piccola sul divano.
Sembrava stesse per scoppiare dalla collera, invece disse solo: "Dobbiamo andare alla polizia, e raccontare cos'è successo."
Asia non disse niente. Fabiana si sedette sul divano vicino alla sorella minore.
Le raccolse i capelli su una spalla, e disse: "Ora ascoltami: è di estrema importanza che quello che ci hai raccontato stasera non esca mai da questa casa."
Mara la fissò, gli occhi arrossati dal pianto.
"Non è possibile..."
"Lo so come ti senti, credimi, ma io non permetterò a nessuno di farti del male. Non doveva neanche azzardarsi a fare quello che ti ha fatto."
Mara p

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   9 commenti     di: Roberta P.


Fiori appassiti

" Eccomi, di nuovo, puntuale, ogni tre giorni, con i fiori nuovi, belli freschi, comprati poco fa. Non si può dire che non mi curi di te, anzi nessuna è così costante da venire qua, caldo o freddo, sole o pioggia. Sì, solo io, amore mio, in un ricordo che non si è mai spento. Di te rammento tutto: quando ci siamo conosciuti, le lunghe passeggiate insieme, i primi baci, e anche il resto. Anzi, non puoi capire quanto mi manchi il resto, come la giornata vuota lo diventi ancora di più la sera quando mi corico in un letto che è sempre troppo grande. A volte, spenta la luce, il pensiero corre al passato, alle tue mani, così prodighe di sapienti carezze, a certe notti che nemmeno abbiamo dormito. La voglia c'è, è naturale, mica sono di legno, ma resisto, soffoco il tutto in una fedeltà che non conosce crepe.
Sembra ieri che te ne sei andato, che in punta di piedi sei scomparso nell'ombra. A volte ti immagino lassù a guardarmi e quando rivolgo lo sguardo al cielo per un momento ho l'illusione di scorgere il tuo bel volto in qualche nuvoletta che spezza l'uniformità dell'azzurro. Certo che il mio amore per te è superiore a qualsiasi difficoltà, al trascorrere del tempo, perfino all'appannamento della memoria.


Sì, non c'è alcun dubbio che io abbia amato te più di quanto tu abbia amato me e per questo tu sei ancora mio, sei ancora dentro di me. Mentre io sfiorisco tu sei sempre lo stesso, come l'immagine dei giorni felici che ora mi guarda dalla fotografia con la cornice di ottone.
Io ho saputo fermare il tuo tempo e tu sei rimasto tale e quale, senza che i capelli cominciassero a imbiancare e le rughe a increspare il tuo volto, come invece accade a me.
Se questo non è amore, che cos'è allora? No, sei proprio l'uomo più fortunato del mondo."
- Zia, è ora di andare.
"Vado, ma fra tre giorni ritorno con i fiori freschi."
- Possiamo andare.
- A volte mi chiedo se stai meglio, se sei guarita; dopo così tanti anni non ti sei ancora stancata di

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L'angelo custode

Entrai in commissariato e mi diressi alla mia scrivania.
Il mio partner sbucò dal nulla e mi si affiancò.
"Dove vai?"
"Sull'isola che non c'è, e non porto bagagli inutili tipo te."
"Molto spiritosa."
Feci una risatina e continuai a camminare.
"Però prima d'imbarcarti è meglio se mi segui nell'ufficio di LoRusso."
Mi fermai.
"Perché?"
Lui mi imitò e si voltò.
"Perché ti ha scritto di nuovo."
Quando chiusi la porta, LoRusso se ne stava seduto alla scrivania, con una busta tra le mani.
Lentini si mise vicino alla finestra, ed io impaziente parlai per prima.
"Mi ha scritto di nuovo?"
"Sì, a quanto pare."
La appoggiò sulla superficie del tavolo, ed io lo seguii nei movimenti.
"I ragazzi hanno già controllato eventuali tracce o impronte", scosse il capo. "Non risulta niente."
Mi avvicinai, la fissai, e mi rivolsi nuovamente a lui.
"È aperta."
"È stato necessario per la prova delle impronte", fece una breve pausa. "Sono stato presente durante il test. Puoi stare tranquilla, nessuno ha letto niente."
Io non risposi. Estrassi il foglio e lessi ad alta voce.

<<Questa volta tocca a chi una notte osò gridarti contro così tanto da farti restare un groppo.>>
Il tuo angelo custode.

"Secondo te che significa?", mi domandò il vicequestore.
Scossi il capo. "Non lo so."
Feci qualche passo nella stanza e provai a riflettere sul suo significato.
"Forse il killer si riferisce a qualcuno che hai arrestato di notte...", suggerì Lentini.
Mi bloccai.
"Oppure a qualcuno con cui ho avuto da ridire per qualcosa d'importante."
LoRusso aggrottò la fronte. "Che vuoi dire?"
"La frase dice che mi ha fatto restare col groppo. Penso si riferisse al groppo in gola", continuai spiegando. "E il groppo in gola quando viene?"
Il vicequestore fece spallucce. "Quando si litiga con qualcuno a cui tieni."
M'illuminai. "O magari... per qualcuno a cui tieni."
"Hai in mente un nome?"
Annuii.

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   18 commenti     di: Roberta P.



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