(Nona)
(Sei mesi dopo)
Toby scodinzolò felice quando vide Alys alzarsi dal letto.
Il suo viso era parzialmente tumefatto; le mani e le braccia pure.
Strani lividi le percorrevano la pelle;
in su ed in giù fino alle costole ed in parte anche sul collo.
Alys sorrise a Toby.
"Ciao amore mio come stai oggi?" Chiese.
Il cane abbaiò qualcosa che lei non comprese.
"Immagino bene! Dove sono i vetusti?"
Il cane mosse la testa come se un dubbio alla domanda si esternasse solitario nella sua coscienza di cane;
poi scodinzolò;
Si diresse verso la bambina e si strusciò a lei.
"Sono Giù con Fromm vero?" Chiese ancora.
Poi dei passi interruppero ogni ulteriore quesito.
Quell'uomo entrò in camera; osservò la bambina e le sorrise
"Ciao Alys! Come andiamo oggi?" Domandò.
"Guarda te Fromm! Lividi e cicatrici dappertutto!" Rispose allegra.
"Si! Non male direi! Sei pronta?" Chiese quasi titubante.
Alys lo guardò e poi gli disse:
"Io sono sempre pronta! Ma sei sicuro che anche i miei lo siano?"
"Cosa ti fa pensare il contrario?" Chiese l'uomo un po preoccupato.
"Lo sai Fromm! Lo sai Benissimo anche se non ne parliamo apertamente!" Si fermò mentre l'uomo abbassava la testa.
"Non è così facile fargli comprendere dove devono venire!" Concluse.
"Lo so mia Cara Alys! Lo so.
Ma come già spiegato innumerevoli volte, loro devono capire; devono vedere il male che ti affligge con i loro occhi.
"Sono ormai quasi sei mesi! Credo" Apostrofò la bambina.
"Sei mesi esatti! Confermo!" Disse L'uomo.
"Perché non spieghi loro tutta la verità?" Chiese Alys
"C'è una procedura! Te l'ho sempre detto!" Ribadì quasi alterato.
"Una procedura da seguire!" Poi si voltò verso il cane e lo accarezzò.
Toby leccò la mano dell'uomo con naturalezza.
"Ah! Caro Toby! Potessi aiutarci te!" Disse Alys.
"Non si sa mai! In fondo qualche lezione l'ha seguita!" Fromm sogghignò con una smorfia.
"Lezioni? Quelle?" Alys fece spallucce.
"Si Alys! Per entrare in sintonia con
Non ce la faccio più a frequentare la mia classe. Non ce la faccio più a essere continuamente preso in giro.
Ogni volta che esco da scuola ringrazio Dio che sia finita...
Tutti mi offendono continuamente solo perché non indosso un paio di Jeans!!!
Tutti i ragazzi della mia età li indossano... tutti tranne me... che indosso uno squallido paio di pantaloni marroni che si usavano cent'anni fa...
Sembro un vecchiardo!!! Vorrei tanto un paio di Jeans... ma mia madre non me li vuole comprare poiché non vuole spendere soldi in "cavolate"...
Maledetti... Chi se ne frega di come si è vestiti...
Se non sei vestito come loro sei fuori dal gruppo... sei una nullità... questi falliti che non faranno mai niente nella vita si credono superiori solo perché indossano dei Jeans!!
Oddio mio... non ce la faccio ad entrare... non si rendono conto di quanto una parola possa ferire... che schifo... ma devo entrare... sono mancato già tantissimi giorni da scuola non posso mancarne altri... devo combattere... se voglio fare qualcosa nella vita al contrario di questi idioti... tutti uguali... tutti vestiti uguali... Jeans... Jeans... vedo Jeans dappertutto...
Ok entro...
-We ciao sfigato... wow quei pantaloni marroni ti identificano perfettamente in quello che sei aahahahahha-
Non ho manco oltrepassato la porta della classe che subito qualcuno mi offende... si divertono a colpirmi... a farmi sentire inferiore... ma quelli più bastardi in assoluto sono tre... se gli altri dopo un po' si fermano... loro no... loro mi torturano continuamente... non hanno limiti...
Stanno sempre insieme... pronti a insultarmi per ogni cosa... Giovanni, Matteo e Cristiano... ma la cosa più grave è un'altra... due stanno nei banchi dietro di me... e l'altro sta nel banco attaccato al mio... è una cosa terribile... lo ha fatto mettere la professoressa vicino a me poiché vedeva che ero sempre solo come un cane e voleva farmi socializzare con i miei compagni.
Sto malissimo... mi tirano cazzo
Sono chiuso in casa da nove giorni. Non posso uscire. Mia moglie mi ha chiuso dentro, anche se sarebbe meglio dire che mi ha sepolto a marcire in questa vecchia casa. Tra un po' le scorte di cibo si esauriranno e non so quanto potrò tirare avanti senza mangiare. Dicono che si può resistere diversi giorni senza cibo, ma non senza acqua e qui le bottiglie stanno svanendo in fretta. Le tubature sono intasate, i rubinetti sono a secco e non lasciano cadere nemmeno una maledettissima goccia. Credo anche di sapere il motivo. La mia dolce mogliettina ha pensato proprio a tutto. Pensavo che uccidendola avrei risolto tutti i miei problemi - e anche i suoi, perché era veramente strana - invece mi sono dovuto ricredere. Soprattutto all'inizio ho fatto fatica a credere a quello che stava succedendo in questa casa e che ormai ha quasi raggiunto il suo epilogo, ma la conclusione a cui sono giunto, per quanto possa sembrare incredibile e fantasiosa, è l'unica che abbia senso. Sono bloccato a letto da un lancinante mal di schiena. La fascia lombare mi ha sempre dato fastidio sin dall'adolescenza, ma un dolore così paralizzante non lo avevo mai sperimentato. Tanto vale che utilizzi questo poco tempo che mi resta per raccontarvi tutto.
Ho sposato Rudy perché era ricca. Era bruttina, slavata e piatta come un foglio di carta. Quando l'ho conosciuta, a una festa da amici, aveva trentadue anni e stando alle voci che giravano, era ancora vergine. Il pensiero di passare una notte con lei non aveva sfiorato nessuno che avesse ancora due occhi funzionanti. In quel periodo me la passavo male. Avevo perso tutti i miei soldi in borsa e in più dovevo ancora un mucchio di soldi a uno strozzino per certe scommesse sulle partite di baseball. Prima del crollo della borsa ero fidanzato con una bella ragazza di Boston con cui avevo deciso di sposarmi. Avevamo già comprato casa, grazie anche a una generosa donazione da parte dei suoi genitori. Due brave persone, molto facoltose e molto ingenue
"Buona sera dottore".
"La vedo più tranquillo, è riuscito a concludere?"
"... Sì, direi di sì".
Lo psicoanalista lo guardò negli occhi aspettando. Questa volta Filippo si era seduto nella poltrona di fronte a lui, era più calmo, il tono muscolare precedentemente rigido aveva ceduto il posto ad un corpo rilassato, a suo agio. Accavallò le gambe, allungò la mano sulla scrivania e cominciò.
"Non ero del tutto convinto ma, ho fatto come mi ha detto lei. Sono tornato a Montespertoli da mia nonna e ho cercato, ho frugato ovunque. Niente di particolare. Allora sono salito in soffitta, là mia nonna teneva le cianfrusaglie che non voleva buttare via, anche lì solo mobili e vecchi oggetti. C'era un grande baule con un lucchetto che mi ha incuriosito, non le sto a raccontare quanto ci ho messo per rompere quel lucchetto; ne è valsa la pena, purtroppo." Sospirò.
"Ancora non ci posso credere. Uno vive trentacinque anni con le sue sicurezze, le sue consapevolezze e... basta un baule per capire che io non so niente di me, NIENTE, su chi credevo di amare."
Il dottore non proferì parola, questo caso l'aveva incuriosito da subito. Non era il classico depresso o mitomane; aveva annusato immediatamente l'aria di mistero intorno a Filippo.
"All'inizio ho visto delle vecchie foto di mio padre insieme ad una ragazza, ho subito pensato ad una relazione precedente a quella con mia madre. Una ragazza carina, mora con uno sguardo dolce e le dirò, più la guardavo e più mi veniva da pensare che, in qualche modo lei avesse più affinità con me, rispetto a mia mamma.
Sembravano felici, almeno lei, sì.
Poi, nascosti sotto, dei ritagli di giornali che parlavano di una ragazza misteriosamente scomparsa. Era di qualche paese più in là, viveva con la zia e un giorno non fece più ritorno. Quella ragazza era la stessa della foto, mio padre la conosceva! Non volevo crederci, oppure, non potevo crederci!
Si chiamava Viviana e aveva ventiquattro anni.
Ho pensato che mi
La ragazza ebbe solo il tempo d'intravedere un'ombra. Un braccio possente le serrò la gola mozzandole il respiro, mentre l'altro le strappava con furia il cellulare che, sino a un attimo prima, teneva incollato all'orecchio. Lo vide volare a parecchi metri di distanza per frantumarsi poi al suolo. Cercò disperatamente di girare la testa ma la morsa che la teneva bloccata era ferrea, decisa. - Non fiatare... - Due parole secche e perentorie che bloccarono ogni sua velleità di reazione. La piazza, in quella serata di fine novembre era quasi del tutto deserta, persone per lo più solitarie l'attraversavano frettolose, probabilmente ansiose di tornare alle proprie abitazioni. L'uomo la spinse lentamente ma con decisione verso il vicolo che separava l'imponente mole del Duomo con l'altrettanto maestoso edificio del Battistero, di forma ottagonale. La scarsa illuminazione li fece avanzare praticamente alla cieca, ma l'uomo sembrava molto sicuro della direzione da prendere. Dopo alcuni metri infatti s'arrestò di colpo serrandole ancor di più il braccio attorno al collo, alcuni pallini colorati le balenarono dinanzi agli occhi, temette di svenire. Fu un suono metallico a farla riprendere dal torpore, l'uomo stava frugando nelle tasche... chiavi... pensò lei. Con quel poco di movimento che le permetteva la posizione cercò di individuare una porta, ma non vide nulla... solo buio. Sentì l'uomo imprecare più volte, poi d'improvviso fu spinta con violenza contro la parete. Il contatto con i freddi mattoni fu tremendo, pur riuscendo con un braccio ad attutire l'impatto, parte del suo volto subì un colpo tale che la lingua le si chiuse tra i denti. Il dolore lancinante fu seguito subito dopo dal sapore metallico del suo stesso sangue. Quando cercò di sputare, un paio d'incisivi rotolarono a terra, nel buio del vicolo risaltarono candidi come solo i denti ben curati possono essere. Poi l'uomo la riprese. Questa volta furono i capelli ad essere afferrati c
[continua a leggere...]Una volta al mese, per ordine di una vecchia zia, vado a pulire la tomba di famiglia nel piccolo cimitero di Rover.
È una giornata di settembre mentre percorro la stradina di campagna che porta al cimitero. Due vecchi intabarrati procedono lentamente. I gatti si scaldano al sole ormai basso. Lungo i fossi oscillano grandi fiori gialli.
Arrivato sulla tomba butto via i fiori secchi, cambio l'acqua e con uno strofinaccio incomincio a pulire le lastre di marmo.
Un tizio con la penna in mano sta davanti alla tomba vicina. È vestito di scuro e porta grossi occhiali da miope.
Spinto dalla curiosità, prima di andare via gli chiedo:
" Ha i suoi morti sepolti lì?"
"No, non ho nessuno. Io vengo qui solo per imparare..."
"Imparare che cosa? La brevità della vita?"
"Sì, ma non solo questo. Qui siamo vicini al mistero della morte..."
Fa una pausa prima di continuare: "Lei non si è mai chiesto dove va a finire la personalità dell'individuo: tutte le sue esperienze, le conoscenze, le emozioni, le sensazioni..."
"Finiscono tutte con la morte del corpo."
"In natura nulla si distrugge e tutto si trasforma. Il corpo fisico durante la vita si trasforma in corpo psichico. Quando il corpo fisico muore il corpo psichico sopravvive..."
Poi l'uomo si sposta davanti a un'altra tomba e io vado via.
Il mese dopo, in ottobre, percorro la stradina tortuosa del cimitero. Una nebbia grigia ristagna sotto i pioppeti ingialliti.
Il cimitero ispira desolazione. Ci sono vasi rovesciati, fosse allagate da cui proviene l'odore della terra marcita. Davanti al casotto del becchino c'è una vanga interrata e uno scopino per il cesso; alla sinistra un cartello pubblicitario della luce votiva.
L'uomo con gli occhiali sta guardando la foto ovale di una ragazza col viso triste e gli occhi grandi. Mi fermo per salutarlo e lui commenta:
"Guardi questa ragazza. Sembra troppo fragile per affrontare le durezze della vita."
"È vero. Chissà che storia dolorosa c'è dietro!"
"Nessuno ha mai
Una luce celestognola ristagna nel vicolo deserto. Il sole di marzo si abbassa dietro alle case in strisce di luce gialla.
Il vento seguita a soffiare portando sbuffi di fumo dai comignoli. Cammino costeggiando le case basse e grigie dove sui tetti si arrampicano i gatti.
A metà il vicolo gira a gomito e c'è un paracarro piegato. Una lampada pendente oscilla sbattendo contro i tralci secchi dei glicini. Fra i ciottoli ci sono pozzanghere di liquido scuro.
Sta arrivando la sera. Una foschia violacea scende nel vicolo lasciando solo i colori lividi della luna. Con la sera arriva una nebbia grigia che si mescola al fumo creando effetti di magia.
Una ragazza esile sta appoggiata alla porta di casa. Ha un viso luminoso con le lunghe trecce che mi incanta e mi turba.
Mi fermo per chiedere un'informazione e restiamo lì insieme quasi tutta la notte.
Si chiama Lavinia e fa la cucitrice di tela.
La luna piena corre fra i comignoli, sale sul vicino campanile e attraverso i finestroni illumina la ferraglia dell'orologio. Un cagnolino piccolo e bianco abbaia. Avanza annusando il terreno e striscia lungo il muro come impaurito. Poi a un tratto corre di ritorno con guaiti di dolore.
***
Ormai Lavinia è entrata nella mia vita. Le sere successive per tante altre volte vado a trovarla.
Ma una sera arrivo in ritardo. Perdo il treno e sono costretto ad aspettare l'ultima corriera.
Sono terribilmente in ritardo. L'orologio del campanile batte mezzanotte mentre entro nel vicolo dalla estremità opposta.
Ad un tratto vedo Lavinia di spalle come non l'avevo mai veduta prima d'ora: è magra, con un vestito sbrindellato. Fa strani gesti e con una bottiglia sparge un liquido nero.
Mi fermo a guardarla mentre saltella di qua e di là emettendo parole roche.
Ma la ragazza accortasi di me si arresta subito dopo. Il suo viso ha una smorfia cattiva. Lancia grida stridule, che finiscono in un pianto acuto. Poi corre in casa sbattendo la porta.
Lentamente ritorno indietro cammina
Questa sezione contiene storie dell'orrore, racconti horror e sulla paura