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Racconti horror

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Alys on Hell (7)

Tre Settembre
La bambina cantò uno strano ritornello quando suo padre entrò nella stanza.
"Il sogno nel sogno mi disse: non sarò il tuo incubo peggiore ma quello che ti Farà più male. Nel sogno al sogno io dissi:
non sarò il tuo risveglio peggiore, ma quello che ti farà svanire...
"Il sogno nel sogno mi disse: non sarò il tuo incubo peggiore ma quello che ti Farà più male. Nel sogno al sogno io dissi:
non sarò il tuo risveglio peggiore, ma quello che ti farà svanire... "
Poi si interruppe.
Jacob la osservò; le prese la mano e la baciò.
"Come stai oggi amore?" Gli chiese.
"Bene! Meglio insomma! Posso tornare a scuola? Domani" Domandò allegra.
Il padre fece un gesto di diniego con il capo.
"Perché no? " Chiese e poi abbassò lo sguardo come chi conosce le sue colpe e non vuole ammetterle.
"Amore! Due giorni fa hai picchiato una tua compagna di classe!"
"Lo so! Papà! Ma lei " Non concluse.
"Non importa! Hai commesso un gesto sbagliato! Inconsiderabile! Le hai rotto il naso!" Disse ammonendola!
"Papà! Tu non capisci!" Alys cercò di scusarsi.
"Allora spiega! Spiegami per bene perché lo hai fatto!" Rimase poi in silenzio.
"Non so se è giusto!" Non so!" Disse la bambina.
"Perché non deve esserlo? Sono tuo padre! A me non puoi dirmelo?"
"Solo che voi; dopo il colloquio con quel amico di mamma pensate che io sia stramba!" Poi sorrise.
"Amore! Noi; io e tua madre abbiamo ascoltato ciò che ci ha detto il dottor Swan; ma non crediamo che tu sia stramba! Oppure posseduta! Come ha detto lui.!" Finì e le diede un altro bacio sulla guancia.
Poi continuò:
"Allora me lo dici perché l'hai picchiata? Lo sai che i tuoi compagni adesso hanno paura di te?"
"Lo so! Prima era diverso!" Rispose.
"Prima di quando?"Chiese Jacob.
"È colpa mia! E" colpa mia!" Alys iniziò a piangere.
Jacob l'abbracciò.
"Va bene! Va bene! Non voglio che tu pianga! Non importa! Se non mi vuoi dire il motiv

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   1 commenti     di: Dark Angel


Incubo

C'è freddo. Freddo e buio.
È la prima cosa che Alyce nota non appena apre gli occhi.
Freddo, buio, e un odore selvatico, come di corteccia e foglie bagnate.
Muove qualche passo e sente uno scricchiolio sotto i piedi nudi: un ramo. Si guarda intorno, aguzza gli occhi, che iniziano ad abituarsi alla semi-oscurità che la circonda, e capisce di trovarsi in un bosco.
Gli alberi sono alti e fitti, dai i tronchi sinuosi e puntati al cielo come le spade di un esercito. Il terreno ai suoi piedi è ricoperto di foglie screziate di marrone e di giallo. Una strana foschia avvolge l'ambiente all'altezza delle sue ginocchia.
Si guarda: indossa un abito bianco, lungo e scollato, tenuto su da due sottili spalline che quasi le scivolano dalle spalle. Ha i capelli sudati e appiccicati sul collo e sulle guance, il petto ansante e il cuore in gola, come se avesse corso - ma lei non ricorda di averlo fatto.
Tutto ciò che Alyce ricorda è di aver dato la buonanotte a sua madre, aver indossato il pigiama ed essere andata a letto, come ogni sera. Perché si trova in quel posto? E dove si trova, di preciso?
D'un tratto, una serie di fruscii e scricchiolii di rami spezzati le rivelano che non è sola. Inizia a correre all'impazzata, travolta da un terrore primordiale e assoluto, che le azzera la mente e le contorce le budella fin quasi a farla star male. Quella che prova mentre scappa non è la classica fifa che un essere umano sperimenta abitualmente nel corso della sua vita quotidiana; non è la paura che precede un esame, o un prelievo del sangue, o che accompagna la visione di un film dell'orrore. È la Paura che una preda prova poco prima di essere brutalmente divorata, la Paura che ti spinge a vomitare i tuoi polmoni pur di scappare il più lontano possibile; un sentimento antico e selvaggio come la morte.
Continua a correre, poi si ferma, perché non è mai stata una grande atleta e adesso si sente come se ogni parte del suo corpo stesse per esplodere. Crolla al suolo,

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[circus]

"Allora, fate molta attenzione miei cari bambini, poiché sta per cominciare questa bellissima avventura nel mondo della MAGIA!!!" dice il Conduttore parlando al pubblico di bambini con un megafono. Bambini che, dal canto loro, lo fissano meravigliati. Tranne uno. Me.
Io sono Simone, e al contrario di tutti questi bambini, che hanno tra i 6 e i 10 anni, io ne ho 12. Non so perché sono qui. Non so come. E sinceramente non è questa la mia principale preoccupazione.
Fin da quando sono qui, non ho fatto altro che sentirmi meravigliato a tutto quello che vedevo. Giocolieri che tiravano birilli su, talmente in su da essere impossibili da vedere, e poi riprenderli in mano come se niente fosse. Clown che miravano con freccette appuntite a palloncini piccolissimi e centrandoli come se fossero grandi quanto un elefante. Tutto questo era meraviglioso, ma allo stesso tempo, sentivo continuamente freddo. Tanto freddo. Proprio dietro di me, sulla schiena. Quasi fosse un respiro. Ed è lì che ho notato qualcosa di strano.
Sentendo quel respiro freddo, una persona normale penserebbe "Aspetta, non è il momento di essere così entusiasti" o qualcosa del genere. E invece non ci riuscivo, non riuscivo a smettere di essere così entusiasta, così eccitato per tutto quello che vedevo, anche se ormai era diventato banale.
Così arrivai lì, in quella specie di tribuna, con al centro il Conduttore, come vuole essere chiamato lui. E sono qui che sudo freddo. Il respiro ora è un'aria. Tutta intorno a me. Ho i brividi. Ho paura. E allo stesso tempo, la mia testa continua a dirmi "Dai, rilassati, divertiti!" ma non ci riesco. Ho paura. Tanta paura. Poi il Conduttore dice una cosa che mi fa sobbalzare.
"E ora forza, è ora delle montagne russe!"
Grida di gioia vengono da tutti i bambini sulle tribune. Oh no. Non mi piace. No, non mi piace per niente. Devo stare qui. Devo...
In un lampo mi ritrovo seduto su una carrozza da montagne russe. Come ci sono finito qui? Ho anc

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   1 commenti     di: Eric


L'INSETTO

Stava lottando contro le larve.
Un insetto aveva proliferato dentro l’armadietto in cui teneva gli alimenti per la co-lazione e così, non senza riluttanza, si stava dando da fare ad aprire barattoli e sac-chetti nella speranza di trovare il nido. Con la faccia contratta in una smorfia, osser-vava i minuscoli vermetti bianchi strisciare lungo le lisce pareti di legno alla ricerca vana di una via di fuga. Non potevano essere sbucati dal nulla, eppure non riusciva ad individuare la fonte del loro sostentamento. Biscotti, caffè e zucchero parevano in buono stato, ed anche il miele non era stato intaccato.
Poi la sua attenzione cadde su una confezione di barrette di crusca abbandonate lì da chissà quanto tempo. Le tolse dall’involucro e notò che la plastica che le contene-va, in alcuni punti, era come lacerata, corrosa. Non riuscendo a spiegarsene il motivo, scosse la testa e cominciò ad esaminarle una ad una. All’apparenza sembravano intatte, ma quando spezzettò la prima si accorse che conteneva un inaspettato ripieno.
Una manciata di vermetti bianchi comparve sul tavolo tra le briciole e prese ad e-spandersi a vista d’occhio. Le larve si districavano le une dalle altre e si davano alla fuga in ordine sparso, come se fossero consce del pericolo incombente su di loro. Per un istante rimase ad osservarle, affascinato dal loro istinto di sopravvivenza, poi corse in ripostiglio e fece ritorno con una spugna ed il flacone dell’alcol etilico.
Dopo aver riempito d’acqua il lavello, cominciò a raccogliere gli insetti con fare meticoloso. Passò la spugna sul tavolo, sui ripiani e lungo le pareti dell’armadietto. Quando la sua mano incombeva su di loro, i vermetti si raggomitolavano su sé stessi in un estremo tentativo di difesa. Era stupefacente guardarli. Per quanto fossero piccoli?" degli esseri che racchiudevano forse una manciata di cellule?" sembravano perfettamente consapevoli della morte e facevano di tutto per sfuggirla.
Affogò l’int

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   3 commenti     di: Filippo Fronza


INsane

Mi tengo stretto la mia lampada ad olio tra le mani, con la sua luce tremolante che illumina solo in parte l'enorme corridoio dai mattoni neri. Non so né come né quando sono entrato in questo luogo oscuro; al di fuori dello spazio e del tempo, ornato da finestre dalla quale traspariva la pallida luce lunare, che solcava le tende rosse decorate con ricami d'orati di indescrivibile bellezza, le scintillanti armature di cavalieri medievali che restavano ritte in piedi nella loro magnificienza, che sorvegliavano questo luogo come dei guardiani silenziosi e imperturbabili, e poi vi erano gli arazzi che rappresentavano i riti e le macabre cerimonie di un culto demoniaco a me sconosciuto. Vago in questo luogo da ore ormai, facendomi strada attraverso il buio con la torcia, ammirandolo e chiedendomi come ci sono arrivato. All 'improvisso sento un rumore sinistro dietro di me. Qualcosa emerge fuori dall'oscurita. Si sta avvicinando. In fretta. Faccio del mio meglio per non urlare. Comincio a correre con i miei passi che battono sul suolo a ritmo della mia paura. Quella cosa continua a inseguirmi ruggendo furiosa, protendendo la sua testa mostruosa e i suoi arti verso di me, mentre guizza i suoi tentacoli in ogni direzione. Vuole ghermirmi tra le sue fauci e i suoi artigli rapaci, vedo i suoi occhi spettrali. Occhi senza anima. Il corridoio sembra farsi più stretto e la vista comincia a diventare fioca. La stanchezza impone il suo tributo. Mi prenderà... lo so... è solo questione di tempo ormai. È veloce... troppo veloce... e io sono troppo debole per fermarlo... è vicino, molto vicino. È propio dietro di me!! Mi sveglio. Sudato e intontito disteso sul pavimento; mentre la luce mattutina si stende sul mio viso solcato dal sudore e dalle lacrime. Mi sono risvegliato da un incubo. Per ritrovarmi in un altro ancor più terribile. Col cuore colmo di dolore e tristezza mi rannicchio al centro della mia stanza. Una stanza con le pareti imbottite e le sbarre alle fines

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Giochi del vento

Una giornata ai primi di aprile a passeggio con un amico d'infanzia.
Il vento gioca nell'erba e fra i capelli. L'aria è dolce e si beve come un vino.
Nei boschetti con la loro accoglienza umida e frusciante si perdono i nostri passi. Per il sentiero incontriamo il vecchio Ector ottantenne che sta avanzando in bicicletta.
"Oh, caro Ector, sono felice di rivedervi..."
"Non ho tempo, non ho tempo" prosegue il vecchietto con gesti della mano. "Le viti, devo finire di potare..."
Il vento stormisce e ci porta frescura, profumi di foglie nuove, di stagni dove l'acqua si increspa in ondine.
Di passaggio diamo un'occhiata alla fornace abbandonata. É tutto deserto: nei camminamenti, dentro le gallerie di cottura e nei fumaioli, il vento ha un sibilo modulato e incessante mentre solleva una polvere scura.
La casetta con i glicini è chiusa. I muri sono abbaglianti e poi cupi al passare delle grosse nubi davanti al sole. Nubi isolate e immense che corrono nel cielo.
Il mio amico dice qualcosa guardandole, ma le sue parole fuggono nel vento.
Passando dalla casa del fabbro entriamo dal portone, con un cenno d'intesa. Il cortile è ingombro di ferraglia, da dove fuoriescono rivoletti rossi di ruggine. Echi di rumori lontani.
"Ehi, Septimus, una parola sola e poi ce ne andiamo."
Si odono colpi di martello al primo piano di una baracca e sbraitare di voci. Finalmente la finestra si spalanca e va a sbattere contro il muro. Escono riverberi e la testa del fabbro sopra il grembiule di cuoio:
"Non ora! No, adesso non ho tempo! Un altro giorno, passate un altro giorno..."
Proseguiamo per il sentiero dei campi dove le margherite occhieggiano bianche tra i fiori gialli dei soffioni. Lungo il fiume dove l'acqua ha brividi vanno a cadere come neve i petali del vicino frutteto.
I meli sono innevati di fiori e la lana bianca dei soffioni si stende sotto di loro. Petali bianchi galleggiano sull'acqua del fiume, rotolano fra l'erba trasportati dalle folate del vento.
Inoltrand

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   7 commenti     di: sergio bissoli


Ma.. hai sete?

MA... HAI SETE?

Sam stava preparando la borsa.
Balestra e machete erano immancabili quando andavano nel bosco con i loro bei Berretti Rossi, borraccia e panini, bussola e paletta elettrica per poter fulminare qualsiasi creatura con più di quattro zampe avesse osato avvicinarlo; come suo cugino Tom, provava un terrore incontrollato nei confronti di insetti volanti.
Una bella corda, torcia elettrica, pile, sacco a pelo; era sempre divertente preparare lo zaino per le loro avventure nel bosco.
Ricordò quella volta che erano a depressurizzare la vescica, dopo pranzo, e sentirono un insolito e poco rassicurante odore di bruciato; tornati al campo trovarono Phil alla radio, in contatto col padre di Tom.
?" Ragazzi, venite via! C’è un incendio nelle colline vicine! Venite via!
Era il messaggio che stava ascoltando, era l’odore che stavano sentendo.
Ricordò l’adrenalina scorrere, ricordò quando si arrampicarono al volo sugli alberi della radura.
Da principio non videro nulla ma appena il vento cessò di soffiare un attimo, dalla collina dietro la loro, videro innalzarsi una grande nube nera, poi ancora il vento; soffiava nella loro direzione.
Adrenalina ed una precipitosa fuga verso il paese. D’Estate la vegetazione secca fa presto a bruciare ed il fuoco è lesto corridore. Tutto sommato fu eccitante.
Stavolta il bersaglio era la casa dei Corsi.
La giornata era assolata e calda. In breve si sarebbe incontrato con Phil e Teddy e via, in marcia.
Sperava che Theodore sapesse cosa stesse facendo.
Fantasmi.
Un brivido lo scosse.
Tornò a concentrarsi sullo zaino.
?" Noi andiamo da Francoise, gli disse Tom.
Con la sorella e la cugina lo vide uscire di casa.
“Ormai ci siamo”, pensò, “si parte”.
Oltre a tutto il necessario, Phil stava preparando i suoi raccoglitori di cartoncino ed elastici per foglie e fiori, l’appuntamatite ed il suo taccuino, il retino ed i barattoli per gli insetti. A Sam non piaceva affatto

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