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Racconti horror

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Pecora Nera (2a parte)

Si era addormentato molto velocemente quel giorno. Non ricordava nemmeno se avesse cenato o no, ma non gli importava più di tanto. Era stato svegliato alle sei e mezza del mattino dal continuo ripetersi di quella canzone. Di solito a Robert avrebbe già smesso di piacere. La chiamava indigestione musicale! Ma non quella canzone.
Quel giorno avrebbe avuto ripetizioni. "Non ce la faccio più!" disse disperato, seduto sul letto e con le mani appoggiate al volto, i capelli stropicciati e con lo sguardo fisso a quella dannata mattonella sporca di terriccio.
Scese le scale a chiocciola con la faccia assonnata, pronto a fare la solita colazione da quindici anni. In fretta si sciacquò e si sedette ad aspettare il professore. Quando arrivò Robert aveva il solito sguardo fisso nel vuoto, con i libri e i quaderni sotto braccio, pronto ad affrontare quei dannati, inutili e stressanti calcoli. Sapeva che l'avrebbero ucciso prima o poi. Sempre se non sarebbe stato lui a uccidere loro.
O meglio, chi li rappresentava. Alla fine della lezione si accorse di non essere riuscito a capire una sola cosa, e non gliene importò nulla. Ormai non lo stupiva. Non riusciva mai a capire niente!
Subito si lanciò sul solito libro che ormai conosceva a memoria: "Furia Omicida"
Improvvisamente si accorse di stare cercando un metodo per uccidere. Quello più consono per le rispettive persone sulla sua lista nera. E nemmeno questo lo stupì.
A cena nessuno gli parlò. Tanto lui era la pecora nera! Nessuno avrebbe mai voluto parlare con una pecora nera! Men che meno quel suo fratello, tanto vezzeggiato da tutti. Dio come lo odiava!
Finita la cena Robert fece per tornare in camera sua, ma venne fermato dal padre che gli chiese cosa avesse fatto oggi.
Forse lui era l'unico che si sarebbe salvato dalla Furia Omicida!
Robert rispose con un secco e freddo mugugno e si fiondò su per le scale.
Nessuno meritava la sua attenzione come quel libro. Avendolo finito di nuovo sprofondò nei su

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   4 commenti     di: Alberto Amedeo


Burned

Legata a quel palo sulla catasta di legna gli occhi stanchi della donna s'inumidirono di lacrime. Una settimana di torture, l'avevano quasi annegata, poi strappato le unghie e i denti e infine rinchiusa insieme ai topi.
Ci erano riusciti, alla fine aveva detto ciò che loro volevano. Dalle sue labbra sanguinolente era uscita la confessione: -Sì. Sono una strega-.
Era l'unico modo per fare cessare le torture, anche se significava morte certa. Quattro giorni la avevano lasciata a subire il dolore delle ferite e l'attesa della pena capitale. Ora stava per aprire l'ultimo capitolo del libro della sua vita davanti a tutta quella folla eccitata.
Il boia e due suoi aiutanti si avvicinarono tenendo alte sulle loro teste le fiaccole infiammate, quasi fossero bandiere da mostrare alla gente. Lei ebbe un'espressione di terrore. Le appoggiarono sulla catasta. Sentì crepitare la legna sotto i suoi piedi e cercò di sgranare gli occhi il più possibile. Si fece forza e osservò le fiamme. I rami sotto di lei erano leggeri e secchi, non ci sarebbe voluto molto. Presto sarebbe finito tutto.
Pochi minuti dopo il fuoco le lambì i piedi. Si lasciò sfuggire un'occhiata di odio verso la folla. -Pazienza- pensò - troppo presto-.
Quando le fiamme cominciarono a consumare la carne delle gambe, si mise a gridare con quanto fiato aveva in corpo. Era il suo copione, doveva recitarlo fino in fondo. Altrimenti avrebbero capito. E continuò a urlare quando il suo petto prese fuoco, nonostante non sentisse nessun calore. Finalmente i capelli s'infiammarono e le nascosero il viso dietro le vampate.
Un ghigno sottile le si dipinse sui lineamenti deturpati. Ora non potevano più vederla e rise in silenzio. Rise di quegli sprovveduti che credevano di toglierle l'anima con il fuoco. Rise quando vide quelle larve d'insetto che s'insediavano nel corpo dei suoi inquisitori e che si sarebbero riprodotte e nutrite e riprodotte e nutrite.
Loro si che avrebbero sentito dolore,.
Molto dolore.

   5 commenti     di: Oxide Oxide


L'eredità (parte 1/2)

"Sorellina, non crederai mai a ciò che sto per dirti!" Max piombò nel piccolo salottino in preda all'euforia, facendola quasi sobbalzare per lo spavento.
"Che diavolo Max, vuoi farmi venire un accidente?" Lo rimproverò lei alzando gli occhi dal libro che aveva preso in mano da poco. Si trattava di Scheletri, una raccolta di racconti scritta dal suo autore preferito, Stephen King.
"Scusami tanto Vale, ma sono troppo contento." Non ci sarebbe neanche stato bisogno di dirlo, la ragazza lo notò dalla larghezza del suo sorriso e da una strana luce presente nelle sue iridi. "Ok, dimmi di che si tratta, ma che sia qualcosa di abbastanza serio da giustificare l'interruzione della mia lettura altrimenti per te saranno guai."
"Lo è sorellina, lo è. Stamattina il postino mi ha portato questa lettera," disse sventolandola per un attimo in aria. "L'ha scritta un notaio, il quale ci invita a raggiungerlo ad Aosta al più presto."
"Scusami un attimo, tutta questa euforia per un viaggio senza motivo ad Aosta? Ti ha dato di volta il cervello?"
"Fammi spiegare! Il motivo per cui dobbiamo andarci è semplice; un nostro zio è morto ed essendo noi gli unici parenti alla lontana rimasti, automaticamente siamo divenuti anche gli unici eredi."
L'atteggiamento di Valentina mutò completamente e anche a lei finalmente spuntò un sorriso che la rese incantevole. Non avevano un assoluto bisogno di soldi certo, ma un'eredità spuntata dal nulla era un sogno che avrebbe fatto gola a molti. La classica opportunità di dare la svolta ad una vita che, fino a quel momento non era stata per niente entusiasmante, soprattutto dopo la morte di entrambi i genitori in un incidente stradale.
"Davvero? Gli unici eredi?"
"Proprio così, dice che ha impiegato parecchio per scovarci nell'albero genealogico."
"Per caso accenna anche a cosa ci ha lasciato questo zio?"
"Non è molto specifico per quanto riguarda i soldi, ma lo è invece sulle proprietà."
"Avanti

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Il Macellaio

Il taglio era sempre preciso e ben delineato. Bastava un colpo e il pezzo si staccava netto e asciutto. Un vero esperto. Era affascinante guardarlo mentre le mani sicure si muovevano sopra il bancone, prendevano il coltello giusto, postavano la carne richiesta e stock... Un taglio accurato.
Le donne attratte andavano alla macelleria, lo osservavano con un misto di paura e fascino: l'occhio ceruleo e assassino che brillava al momento della lacerazione. Sembrava godesse del gesto e loro provavano un brivido pazzesco tutte le volte che sentivano quel tonfo abbattersi sul tagliere. Al quel suono sobbalzavano in un misto di piacere e spavento. Quel colpo improvviso le penetrava e i brividi crescevano forti e intensi attraversando tutto il corpo.

Arrivarono all'improvviso. Un mucchio di macchine come insetti neri carichi di brutti presagi, parcheggiarono davanti alla sua macelleria. Lui era impegnato nel lavoro, e non fece caso allo schiamazzo che diventava sempre più animoso, fuori sulla strada.
Come se guardasse un telefilm americano, si vide il protagonista di un dramma poliziesco. Prima gli chiesero i dati, gli lessero i diritti e lo invitarono cortesemente a seguirlo alla stazione di polizia. Di qualsiasi cosa lo accusassero sapeva di essere innocente. Chiuse il negozio malvolentieri e andò con loro. Un ronzio di voci gli si accavalcò sopprimendolo dalla foga della curiosità. I giornalisti sciamavano ai fianchi avvantaggiati, conoscevano le accuse riposte e bramavano di qualche briciola delle sue parole.
"Da quanto tempo pratica quei tagli?" Chiese un reporter alla sua destra.
"Lo faceva anche nel suo paese d'origine?" Urlò una voce appena dietro.
Cosa volevano? Era straniero ma questo non voleva dire essere un criminale.

"Lei è Uthi Lorthi?"
L'uomo fece sì col capo. Era rinchiuso in quelle famose stanze scure, dove un enorme specchio rettangolare faceva da finestra alla stanza accanto. Sapeva di essere osservato e ascoltato al di là di esso

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   2 commenti     di: Paola B. R.


Pace e Silenzio

Basta! Basta! Basta! Basta!
Sbuffai nervosamente dalle narici. Bestemmiai a denti stretti. Infilai la testa sotto al cuscino cercando di non sentire più nulla, invano. Ma perché urlavano!? Cosa aveva da piangere quel maledetto bambino!? Da quando erano venuti ad abitare qui la pace era finita: da un mese non dormivo, al lavoro non rendevo più come una volta, tutta la mia vita stava andando in pezzi solo per colpa loro! Cominciai a mordere il cuscino mentre le lacrime mi graffiavano le guance. Cominciai a scalciare, preso da un attacco di crisi isterica. Aprii il cassetto, tastai dentro alla ricerca dei calmanti. Dove cazzo erano? Trovai il flacone. Saltai a sedere sul letto. Mi riempii la bocca di pasticche, le ingurgitai, tutte. Ero una persona stressata, depressa, emotiva... quella che il mio psicologo definiva "una personalità complessa e distorta", un relitto umano praticamente. Avevo paura di tutto, ero ipocondriaco, agorafobico, maniaco della pulizia e dell'ordine, del silenzio. Avevo una personalità disturbata, mi sentivo incompreso dal mondo, mi sentivo allontanato da tutto e tutti. La mia piccola casa, la mia nicchia ecologica, il mio rifugio, il mio riparo di periferia, tranquillo e isolato era l'unica cosa che ancora mi teneva coi piedi per terra ed evitava di farmi diventare completamente matto e fuori di testa. Ma adesso c'erano quei nuovi vicini e tutto era cambiato. Il mondo mi aveva trovato, era riuscito a raggiungermi pure lì, era entrato nel mio sistema perfetto, alienato dalla realtà, tra le mie pasticche, il mio Cardinal Mendoza e Bach. Ero problematico, ma non avevo mai fatto male a nessuno, chiedevo solo un po' di pace, un po' di tranquillità... non ho mai chiesto niente a nessuno, mai, nemmeno a Dio, sono ateo. Sentivo che così non poteva continuare... pensai di uscire a fare un giro, due passi, all'aria fredda, ma di notte gli spazi sono così vuoti, privi di persone, così vuoti e mostruosi, così crudeli con me. Crollai a terra e

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   5 commenti     di: Roveno Valorosi


INsane

Mi tengo stretto la mia lampada ad olio tra le mani, con la sua luce tremolante che illumina solo in parte l'enorme corridoio dai mattoni neri. Non so né come né quando sono entrato in questo luogo oscuro; al di fuori dello spazio e del tempo, ornato da finestre dalla quale traspariva la pallida luce lunare, che solcava le tende rosse decorate con ricami d'orati di indescrivibile bellezza, le scintillanti armature di cavalieri medievali che restavano ritte in piedi nella loro magnificienza, che sorvegliavano questo luogo come dei guardiani silenziosi e imperturbabili, e poi vi erano gli arazzi che rappresentavano i riti e le macabre cerimonie di un culto demoniaco a me sconosciuto. Vago in questo luogo da ore ormai, facendomi strada attraverso il buio con la torcia, ammirandolo e chiedendomi come ci sono arrivato. All 'improvisso sento un rumore sinistro dietro di me. Qualcosa emerge fuori dall'oscurita. Si sta avvicinando. In fretta. Faccio del mio meglio per non urlare. Comincio a correre con i miei passi che battono sul suolo a ritmo della mia paura. Quella cosa continua a inseguirmi ruggendo furiosa, protendendo la sua testa mostruosa e i suoi arti verso di me, mentre guizza i suoi tentacoli in ogni direzione. Vuole ghermirmi tra le sue fauci e i suoi artigli rapaci, vedo i suoi occhi spettrali. Occhi senza anima. Il corridoio sembra farsi più stretto e la vista comincia a diventare fioca. La stanchezza impone il suo tributo. Mi prenderà... lo so... è solo questione di tempo ormai. È veloce... troppo veloce... e io sono troppo debole per fermarlo... è vicino, molto vicino. È propio dietro di me!! Mi sveglio. Sudato e intontito disteso sul pavimento; mentre la luce mattutina si stende sul mio viso solcato dal sudore e dalle lacrime. Mi sono risvegliato da un incubo. Per ritrovarmi in un altro ancor più terribile. Col cuore colmo di dolore e tristezza mi rannicchio al centro della mia stanza. Una stanza con le pareti imbottite e le sbarre alle fines

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Piccoli paradisi

Nelle mia passeggiate serali per favorire la digestione mi piace percorrere una strada di campagna nel paese di M***.
Anche questa sera cammino lungo questa strada solitaria, dove raramente incontro qualche contadino. Oltrepasso un ponte sul fiume ascoltando le rane che gracidano al tramonto. Più in là c'è una pompa arrugginita attaccata a un pilastro. Ancora più avanti, dopo una curva, passo davanti a una vecchia casa abbandonata.
È una casa grigia, lunga e stretta, con il fumaiolo smozzicato. L'intonaco scrostato lascia vedere i mattoni. Erbacce crescono tutto intorno e c'è un bidone appoggiato al muro. Una delle finestre è aperta e viene fuori odore di muffa e umidità.
Calpestando ortiche e calcinacci mi avvicino di più, per vedere l'interno semibuio. C'è un camino fuligginoso, una credenza marcita e uno specchio rotto. Forse una di queste sere entrerò dalla finestra per visitare anche le stanze al piano superiore.
La sera seguente percorro ancora quella strada e rimango più tempo davanti alla casa abbandonata. In quella solitudine mi imbevo del suo passato, assorbo momenti della sua storia.
Sono convinto che nelle vecchie case sono registrati e conservati gli avvenimenti che si sono svolti. Tutti i gesti della commedia della vita; i gesti tipici dell'amore, che sono stati ripetuti per decine di anni. Sicuramente le scene di vita familiare sono ancora impregnate in questi ambienti. Con un poca di sensibilità è possibile percepire le memorie dei muri, cioè i piccoli paradisi che sono racchiusi dentro queste stanze.
La sera seguente sto ancora camminando lungo la strada che porta alla vecchia casa. I giorni si accorciano e la luce del crepuscolo è più grigia e più smorta.
Quando arrivo davanti all'edificio in rovina la luce è ancora più scarsa.
Dalla finestra adesso vedo la stanza all'interno come se fosse piena di fumo. Ma non sento odore di bruciato. C'è una strana luce polverosa dentro alla stanza e in quella nebulosità si muovono a

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   1 commenti     di: sergio bissoli



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