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Racconti horror

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La vecchia casa

Sedevo sulla sedia impagliata, osservando il pavimento fatto di cotto. Risaliva ad almeno trecento anni fa, come minimo. Era inverno, penso gennaio inoltrato, infatti si era già fatto buio, pure essendo solo le sette di sera.
Il camino era accesso ed il ciocco crepitava, come se dentro ci fosse l'anima di una strega condannata al rogo che ancora gridava la sua maledizione, verso coloro che l'avevano condannata. Vidi con la coda dell'occhio, qualcosa muoversi velocemente. Pensai ad un topolino. Le vecchie case, hanno sovente di questi ospiti. Guardai meglio. Non vidi nulla. Ricominciai a leggere. Leggevo un racconto di Edgar Allan Poe, "Il gatto nero". Era molto avvincente, anche se mi dava dei brividi lungo la schiena. Ancora una volta, quell'ombra rapida, corse lungo il pavimento. Posai il libro sul tavolo. Guardai a lungo. Ancora nulla. Eppure l'avevo vista! Tornai a leggere. Arrivai quasi a metà del racconto. E stavolta sentii come un soffio lungo le gambe. Mi sporsi a guardare e vidi questa lunga ombra nera correre sul pavimento. Si fermò sotto un pesante tavolo, usato per conservare le pentole in quella vecchia cucina. Rimasi pietrificato dal terrore. Senza muovermi e con il libro ancora stretto tra le mani, portai lo sguardo sotto quel tavolo. Mi sembrava di vedere, confusamente, un serpente. Era nero come la pece. Lungo e grosso. Sembrava pulsare. Lo guardai attentamente. Aprì la bocca, anzi la spalancò e mi mostro le sue enormi fauci, rosse come la brace del camino, che nel frattempo ardeva con violenza inconsueta. Afferai la scopa, con l'illusione di ucciderlo o, perlomeno di metterlo in fuga. Appena mi avvicinai, alzò la testa, spalancò ancora una volta la bocca, come se volesse attaccarmi e disparve. Mi era stato detto che in quella casa erano morte tante persone e qualcuna anche di morte violenta. Il serpente non era qualcosa di materiale, non apparteneva al nostro mondo, ma al mondo dei morti, agli Inferi. Poteva anche essere, pensai,

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   3 commenti     di: Fiscanto.


La casa degli spiriti

Mio zio Ernest è morto. Lo hanno seppellito la settimana scorsa."
"Oh, mi dispiace. Lo stimavo molto..."
"Ho ereditato la sua casa. Vieni a vedere cosa te ne pare. Ho deciso di trasferirmi là appena mi scade il contratto dell'appartamento."
É una sera di febbraio con vento e nevischio e dopo questo incontro camminiamo insieme verso l'abitazione che si trova qui vicino. Lasciata la piazza ci immettiamo in una via secondaria malrischiarata, fiancheggiata da alberi.
La casa è una delle ultime in fondo alla via. Si vede subito che è abbandonata. Dalle imposte chiuse non esce un filo di luce.
Il mio amico Gregor tira fuori alcune chiavi e nell'oscurità lo sento armeggiare con la porta.
"Strano... La serratura deve essersi inceppata..." lo sento dire.
Io mi avvolgo di più nel soprabito in attesa di entrare.
Uno scatto e un cigolìo. Entriamo nel buio. Gregor gira l'interruttore e due lampadine fioche si accendono ai lati. Siamo in una saletta gelida con sedie di vimini, un cappello appeso a un attaccapanni di legno, la tappezzeria a fiori che cade in pezzi. Una finestra sbatte al piano superiore.
Camminando sulle mattonelle che si muovono visitiamo per prima la cucina. C'è una vecchia credenza con la bottiglia di whisky mezza piena e le briciole secche di pane. Dal camino spento proviene l'odore della fuliggine.
"Quando si è ritirato dall'allevamento del bestiame, mio zio si è dedicato al giardinaggio. I suoi stivali, la sua pipa..."
C'è anche una piccola cantina con ceste di legna e un ceppo con la mannaia.
Lasciati quegli ambienti entriamo in uno studio impregnato da un forte odore di tabacco. Sugli scaffali e nelle vetrine ci sono molti libri con la copertina nera che trattano di spiritismo. Sul tavolo c'è un tabellone spiritico, una tavoletta ouija, pile di registri scarabocchiati, un candeliere, gli occhiali...
"Mio zio faceva una vita molto ritirata."
Poi si avvia a salire i gradini per farmi vedere il piano superiore, ed io lentamente lo s

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   2 commenti     di: sergio bissoli


La strega

La vecchia Peggy morì in un nebbioso pomeriggio di fine dicembre. Era piccola e zoppa e la gente diceva che per tutta la vita aveva fatto le stregonerie.
La sua casa quel giorno è grigia e fredda. I pochi parenti venuti per il funerale sono in attesa, in piedi nella piccola cucina.
Io sono stato uno dei pochi a vegliare la salma e ad assistere agli spaventosi fenomeni che si sono verificati.
Alle quattro e trenta della sera una nebbia densa fuma per la via impedendo di vedere a pochi metri.
Chiudiamo le imposte e mettiamo il catenaccio alla porta della cucina che comunica con il portico di lato, pieno di buio e nebbia. Il freddo è fastidioso nonostante l'umidità fuori che rende opachi i vetri.
Il cugino Jerome lavora per accendere una stufetta di ferro mentre lo zio si frega le mani per riscaldarsele. La parentela fra noi è molto lontana e ci conosciamo poco. Le foto ovali appese alle pareti sono di personaggi con baffoni e donne d'altra epoca morti tanto tempo prima cosicché nessuno li ricorda.
Finalmente arriva un po' di calore.
Zia Betta, la sorella di un cognato della morta deve andare via e si fa accompagnare dallo zio, così restiamo io e il cugino. Egli, un uomo di quarant'anni con baffetti e cravatta sta seduto rigido sul divano.
Un poco più tardi sentiamo dei rumori di ferraglia di sopra e decidiamo di andare a vedere. La scala di legno è stretta e ripida. La casa è formata di tre stanze: una sotto e due al piano superiore dove è stata composta la salma.
La lampadina posta sopra la testa della morta si accende e si spegne a intervalli irregolari. Giro più volte l'interruttore ma questo non serve.
Il cugino Jerome scende in cucina perché quassù il freddo è intensissimo ed io lo seguo. Il suo volto è nervoso e molto pallido.
Nuovi rumori, questa volta come di porte che vengono aperte o armadi che vengono strascicati mi costringono a risalire.
Il velo con cui è ricoperta la salma è pieno di macchie marrone. Odore acido ristagna n

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   1 commenti     di: sergio bissoli


MYSKI 2 - La polizia

Mi alzo dal letto, sono nudo e tutto sudato, la puzza del Myski corpo è insopportabile. Sembra di sentire l’odore dei maiali che tutta la notte hanno urlato nel mio sogno. Sono stanco, le mani mi fanno male. Fatico a camminare come se avessi lavorato una notte intera. Mi guardo intorno, vedo il pigiama poggiato sulla sedia ancora piegato. Cerco di ricordarmi il motivo per cui non l’ho indossato, ma niente... non ricordo niente... sembra mancare dalla mia mente l’ultima settimana trascorsa. Vado nel bagno, mi guardo allo specchio. Il volto scuro… scavato, mettono in risalto gli occhi arrossati e lucidi. Mi passo una mano sulla faccia per asciugare il sudore… la guardo...è macchiata di sangue. Torno di colpo a guardarmi allo specchio, ma non ho ferite… mi controllo bene… ma niente… tutto ok.
Forse non riesco a vedere niente per la stanchezza.
M’infilo sotto la doccia ed apro l’acqua spostando la leva sul lato rosso. Mi punto il getto dritto in faccia. Sto fermo pochi istanti ad occhi chiusi ed abbasso il capo in modo da far correre l’acqua bollente sui capelli. Apro gli occhi e guardo il piatto della doccia, l’acqua scende colorata di rosso. Cerco di capirne il motivo, ma sul corpo non trovo tagli o altre cause che spieghino il sangue che ho addosso. Ricordare qualcosa di recente non mi riesce. Mentre l’acqua scende e il vapore ha ormai saturato il bagno, sento il cellulare sul tavolo in cucina squillare, ma non mi sfiora il pensiero di andare a rispondere nemmeno per un istante. Non mi viene neanche la curiosità di pensare a chi possa essere.
Chiudo il rubinetto e, ignorando completamente il suono del telefono, esco dalla doccia e prendo un paio di asciugamani dal cassetto, uno me lo avvolgo in vita e con l’altro inizio ad asciugarmi dirigendomi verso la camera da letto e lasciando al mio passaggio piccole pozzanghere d’acqua per ogni passo percorso nella casa.
Mi siedo sul letto e mentre passo l’asciugamano tra i capelli vedo

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Ogni notte

Mi chiamo Tom, ho 18 anni e qualcosa da dirvi.
Sono sicuro che molti di voi, anzi, tutti hanno almeno sentito parlare di fantasmi, vampiri, streghe, lupi mannari...
E sono sicuro che buona parte di voi è scettico circa queste creature, penserete che esse popolino solo le fiabe e le storie dell'orrore, che sono frutto della superstizione e della fantasia dell'uomo, e penserete che di sicuro non possono esistere creature simili.
Io non ho mai creduto a tutto ciò, fin da piccolo. I miei genitori mi dicevano sempre che non esistevano spiritelli e mostriciattoli dalle gambe lunghe, io non ho fatto altro che ascoltare i loro insegnamenti, senza pensarci neanche troppo su.
Ma un anno fa, in uno dei tanti pomeriggi d'estate, successe qualcosa che ha cambiato la mia vita per sempre, qualcosa che terrò impresso nella memoria, fino alla morte.
Sono sempre stato un ragazzo calmo, a avevo sempre buoni voti, praticavo il pugilato e avevo una ragazza. Vi sarete accorti che ho appena parlato al passato. L'ho fatto perché dopo quell'evento, dopo aver visto con i miei occhi qualcosa di cui ho sempre ignorato l'esistenza, io non sono più un ragazzo calmo; a scuola non ho più bei voti, non pratico più il pugilato e ho perso la mia ragazza.
Ogni notte, prima di andare a letto, ho dei "flash" che mi fanno rivivere quel tragico pomeriggio. Sento ancora il sudore sulla mia pelle, sento i fasci di erba e spine intrecciarsi tra le mie gambe facendomi sanguinare e sento ancora le urla...
A volte mi domando se riuscirò ad andare avanti, a volte mi sembra persino di aver dimenticato, forse mi capita di sorridere. Ma ogni notte la morte viene a farmi visita; si ferma ai piedi del mio letto, riesco a sentirne l'odore, e ammetto che spesso ho desiderato andare da lei e porre fine al mio dolore per sempre.
Ma dentro di me, qualcosa mi ferma, mi dice di non farlo, mi dice di continuare a soffrire e raccontare agli altri affinché tutti sappiano. Beh, io do ascolto a quel qualcosa, l

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Ossa spolpate

Le ruote del trolley divorano le piastrelle. Il rumore echeggia nel corridoio vuoto.
Mi brucia l'esofago. Soffoco un rutto che sa di wurstel stantio. Cinque anni di andirivieni non mi hanno insegnato a preferire cibi leggeri.
Un fischio mi risuona nel cranio. Il soffitto vibra: lo sferragliamento del treno sovrasta il rumore del trolley.
Torna il silenzio. La stazione di Zanori non è mai stata così tranquilla di sabato sera. Una volta ci hanno ammazzo uno, sparandogli in testa, o al petto. Mia madre è sempre molto vaga quando parla del suo lavoro.
L'ugola mi sfiora la lingua: deglutisco. Normale avere un po' di nausea dopo dieci ore di viaggio, domani mattina starò bene.
Il telefono vibra dentro la tasca dei pantaloni. Lo prendo con la mano libera: sullo schermo c'è un messaggio di mio padre. "Sto per partire." Anche se prendesse la via che passa davanti alla scuola, ci vorranno almeno dieci minuti prima che arrivi.
Imbocco la rampa. In alto la bocca del sotterraneo si spalanca sul cielo nero.
Salgo e tiro il bagaglio sul gradino lercio.
Il vento ulula attraverso l'apertura. L'aria mi raffredda il naso, le guance, il palato. La gola si stappa. Che sollievo!
Emergo dal sottopassaggio. Tiro sul marciapiede la scatola con le rotelle e sospiro, rilasciando una nuvoletta di vapore. Per fortuna ho messo i pantaloni e la giacca di pile prima di scendere.
In fondo alla piazza buia, le finestre gialle di una palazzina illuminano i contorni del marciapiede, della fontana e della statua della Vecchia Sdentata con il naso di ferro che esce adunco dalla silhouette scura.
Mi si increspa la pelle della nuca. Spenti i lampioni, potevano almeno rimuovere questa befana: al buio mette i brividi.
Il telefono vibra. Infilo la mano nella tasca calda. Deve essere mio padre.
Sullo schermo c'è un messaggio di SpizzichidiBontà: La ringraziamo di aver lavorato con noi e le auguriamo un buon viaggio. Quanta premura! Se mi aveste pagato gli straordinari, avrei continuato a

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   0 commenti     di: Samuele


Come i maiali

"Lei sta insinuando che io sto mettendo all'ingrasso mio figlio per...". Il signor Foster sembrava indispettito e divertito allo stesso momento. I suoi denti bianchi lo guardavano e Matt guardava i suoi denti bianchi.
'Si, è quello che sto dicendo', pensò Matt. Anche se adesso non ne era più molto convinto; anzi, iniziava a sospettare della sua stessa sanità mentale. Come gli era potuta venire in mente un'idea del genere? 'È solo uno dei tanti bambini obesi che popolano la nostra città anche se prima era magro come un chiodo e sorrideva sempre'.
Il poliziotto lo guardava con aria divertita. Aveva ricevuto una chiamata dalla stazione dieci minuti prima: bambino in pericolo o qualcosa del genere. Aveva acceso le sirene e si era precipitato sul posto. Ora si stava grattando la fronte, in evidente imbarazzo. "Signore, farò finta che questa chiamata non sia mai arrivata. Lo sa che potrebbe passare un brutto guaio se il signor..."
"Foster". Denti bianchi famelici.
"... se il signor Foster decide di denunciarla?" Il poliziotto guardò Matt. Il suo sguardo di comprensione era lo sguardo di comprensione che si rivolgeva di solito ad un pazzo, ad uno da rinchiudere, la tipica persona che vostra nonna affetta da uno stato avanzato di Alzahimer non ci penserebbe un attimo a definire 'strano'. Questo sguardo infranse per un momento tutte le convinzioni di Matt.
"Io... ecco...", aveva la gola secca. "Penso che... no, no, lasciamo stare, chiedo scusa, mi scusi tanto".
Matt si girò e tornò verso casa a testa bassa. Solo quando la porta fu chiusa alle sue spalle iniziò a provare un po' di sollievo e la convinzione di quello che aveva fatto (chiamare la polizia per denunciare un tentativo di omicidio) riprese vigore in lui.
Aveva le prove, e anche se non poteva dimostrare facilmente quello che il signore e la signora Foster avevano intenzione di fare a loro figlio... be, qualcosa avrebbe fatto. Aveva visto la metamorfosi del bambino, il suo corpo gonfiarsi di g

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