"Sei grande ormai." Dice sua madre, la voce cerca di essere decisa e dolce al tempo stesso, gli accarezza il viso con la mano calda, nonostante i suoi occhi si sforzino di essere fermi, lui sente la pelle ruvida del suo palmo, in una mano che per il resto è senza dubbio femminile. Il solletico che sente sulla pelle imberbe della guancia è il lascito degli sforzi fatti da sua madre per non far mancare niente all'unico uomo rimasto della sua vita, l'unico che ancora rappresenta un motivo per andare avanti. "Solo per questa volta." Dice lui, con quel sottile e delicato ricatto nella voce che gli è attribuito dall'essere un bambino che ha tanto sofferto.
"Sei grande ormai." Ripete lei, ma anche la più piccola traccia di durezza nella voce è ormai scomparsa, sostituita dalla comprensione, dall'amore per quel suo figlio sfortunato e da un quasi impalpabile velo di rassegnazione. "Non so perché," Ribatte lui. "ma ho bisogno che tu lo faccia." Abbassa gli occhi quasi come se alla sua età potesse già provare vergogna per quella richiesta che quasi tutti i bambini hanno fatto almeno una volta ai propri genitori. "Guarda sotto il letto." Riesce a dire con un filo di voce masticando le parole. "Poi sono sicuro che dormirò meglio." Lei quasi non riesce a trattenere le lacrime.
Non so perché ma ho bisogno che tu lo faccia
Quella frase le rimbomba nel cervello perdendosi fra mille echi fino alle profondità della sua anima, mentre un groppo le si forma in gola ed un oceano di lacrime trattenute con sempre maggiori difficoltà le si accumula dietro gli occhi stanchi. Si chiede, forse per la milionesima volta, che cosa può provocare nella mente di un bambino assistere a quello cui suo figlio ha assistito quel maledetto giorno. Guarda la finestra chiusa, dietro la tenda tirata ondeggia l'ombra di uno dei rami della grande quercia che gli assassini di suo marito hanno utilizzato per entrare. Si chiede se sia giusto dire quello che sta per dire, ma forse la situazione st
Mosca, ore 4 del mattino.
Anatoli si alzò da terra confuso, trovò un appoggio al bordo del lavandino sopra di lui.
Si muoveva frenetico, la testa scattava a destra e sinistra, il collo si contraeva, faticava a deglutire.
Attese una parvenza d’equilibrio tra uno spasmo e l’altro; cercò la tasca dei pantaloni e vi infilò la mano tremante.
Tirò fuori una banconota da cento rubli, l’arrotolò sottile, a forma di cannuccia. I suoi occhi s’incontrarono nel vetro dello specchio. Si perse nel suo stesso sguardo alla ricerca di un particolare, un ricordo: non trovò che il vuoto. Interdetto, abbassò gli occhi; estrasse dal taschino della camicia una piccola scatola di latta, color verde menta; l'aprì.
Posò il contenitore sul ripiano del lavandino, schiacciò con l’indice la narice destra.
I suoi movimenti iniziarono a rallentare. Impiantò un lato della costosa cannuccia nella narice sinistra, l'altro, nella scatola colma di polvere bianca. Tirò su l’aria e la cocaina discese nel cavo orale.
Rapido, con la fronte aggrottata e le palpebre chiuse, cambiò narice. Ancora un lungo respiro. Un dolore acuto percorse il suo corpo, lo sentì scorrere nella testa, insinuarsi nelle viscere, arrivare alle ginocchia. Alzò nuovamente lo sguardo, gli occhi opachi, il volto pallido. Il dolore lasciò il posto a un rilassato torpore e questa volta, nello specchio, apparvero le prime memorie di quella notte.
Ricordò di essere nel bagno della discoteca più cool di Mosca: il Soviet Superman; ricordò di avere una terribile paura di morire.
Anatoli avverti il cuore accelerare i battiti, una grancassa picchiava al centro del petto.
Una fitta alla tempia lo fece barcollare. Si girò, guardò l'uscita del bagno, faticava a mantenere l’equilibrio.
Sinuosa, una figura femminile teneva poggiata la schiena verso la porta d'entrata.
La musica arrivava forte, incalzava fastidiosa come le grida selvagge che si rincorrevano nella pista da ballo. La donna guard?
“Shirleyyyy, tesoro, non allontanarti troppo, resta qui vicino ok?” gridava sua madre, avvolta dalla naturale preoccupazione che una mamma nutre vedendo la sua piccola di 8 anni giocare in un giardino che confina con un bosco, dal quale può provenire di tutto e con i tempi che correvano non era il caso di allentare la guardia, nemmeno per un attimo. Ma la piccola Shirley, incurante del richiamo materno si avviò vero la zona boschiva, che attirava di più la sua curiosità e stimolava tantissimo la sua fantasia. Fra l’erba alta migliaia di piccoli insetti vedevano passare le piccole gambe della ragazzina, delle gambe che trasmettevano curiosità, fantasia……. innocenza.
La curiosità della bambina fu attirata da un debole suono, quasi un pigolio o un cinguettio, non di distingueva bene cosa fosse. Arrivata vicino alla fonte di quel verso Shirley vide un piccolo uccellino, un passerotto che probabilmente aveva tentato di spiccare il suo primo volo ma le sue ali erano ancora deboli e di conseguenza era finito rovinosamente a terra ferendosi a tal punto da non riuscire più a muovere nemmeno una zampetta. Il povero animale vide la figura imponente di Shirley sovrastarlo. Imponente lo era dal suo punto di vista ovviamente e tuttavia Shirley lo guardava stando in piedi e quindi capirete che anche 1 m e 20 di altezza sono paragonabili ad un grattacielo dal punto di vista di un uccellino inchiodato al suolo. Shirley lo fissò per qualche istante, poi si inginocchiò a terra e lo prese fra le sue mani. Il povero animale iniziò a tremare terrorizzato, essendo incerto sulle intenzioni di quella bambina, all’apparenza dolcissima.
Poco distante da lì un grosso gatto selvatico si muoveva con il silenzio e la cautela che solo un felino può avere. Si vedeva chiaramente che girava alla ricerca di una preda e si sa che le prede più ambite dei gatti oltre ai topi sono gli uccellini. Il cinguettio del povero uccellino nella mani di Shirley attirò l’attenzione
Quinn era sempre stata una sognatrice, sognava di stare con il ragazzo che le piaceva, sognava di essere ammirata da tutti e sognava di avere un padre, il suo era morto quando lei aveva solo 5 anni.
Era la sera di halloween lei e il suo gruppo di amiche avevano deciso di fare una festa da sballo e avrebbero invitato anche i ragazzi che gli piacevano, tutto era già organizzato sarebbero stati nella casa in campagna della nonna di quinn. La festa sarebbe iniziata intorno alle 9:30 e visto che facevano le superiori e che il giorno dopo non si andava a scuola potevano fare l'orario che volevano. Le quattro ragazze spesero molto tempo per i preparativie bisognava lavorare anche agli invitati, anche se non sarebbe stato difficile. Gli invitati ufficiali sarebbero stati jeke, simon, andrew, matt e la loro comitiva, gli amici più stretti come mark, spike e emmet e infine le ragazze come fleur e il suo gruppo e altre. Quinn, sky, sarah e demi andarono nella casa dopo pranzo per sistemare tutto, finirono di sistemare verso le 6:30 la festa sarebbe iniziata fra tre ore. Le quattro ragazze previdenti avevano portato trucchi, vestiti, prodotti e accessori per i capelli. Tutte erano bellissime e allo stesso tempo spaventose con i loro costumi, Quinn era vestita da strega aveva le gambe nude con un tutu nero da ballerina con sotto delle culotte viola scuro e un corpetto rosa fluo con dei lacci neri brillantinosi e un cappello a punta nero con dei brillantini con dei lacci rosa abbinati al corpetto e delle ballerine viola scure, Sky era vestita da vampira con un vestito corto attillato blu notte con delle gemme nere.. la bocca contornata di un bel rosso scuro sgfoggiava due bianchi canini e in testaportava una retina nera e portava degli stvali neri alti fino al ginocchio.. sarah indossava dei pantaloncini neri con una maglietta attillata viola e due antenne nere e demi indossava una maglietta con una spalla scoperta e dei jeans strappati macchiati con delle goccie di sangue f
Un fine pomeriggio nuvoloso e triste raggiungo a piedi il palazzo dove abitava lo zio. È un edificio con l'intonaco scrostato e l'erba che cresce sui tetti.
Entro dall'androne.
"Sono venuto per il funerale... Vorrei vedere lo zio..." dico al portiere deforme con la faccia grossa piena di foruncoli seduto dietro il banco.
Lui prende una chiave dalla casella e me la porge:
"Ultimo piano. Penultima porta in fondo al corridoio".
Le scale sono malrischiarate dai finestroni sporchi. Salgo appoggiandomi alla ringhiera in ferro e arrivato in cima percorro un corridoio oscuro con le piastrelle che traballano.
Attaccato alla penultima porta qualcuno ha appeso un cartello con la scritta: <<Lutto di famiglia>>.
Apro. La porta di legno stride orribilmente raschiando sul pavimento. Odore di cera e di fiori appassiti.
Una stanzetta semibuia con gli attaccapanni. Un'altra porta aperta che conduce in cucina.
La bara sta al centro su due cavalletti. Intorno ci sono alcune sedie scompagnate, qualche mazzo di fiori...
Lo zio è dentro alla cassa aperta, col coperchio posato per terra. Due candele ardono quietamente in silenzio. Mi avvicino di più e guardo dentro alla cassa.
Lui sta disteso, come in attesa... Attorno alla testa ha un tovagliolo annodato per tenere chiuse le mascelle. Il viso è rasato e sembra di cera. È vestito con giacca blu notte, pantaloni nuovi dello stesso colore; camicia bianca e cravatta azzurra. In vita non lo ho mai visto vestito così elegante. Forse questo abito non lo ha mai messo conservandolo per il futuro...
Le fiamme delle candele si sono mosse. C'è una corrente d'aria da qualche parte.
Il volto è bianchissimo, gli occhi chiusi. Sembra che dorma. È così forte l'impressione che sia addormentato che a volte mi pare che il torace si sollevi nel respiro. Ma no. È solo suggestione. A forza di fissarlo non sono più sicuro di niente. Provo a toccargli una mano. È fredda e dura come il marmo.
Il tempo passa, gocciola lentamente nella
-No ti prego no lasciami - Ramona era terrorizzata da quello che le si presentava davanti, -ti ho detto di starmi lontano-, disse urlando con tutta la forza che le rimaneva. Quello che fino a pochi minuti prima le era sembrato l'uomo della sua vita era in piedi davanti a lei, con un coltello da bistecca in mano. -dai baby, non fare la difficile con me, so che mi vuoi- la sua voce era completamente cambiata come se fosse un'altra persona, Ramona ne era terrorizzata, pensava a tutti i bellissimi momenti passati con lui e le sembrava impossibile quello che stava accadendo, -Mattia ti prego- della lacrime rosse cominciarono a rigarle il viso -guardami ti prego sono io Ramona- disse in preda al dolore -cosa credi che mi sia rimbambito?- replicò lui -certo che so chi sei, è proprio per questo che voglio ammazzarti- alla fine delle sue parole rise di gusto, come lei non l'aveva mai visto ridere, era sempre stato un tipo cupo ma a lei piaceva così -ti prego, amore..- -amore un cazzo cosa credi che non sarei mai venuto a sapere delle tue scappatelle con marco? Eh?- gli occhi di lei si dilatarono, il suo viso perse del tutto colore, allora sapeva, tentò di nascondere l'evidenza -no, no, non è vero niente io.. io non ti ho mai tradito- -puttana- la interruppe lui -hai anche il coraggio di mentire così spudoratamente?- furioso le si gettò addosso col coltello puntato alla gola, Ramona riuscì a spostarsi di lato e a coprire la gola così che non potesse sgozzarla, ma il colpo andò a bersaglio lo stesso, le usciva del sangue dalla spalla, non riusciva più a muoverla -lurido stronzo figlio di puttana- urlò lei, ma quel dolore lancinante l'aveva riportata alla realtà, doveva scappare da lui e cercare aiuto -non pensare di scapparmi lurida puttanella- ora anche la sua faccia era deformata in una specie di ghigno -Ramonaaaaa dove sei?- si era nascosta dietro il divano, fortunatamente aveva fatto di testa sua e lo aveva comprato, se avesse dato retta a lui non sarebbe
[continua a leggere...]Ayako Kobahiashi era intenta a scrivere il suo romanzo "I fantasmi giapponesi".
Erano le 6:00 di mattina e ormai aveva le borse sotto gli occhi, decise di abbandonare la stesura del racconto e posizionò la penna sul foglio bianco.
Decise di andare a letto, si spogliò e si mise a letto: nella sua testa aveva dei pensieri orribili: secondo alcune legende giapponesi chi muore in un certo posto, in modo innaturale, continua a vagare per l'eternità.
Mentre dormiva sentì un tonfo provenire dall'esterno e si trovò davanti una scena terribile: una donna in un kimono sporco di sangue che prima guardò Ayako e poi cominciò a urlare "Spiriti della terra e dell'inferno, datemi la forza di uccidere questa donna che vuole far conoscere al mondo i nostri segreti!" Ayako scappò su per le scale di marmo ma per un caso sfortunato della sorte vi sbattè il mento: da esso cominciò a zampillare del sangue caldo e denso.
Ayako corse in bagno e si tamponò la ferita con una garza sterilizata.
Mentre chiudeva l'armadietto dei medicinali vide riflesso nel vetro un altra donna: stavolta era bianca come un lenzuolo ma scomparì dopo un secondo.
Ayako pensò " devo essermi sognata tutto, torniamo a letto che è meglio..".
Si svegliò alle 10:00 di mattina, si fece una doccia, si vestì e uscì per andare a trovare sua madre Chitose e appena arrivò alla prefettura Mizuki (da ricordare ai lettori che in giappone non esistono vie e numeri civici) girò a destra e parcheggiò la macchina: mancavano ancora due ore prima che sua madre tornasse e lei si dedicò al suo libro.
Prese la penna e cominciò a scrivere: " una delle entità più temute su questa terra è il fantasma, ma i fantasmi giapponesi sono conosciuti per la loro indole violenta e vendicatoria, ma io non ci credo": quandò posò la penna apparve sul libro una scritta "davvero?" e poco dopo una mano spuntò fuori dal libro e la trascinò dentro il libro.
In ogni caso nessuno sa che fine abbia fatto Ayako:
Questa sezione contiene storie dell'orrore, racconti horror e sulla paura