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Racconti horror

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Elsa della Neve

Un cappotto bianco nella neve bianca, che copriva la strada illuminata da coni di luce arancio delle lampade ai vapori di sodio, nei quali galleggiavano, come sospesi, legioni di esseri luminosi che altro non erano che minuscoli pezzi di polvere.
I capelli biondi adagiati su batuffoli di pelliccia bianca, soffice cornice per il viso della donna, che emetteva nuvole di vapore candido, mentre passo dopo passo, raggiungeva la grande piazza della città.
Avrebbe tagliato in diagonale attraverso di essa, come ogni sera, per tornare a casa.
Il freddo era netto e tagliente, eppure qualcuno era seduto su una panchina, dentro una parentesi di luce smorta, leggendo un giornale. Quando fu vicina abbastanza, vide che era un vecchio, e rallentò il suo passo nella neve, avanzando silenziosa alle sue spalle.
Fu dietro di lui in pochi attimi.
Guanti di pelle bianca estrassero uno stiletto, e quasi con dolcezza, aprirono la via del sangue nella gola del vecchio. Nessun urlo, nessun movimento scomposto o brusca reazione, solo dei gorgoglii, e poi il vecchio si piegò in avanti fino a cadere nella neve.
La donna si guardò intorno: nessuno. Tornò al vecchio. Inclinò il capo. Il sangue che scorreva nella neve, era amarena versata sul ghiaccio, che il venditore ambulante aveva grattato dal grosso blocco sul suo carrettino, sulla spiaggia. Prese il suo bicchiere, diede le monete al venditore, e colma di gioia tornò da sua madre sotto l'ombrellone che l'aspettava sorridente.
Ma sua madre diventò immobile e grigia prima che potesse raggiungerla e, quando arrivò da lei, non c'era altro che un'informe statua di cenere circondata da fiamme e fumo che, al tocco della sua mano, si sgretolò al suolo.
Ma al suolo c'era il vecchio adesso, niente più cenere, né fumo e fiamme intorno a lei, ma al contrario solo freddo e neve.
Si chinò, ripose lo stiletto, ed estrasse un altro coltello dalla borsa, e cominciò a lavorare: prima sui vestiti, poi sulla carne. Tagli precisi e velo

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La casa degli spiriti

Mio zio Ernest è morto. Lo hanno seppellito la settimana scorsa."
"Oh, mi dispiace. Lo stimavo molto..."
"Ho ereditato la sua casa. Vieni a vedere cosa te ne pare. Ho deciso di trasferirmi là appena mi scade il contratto dell'appartamento."
É una sera di febbraio con vento e nevischio e dopo questo incontro camminiamo insieme verso l'abitazione che si trova qui vicino. Lasciata la piazza ci immettiamo in una via secondaria malrischiarata, fiancheggiata da alberi.
La casa è una delle ultime in fondo alla via. Si vede subito che è abbandonata. Dalle imposte chiuse non esce un filo di luce.
Il mio amico Gregor tira fuori alcune chiavi e nell'oscurità lo sento armeggiare con la porta.
"Strano... La serratura deve essersi inceppata..." lo sento dire.
Io mi avvolgo di più nel soprabito in attesa di entrare.
Uno scatto e un cigolìo. Entriamo nel buio. Gregor gira l'interruttore e due lampadine fioche si accendono ai lati. Siamo in una saletta gelida con sedie di vimini, un cappello appeso a un attaccapanni di legno, la tappezzeria a fiori che cade in pezzi. Una finestra sbatte al piano superiore.
Camminando sulle mattonelle che si muovono visitiamo per prima la cucina. C'è una vecchia credenza con la bottiglia di whisky mezza piena e le briciole secche di pane. Dal camino spento proviene l'odore della fuliggine.
"Quando si è ritirato dall'allevamento del bestiame, mio zio si è dedicato al giardinaggio. I suoi stivali, la sua pipa..."
C'è anche una piccola cantina con ceste di legna e un ceppo con la mannaia.
Lasciati quegli ambienti entriamo in uno studio impregnato da un forte odore di tabacco. Sugli scaffali e nelle vetrine ci sono molti libri con la copertina nera che trattano di spiritismo. Sul tavolo c'è un tabellone spiritico, una tavoletta ouija, pile di registri scarabocchiati, un candeliere, gli occhiali...
"Mio zio faceva una vita molto ritirata."
Poi si avvia a salire i gradini per farmi vedere il piano superiore, ed io lentamente lo s

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   2 commenti     di: sergio bissoli


Quella sedia a dondolo

Era una calda notte d'estate, si udivano dalla finestra i canti dei grilli e delle cicale, e lo strillio di una civetta che al dire il vero incudeva un po di incuietudine.
Ultimo sguardo al soffitto e poi dritto sprofondo nei miei sogni.
Mi trovo in cucina seduto a tavola con due perfetti sconosciuti, un uomo e una donna abbastanza grandi d'età, credo sulla sttantina d'anni. Mi fissano per qualche minuto con aria inquieta, si sente molta tensione nell'aria, quando ad un certo punto i due allargano le loro bocche allungandole più del normale e dilatando le pupille di un nero corvino emisero un suono anzi un urlo terrificante che durò qualche secondo. io atterrito caddi dalla sedia e mi precipitai fuori correndo come un matto tra la boscaglia e gli alberi di ciliegio.
Mi fermai col fiatone e il cuore che batteva all'impazzata tentai di mettere a fuoco il quanto accaduto, pensai di fuggire ma l'auto era nel retro della casa avrei dovuto oltrepassarla nuovamente e non era il caso con quelle due cose o esseri o persone non lo so cosa fossero sarebbe stata un impresa ardua. Dopo pochi minuti di riflessione, mi armai di coraggio e di un bastone sdradicato da terra e mi incamminai verso la casa.
In quel momento passo dopo passo mi incitavo da solo tirando anche qualche parolaccia a quelle due cose fin quando arrivai all'uscio della porta, col bastone la aprii, mi affacciai buttando un occhio a destra e uno sguardo a sinistra, entrato nel salone mi girai nuovamente su me stesso onde evitare spiacevoli sorprese. Rassicurato mi incamminai furtivamente nella cucina dove vidi l'anziana dondolare su di una sedia mai vista in casa mia, mai usata, quelle sedie a dondolo di paglia un po rovinata dal tempo doveva essere abbastanza vecchia, quel dondolio mi trasmetteva incuietudine.
Camminando pian piano arrivai dietro le sue spalle portai il bastone per vibrarlo sul suo capo e scoccai il colpo ad occhi chiusi.
Il colpo andò a vuoto, non c'era nulla davanti a me e come se si

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   4 commenti     di: gaetano


Come i maiali

"Lei sta insinuando che io sto mettendo all'ingrasso mio figlio per...". Il signor Foster sembrava indispettito e divertito allo stesso momento. I suoi denti bianchi lo guardavano e Matt guardava i suoi denti bianchi.
'Si, è quello che sto dicendo', pensò Matt. Anche se adesso non ne era più molto convinto; anzi, iniziava a sospettare della sua stessa sanità mentale. Come gli era potuta venire in mente un'idea del genere? 'È solo uno dei tanti bambini obesi che popolano la nostra città anche se prima era magro come un chiodo e sorrideva sempre'.
Il poliziotto lo guardava con aria divertita. Aveva ricevuto una chiamata dalla stazione dieci minuti prima: bambino in pericolo o qualcosa del genere. Aveva acceso le sirene e si era precipitato sul posto. Ora si stava grattando la fronte, in evidente imbarazzo. "Signore, farò finta che questa chiamata non sia mai arrivata. Lo sa che potrebbe passare un brutto guaio se il signor..."
"Foster". Denti bianchi famelici.
"... se il signor Foster decide di denunciarla?" Il poliziotto guardò Matt. Il suo sguardo di comprensione era lo sguardo di comprensione che si rivolgeva di solito ad un pazzo, ad uno da rinchiudere, la tipica persona che vostra nonna affetta da uno stato avanzato di Alzahimer non ci penserebbe un attimo a definire 'strano'. Questo sguardo infranse per un momento tutte le convinzioni di Matt.
"Io... ecco...", aveva la gola secca. "Penso che... no, no, lasciamo stare, chiedo scusa, mi scusi tanto".
Matt si girò e tornò verso casa a testa bassa. Solo quando la porta fu chiusa alle sue spalle iniziò a provare un po' di sollievo e la convinzione di quello che aveva fatto (chiamare la polizia per denunciare un tentativo di omicidio) riprese vigore in lui.
Aveva le prove, e anche se non poteva dimostrare facilmente quello che il signore e la signora Foster avevano intenzione di fare a loro figlio... be, qualcosa avrebbe fatto. Aveva visto la metamorfosi del bambino, il suo corpo gonfiarsi di g

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L'incubo

Paolo si sveglia, sudato, tremante.
Solo frammenti di un incubo.
Lui che guida, di notte, un volto, due occhi, spaventati, di una bambina.
Cerca di svegliarsi, va in bagno. Una bambina!
Non è la prima volta che gli capita. Una bambina!
Deve avere un senso! Non può essere semplicemente un sogno. Una bambina!
Guarda l’ora, quasi le sei. Inutile tornare a dormire, va sotto la doccia, poi colazione, tg.
Quella bambina! Al tg, la foto di quella bambina! La quarta bimba scomparsa in due mesi, probabile movente pedofilo. La giornalista sta intervistando un uomo, sulla cinquantina, calvo, col sigaro in bocca, il capo dell’unità antipedofilia. “Siamo sulle sue tracce, lo prenderemo!”
Quella bambina! Possibile che lui sappia qualcosa?
Entra in macchina, cerca qualcosa con lo sguardo, ma non sa neanche lui cosa, sente un odore strano, di tabacco? Ma è solo un’impressione, neanche fuma, lui.
Rivede quegli occhi, quella bambina.
Va a lavorare, ma è come un automa, non vede neanche il monitor che ha davanti, i colleghi lo guardano e gli chiedono se va tutto bene, e lui dice sì. Sì? No!
Non va tutto bene, ho visto in un incubo una bambina che probabilmente è stata rapita da un pedofilo, non va tutto bene.
Torna a casa distrutto, prende qualcosa per dormire, va a letto, non ce la fa più.
Un coltello, una cantina, due occhi, spaventati, di una bambina. Ansimi, gemiti, erezione, urla della bambina. La bambina! La cantina! La mia cantina! Si sveglia urlando, sudato, cosa cazzo sta succedendo?
Si alza, scende le scale, arriva in cucina, poi altre scale, in cantina, luce accesa, sangue dappertutto, una scarpetta rossa, una bambola, no, una bambina, due, tre, con gli occhi non più spaventati, ma fissi nell’ultimo attimo di terrore. Si china, le tocca, non capisce. Da dove arrivano? È stato lui? Come ho fatto? E una voce conosciuta dietro di lui:”Ti stavo aspettando.”
Si volta, solo il tempo di vedere una faccia conosciuta, da cinquantenne calvo

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La bara a fiori

Arriva il lunedì mattina, triste come una donna incinta, come una sera di settembre, come un uomo a sessant'anni.
Di mattina presto arriva Vinicius, quasi di corsa. É sempre stato un eccentrico. In gioventù aveva collezionato chiocciole, poi spade, e questa mattina...
"Sono passato per dirti che ci vediamo oggi alle quattro davanti alle pompe funebri."
"Eh? Perché mai?"
"É una sorpresa. Ti spiegherò là."
"Ma, perché proprio davanti alle pompe funebri?"
"Alle quattro, ricordati, ci sarà anche l'ungherese e Marieluise."
Il deposito delle casse è una vecchia chiesetta sconsacrata.
Lo strano terzetto è già là. L'amico Vinicius sbuffa di impazienza. L'ungherese si sta pettinando i capelli lunghi e nerissimi.
Insieme a loro c'è Marieluise, ancora bella, vestita di bianco e di rosa, con il viso incipriato dove si indovinano le prime rughe. É una pittrice un po' viziata, che si concederebbe solo a un duca o a un fognaiolo.
Vinicius entra subito in argomento:
"Dunque, ho deciso di comprarmi una bara, da mettere in salotto per stupire gli ospiti, si capisce. Non trovi che sia un'idea originale?"
"Sì... Potresti metterci dentro le bottiglie dei liquori..."
"Ma no, che sciocchezza! La terrò vuota e chiusa, vicino al pianoforte."
Arriva l'uomo delle pompe funebri. É curvo, vestito di grigio. Ha una personalità scialba e un volto smorto che sembra impolverato.
Entriamo da una porta laterale e percorriamo un corridoio lungo, sinuoso, con facce paffute di angioletti scolpite sul muro di destra. Il magazzino è ricavato nell'abside della chiesa. Il resto dell'edificio comprende la falegnameria.
Vinicius passa in rassegna le casse messe in fila, nella luce tetra dei finestroni. Sembra un bambino che ammira i giocattoli. Ogni tanto chiede con voce eccitata:
"Questa bara chiara di che legno è?"
"Faggio" risponde l'impresario con voce monotona.
"Questa più scura?"
"Di quercia."
"E questa?"
"Di olmo..."
L'ungherese invece fa le sue riflessioni

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   3 commenti     di: sergio bissoli


L'edificio

-Quando sono arrivata qui, non era come ora- diceva a tutti "La Pazza" , una vecchia, curva, di cui tutti, persino lei, ne ignoravano l'età e che viveva da sola.
Aveva il corpo ricoperto da strane ferite e graffi profondi ormai cicatrizzati, che avevano contribuito a darle quel soprannome.
Era rimasta vedova da tanti anni, ma aveva avuto una bambina, che giocava quel giorno, vicino all'edificio appena costruito dove erano arrivati tanti nuovi amici.
E non era più tornata.
I bambini, si sa, inventano le cose, ma "Il Rosso" sembrava convinto di quel che diceva e piangeva disperato davanti ai poliziotti e alla madre che, arrabbiati, gli dicevano di dire la verità.
La verità era quella: l'aveva presa l'Edificio!
Veniva chiamato così quello stabile di cinque piani costruito nel dopoguerra.
In quegli anni, poche erano le persone che avevano visto un simile mostro d'acciaio e cemento poiché arrivavano quasi tutti dalla campagna in cerca di una situazione di vita migliore in fabbrica, in città.
Erano abituate a grandi cascine con molte stanze, dove abitavano più famiglie e dove, per avere acqua, dovevi andare al pozzo, fuori in cortile.
In città ogni famiglia aveva la propria abitazione e l'acqua arrivava direttamente in cucina, dal rubinetto.
Quasi una magia.
Dove avevano costruito l'Edificio, c'erano i resti carbonizzati di un antico rudere, circondato da grandi campi coltivati, ma all'improvviso, tutto fu recintato e ci furono scontri fra i proprietari terrieri e le forze dell'ordine.
C'era un mandato della contea e non si poteva discutere.
Lì sarebbe nato un palazzo di cinque piani e avrebbe dato rifugio alle famiglie dei venti nuovi operai che avrebbero iniziato a lavorare alla grande fabbrica della città!
Era stato messo ai voti democraticamente.
I più anziani, li avevano avvertiti, quelli là, i capi cantiere, di non fare niente... loro non sapevano... non erano del posto.
Ma veniva riso loro in faccia dicendo che le superstizioni non po

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   0 commenti     di: maida



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