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Racconti horror

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Sera d'autunno

Un pomeriggio di ottobre avvolto in un tepore nebbioso. Nella luce gialla ci sono solo distese di stoppie sui campi. L'autunno strappa brandelli di anima intorno a me.
Nel cielo chiaro si perde il vapore che esce dai tetti degli essiccatoi. E su questo cielo bianco vado scrivendo i miei pensieri.
Le bacche rosse della dulcamara formano delicate filigrane lungo il fossato. Una ragazza sta appoggiata al parapetto del ponte e guarda l'acqua.
La stradina scende fra alte file di cardi spinosi. Erbe stravaganti crescono dappertutto e un odore acido proviene dai mucchi di rape marcite. La foschia addolcisce i profili, allungando le distanze.
Quando arrivo al villaggio mi appare accucciato, surreale, semisommerso da fasci di rampicanti. Il silenzio è assoluto, pauroso fra quelle vecchie pietre. La vegetazione rigogliosa in certi casi arriva fino al primo piano.
In questi posti si diceva che una volta si davano convegno i satanisti.
Oltrepasso due paracarri di granito e cammino su un'aia piena di erbacce. Tini sfasciati e marciti stanno lungo un vecchio edificio di mattoni pieno di inferriate. Rivedo la vecchia scuola celeste, alta e sbilenca. La casa con le finestre verdi dove abita una ragazzina con le trecce e le calze rosse.
Calpestando coperchi di latta arrugginiti mi avvicino all'abitazione del signor Nadir e chiamo ad alta voce:
"Ehi, signor Nadir, signor Nadir!"
Mi risponde solo l'eco delle vecchie case. C'è il rumore di un'imposta che sbatte fra i grossi nidi di vespe sotto il tetto.
Il sole rossastro e come sfocato sta per scomparire dietro agli edifici. Cammino fra i rovi che intralciano l'andatura.
Un rumore improvviso fra l'erba mi fa sussultare, e un gatto grigio fugge sui tetti di alcune baracche.
"Ehi, ma non c'è nessuno qui? Signor Nadir! Siete andati via tutti?"
Lontani nella brezza arrivano i rintocchi di una campana. Proseguo oltre un roseto guardando il pozzo coperto, le finestre murate, le stalle crollate e in rovina. Tutto appare in sfa

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   0 commenti     di: sergio bissoli


Un mistero di campagna

Una notte d'autunno sono nella mia cameretta nella casa di campagna dello zio ma non riesco a dormire.
Sento il vento autunnale che sibila. Sento il lontano frusciare dei pioppi.
Ma a volte sento anche un altro rumore, più acuto e preoccupante. É una specie di fischio o grido e non riesco a capire da dove provenga.
Devo essermi addormentato. Mi sveglio all'improvviso nel cuore della notte sentendo dei tonfi giù in cucina. Aspetto un altro poco. Ancora i rumori inspiegabili; stridii acuti, tramestìo.
Questa volta non posso sbagliarmi. C'è qualcuno giù, forse un ladro. Negli ultimi tempi sono scomparsi dei vitelli nelle fattorie vicine.
Mi alzo piano, prendo il lumino e senza far rumore esco nel corridoio. Socchiudo la porta della camera dello zio e lo vedo disteso sul letto con gli occhi aperti. Mi fa cenno di entrare. Anche lui ha sentito i rumori perciò si alza, indossa gli stivali e mi precede in camicia da notte.
Entro nella stanza del nonno: poiché soffre di insonnia sta seduto vestito sul letto a fumare la pipa. Pure lui ha sentito i rumori così prende il suo bastone e mi segue.
Spengo il lumino e tutti insieme scendiamo la scala passo dopo passo sforzandoci di non fare rumore.
Arrivati giù ci fermiamo sulla soglia a guardare. La cucina è immersa nel buio. Strisce di luce lunare entrano dalle fessure alle imposte.
Allora avanziamo piano fino a raggiungere la saletta. Anche qui buio e la luce lunare che entra dalle fessure della porta. Mio zio accende un fiammifero, poi accende la lucerna.
La visita alle due stanzette inferiori è presto fatta. Le porte sono sbarrate con i catenacci, le finestre sono chiuse e munite di inferriate. Io guardo nel secchiaio e nel sottoscala.
Per scaricare la tensione ci mettiamo a chiacchierare prima di ritornare a letto. Il rumore, una specie di grido aspro e acuto, si fa sentire vicinissimo questa volta mettendoci in allarme. Nel silenzio che segue ci voltiamo tutti verso la porta chiusa che immette nella le

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   2 commenti     di: sergio bissoli


Il Parto

La storia che mi accingo a raccontare è il resoconto di un'esperienza terribile che vissi io con la mia defunta moglie più di 20 anni fa. Nonostante non vi siano rimasti testimoni vivi in grado di confermare quello che sto per dire, io c'ero. Credetemi, o prendetemi per pazzo: ciò è accaduto veramente.
25 Ottobre 1989. Io e Mary stavamo attraversando le foreste dell'Oregon, sulla strada per il confine con il Canada: volevamo andare a trovare dei nostri amici a Vancouver. Eravamo partiti da Los Angeles di mattina. Ormai era tarda notte su quell'autostrada, e speravamo di incontrare un vicino Motel dove fermarci. Ma non c'era nulla sulla strada, nemmeno una stazione di servizio. Andavamo a rilento, guardardonci intorno nella speranza di leggere qualche indicazione utile a trovare un luogo in cui passare la notte. Quando improvvisamente la macchina si sbilanciò verso destra, e sentimmo un fischio. Feci per frenare, ma non avevo il controllo del veicolo: l'auto sbandò verso destra, Mary gridò:frenai più che potei, finchè non sbattemo su un cartello, e ci fermammo bruscamente. Mary era ancora un po' sconvolta, ma si era calmata. Le dissi: "Scendo, a controllare, tu resta in macchina". Vidi la ruota anteriore destra dell'auto complemente sgonfia: "Qualcosa deve averci bucato la gomma!" le dissi ad alta voce. Eppure l'asfalto era liscio, e non mi pareva di aver visto ne un sasso ne qualche altro oggetto sulla strada. Feci per tornare in macchina, quando la mia attenzione si spostò verso il cielo: era strano, sembrava che delle nuovole scure si stessero avvicinando molto, ma molto velocemente:non avevo mai visto qualcosa del genere. Improvvisamente dalle nuvole sbucarono 3 luci rosse molto vicine tra loro: sembravano muoversi verso di me, e più si muovevano, più la loro intensità aumentava. Non riuscii a muovere un dito, rimasi fermo a guardare. Mary scese dalla macchina, anche lei impietrita, con lo sguardo rivolto verso l'alto. A un certo pu

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   2 commenti     di: Nicolò Giani


MYSKI - Il mattino

Ho deciso di iniziare a scrivere la mia schifosa …
Si!!! La “mia schifosa”... la o il “MYSKI”, la definirò così quella frase.
Può essere interpretata come un’ ora, una settimana, un anno, una cosa, una persona o forse tutta la MYSKI vita e tutto ciò che sono costretto ad incrociare… sempre… ogni giorno.
Uno stress incredibile da nascondere continuamente, per non sembrare un malato di mente quale già appaio, causa di irrefrenabili istinti omicidi che non controllo.
In quei momenti perdo la ragione. Esco dal MYSKI corpo. Mi gira la testa e di colpo vedo tutte le cose e le persone di color rosso fino a sbiadire in un bianco che non mi fa vedere più niente. Non distinguo più nulla per qualche secondo e un brivido mi scende lungo le mani, fino a farmi tremare la punta delle dita. All’improvviso mi riappare tutto davanti, con la sola voglia di annientare e far sparire tutto definitivamente dalla MYSKI vista.
Finora questi istinti omicidi li ho controllati, ma domani? Chissà?
Aspettando domani continuo a scrivere…

Il “MYSKI” mattino!

Urla terribili mi sfondano i timpani. Stanno sgozzando due maiali con un coltello da trenta centimetri, appesi a testa in giù, agganciati al paranco per il nervo dello stinco.
Un frastuono incredibile causato da uno dei due porci che afferra con i denti il secchio nel quale sta scolando il suo sangue. Lo lancia contro il muro imbrattandolo di rosso. L’odore acre si spande in tutta la stanza.
Mi sveglio di colpo sobbalzando nel letto. Una goccia di sudore mi scorre dalla fronte scendendo sul MYSKI viso, fino a perdersi nella barba incolta di una settimana. La mano mi formicola, visto che ci ho dormito sopra una notte intera. Il cuore batte talmente forte che sembra non riesca più a contenerlo all’interno del torace. Le orecchie mi scoppiano… forse per la troppa pressione del sangue. Accendo la luce ed infilo un dito dentro l’orecchio per controllare che il sangue non stia schizzand

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Viaggio allucinato

Un giorno mi stavo avventurando per la sassosa mulattiera della montagna sopra il mio paese. Benchè fosse ancora settembre l'aria era frizzante, tirava una brezza continua  e freschissima; e le nuvole si rincorrevano accarezzandomi con la loro ombra. Pensavo a tutti gli animali che non avevo mai visto di persona e che avrei voluto incontrare nel bosco. Pensavo ai lupi, alle linci, agli orsi, agli astori, agli sparvieri. Ma pensavo anche al gufo reale e al succiacapre. Chissà perchè pensavo che se avessi visto quest'ultimo non ne sarei stato abbastanza lieto. Quello strano pennuto aveva un aspetto decisamente inquietante e incontrarlo - cosa rara - mi avrebbe condotto verso una sorte intenzionalmente funesta.
Ad un tratto odo un frusciare di rami e scorgo una grossa sagoma dileguarsi sospesa. Mi sporgo oltre una piccola radura e riesco a scorgere un grosso uccello grigio che prosegue il suo volo senza produrre il minimo fruscio d'ali.
Dev'essere un gufo reale. Provo a seguirlo e mi metto quasi a correre tra gli alberi; senza accorgermi che i cerri hanno ceduto il posto a pini neri. I miei occhi non scorgono + il minimo movimento tra i rami alti. Ad un tratto però odo un ululato profondo e breve: dev'essere lui.
Seguo la fonte di quel richiamo e mi fa piacere sentirmi su un percorso ben definio. Tante di quelle volte mi ero irritato del fatto che un suono abbastanza vicino non mi rivelasse la direzione esatta da cui proveniva. Il tempo sembrava svanire sotto lo scricchiolare di rametti e foglie secche che i miei passi sempre più rapidi alternavano a mo' di pendola.
Giunto presso una radura mi sono fermato a riprendere fiato e solo allora ho notato quanto si fosse fatto scuro e quanto poco familiare fosse ormai la boscaglia. Ero decisamente oltre i confini dell'area che sin da piccolo frequentavo con mio padre.
La luce che il cielo coperto proiettava sul bosco era di uno spettrale grigio perla e mi pareva quasi di essere in uno di quei videogiochi

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Morto di giornata

Io detesto la solitudine!
È uno status che mi annienta e demotiva.
Per fortuna che ho compagnia a cui esternare i miei pensieri, che per altro sono bellissimi e sarebbe sacrilego lasciarli chiusi nella mia mente.
Sono un affabulatore, parlerei per ore ed ore, raccontando storie e disegnando mondi con il puro Verbo, cosa che faccio con convinzione.
Ehi! Un colpo di mortaio è caduto a poche decine di metri, boato e polvere.
- Hai visto amico! È mancato poco... bastardi!-
Mi guarda con intensità.
Un altro colpo di mortaio un po' più distante, alcune raffiche di mitraglia, lampi arancioni nel grigio.
- Caro mio, si avvicina un nuovo attacco, dopo, se ci sarà un dopo, ti racconterò di luoghi senza geografia, dove domina l'azzurro e il profumo di sale, di splendide donne eburnee, di orchidee sensuali e carnivore, di pesci volanti vermigli...-
Annuisce sotto la vibrazione delle esplosioni.
Un olezzo molesto tormenta le mie narici, decisamente insopportabile.
Cazzo sono passati sette giorni.
Guardo fuori dalla trincea.
Che fortuna!
Prendo la mira con calma, inquadro il torace del soldato nemico.
Magnifico! Al primo colpo, sono un asso!
- Caro mio dobbiamo separarci. -
La sua espressione è piegata in basso, i tessuti non tengono più, sembra dispiaciuto.
Lo avvolgo in un telo mimetico con un po' di disgusto e dispiacere.
Lo porto fuori dalla trincea incurante dei colpi e degli scoppi, lo metto con gli altri nella buca dove c'era Rossi.
Corro con entusiasmo a prendere il soldato nemico che ho centrato.
Mi sparano di tutto ma non posso esimermi.
Lo prendo e lo trascino nella mia trincea, lo accomodo e gli infilo una sigaretta tra le labbra.
- Allora carissimo saremo amici per un po' mettiti comodo, io sono un grande novelliere non ti annoierai, sei fortunato. -
Là fuori bagliori e io mi immagino i fuochi d'Agosto sulle spiagge e m'invento una storia:
- Una piccola conchiglia sul bagnasciuga...-



Lammas

Una sera d'estate mentre vado a passeggio dopo cena. Costeggio lo scolo d'acqua del villaggio prima di inoltrarmi in campagna. Dietro la finestra di una fattoria una vecchia con il naso grosso lavora con l'ago. Una gallina gira davanti. Una bambina in mutandine bianche gioca da sola in un cortile.
Agosto è scolpito nella campagna. Anche le case che ho lasciato dietro di me sembrano diverse, più piccole e colorate. A tratti arrivano aromi forti e strani che si sentono solo nelle sere di agosto. L'aroma secco del mais, quello unto dei girasoli. L'odore umido del fiume...
É una sera divina con un tramonto da fiaba. Il sole rosso diventa enorme, smisurato. Sulle stoppie vola uno stormo di cornacchie.
In uno spiazzo dei campi c'è una ragazza sola con i capelli lunghi. Sta accendendo alcune candele poste in un cerchio di fiori. Il suo volto serio e prezioso sembra quello di una Dea.
L'amore per lei mi prende all'improvviso come una malattia. L'amore è una piccola morte, penso. Allora mi fermo a guardarla, da lontano, stando nascosto dietro il tronco di un albero.
Fiori e candele accese sono poste davanti al sole. Il cielo al tramonto è un lago di luce rosa con isole di nubi celesti.
Sotto un gruppo di tigli lì vicino ci sono alcune buffe sagome di cartone. Raffigurano personaggi grotteschi... Il cielo è un lago di sangue che diventa sempre più cupo e coagulato.
Adesso la ragazza intona un suono basso, vibrante, risonante, gutturale... Una <<Mmm...>> ripetuta all'infinito, su varie tonalità... Nubi a forma di drago si allungano nel cielo.
La ragazza continua a cantare e mentre canta non sembra più sola... Questa specie di ronzìo cala di timbro, poi si alza, vibra più forte, si avvicina a qualcosa, una rivelazione, una soluzione, che però non arriva mai... Lame di nebbia salgono su dai fossi e strisciano sul terreno. C'è una atmosfera umida e calda. A ovest la nebbia diventa rossa e invade metà cielo.
Il canto continua, come una invocazione, e al r

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   2 commenti     di: sergio bissoli



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