Nel gelido crepuscolo di novembre la vecchia fiera di Stellara è composta di bancarelle dei dolciumi, spazzacamini, burattinai, ombrellai...
Io sono venuto per andare dalla vecchia Martha affinché provi a guarirmi il mio male al petto. Chiedo di lei a un contadino che sta spaccando la legna.
"Lei sa dove abita la vedova Martha?"
"Sicuro che lo so. Abita laggiù, dove cresce la saggina, insieme a quelle altre..."
"Perché? Che cosa fa?"
"Fa le stregonerie. Lei e le vecchie Diana, Viviana e Gelsomina hanno passato la vita a rovinare i raccolti, far ammalare uomini e bestiame e a scatenare temporali. Bisognerebbe bruciarle! Spero che ricevano tutta la sofferenza che si meritano!"
La nebbia cade sul villaggio. Sapevo che la vecchia Martha ha fama di essere una strega.
Percorro la via principale, talmente stretta che le streghe si potrebbero graffiare stando alle finestre. Poi la strada prosegue in campagna. Gelsi e salici vecchissimi, piegati e squarciati che sembrano piantati dal diavolo.
La sua casetta è vicino a cespugli di rosellina selvatica. Un cardo è piantato davanti alla porta di casa.
All'interno sono appese pentole e vecchie litografie di fiori e animali. Un pappagallo tetro mi guarda dall'alto.
Sul tavolo ci sono chiodi storti, spilli, uncini. La vecchia piccola e magra li innaffia con il liquido di una boccetta. Ha il viso bianco, labbra e occhiaie nero viola.
"Entra. Ti aspettavo."
Le spiego brevemente dove mi fa male. Mi fa intingere un dito nell'olio e lasciare cadere alcune gocce in un pentolino d'acqua.
"Le gocce si disperdono..." borbotta.
Mi porge alcuni grani di frumento da buttare nell'acqua. I grani cadono a fondo e lei mormora:
"Sei stato affatturato."
Allora mette un pentolino d'acqua a bollire sul fuoco. Vi butta dentro cenere, polveri scure e si mette a borbottare strane parole. Prende un fazzoletto rosso con una estremità annodata e lo striscia per terra disegnando un cerchio intorno a me.
Nel silenzio della cucina si od
Era notte quando io e Lucas giungemmo a quella ripida salita. Quella sera volevamo provare una nuova e bizzara esperienza, con un gruppo di amici: una seduta spiritica in un vecchio castello, immerso tra le montagne trentine, appartenuto ad un nobile locale del XVII secolo, che si diceva, fosse sceso a patti con il diavolo: avrebbe venduto la sua anima al principe delle tenebre in cambio della vita eterna, e del potere assoluto. Il patto venne siglato, e il nobile arrivò a vivere fino all'età di 100 anni, senza invecchiare in un giorno. Inoltre si dice, che i poteri magici dati dal demonio, andavano aldilà di ogni immaginazione: gli abitanti del paese vicino, rumoreggiavano che fosse capace di muovere oggetti a suo piacimento con la sola forza della mente, alcuni servi dicevano di averlo visto muovere tavoli, lampade, armadi, quadri, senza nemmeno sfiorarli. Altri addirittura, dicevano che fosse in grado di manipolare il tempo, attribuendo a lui gli improvvisi cambiamenti climatici che si registrarono nella valle in quel tempo: era talmente inebriato dal suo potere, da credersi un dio. Ma una notte, il diavolo mancò fede al patto: fece sparire tutta la famiglia del signore, dopodichè si materializzò davanti a lui, tuonandogli ghignante che da quel momento in poi avrebbe continuato a vivere la sua eternità in quel castello, non più da vivo, ma da morto. Da quel momento, il nobile scomparve per sempre, e con lui tutta la sua famiglia e la sua dinastia. Nessuno dei loro corpi venne mai ritrovato: questa strana scomparsa era riportata negli annali del paese, mentre la leggenda era soltanto tramandata oralmente tra gli abitanti della valle. Leggenda o verità, di fatto quel maniero non venne mai più visitato da nessuno per secoli. Durante le due guerre mondiali, divenne rifugio per italiani, partigiani, e infine per nazisti in fuga. Nessuno di loro tuttavia, si dice, una volta entrato, ne uscì più. Soltanto uno, un caporale nazista: si dice che scese dal c
[continua a leggere...]Siamo in un piccolo villaggio francese, alla fine dell'800. Una sera un ragazzo di nome Michel si recò a un ballo e lì conobbe una bellissima ragazza con un vestito bianco.
Il giovane fu colto da un colpo di fulmine e passò l'intera serata a danzare con la fanciulla per sapere ogni cosa su di lei. A un certo punto, vedendola tremare, le prestò il suo cappotto e le offrì un caffè per scaldarsi. Accidentalmente, ballando, un altro ragazzo urtò la spalla della ragazza, rovesciando un po' di caffè sul soprabito e macchiandolo.
A mezzanotte la giovane chiese al suo corteggiatore di portarla a casa dicendo di abitare nei pressi del cimitero.
Michel, ormai pazzo d'amore per lei, disse che l'avrebbe accompagnata volentieri. i due ragazzi uscirono dal ballo e si incamminarono nelle nebbiose strade del villaggio, dove non c'era nessuno. A un tratto la fanciulla disse di fermarsi: erano proprio davanti al cancello del cimitero.
Nonostante l'inquietudine data dal luogo, Michel immaginò che la ragazza fosse figlia o parente del custode, di cui intravedeva la casa accanto al cimitero. Il ragazzo chiese alla giovane di dirgli il suo nome; lei dopo un attimo di silenzio rispose: "mi chiamo Monique Rose Terry". Michel ormai innamorato, si chinò per baciarla, ma lei si tirò indietro. "Ti ripago il favore" gli disse misteriosamente "perché sei stato gentile e mi hai prestato il cappotto". Detto ciò si voltò e sparì tra le tombe.
Il giorno dopo, Michel tornò al cimitero a cercare Monique. Bussò alla porta del custode.
Gli aprì un uomo anziano e il giovane spiegò di aver riaccompagnato, la sera prima, una ragazza con un vestito bianco e un cappotto da uomo macchiato di caffé.
L'uomo gli rispose che nella sua casa non c'è nessuna donna, ma che su una delle tombe aveva trovato un soprabito maschile. Michel chiese di vedere il luogo, e il custode lo condusse a una maestosa cripta.
Sulla tomba era deposto il suo cappotto, con un biglietto "grazie, ma tornerò a
"Siamo ciò che mangiamo!".
Quel barbone ripeteva questa insignificante frase ogni volta che gli passavo davanti, eppure gli davo sempre qualche spicciolo, con l'intento di comprarmi il suo silenzio, odiavo essere disturbato e fermato per la strada, raramente mi trattenevo a chiacchierare con gli amici, anche perché di amici non ne avevo e non ne volevo, neanche persone sdolcinate, mmmm ragazze dolci che ti chiamano amore, che ti danno carezze, decisamente no, non è mai stato di mio gradimento.
Continuai a scendere per la strada del borgo, poi entrai in una macelleria, decisi di comprare qualcosa da cucinare. Vidi un sogno, lì tra il vetro del bancone, ancora unta di rosso, una splendida testa integra di vacca, il sangue fresco le colava ancora dal collo a brandelli, tranciato (mi piace pensare) da colpi di macete.
Chiesi al macellaio: "Voglio quella!".
Il macellaio: "Le tolgo il cervello e gli occhi?!"
Matteo: "No! per l'amor di Dio non osi compiere un tale scempio, prendo tutto!".
Il macellaio prese una busta grande in plastica trasparente, vi avvolse la testa in carne viva del bovino e gliela consegnò in un sacchetto.
Il macellaio: "Per lei non prende nulla?!"
Matteo: "No grazie!"
Il macellaio: "Arrivederla allora, oggi il suo cane farà festa, eh sì sì festa ah, beh"
Matteo prese la busta e si diresse a casa, era solito fermarsi al bar vicino la stazione per un aperitivo prima del pranzo, ma oggi fece una eccezione, il commento del barbone da qualche giorno lo irritava.
Matteo era un ricco imprenditore milanese, da qualche anno si occupava di case, gli bastava affittare le sue per vivere in completa agiatezza. Aveva però un difetto, non amava le persone, che con gli anni lo avevano cambiato tantissimo, ma nonostante il suo pessimo rapporto con la gente continuava a gestire lui stesso le sue proprietà.
Tornato a casa sbatté con forza la testa del mammifero contro il muro del corridoio, le ossa del cranio si ruppero e s
“…: io dico di Beatrice;
tu la vedrai di sopra, in su la vetta
di questo monte, ridere e felice”
DANTE ALIGHIERI
Se non recassi ancora un segno tangibile degli strani eventi da me vissuti in quel pomeriggio della mia adolescenza, ahimè ormai lontana e vagheggiata come dal naufrago sono gli usati luoghi e i suoi più cari affetti, crederei d’esser io vittima d’un di quei tranelli di cui tanto copiosamente il dio disseminò la vecchiezza umana, onde ridurre a saggezza e umiltà quel ch’erano la sfrontatezza e l’impeto della gioventù. So bene quanti e quali oltraggi del tempo sia costretto a patire, primi fra tutti quelli del mio corpo logoro e stremato, pronto a rassegnarsi al ciclo delle cose per rinascere in forme nuove e a me imprevedibili. Ma ancor di più conosco e patisco l’oltraggio dell’uomo e le beffe di quanti hanno ascoltato questa mia storia e m’hanno in conseguenza detto pazzo o mentecatto, bacato nelle mie facoltà mentali dal peso degli anni. Che la mia mente non sia più quella di una volta, lo riconosco e ne sono consapevole; la lama affilata ch’era il mio ingegno è ad oggi un coltello arrugginito e smussato nella punta. Ma quel po’ delle mie forze che ancora sopravvive in me monta in furore contro chiunque osi denigrare o mettere in dubbio il mio racconto. La vita ha saputo nutrire e rafforzare il mio spirito e certezze vieppiù nuove si sono sostituite alle precedenti, ma sarei disposto a dubitar di me stesso piuttosto che di quanto vidi e vissi in quel pomeriggio. Negherei il mondo e questa mia stessa mano che, tremolante, riporta incerta in lettere ciò che io penso e intendo scrivere, ma non negherei o sarei incerto di quei fatti. Ahimè, quanti, dinanzi a tanta risolutezza, ridono e si reggono lo stomaco, portati alla derisione e ad assecondarmi piuttosto che alla comprensione!
Ed io ne ricevo, così, uno dei più intensi dispiaceri della mia vecchiaia, già tanto sofferente e triste. Ho tuttavia risolto che, se
Bambini! Vi ho fatto correre fino ad ora, per ore in questo giardino-cortile vigilato di questa strana scuola. Con bambole, biciclette, robot di plastica. Sono con noi rappresentanti extraterrestri, per portarvi via, oppure lasciarvi qui, in pace. Che poi, sotto questo sole che guardarlo fa paura, dal caldo che emana, malato com'e',
e noi "fummo umani", senza protezione... Quindi, scusatemi sono in confusione, e lo vedo, anche voi! Assieme a certe specie animali, inquiete o con nostalgia, e sempre più in agitazione. Insomma, cerchiamo tutti insieme, proviamoci, lo so', e' difficile, a mantenere equilibrio, in questa situazione.
Ma il sole era troppo forte, e la Maestra, aveva problemi di stipendio, che quello era il meno, non era cresciuta abbastanza, gia' maltrattata da piccola fu cosi' che, come tuono a tutta la scolaresca ancora in ricreazione, trasformandosi in una palla di fuoco, comincio' ad urlare: "Per favore! Paolo, Alice, Gabriele, Obo e Assan e Taka e Olmo e Hu Miin e Ahal faset, Luigina, Nelson, e Samuele. Uno per uno rientrate in classe, in fila... allora Walter, vieni qui! Dove credi di andare?! Che la palla rossa si trasformo' in cattiva maestra che continuava paonazza, a gridare.
"Walter, allora! Rimettere, su... Rimettere tutto a posto, e gli altri bambini, forza! Mattia, Alice... in classe!
E fu cosi' che pian piano, eran le undici meno un quarto, secondo l' ora interstellare, in quella mattina, Walter per ultimo fece qualche passo verso la classe. E la testa, per il troppo caldo, gli comincio' a girare, ecco, proprio lui, il primo bambino, di nuova fabbbricazione classe 2035, eccolo, perche' composto a livello celerebrale, di troppa plastica, come air bag, ma molto di più e troppo sensibile, ecco la sua testa, scoppiare!.
Korti, Sudan, 1888
- Possiamo rischiare la traversata?
Sean McLean stava ritto sulla gobba del cammello e osservava l'arabo pochi metri più avanti. Zahli era seduto con le gambe incrociate sul lungo tappeto di stuoia che aveva disteso sulla sabbia fresca del mattino. Anche se l'uomo non aveva risposto subito alla sua domanda, Sean sapeva che stava meditando proprio per potergli dare una risposta precisa. Il mattino non aveva ancora strappato tutti i brandelli di oscurità dalle dune sabbiose del deserto e alle loro spalle la piccola città di Korti era solo un ammasso nero contro il lucore opaco del cielo. Il placido Nilo scorreva a un centinaio di passi sulla loro sinistra e Sean poteva sentire la brezza che soffiava docile attraverso i canneti che cingevano la riva del grande fiume: l'ultimo assaggio di vegetazione per decine di miglia.
Sean avrebbe preferito costeggiare la riva del grande Bahr el-gebel, così il Nilo era chiamato dalle popolazioni indigene, ma la battaglia che si svolgeva più a Sud tra gli uomini del Mahdi e gli inglesi rendeva quel percorso troppo pericoloso. Le ultime notizie parlavano di un esercito di rinforzo pronto a raggiungere Khartum, assediata dagli uomini del predicatore islamico, il Mahdi. Sean era un fiero appartenente del glorioso impero britannico, ma sicuramente incrociare l'esercito imperiale poteva creare qualche problema e il suo viaggio ne sarebbe risultato compromesso. Doveva muoversi con rapidità ed evitare il più possibile gli effetti di quella sanguinosa guerra. In quel frangente la rapidità si trasformava in oro sonante e non voleva rinunciare a nemmeno un grammo della ricompensa. Avrebbe sì raggiunto Khartum, ma seguendo la via della morte, attraverso il temibile serir, il deserto di sassi. Si sarebbe avvicinato alla città del Mahdi, Omdurman, per poi attraversare il Nilo solo all'ultimo istante.
- Sarà un viaggio difficile e mortale, mio signore - disse alla fine il saggio Zahli. Alzò la testa e puntò l
Questa sezione contiene storie dell'orrore, racconti horror e sulla paura