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Racconti horror

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Benvenuti a cold wood

"Benvenuti a Cold Wood".
Ecco che cosa diceva la scritta sul cartello sbiadito dal tempo, posto venti metri prima di casa mia. Ma credetemi, abitare a Cold Wood non era per niente gradevole. Faceva sempre freddo, e la temperatura toccava a mala pena i venti gradi solo a giugno e luglio. A ridosso del paese, concentrata sulla collina principale, la Hill Green, c'era la Old Valley, una gola profonda, una delle più intricate montagne, per quanto riguardava la vegetazione, che si potessero trovare nel Maine.
Ora, sdraiato sulla sedia nella mia veranda, guardo i lontani alberi che contornano questo paese dimenticato da Dio, e immagino una ragazza che cammina senza meta lungo quella strada desolata. Lucy Trevor, così si chiamava. Scusate, di questo non ho ancora parlato, ma ci arriveremo tra poco. Ebbene, il male, in qualche modo, è venuto a fare visita a Cold Wood, e in qualunque forma esso si era presentato, aveva lasciato impronte di sangue dietro di sé.


Il mio nome è William Parrett, e sono una qualsiasi persona proprio come tutti voi, eccetto forse per un piccolo particolare, io vivo a Cold Wood. Immagino vi starete chiedendo il perché di queste parole? Ebbene, a dirla tutta non sono nemmeno sicuro io del motivo per il quale mi sono messo al computer per raccontarvi ciò che più mi preme, ma so per certo che quello che ho da dirvi non lo troverete nemmeno nel più spaventoso libro dell'orrore.
Semmai qualcuno volesse venirmi a trovare, la mia abitazione è la prima dopo il cartello con il benvenuto, ma leggendo dei tre fatti accaduti alcuni mesi fa, credo che nessuno di voi mi farà mai visita.

I miei trent'anni li porto benissimo, e per fortuna, al contrario di quanto aveva predetto mia madre alcuni anni fa, no, non sono ancora diventato calvo. La riprova era il ciuffo che mi ricadeva sulla fronte, talvolta facendola irritare. Sono contento della mia vita, e anche se non ho molti amici, riesco a trasmettere le mie idee, come per esempio adesso,

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   0 commenti     di: cesare massaini


Ma.. hai sete?

MA... HAI SETE?

Sam stava preparando la borsa.
Balestra e machete erano immancabili quando andavano nel bosco con i loro bei Berretti Rossi, borraccia e panini, bussola e paletta elettrica per poter fulminare qualsiasi creatura con più di quattro zampe avesse osato avvicinarlo; come suo cugino Tom, provava un terrore incontrollato nei confronti di insetti volanti.
Una bella corda, torcia elettrica, pile, sacco a pelo; era sempre divertente preparare lo zaino per le loro avventure nel bosco.
Ricordò quella volta che erano a depressurizzare la vescica, dopo pranzo, e sentirono un insolito e poco rassicurante odore di bruciato; tornati al campo trovarono Phil alla radio, in contatto col padre di Tom.
?" Ragazzi, venite via! C’è un incendio nelle colline vicine! Venite via!
Era il messaggio che stava ascoltando, era l’odore che stavano sentendo.
Ricordò l’adrenalina scorrere, ricordò quando si arrampicarono al volo sugli alberi della radura.
Da principio non videro nulla ma appena il vento cessò di soffiare un attimo, dalla collina dietro la loro, videro innalzarsi una grande nube nera, poi ancora il vento; soffiava nella loro direzione.
Adrenalina ed una precipitosa fuga verso il paese. D’Estate la vegetazione secca fa presto a bruciare ed il fuoco è lesto corridore. Tutto sommato fu eccitante.
Stavolta il bersaglio era la casa dei Corsi.
La giornata era assolata e calda. In breve si sarebbe incontrato con Phil e Teddy e via, in marcia.
Sperava che Theodore sapesse cosa stesse facendo.
Fantasmi.
Un brivido lo scosse.
Tornò a concentrarsi sullo zaino.
?" Noi andiamo da Francoise, gli disse Tom.
Con la sorella e la cugina lo vide uscire di casa.
“Ormai ci siamo”, pensò, “si parte”.
Oltre a tutto il necessario, Phil stava preparando i suoi raccoglitori di cartoncino ed elastici per foglie e fiori, l’appuntamatite ed il suo taccuino, il retino ed i barattoli per gli insetti. A Sam non piaceva affatto

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Ragazze babau

"Vi ho viste uscire dal mio armadio stanotte"
dice Bobby e ha gli occhi sbarrati e il respiro affannoso.
Si vede che ha paura. Non è abituato a parlare con le ragazze.

LORO lo guardano. In classe le chiamano

LE QUATTRO FIGHE

perché sono le più belle e le più amate di tutta la scuola. Non vanno mai in giro separate e, come ama dire quel simpaticone di Robin, se la tirano come se ce l'avessero solo loro in tutta la scuola.

Le Quattro Fighe lo guardano ridendo. Figurarsi se ragazze come loro si mettono ad uscire dagli armadi della gente. Di gente come Bobby, poi.
È che Bobby racconta un sacco di cazzate.
È che Bobby è un po' tardo, poverino.
È che a Bobby puzza il fiato.
È che Bobby ha i denti gialli e nessuna parla mai con lui.
Così quando i suoi istinti notturni hanno la meglio, capita che Bobby si spara qualche sogno erotico, e stavolta deve aver sognato le Quattro Fighe, nell'atto di uscire dal suo armadio, magari vestite di pelle e cuoio, e poi...

La rossa del gruppo. Chiara. Lei non ha paura di niente. Niente le fa schifo. I maligni dicono che sia una di bocca buona, quelli più sinceri vanno al sodo e le danno direttamente della baldracca.
Più tardi magari glielo diranno, dalla un po' al povero Bobby.
Quel ragazzo ha decisamente bisogno di figa.
Glielo diranno e lei rifiuterà, perché anche le Chiara di questo mondo hanno dei limiti.
È che Bobby ha i capelli unti. È che Bobby ha la forfora.

Le ha viste uscire dal suo armadio.
"Non eravamo nel tuo armadio ieri sera Bobby" gli dice Sissy, paziente, col tono di voce che si userebbe con un bambino molto piccolo e molto piagnucoloso convinto di aver visto il pagliaccio assassino in agguato sotto il suo lettino.
Ma Sissy è tanto bella quanto dolce, ed essendo veramente una gran figa significa che è più dolce di una torta di mele erotica a forma di tette.

Ma vi ho viste davvero insiste Bobby e non c'è dolcezza che tenga. Sissy c

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La donna del lago -fine-

Ero ancora immerso nell'acqua non avevo aria, l'ultimo sforzo per risalire su è stato letale, devo aver perso coscienza e... appena prima di perdere i sensi ho visto una stanza, buia, fredda mi ha percorso una brivido.
Mi sono risvegliato a riva, tutto inzuppato, mi sentivo uno sciocco. Sono tornato alla casa di mia nonna con l'immagine in testa di quella visione: la stanza era trasandata mi dava l'idea di una cantina riaggiustata. Ero certo si trovasse in quella casa e mi sono messo alla sua ricerca. L'unica cantina che c'era, era quella che conoscevo già. Sono uscito fuori ed ho osservato la casa in ogni sua angolazione; poi un sospetto, la cantina era più piccola rispetto alle fondamenta. Che ci fosse stata un'altra cantina con un'entrata diversa? Ho percorso tutto il perimetro, niente! Sul retro solo la porta finestra della camera di mio padre, sono entrato dentro ed ho osservato la stanza: uguale a come me la ricordavo. Ero stanco, i pensieri non mi abbandonavano, mi sono sdraiato sul letto e devo essermi addormentato.

Ho avuto un incubo. All'inizio era lo stesso: io nell'acqua a nuotare e lo scheletro di una mano che mi afferrava la caviglia. Io mi dibattevo per liberarmi ma le ossa erano una morsa micidiale, mi tiravano giù, sempre più giù sembrava che il lago non avesse fondo. Poi mi sono ritrovato legato ed imbavagliato ad un letto, era tutto buio intorno a me; la stanza era umida ed avevo freddo. Avevo paura e mi sentivo impotente.
Ho sentito una mano che mi sfiorava una guancia e l'ho vista! Era lei, la ragazza scomparsa che mi sorrideva.
Mi ha indicato un punto nella parete, poi è scomparsa e mi sono svegliato.
Ero più stanco di prima ma dovevo porre fine a questa storia. C'era un passaggio, doveva esserci un passaggio. Ho rovistato la stanza, le pareti, ho spostato i mobili ed infine il letto. Finalmente! Proprio sotto al letto c'era una botola! Ho avuto la sensazione che mia nonna non abbia mai saputo dell'esistenza di questa botola. L'

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   11 commenti     di: Paola B. R.


La vecchia casa

Sedevo sulla sedia impagliata, osservando il pavimento fatto di cotto. Risaliva ad almeno trecento anni fa, come minimo. Era inverno, penso gennaio inoltrato, infatti si era già fatto buio, pure essendo solo le sette di sera.
Il camino era accesso ed il ciocco crepitava, come se dentro ci fosse l'anima di una strega condannata al rogo che ancora gridava la sua maledizione, verso coloro che l'avevano condannata. Vidi con la coda dell'occhio, qualcosa muoversi velocemente. Pensai ad un topolino. Le vecchie case, hanno sovente di questi ospiti. Guardai meglio. Non vidi nulla. Ricominciai a leggere. Leggevo un racconto di Edgar Allan Poe, "Il gatto nero". Era molto avvincente, anche se mi dava dei brividi lungo la schiena. Ancora una volta, quell'ombra rapida, corse lungo il pavimento. Posai il libro sul tavolo. Guardai a lungo. Ancora nulla. Eppure l'avevo vista! Tornai a leggere. Arrivai quasi a metà del racconto. E stavolta sentii come un soffio lungo le gambe. Mi sporsi a guardare e vidi questa lunga ombra nera correre sul pavimento. Si fermò sotto un pesante tavolo, usato per conservare le pentole in quella vecchia cucina. Rimasi pietrificato dal terrore. Senza muovermi e con il libro ancora stretto tra le mani, portai lo sguardo sotto quel tavolo. Mi sembrava di vedere, confusamente, un serpente. Era nero come la pece. Lungo e grosso. Sembrava pulsare. Lo guardai attentamente. Aprì la bocca, anzi la spalancò e mi mostro le sue enormi fauci, rosse come la brace del camino, che nel frattempo ardeva con violenza inconsueta. Afferai la scopa, con l'illusione di ucciderlo o, perlomeno di metterlo in fuga. Appena mi avvicinai, alzò la testa, spalancò ancora una volta la bocca, come se volesse attaccarmi e disparve. Mi era stato detto che in quella casa erano morte tante persone e qualcuna anche di morte violenta. Il serpente non era qualcosa di materiale, non apparteneva al nostro mondo, ma al mondo dei morti, agli Inferi. Poteva anche essere, pensai,

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   3 commenti     di: Fiscanto.


Incubo

C'è freddo. Freddo e buio.
È la prima cosa che Alyce nota non appena apre gli occhi.
Freddo, buio, e un odore selvatico, come di corteccia e foglie bagnate.
Muove qualche passo e sente uno scricchiolio sotto i piedi nudi: un ramo. Si guarda intorno, aguzza gli occhi, che iniziano ad abituarsi alla semi-oscurità che la circonda, e capisce di trovarsi in un bosco.
Gli alberi sono alti e fitti, dai i tronchi sinuosi e puntati al cielo come le spade di un esercito. Il terreno ai suoi piedi è ricoperto di foglie screziate di marrone e di giallo. Una strana foschia avvolge l'ambiente all'altezza delle sue ginocchia.
Si guarda: indossa un abito bianco, lungo e scollato, tenuto su da due sottili spalline che quasi le scivolano dalle spalle. Ha i capelli sudati e appiccicati sul collo e sulle guance, il petto ansante e il cuore in gola, come se avesse corso - ma lei non ricorda di averlo fatto.
Tutto ciò che Alyce ricorda è di aver dato la buonanotte a sua madre, aver indossato il pigiama ed essere andata a letto, come ogni sera. Perché si trova in quel posto? E dove si trova, di preciso?
D'un tratto, una serie di fruscii e scricchiolii di rami spezzati le rivelano che non è sola. Inizia a correre all'impazzata, travolta da un terrore primordiale e assoluto, che le azzera la mente e le contorce le budella fin quasi a farla star male. Quella che prova mentre scappa non è la classica fifa che un essere umano sperimenta abitualmente nel corso della sua vita quotidiana; non è la paura che precede un esame, o un prelievo del sangue, o che accompagna la visione di un film dell'orrore. È la Paura che una preda prova poco prima di essere brutalmente divorata, la Paura che ti spinge a vomitare i tuoi polmoni pur di scappare il più lontano possibile; un sentimento antico e selvaggio come la morte.
Continua a correre, poi si ferma, perché non è mai stata una grande atleta e adesso si sente come se ogni parte del suo corpo stesse per esplodere. Crolla al suolo,

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La Casa affittata

Mi alzai dallo sgabello senza sostenere gli occhi del mio interlocutore, avvolta in un velo di indifferenza verso ciò che avevo intorno. L'affare era fatto e almeno mi ero tolta un bel problema. Le chiavi dell'appartamento erano già nella borsa, pronte per l'uso. L'agente immobiliare mi strinse la mano col solito sorriso di circostanza associato a una non tanto celata contentezza per l'affare appena concluso.
Avevo scelto, a dirla tutta anche per l'aspetto economico, una piccola palazzina collocata al confine tra città e campagna e collegata ad una stradina polverosae dissestata ma piuttosto vicina all'autostrada. Il posto in sè non dava molto
spazio a salti di fantasia, non ispirava granché l'immaginazione ma era alquanto tranquillo, anche troppo. "Un po' isolato", pensai subito. Di altri palazzi ve n'erano ma non nelle immediate vicinanze. Il primo si ergeva a cento metri a destra per poi finire in un filare ordinato e omogeneo di altre palazzine dove, volendo, si sarebbe entrati in città a piedi nell'arco di un quarto d'ora. A sinistra e di fronte altri palazzi, moderni e dalla collocazione discontinua e più o meno adiacenti alla stradina. Un ambiente piuttosto banale che si sarebbe potuto confondere con qualsiasi altro luogo di periferia. Su tutto aleggiava un'aria di greve sonnolenza come se cose, persone, animali non vivessero davvero nella realtà ma in una sorta di dimensione parallela fatta di rumori attutiti e di eteree presenze. Tutta presa da questi strani pensieri, arrestai la mia vettura dietro alla palazzina in cui si trovava una piazzola per il parcheggio. Vi girai intorno con lo sguardo e notai alcune crepe che squarciavano l'intonaco grigiasto delle mura. Possedevano un insolito fascino e anzi donavano alla struttura una certa aria di decadenza misteriosa come nelle più belle ville descritte nei racconti di suspence. Eccomi arrivata all'entrata principale. Essa si presentava con una normalità sconvolgente: la facciata g

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   2 commenti     di: Linda Tonello



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