"... quelle dannate erbe devono essere carnivore..."
Mi volto verso il mio amico Bob che ha appena parlato.
"Eh? Di che cosa parli?"
"Delle erbe che sono spuntate alla vecchia fornace abbandonata..."
Si riferisce a una fornace abbandonata oltre quaranta anni fa.
"Erbe carnivore qui da noi, con questo clima? Non è proprio possibile..." gli rispondo pescando con la memoria nei miei vecchi ricordi di botanica.
Stando sveglio nel mio letto di notte, ricordo i frammenti del mio ultimo dialogo con Bob. Sono stato uno degli ultimi testimoni a vederlo, prima della sua scomparsa. Quella sera all'osteria ero stanco e ascoltavo distrattamente i discorsi dell'amico. C'era il temporale e aspettavo che smettesse di piovere per andare a casa a dormire.
Il giorno dopo Bob scomparve di casa e la polizia lo sta cercando da oltre due settimane. Alcuni dicono di averlo visto insieme a una donna. Altri suggeriscono che è partito in cerca di libertà.
In realtà da quando l'ho conosciuto ha sempre dimostrato un carattere difficile, imprevedibile. Possedeva un grande senso per l'amicizia e un profondo amore per la libertà. Il suo problema forse nasceva da questo contrasto: amava le persone, ma non sopportava i vincoli che l'amore da sempre crea.
Ricordo che altre volte Bob mi aveva chiesto di andare alla vecchia fornace per studiare le erbe... Come ho potuto dimenticare tutto questo! Forse sarà andato là da solo e si sarà fatto male. Forse è là che bisognerebbe cercarlo adesso.
Accendo la lampada e guardo l'orologio; le due e un quarto di notte. Chissà se invece non sia veramente partito in cerca di libertà.
Il mattino seguente sto per andare alla polizia ma all'ultimo momento cambio idea per non rischiare di apparire ridicolo.
Sul tardo pomeriggio mi tornano in mente le ansie della notte. Così per scrupolo mi incammino sul sentiero in discesa che conduce alla fornace. Sarà tutto cadente da quello che si può vedere da lontano. Tetti sfasciati. Due cinture in ferro
Fuggire, non servirà a nulla, difendersi non servirà a nulla
siamo tornati ad essere noi stessi, privi di ogni cosa materiale
privi di tutto, anche di noi stessi.
Sono con un gruppo di persone, superstiti della città di stone city
stiamo viaggiando verso la base nordista, non tenendo conto dei pericoli che corriamo
ma che importa più, stiamo morendo di fame, il caldo ci sta uccidendo
e abbiamo poche armi con noi, e quasi nessuno sa sparare o peggio ancora, tenere un'arma.
Non è facile adattarsi a questa vita, non è facile perdere tutto quello che si a costruito con
fatica, sudore, sacrifico, tutto per niente, bruciato in due giorni.
Fuggiamo, e quello che sappiamo fare bene, fin che non saremo troppo stanchi, per proseguire,
e molleremo tutto, ma quel giorno non è ancora arrivato.
Tenevo stretto fra le mani un fucile da caccia, mentre il sudore della fronte scendeva fino a bagnare le mie labbra
facevo così caldo che avevo un enorme mal di testa, ma proseguivo in silenzio con gli altri
non lamentandomi, e stando al mio posto, non volevo essere cacciato e non avevo intenzioni di rovinare tutto
andammo avanti per circa 15 metri, quando Peter il più anziano del gruppo cadde a terra privo di sensi
in quel momento non sapevo cosa fare, e mentre tutti gli altri lo soccorrevano io ero lì immobile
con il mio fucile il mano, che fissavo gli altri, non percepivo nessun rumore, era un totale silenzio.
Mentre gli altri mi guardavano con un'espressione strana, difficile da raccontare
la mia vista si annebbiò e iniziò a calare il buio, ma prima di cadere come un sacco di patate
notai degli uccelli volare sopra la mia testa e lentamente caddi giù, come se il tempo avesse rallentato tutto
non stavo cadendo, ma volando, mi sentivo felice e spensierato, finchè non toccai terra
e da lì realizzai che stavo cadendo, ma non volando come volevo.
Non ricordo più nulla, solo un fastidioso rumore, come spari
ma forse era la mia testa che giocava brutti
Arrivo a casa tardi, di notte. Appoggio la bicicletta sotto alla tettoia e cammino verso la fattoria.
É un'umida notte di agosto. La luna alta nel cielo illumina il cortile vuoto, disegna ombre storte e dentate sul terreno. Alla mia destra oltre il pollaio e i cespugli di serenelle, si stende il vigneto, ondulato sotto alla luna. Tutto è immobile e silenzioso.
Ma là in fondo qualcosa si muove di sfuggita. Mi fermo e ritorno indietro.
Vedo una forma vaga, biancastra, in lontananza. Che cosa può essere? Un riflesso delle foglie? Un ramo nudo?...
Sono stanco e devo andare a dormire. Apro la stretta porta di ferro ed entro nella saletta. Senza fare rumore salgo di sopra, mi spoglio e mi sistemo a letto.
I ricordi della sera passano nella mia mente. La musica delle chitarre, il ballo con la ragazza, i lunghi baci... E la macchia bianca nel vigneto, che cosa sarà stata?
Mi sento agitato. Mi giro nel letto senza riuscire a prendere sonno. Ho fatto male a non andare a controllare. Dopo un po' mi alzo, mi rivesto e scendo giù.
Rivedo il cortile deserto, allagato di luna. La notte d'estate sembra diventata più fredda.
Come arrivo all'inizio del vigneto vedo che è ancora là. É una forma bianca e nera proprio all'incrocio di due filari di viti. Sembra un uomo con un mantello.
Innervosito mi incammino di buon passo. Il terreno è ondulato fatto di discese e salite. L'erba alta bagnata di rugiada mi rallenta l'andatura. Ho fatto male a non portare i cani con me. Dove saranno i due cani adesso? Perché questa notte non mi sono venuti incontro come le altre volte? Forse staranno dando la caccia a una talpa nei campi.
Quando arrivo a metà sento un suono strano provenire dal fondo del vigneto. Sembra un lamento, debole, intermittente.
Mi fermo per tentare di capire di cosa si tratta. Appoggiato al casotto dell'irrigazione c'è il manico di una vecchia zappa. Lo impugno forte e riprendo ad avanzare. Almeno adesso ho qualcosa per difendermi.
C'è una strana tensi
È buio, un po' di luce notturna entra dalla finestra aperta. È estate, il caldo è soffocante. Lucy è nel suo letto, sta dormendo, un sonno disturbato dal caldo affoso.
Improvvisamente nel cuore della notte il telefono di casa squilla. Lucy si sveglia di soprassalto, si guarda intorno, passa una mano sui capelli biondi spettinati, scuote un attimo la testa ma non riesce a scacciare il torpore del sonno. Il telefono continua a squillare.
Lucy si alza e finalmente risponde
-pronto?-
Dall'altra parte del telefono la voce profonda e pacata di un uomo
-ciao Lucy-
Anche se annebbiata dal sonno Lucy cerca di riconoscere la voce ma dopo alcuni secondi di silenzio non riesce a capire chi può essere
-chi sei? Cosa vuoi?-
-Lucy... tu non puoi conoscermi, ma la cosa certa è che io conosco te-
Sentendo questo, Lucy ha la tentazione di riattaccare ma la voce dell'uomo la charma, e spinta anche dalla curiosità continua la conversazione
-ma chi sei? Se non me lo dici riattacco-
-lo so che la tua curiosità non ti farà mai riattaccare- risponde la voce
Lucy si stupisce a sentire quelle parole ma si accorge che è vero, è curiosa di capirne di più. Si mette comoda nel letto, con la schiena appoggiata alla testiera e le gambe rannicchiate vicino al petto.
-ok, ok cosa vuoi da me?-
Lucy si rassegna e prende la telefonata come un gioco
-parlare Lucy... solamente parlare-
-e di cosa?-
-qualsiasi conversazione tu voglia fare, io sono disponibile-
-ma cosa stai dicendo? Sei tu che mi hai telefonato!-
Risponde Lucy bruscamente un po' scocciata dalle parole dell'uomo. Quello che la spinge a parlare così è la rabbia di non capire.
- Lucy, Lucy, non arrabbiarti; sai non è signorile per una madonna alzare la voce e corrugare gli occhi.
- Cosa stai dicendo? E come diavolo parli? Mi paragoni alla madonna!
Lucy rimane sbigottita dal modo di parlare dell'uomo al telefono
- Lucy non stupirti del mio modo di parlare, certo sarà poco moderno ma è elegante e po
Ipod nelle orecchie, Junior Kelly mi alleggerisce il lavoro, ascolto sempre musica quando lavoro, mi piace, mi distrae, non mi fa pensare a loro: ai morti. Laura Portico 24/08/1934; 25/10/2007, spazzo un'altra lapide, non riesco a fare a meno di leggere le iscrizioni e fare i conti di quanti anni aveva la gente a cui pulisco la soglia del nuovo monolocale. Settantatre, non male, non credo che ci arriverò mai. Penso di essere il primo, forse l’unico custode di cimitero che lavora accompagnato dalla musica, ma che ci vuoi fare, siamo nel terzo millennio. Ho ventotto anni e vivo nel cimitero di Solano da cinque, sono entrato al posto di mio nonno. Il mio lavoro non è certo il più simpatico della terra, ma certo non mi lamento, lo stipendio è buono e poi Solano non è tanto differente dal camposanto infatti non esco quasi mai. Antonio Vesciola 13/02/1896; 16/04/1983 ottantasette anni eh! Mica male. Appena finisco di fare il conto Capleton mi invade il cervello comincio a canticchiare la canzone che si propaga dalla mie cuffie e non penso più a nonno Antonio. La canzone mi prende tanto che non bado più alle tombe che pulisco, passo allora nel viale che porta all’uscita, osservo i lati del vicolo e sto attento a pulire tutto. Arrivato al cancello ancora una occhiata al viale e mi stupisco di quanto mi piaccia illuminato dalla tenera luce del tardo pomeriggio. Il marmo delle lapidi riflette la luce in modo particolare creando una sorta di sfera che irradia le pietre del sentiero. Spengo la musica e mi godo il panorama appoggiato alla mia scopa, resto fermo qualche secondo, alzo la mano destra verso la testa e faccio il mio tipico gesto di saluto ai miei inquilini speciali: faccio finta di togliere il cappello. Una volta salutato il condominio tranquillo mi avvio verso la mia casetta a fianco al cancello. La mia dimora è piccola e tranquilla, ho addirittura due stanze una dove passo il tempo, mangio, vivo insomma la parte della giornata in cui non lavoro e l’
[continua a leggere...]Quando tutto è buio, ho paura.
Ho sempre la sensazione che qualcuno mi osservi, che si trovi dietro l'angolo oppure ai lati della stanza.
Ho sempre il terrore di incontrare qualcuno nel più totale buio infatti nei corridoi e nelle stanze buie corro ma ho la netta sensazione che quel qualcosa mi insegui. Ho sempre più paura. Quel qualcuno cercalo nei lati destri e sinistri delle stanze, ma... non guardare il soffitto, gli da fastidio essere trovato.
Per tutto il giorno non aveva fatto che piovere. Ancora adesso che stava per giun-gere la sera, i lampi rilucevano isolati, subito seguiti da tuoni vomitevoli. Non ne po-tevo più. L’umidità penetrava da ogni dove e si accaniva testardamente contro i miei piedi. Che cazzo stava succedendo? Insomma, eravamo pur sempre in piena estate, eppure la temperatura sfiorava appena i dieci gradi.
Mi alzai dal letto e presi una birra dal frigorifero ormai ridotto a comunissimo scomparto. L’ultima. L’ultima fottuta birra. La stappai ed invano mi diedi da fare per trovare un bicchiere pulito. Rassegnato, presi a sorseggiare dal foro triangolare. Che cazzo, ne avevo abbastanza di fori triangolari. A momenti avevo l’impressione di tracannare dalla fica di Erika. Di colpo mi venne la nausea. Sentii l’uccello scomparirmi tra le pieghe dei boxer. Era la fine, cazzo. Niente più soldi, niente più alcol, niente più droga. Solo le sudice pareti del camper e quella troia di Erika che sonnecchiava dentro il mio letto. Quante volte l’avevo scopata quel giorno? L’uccello mi pulsava nelle mutande completamente spompato.
Stavo meditando su quanto mi restava da fare, quando qualcuno bussò alla porta. Aprii subito, senza riflettere, e mi trovai davanti un figuro sozzo, schifoso, comple-tamente fradicio. La faccia, orrendamente smorta, era incrostata di sporco, nera, e dai lunghi capelli grigi colavano goccioni opachi di pioggia e di lercio che andavano a depositarsi su una specie di gilet. Un merdosissimo rifiuto. Allungò una mano a mo’ di questua e biascicò un che di incomprensibile. Lo ignorai e spazzai con lo sguardo il parcheggio deserto, pressato dalla pioggia e dal cielo nebuloso. Sentii Erika gemere debolmente dal letto, poi lo guardai di nuovo. La porta spalancata faceva entrare il freddo e l’umidità. I piedi mi si stavano di nuovo congelando.
Senza dire una parola, richiusi la porta in faccia al figuro. Barbone va bene, pensai, ma non puoi essere tanto schif
Questa sezione contiene storie dell'orrore, racconti horror e sulla paura