username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti horror

Pagine: 1234... ultimatutte

Viaggio allucinato

Un giorno mi stavo avventurando per la sassosa mulattiera della montagna sopra il mio paese. Benchè fosse ancora settembre l'aria era frizzante, tirava una brezza continua  e freschissima; e le nuvole si rincorrevano accarezzandomi con la loro ombra. Pensavo a tutti gli animali che non avevo mai visto di persona e che avrei voluto incontrare nel bosco. Pensavo ai lupi, alle linci, agli orsi, agli astori, agli sparvieri. Ma pensavo anche al gufo reale e al succiacapre. Chissà perchè pensavo che se avessi visto quest'ultimo non ne sarei stato abbastanza lieto. Quello strano pennuto aveva un aspetto decisamente inquietante e incontrarlo - cosa rara - mi avrebbe condotto verso una sorte intenzionalmente funesta.
Ad un tratto odo un frusciare di rami e scorgo una grossa sagoma dileguarsi sospesa. Mi sporgo oltre una piccola radura e riesco a scorgere un grosso uccello grigio che prosegue il suo volo senza produrre il minimo fruscio d'ali.
Dev'essere un gufo reale. Provo a seguirlo e mi metto quasi a correre tra gli alberi; senza accorgermi che i cerri hanno ceduto il posto a pini neri. I miei occhi non scorgono + il minimo movimento tra i rami alti. Ad un tratto però odo un ululato profondo e breve: dev'essere lui.
Seguo la fonte di quel richiamo e mi fa piacere sentirmi su un percorso ben definio. Tante di quelle volte mi ero irritato del fatto che un suono abbastanza vicino non mi rivelasse la direzione esatta da cui proveniva. Il tempo sembrava svanire sotto lo scricchiolare di rametti e foglie secche che i miei passi sempre più rapidi alternavano a mo' di pendola.
Giunto presso una radura mi sono fermato a riprendere fiato e solo allora ho notato quanto si fosse fatto scuro e quanto poco familiare fosse ormai la boscaglia. Ero decisamente oltre i confini dell'area che sin da piccolo frequentavo con mio padre.
La luce che il cielo coperto proiettava sul bosco era di uno spettrale grigio perla e mi pareva quasi di essere in uno di quei videogiochi

[continua a leggere...]



Portasfortuna

Un pomeriggio d'estate passando per la piazza ritrovo il solito gruppo di amici all'osteria.
La vita non è facile per nessuno e noi quattro sembravamo avere affrontato situazioni più difficili del normale. Ma il più colpito dalla malasorte sembrava Max. Grosso, il volto tirato, stava sdraiato sulla sedia con un giornale davanti e come al solito polemizzava sulla vita, sull'amore, sulle ingiustizie...
"Lucy è andata via. Così, per sempre. É una storia finita ormai."
Fa un lungo sospiro, poi riprende:
"Sì ci sono tante donne al mondo... troverò da consolarmi... Ma bisogna ricominciare tutto da capo e io incomincio a invecchiare... Non ho più tanta voglia di fare il pagliaccio e mettermi a correre dietro alle ragazzine..."
Bruscamente si ferma di parlare. Sulla sua fronte alta che preannuncia la calvizie, si disegnano molte rughe. Diventa nervoso, si dimena sulla sedia mentre cerca qualcosa nelle tasche. Tira fuori un mazzetto di amuleti rossi attaccati a uno spago e con questi fa dei segni in direzione della strada.
"É uno jettatore, un portadisgrazie" dice Max sottovoce.
Mi volto e vedo che dal fondo del marciapiede avanza un tizio magro con la barba e il passo stanco. Indossa pantaloni scuri, camicia con cravatta e tiene la giacca buttata su una spalla poiché fa molto caldo.
Anche l'amico Petèn si volta ma poi sorride:
"Ma no. Sono tutte sciocchezze. Quello lo conosco ed è solo un povero diavolo come noi. Era un uomo importante, una volta. Ah! Sì! Era direttore di non ricordo più quale Ente... in poco tempo perse il lavoro, la salute, la casa... Sua moglie fuggì con un altro... É un uomo completamente rovinato adesso. Va a spasso per il paese alla ricerca di qualcuno che gli offra una sigaretta o un bicchiere di vino. Alla sera dorme in un Istituto di Carità."
Dopo una settimana ritrovo Max tetro e depresso. É un pomeriggio piovoso e lui sta al riparo della tettoia di un deposito di carbone.
"E così ho perso anche il lavoro..." dice sc

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: sergio bissoli


Il sorriso di Shirley... (parte prima)

“Shirleyyyy, tesoro, non allontanarti troppo, resta qui vicino ok?” gridava sua madre, avvolta dalla naturale preoccupazione che una mamma nutre vedendo la sua piccola di 8 anni giocare in un giardino che confina con un bosco, dal quale può provenire di tutto e con i tempi che correvano non era il caso di allentare la guardia, nemmeno per un attimo. Ma la piccola Shirley, incurante del richiamo materno si avviò vero la zona boschiva, che attirava di più la sua curiosità e stimolava tantissimo la sua fantasia. Fra l’erba alta migliaia di piccoli insetti vedevano passare le piccole gambe della ragazzina, delle gambe che trasmettevano curiosità, fantasia……. innocenza.
La curiosità della bambina fu attirata da un debole suono, quasi un pigolio o un cinguettio, non di distingueva bene cosa fosse. Arrivata vicino alla fonte di quel verso Shirley vide un piccolo uccellino, un passerotto che probabilmente aveva tentato di spiccare il suo primo volo ma le sue ali erano ancora deboli e di conseguenza era finito rovinosamente a terra ferendosi a tal punto da non riuscire più a muovere nemmeno una zampetta. Il povero animale vide la figura imponente di Shirley sovrastarlo. Imponente lo era dal suo punto di vista ovviamente e tuttavia Shirley lo guardava stando in piedi e quindi capirete che anche 1 m e 20 di altezza sono paragonabili ad un grattacielo dal punto di vista di un uccellino inchiodato al suolo. Shirley lo fissò per qualche istante, poi si inginocchiò a terra e lo prese fra le sue mani. Il povero animale iniziò a tremare terrorizzato, essendo incerto sulle intenzioni di quella bambina, all’apparenza dolcissima.
Poco distante da lì un grosso gatto selvatico si muoveva con il silenzio e la cautela che solo un felino può avere. Si vedeva chiaramente che girava alla ricerca di una preda e si sa che le prede più ambite dei gatti oltre ai topi sono gli uccellini. Il cinguettio del povero uccellino nella mani di Shirley attirò l’attenzione

[continua a leggere...]

   6 commenti     di: Roberto melcore


Spettri di carne

Ne sono ormai circondata. Sono ovunque, non posso più resistere alla vista dei lori ghigni macabri e spenti di ogni emozione che sia di questa Terra.
A questo punto non mi resta altro da fare, se non pensare che è tutto un incubo. Che mi sveglierò. Che mi ritroverò con i capelli incollati alla fronte sudata, col cuore che sembra scoppiare dal petto, ma consapevole di essere lontana da ogni pericoloso incubo, dalla paura che temo di avere ogni qualvolta mi si ripresentano. Loro mi parlano, mi scrutano, mi avvinghiano, mi toccano, mi odono. Loro sono tutto quello che una normale anima rifugge, disperatamente cerca di non conoscere mai nella vita.
Loro sono l'orrore.
Sto scrivendo queste parole con mano tremante e malferma, sudando come una fontana, mentre la penna quasi mi scivola dalle mani.
Potrei morire, lo sento. Sento l'alito gelido e forte della Morte sulla mia pelle. Potrei sprofondare nell'oblio, ma è fondamentale per me che nessuno possa dimenticare quello che sto provando. Un giorno qualcuno comprenderà.
Sono rinchiusa nel bagno di casa mia, loro mi hanno raggiunta pure fin dentro la mia dimora, che fino a poche ore fa era il luogo nel quale poter rifugiarmi da loro, sicura che in questa prigione d'oro avrei potuto trovare solo riposo e sicurezza. Ero sicura che non avrebbero potuto intaccare la mia già vacillante salute mentale, non qua dentro. Sarò stata evidentemente troppo ottimista, perché adesso hanno trovato anche la mia casa.
Mi perseguitano, mi vogliono morta, vogliono trasmettermi quel potentissimo virus che hanno in corpo, e vogliono farlo uccidendomi.
Ma adesso sto divagando, deve restare una testimonianza, una prova che faccia capire in futuro alla gente, se ce ne sarà in grado di comprendere; che sono savia, che le mie continue paure sono soltanto frutto di oggetti reali.
È cominciato tutto sei mesi fa.
Era una sera d'estate, nell'aria si potevano percepire i dolci odori tipici delle serate estive, e tutto e

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Fabiana Caserra


La nascita di Claudia

<<Louis, per trovarti non devo far altro che seguire i cadaveri dei topi.>>
Sollevai lentamente gli occhi in direzione di quella voce a me familiare.
Lestat mi aveva trovato facilmente in quella nauseante e disgustosa fogna in cui mi ero rifugiato.
Ero così prevedibile per lui...
Gli era bastato seguire la scia dei cadaveri dei topi che mi ero lasciato dietro il mio passaggio, mentre scappavo disperato sotto la pioggia battente.
Ero scappato per la vergogna e per il disgusto verso me stesso, per ciò che sono e per ciò che avevo fatto: mi ero cibato di una bambina malata, di appena sei, o sette anni, che si stringeva disperata alla mano decomposta di quel cadavere puzzolente che era sua madre.
Piangeva disperata.
Era rimasta sola al mondo.
Il padre l'aveva abbandonata.
Era stata lei stessa a dirmelo quando, udendo il suo pianto, entrai in casa, se così può definirsi quella una casa, e la madre era li, su di una sedia, morta per la peste, con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta.
Era in un orribile stato di decomposizione.
Mi guardò con occhi pieni di tristezza. Era completamente sporca, così come il suo vestito, le gote erano rigate dalle lacrime e i suoi lunghi capelli biondi era scomposti e disordinati.
Si era stretta a me senza pensarci due volte.
<<Per favore, aiutateci... papà ci ha lasciato e non è più tornato...>> sussurrò, stringendosi più forte a me.
Fui sorpreso di quella reazione che per lei fu così spontanea.
Era disperata a tal punto da gettarsi tra le braccia di un mostro?
Si staccò lentamente da me per guardarmi dritto negli occhi.
I suoi occhi mi imploravano. Erano una preghiera disperata, ma io non fui capace di proferire parola.
<<Vi prego... svegliate la mia mamma...>>
Non si era resa conto che quello che stringeva un attimo fa era soltanto un cadavere senza vita...
Si strinse di nuovo a me, in cerca di conforto e io non potei fare altro che accarezzarla.
Ma i suoi capelli, aggrappandosi a me, le cadder

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: Liliana Piscopo


La coda del diavolo

La gallina del diavolo! La gallina del diavolo..." grida la donna entrando di corsa dalla cucina.
L'oste suo marito da dietro il bancone indaffarato a riempire i gotti di vino, cerca di minimizzare la faccenda:
"Macché diavolo, ma stai a vedere che dovremo far venire il prete adesso, solamente per una gallina..."
Ma la moglie, una grassona tutta agitata e sudata, non dà segno di volersi calmare:
"É indemoniata ti dico, Alan, non è una gallina come tutte le altre; ha fatto scappare il nostro cane, non è neppure una gallina quella..."
Il marito anche lui grasso e in più calvo seguita a brontolare sottovoce per calmarla:
"Ma che razza di discorsi vai a tirar fuori, sono assurdità, sciocchezze... Tu e i tuoi ragionamenti strampalati..."
L'osteria è piena di uomini tutti mezzi ubriachi che giocano a carte e discutono tra di loro, e nessuno, credo, fa attenzione a questo dialogo.
Io sono da poco entrato in questo locale basso e incatramato dal fumo delle lucerne e delle pipe. Mi faccio largo fra un gruppo di vecchi avventori avvicinandomi al grosso banco con il ripiano in granito.
La donna sta cuocendo i cotechini. Il camino ha poco tiraggio poiché c'è un gran vapore che si spande dall'acqua in ebollizione. Portacandele, sale e un macinino del caffè stanno sulla mensola.
"Che cosa ha di tanto strano, eh, questa gallina?" incomincio con tono rassicurante.
La donna si volta di scatto. É ancora sotto l'effetto di uno spavento subìto, lo si nota bene.
"Misericordia signore, c'è la gallina del diavolo nel nostro pollaio!"
"Ma cos'ha di tanto diverso dalle altre?" insisto a chiedere.
"Ha gli occhi rossi, come il fuoco. É cattiva. Non è né maschio né femmina, e aggredisce il nostro cane che ha paura."
"Oh questa poi! Non mi sembra possibile" dico per stimolarla a parlare.
"Le assicuro che è così signore, è proprio così. C'è il demonio le dico..."
E alla mia espressione di curiosità mista a incertezza prosegue: "Anzi, venga a vedere, venga

[continua a leggere...]

   3 commenti     di: sergio bissoli


Notturno

1.
L'odore dominante di quel locale sotterraneo era quello di muffa, ma piacevolmente lieve e per nulla stantio, quasi a ricordare l'originale funzione per cui le cantine erano state inventate. In quella, però, non vi erano rastrelliere piene di polverose bottiglie di vino o salumi allegramente appesi a profumare l'aria di intensi effluvi alimentari. I pochi oggetti presenti nell'ambiente erano un paio di sedie, un tavolino di formica e una strana cassa la cui oscura mole svettava in un angolo quasi completamente buio nella parte opposta del locale.
Sulla seconda sedia, quella non occupata da me, vi era una figura umana, polsi e caviglie strettamente assicurati da una corda e con la testa reclinata sul petto, inerte come fosse narcotizzata o priva di sensi. Ancora non dava segno di volersi svegliare, quindi mi assestai meglio sulla traballante e vecchia seggiola impagliata che occupavo e attesi.
Girai la testa verso l'unica feritoia che collegava quel locale ipogeo con il resto del mondo. In realtà la feritoia non dava direttamente verso l'esterno, ma su di un pozzetto in cemento che sbucava all'aria aperta un paio di metri più in alto. Un altro piccolo accorgimento, pensai, per rendere la sua tana ancora più sicura e inaccessibile al mondo esterno. Un lieve chiarore filtrava ancora da quell'angusto pertugio, ma stava velocemente scemando. Eravamo già oltre l'ora del tramonto e gli ultimi baluginii di luce solare stavano cedendo il campo all'oscurità della notte.
«C'è ancora tempo. » pensai e mi alzai per assicurarmi che i legacci fossero ben stretti e lo trattenessero alla sedia metallica senza che potesse avere alcuna possibilità di liberarsene. Se fosse successo, non sapevo cosa sarebbe stato di me, ma in quel momento ero convinto che non sarei sopravvissuto per scrivere questo resoconto.
In quegli ultimi attimi prima che il confronto iniziasse, ebbi un moto di dubbio per ciò che mi apprestavo a fare. Dall'inizio dell'impresa sapevo c

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Fabrizio Piazza



Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

Questa sezione contiene storie dell'orrore, racconti horror e sulla paura