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Racconti horror

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Danza macabra

Sulla provinciale per Anfin c'è, nascosta dai cespugli di sanguinella, una stradina bianca in discesa.
Quando la vidi per la prima volta mi sembrava di conoscerla già, di averla percorsa in una vita precedente.
Nella sera di fine estate il sole tramonta in un lago di sangue. Nelle fattorie buttano in aria il mais con le pale per liberarlo dalla pula. Le stoppie si levano nei campi dentro vortici di vento.
Poi all'improvviso il vento si quieta. Il sole manda i suoi raggi in uno scintillio di luci. Pesanti tendaggi rosso cupo e nubi a forma di capelli si stendono nel cielo.
Un gregge di pecore e capre avanza fra il rumore dei campanacci. Davanti c'è un pastore vecchissimo, alto e barbuto, che cammina appoggiandosi ad un bastone.
"Buonasera. Dove porta questa strada?" chiedo.
Senza parlare indica col bastone una targa arrugginita: "Località Vignalon".
La polvere sta sollevata nella stradina serpeggiante fra i fossati. Qui la campagna si fa più immensa, mi sovrasta nella sera stregata. Discendo per la stradina, e subito mi pento di averlo fatto, ma solo per poco.
Ancora la campagna nella sera infinita. Arrivo a un bivio e giro a caso verso destra.
La strada diventa stretta, tortuosa. Tutto si va incupendo adesso. Dopo una salita arrivo su un ponticello.
É tutto così strano stasera. Il fiume compie anse e giravolte, prima di perdersi nel folto.
Laggiù dopo una lunga curva c'è una donna con i capelli bagnati in piedi sulla riva, e guarda l'acqua.
É solo un'illusione, mi accorgo poco dopo. Si tratta di un salice contorto e una lapide piantata proprio sulla riva. Mi fermo a guardare; sulla lapide coperta di licheni si legge appena un'iscrizione: Sonya Greeder n. 1844 - m. 1863.
Guardo dietro di me il ponte di mattoni, il bosco di pioppi. Proseguo ancora
La strada si restringe e diventa un sentiero.
Le prime case che vedo sono fattorie grosse e senza segno di vita. Aie desolate.
Rumori e cigolìi mi fanno voltare di scatto. Un secchio rotola da solo

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   0 commenti     di: sergio bissoli


Polvere alla Polvere

Erano in tre di fronte ad una lussuosa cappella mortuaria, il recinto che delimitava i loculi era alto, quasi completamente occultato da siepi perfettamente curate. Il terreno compreso nell'area, solcato da stretti vialetti di pietre levigate, era riservato alle inumazioni. Era inverno e nella notte una lieve nevicata aveva lasciato rade spolverature di bianco. Non c'erano altre persone nel cimitero, oltre al becchino; dopo il funerale il piccolissimo corteo non aveva accompagnato la salma nel suo ultimo viaggio. Il defunto non doveva proprio godere di quello che si definisce il favore delle masse.
"Questa volta l'abbiamo fatta proprio grossa." Disse Giovanni.
"Non mi sembra che sia poi molto più grossa delle altre volte. Delle molte altre volte." Rispose Pietro, subito prima di dare un lungo bacio alla sua fiaschetta d'argento.
"E che diavolo, un po' di rispetto." Disse Maria stringendosi nel suo pesante cappotto dopo una raffica di vento particolarmente gelida. "Praticamente siamo ancora ad un funerale."
"Andiamo cuginetta, non farmi la predica." Rispose Pietro. "Mi sto solo tenendo caldo. Non sto festeggiando... non ancora almeno."
Giovanni sorrise sfregandosi le mani guantate, cercando di non farsi vedere da sua sorella.
"Probabilmente se non ti fossi tenuto tanto caldo ora non saremmo in questa situazione." Ribatté Maria, il freddo le faceva uscire del vapore dalla bocca.
"È vero, sono un po' ubriaco." Ammise Pietro allargando le braccia con un sorriso liquido. "Ma... guardandoti in faccia... non potrei giurare che tu non ti sia fatta una tiratina della tua bella polverina bianca da snob nelle ultime ore. E comunque c'eravamo tutti e tre qui, quindi se ho sbagliato non ho sbagliato da solo."
"Ma tu eri l'unico che sapeva quali erano le ultime volontà dello zio." Intervenne Giovanni.
"E va bene, è colpa mia, solo colpa mia." Rispose Pietro. "Prendetevela con me se vi fa stare bene. Mea culpa, mea culpa, mia... come proseguiva?" Aggiunse il giovane

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   0 commenti     di: NeroLate


L' incontrollata evoluzione

"In effetti Generale, non la riconosco piu'. Si è trasformato in un coccodrillo gigante. Ma cosa le è successo?"
"Che non si dica in giro, effettivamente sono di una famiglia di coccodrilli giganti che si trasformano talvolta in politici di alto rango, in generali, appunto, come questa volta, o banchieri, stilisti di alta moda, insomma noi siamo l' élite degli "illuminati cattivi" e siamo qui per dare il colpo finale!"
"Mi scusi eh, sono soldato semplice da circa un anno in questo reggimento. Sono di guardia qui a V. a questi aerei supersonici senza pilota, e ieri sera un mio commilitone italo-statunitense, mi ha dato una strana droga in pasticca che usavano anche in missione in A. , quando stanchi, non ne potevno più lui e i suoi compagni di battaglia inutile e incomprensibilmente crudele, di sparare contro bersagli ombre, e rapire bambini, stuprare donne inermi. Mi ha raccontato cose inenarrabili, da incubo, si dice combattessero anche tra di loro ormai in presa a un delirio di eccessi, mal gestiti da chi li comandava o forse... lo facevate apposta?! In modo da poter sfogare tutta l' artiglieria di cui è dotato il vostro arsenale, per scatenare paura, come è sempre successo dall' otttocento ad oggi! Ah! Ma mi avete dato un morso! Ah! Ehi, maledizione che dolore. Mi state mangiando il braccio maledettisimo bestione, ah!"
" Si, figliolo. Come dicevo siamo su tutta la superficie terrestre per dare il colpo finale!"
"Per l' amor di Dio! Ah! Certo, voi generale, non siete un'essere umano, e la droga che ho assunto finalmente mi permette di connettermi sulle Vostre stesse vibrazioni! Maledetto tu e tutti quelli della tua razza maledetta, Ah!"


" Si figliolo, hai capito la verita' e noi non possiamo permettere, che tu divulghi la verita', capisci? Noi dobbiamo compiere l' atto finale di dominio assoluto su questo miniuscolo pianeta chiamato Terrra. Hai sangue buono." Mastica le ossa del soldato, in modo orripilane e orribile con anima

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   5 commenti     di: Raffaele Arena


panog

“Il Sonno della ragione genera mostri”
Goya

Ero ormai giunto all’apice della mia distruttiva malattia depressiva. La memoria, la nostalgia e i sogni il tutto si fondeva in un'unica creazione deformata e incomprensibile, del tutto simile per astrazione - se la si vuole prefigurare- a quei sorprendenti quanto mirabilmente complessi dipinti del pittore spagnolo Pablo Picasso.
Un Male talmente radicato nelle mie ormai arrendevoli viscere terrestri, paragonabile per insopportabilità e dolore alle più sanguinose e truculente torture che solo chi, come Dante, ha potuto esplorare le indicibili voragini a spirale del regno di Lucifero per poi tornare a raccontarlo, potrebbe comprendere.
Vivevo quindi preda inerme di questi maligni “Demoni” della mente, in una piccola e modesta abitazione a Toxer nello stato del Missouri, arrancando sugli specchi della speranza, quando un freddo giorno di novembre il mio medico curante, il dott. Alexander Salomon, uomo di grande cultura e di rare nozioni mediche conoscitore, accortosi del degenerante progredire della mia ignobile infermità, mi prescrisse una cura.
Questa soluzione, chiamiamola così, si può tranquillamente definire naturale in quanto consisteva nel recarmi per qualche tempo (un periodo imprecisato) in un sanatorio, un centro di salute mentale a Topeka nel Kansas.
Per quanto rimasi al principio non poco contrariato a quella soluzione, e devo aggiungere leggermente sospettoso, che io ritenevo alquanto estrema e nonostante ne fossi anche turbato, decisi di accettare, spinto dalla mia profonda stima per il dott. Salomon, il quale non solo mi era stato accanto come curatore ma soprattutto come una specie di genitore putativo, essendo io rimasto orfano nello sbocciare della mia terribile vita.
Accettai coi più lugubri presagi che come ragni velenosi, tessevano ingannevoli tele f

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Alys On Hell (5)

26 Agosto

Siria passeggiava nervosa nella sala d'attesa dell'ospedale.
Suo marito stava seduto su una sedia li accanto; immobile e riflessivo.

"Quando pensi ci diranno qualcosa?" Chiese la donna.

"Porta pazienza! Siamo anche stati fortunati!" Rispose Jacob senza muovere un muscolo.

"Fortunati?" Urlò Siria

"Calmati!"

"Tu dici fortunati? Nostra figlia era piena di sangue! Ne era mezza!" Poi la donna si mise le mani davanti agli occhi disperandosi.

"Amore stai calma! Stanno facendo tutto il possibile! Le analisi ed i controlli necessari per capire cosa è successo!"

"È successo che nostra figlia è malata! Ti rendi conto? Lo capisci Jacob?" Sibilò rabbiosa.

"Smettila! Alys non è malata!"

"E che cosa ha allora? No dimmelo te che pensi di sapere tutto! Che sei così tranquillo; cosa ha nostra figlia? Che le è successo stanotte? E Che le sta succedendo da un po di giorni a questa parte? Mi sai rispondere?" Concluse.

"No! Purtroppo non so! Ci sono persone qui che ci possono aiutare! Mettiti a sedere adesso ed aspettiamo!" Le intimò.

"Al diavolo! Jacob! Al Diavolo te ed il tuo ottimismo!"

Passarono due ore
ore meste di silenzio
di sguardi raramente incrociati
di esistenza scosse
ed arrabbiate

Un giovane dottore chiamò per cognome i due coniugi che si alzarono di scatto.
Disse loro di seguirli in una stanza.

"Che è successo? Dottore? Perché dobbiamo venire qua? È grave vero?" Disse lacrimante Siria.

Il dottore non le rispose; prese una cartella in mano e la osservò.

"Allora? Cosa ha Alys? Le analisi?" Chiese più pacatamente Jacob.

Il dottore si mise apposto gli occhiali e disse loro di non preoccuparsi.
Che andava tutto bene.

Alys non aveva niente.

"Niente? Come Niente? Cioè; meglio così;
ma stanotte ha sanguinato!" Domandò Siria.

"Signora! Stia tranquilla! Sua figlia ha fatto tutti gli esami che potevamo farle fare! E lo sa che è una bravissima e coraggiosa bambina? Non ha detto una p

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   1 commenti     di: Dark Angel


La casa inquieta

Hanno suscitato chiacchiere e congetture gli strani avvenimenti del meccanico Francisco di G***. Il suo caso è apparso anche su un giornale locale.
Così un pomeriggio di settembre vado a trovare quest'uomo.
Il signor Francisco ha sessant'anni, è grassoccio, con i capelli grigi e l'aria stanca e un po' abbattuta. Gli dico che sono uno studioso di poltergeist e che mi interessa sapere esattamente cosa è successo. Lui emette un sospiro poi incomincia a raccontare:
"Sono già venuti in tanti. Dirò anche a lei quello che ho detto ai giornalisti. Prima di andare in pensione abitavo in una casetta alla periferia di G***. Una mattina mia moglie, malata di cuore da anni, ha avuto un attacco e non c'è stato niente da fare... Dopo la morte della mia cara Jenny sono rimasto solo e in casa sono incominciati i fenomeni. Le luci si accendevano, le porte si aprivano da sole... Ho chiesto aiuto ai vicini, al prete, a una maga ma non è servito. Non avevo paura, ma non potevo più restare. Dopo due settimane mi sono trasferito qui in casa di mia figlia sposata, e ho ripreso la mia vita."
Mi fermo di scrivere appunti poi faccio la mia richiesta:
"Vorrei vedere la casa."
L'uomo ha un sussulto e sembra pensarci un po'. Poi esclama:
"Venga."
Prende un mazzo di chiavi, si infila la giacca e usciamo. Dopo mezz'ora di automobile arriviamo a un sobborgo nuovo alla periferia di G***. A piedi ci avviamo verso il N°54, una casetta seminuova color giallo, con giardinetto incolto anteriore. Mentre il proprietario fa scattare la serratura noto i vicini che ci guardano sospettosamente.
Finalmente entriamo dentro.
Una saletta in penombra con il pavimento a losanghe bianche e nere. Alcuni mobiletti, un vaso di fiori in plastica, una vetrinetta con i bicchieri. Nell'angolo c'è una macchina da cucire. Sulla destra c'è un sottoscala tetro con mensole piene di scarpe e vestiti femminili attaccati ai chiodi. Fa molto freddo qui dentro.
Muoviamo alcuni passi ed entriamo in cucina. Dalla

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   1 commenti     di: sergio bissoli


Amore immortale

La pagina bianca di fronte a me...
Dove sei amore mio?
Non sento più il tuo profumo sulla mia pelle la mattina, quando aprivo gli occhi e c'era la tua bianca schiena accanto a me...
Accanto a me... Ci sei sempre stata tu.
E questa pagina continua ad essere bianca.
Sono passati già 2 mesi da quando sono andata via. Ho dovuto farlo, era necessario.
Almeno questo te lo dovevo...
Sei la cosa più importante per me.
Lo sei sempre stata e sempre lo sarai.
E fa male saperti lontana eppure così vicina.
Chiudo gli occhi e sento ancora la tua voce che mi chiede se voglio i cereali o un toast a colazione. Io che mangiavo solo per passare più tempo con te, per sentirmi ancora vivo.
Con te, lo ero.
Per la prima volta da quando ero morto ero felice. Ero vivo.
Ogni colore, ogni sapore mi entrava dentro, mi attraversava il cuore senza farmi male.
Pensavo davvero di poter far funzionare le cose, di poter rendere le cose normali tra noi. Ma cavolo! Non so neanche io come ho potuto illudermi tanto.
E peggio ancora ho illuso te, amore mio.
Ti ho fatto credere che poteva essere bello, che poteva essere per sempre, anche se io e te abbiamo due concezioni diverse di tempo. Ho 265 anni e l aspetto di un 25enne. E tu ne hai solo 24 e l'aspetto di una piccola principessa...
La mia principessa. L'unico rimpianto...
Ma so di aver fatto la scelta giusta lasciandoti andare, lasciandoti vivere la tua vita, senza che questa mia oscurità rendesse marcia anche te che sei la cosa più meravigliosa che abbia mai visto.
Senza che, tutto questo male, questi segreti, questi dolori, toccassero anche te, rendessero tutto cupo e grigio come la mia anima, semmai ne avessi ancora una.
Il mio compito è proteggerti e sono davvero capace di proteggerti da tutto o quasi.
Sono un vampiro, sono forte, controllo la mente con un semplice sguardo. Sono veloce, tanto veloce. Ma sono pur sempre un vampiro amore mio...
Una creatura della notte, senza un'anima.
E adesso, anche senza un cuo

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   3 commenti     di: Flowers night



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