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Racconti horror

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Notte di tempesta

La sera di novembre è cupa e piovosa.
Il villaggio appare deserto poiché nessuno osa uscire di casa. Una pioggia torrenziale sta cadendo da ore e la bufera non accenna a diminuire. Le pozzanghere in certi punti arrivano fino al centro della strada e i fossi sono straripati.
Cammino, immerso nei miei pensieri. Non so se sono ancora in tempo per salutare Sarah prima che sia già partita. É stata la mia compagna di giochi per tanti anni ed ora anche lei se ne va; lascia per sempre il paese.
Cammino abbassando il parapioggia per proteggermi dagli scrosci di acqua spinta dal vento. Nel mio animo c'è una grande tristezza quasi un senso di impotenza e di annientamento.
La casa di Sarah sta isolata fuori dal villaggio. Nella notte piovosa è solo un'ombra scura e priva di vita. Due finestre piccole al piano superiore risplendono fiocamente come lumi.
Busso alla porta bagnata cercando riparo sotto all'architrave. Poi provo a chiamare ma la mia voce si disperde nel vento.
In silenzio la porta si apre un poco, quanto basta per lasciarmi passare. Appena entro nella saletta la vedo: Sarah indossa un vestito bianco e ha i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. In mano tiene una bugia di ottone con una candela accesa. Nei suoi occhi c'è smarrimento e paura.
Rinchiude mettendo i catenacci mentre io deposito in un angolo il parapioggia che forma subito una pozzanghera sulle mattonelle. Mi guardo intorno: la saletta vuota sembra più piccola. I mobili sono già stati portati via, è rimasto solo un baule e alcune valige.
Senza parlare Sarah mi fa cenno di seguirla. Attraversiamo la cucina, dove abbiamo trascorso pomeriggi a giocare fra il borbottare dei nonni e l'abbaiare dei cuccioli. Ora che sono partiti tutti è solo una stanza priva di vita, fredda e vuota.
Con movimenti flessuosi la ragazza sale le scale ripide di legno tenendo alta la candela. La fiamma tremolante scava ombre paurose sulle pareti. La pioggia di novembre cade sui tetti con un rumore insistente

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   1 commenti     di: sergio bissoli


Il caso di Henry Miltz

FASCICOLO N. 23 ( PROGETTO BLUE BOOK)

FBI HEADQUARTER, WASHINGTON D. C.- 14 NOVEBRE 1988 Agente Spencer Rymer

Martedì 2 ottobre 1988, il sessantacinquenne Henry Miltz, scomparve misteriosamente mentre percorreva la statale A34, una strada periferica nei pressi di Bellefleur, nell'Oregon. La sua auto, una Ford Fiesta grigia, con la scritta NICE TO MEET YOU coreografata sul tettuccio di essa, venne trovata sul ciglio della strada dolcemente posteggiata vicino ad alcuni alberi. Al suo interno non venne rinvenuto nulla di anormale, e di strano c'era solamente la portiera del conducente aperta di pochi centimetri. Quel giorno, a testimoniare quella "improvvisa mancanza" del signor Miltz, c'era anche il mio collega, l'agente speciale Morris Colemann, che insieme a me rimase stupefatto di una così totale assenza di indizi che permettessero di trarre una prima ipotesi. A circa duecento metri dalla macchina, all'interno del bosco, e più precisamente in una radura chiamata DEEP GROVE, gli agenti di Bellefleur trovarono una sorte di macchia circolare che aveva letteralmente bruciato l'erba al suo interno.
Quando io e l'agente Colemann arrivammo sul posto, notammo anche noi la strana macchia su tre metri di diametro, e da subito, (in realtà la mattina seguente, poiché erano già le due di notte passate), allestimmo una zona di protezione, dove la scientifica del nostro dipartimento cercò chiarire una prima dinamica dell'accaduto. Una settimana dopo quello strano fatto, nessuno giunse ad una minima ipotesi che fosse in grado di spiegare la scomparsa di Henry Miltz, nemmeno grazie alle risposte che io e il mio collega ricevemmo dai parenti ed amici dell'uomo. Mailtz era stato un pluridecorato dalla marina, aveva lavorato come pilota collaudatore oltre che ad essere un esperto di missilistica. La sua residenza è stata verificata in Rusbery Road, Bellefleur, insieme alla moglie e ai due figli.

Il 4 novembre 1988, poco più di un mese dopo la scomparsa, un cicl

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   0 commenti     di: cesare massaini


Giostra dei morti

Una sera d'inverno, per una coincidenza fortunata, mi trovo in compagnia di tre vecchi amici. Parliamo di libri, di donne, di giovinezza, di amori...
La vecchia cucina è riscaldata dal fuoco scoppiettante del camino. Sulla tovaglia a scacchi bianchi e rossi ci sono lasagne fatte col torchio, anatra arrosto, patate fritte, funghi, peperoni e bottiglie di clinto e greco bianco. Il risultato è una serata trascorsa in allegria e una cena forse un po' troppo pesante.
Finito di mangiare, dopo sigari e caffè, ci è passata la voglia di andare a dormire. Da un cassetto della credenza, qualcuno tira fuori un mazzo di carte unto, e due amici incominciano una partita a scopa. Io preferisco fare una passeggiata insieme a Tom, per favorire la digestione.
È una notte di gennaio, gelida e stellata. Per le strade del paese non si vede anima viva. I lampioni sono accesi uno ogni tre, le vetrine hanno le saracinesche abbassate, le finestre degli edifici sono tutte buie. Il campanile della vecchia abbazia sta battendo la mezzanotte e i paesani sono già andati a dormire.
Camminiamo sulle pietre sconnesse del marciapiede e i nostri passi disturbano il silenzio profondo della notte. Abbiamo continuato la nostra chiacchierata, ma più sottovoce, quasi intimiditi dalla maestà della notte. Il vento fa volare fogli di giornali lungo il marciapiede e anche un fazzoletto bianco con impronte di rossetto.
La via sbocca in una piazza debolmente rischiarata dove al centro sta una fontana ghiacciata che rappresenta Nettuno. Gli zampilli d'acqua sono tutti congelati in un intrico di stalattiti, sopra lo specchio ghiacciato.
Lentamente attraversiamo la piazza e imbocchiamo una via all'opposto che si ingolfa nel buio. Porticati scuri, edifici chiusi, giardini rinsecchiti dalla morsa dell'inverno e panchine solitarie luccicanti di brina.
La strada costeggia adesso i ruderi della vecchia abbazia. Solamente il campanile è rimasto in piedi. Il tetto dell'edificio è crollato e le arc

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   3 commenti     di: sergio bissoli


La mia storia maledetta

Non crederete alla mia storia e io non pretendo che lo facciate, e se qualcuno di voi vi crederà, verrà sicuramente preso per uno sciocco e ingenuo.
Ho deciso di scrivere solo per lasciare su un foglio le tracce della mia inutile, disprezzante esistenza; solo per mettere su iscritto la mia storia maledetta, ma soprattutto per mettervi in guardia, mettervi in guardia da qualcosa di orrendo e terribilmente pericoloso, qualcosa che non vi augurerò mai di incontrare nella vostra vita.
Spesso mi guardo allo specchio, e non vedo altro che un animale, posso sembrare una persona come le altre, alto un metro e ottantacinque, folta barba che non mi decido mai a togliere, lineamenti pronunciati e fisico inspiegabilmente forte e robusto per un uomo della mia età; ho settantacinque anni e mi chiamo jack lee.
I miei genitori sono entrambi originari del Maine, quando si sono conosciuti erano una coppia davvero felice, si amavano molto e decisero di avere un figlio; mesi dopo nacqui io ma mia madre non si sarebbe mai immaginata che mettendomi al mondo avrebbe fatto lo sbaglio più grande della sua vita.
In effetti nella sua vita non ha fatto altro che sbagliare, sposando mio padre ad esempio;dopo il matrimonio lui divenne un’altra persona, divenne un alcolizzato e cominciò a picchiare me e mia madre.
La situazione nella mia famiglia andò avanti così per molto tempo, finche io non ebbi diciassette anni.
Fu in uno dei tanti giorni di freddo, pioggia e nebbia che mio padre ebbe ciò che si meritava ormai da molto tempo.
Mia madre era uscita a procurare un po’ di legna da ardere ed io ero a più di una centinaia di metri da lei; non seppi neanche io come ma riuscii inspiegabilmente a sentire l’odore di mio padre, un odore forte e disgustoso, non si lavava da giorni ed era ubriaco fradicio. Qualcosa dentro di me mi disse che doveva farla finita una volta per tutte, fino ad allora non avevo mai avuto il coraggio, neanche di alzargli la voce, ma adesso avevo sopportato

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Una nuotata nell'acqua cristallina

Harris si svegliò lentamente, con i raggi del sole che filtravano dalla finestra. Uscì e siccome il mare hawaiano sembrava bellissimo, decise di farsi una nuotata. L'acqua era tiepida e cristallina. La sabbia era finissima. Harris cominciò a camminarci ( l'acqua gli arrivava al petto). Pensò di restare fermo così, senza neanche sforzarsi di nuotare. Ma poi decise di farsi comunque una nuotatina leggera. Cominciò a fare bracciate sempre con maggiore intensità. Dopo qualche minuto si girò e cominciò a tornare verso riva. All'improvviso apparve un pesce. A Harris sembrò il più bel pesce che avesse mai visto nella sua vita. Non era di dimensioni notevoli, neanche una decina di chili, ma aveva dei colori stupendi. Ed era anche aggrazziato nei movimenti che faceva intorno all'uomo. "Non ho mai visto un pesce così. Di che specie può essere?" Mentre si poneva questa domanda, il pesce fece un movimento brusco e si allontanò da Harris, che decise di seguire quella meraviglia. Dopo una decina di minuti, però, si rese conto di essere piuttosto stanco. Il pesce nuotava velocemente e ad un certo punto l'uomo lo perse. Prima di potersi girare, qualcosa lo morse e lo feri' gravemente al petto. Poi nuovi morsi alle gambe. Harris provò a nuotare, ma l'ultima cosa che sentì furono le punte dei denti di un grosso pesce conficcarsi nella sua testa.
L'assassino cominciò a mangiare quando vide un pesce dalle squame colorate. Esso si avvicinò, tirò fuori i denti e cominciò anche lui a mangiare la sua parte del bottino

   0 commenti     di: Dario


Il frutto miracoloso

Questa mattina c'è una strana agitazione nella casa del mio vicino. Lui non è ancora uscito per andare a lavorare. Persone entrano ed escono, altre sono raggruppate davanti ai cancelli.
Il mio vicino è un manovale di 55 anni e abita in una casetta con piante di serenelle, assieme alla moglie, tre figli e il vecchio padre.
Sono arrivate ancora delle altre persone perciò, dopo colazione, scendo giù in strada. Chiedo a una grassona che sta in piedi in attesa se può dirmi cosa è successo. Così mi racconta la storia più incredibile che abbia mai sentito.
La sera prima, 15 luglio, il manovale nel tornare dal lavoro si era fermato da un ortolano per comprare un cocomero. Lo sceglie grosso nel campo, lo stacca e lo porta a casa. Taglia il cocomero davanti alla moglie e ai figli e vedono che all'interno c'è scritta una grande lettera M.
Restano allibiti e non osano toccarlo. Allora chiamano i vicini e restano a discutere tutta la notte. Concludono di conservarlo nella ghiacciaia per il giorno dopo.
Questa mattina molti paesani hanno saputo questa storia e sono venuti a vedere. In questo paese dove non succede mai nulla anche un fatto insignificante attira l'attenzione.
Così mi unisco al gruppo di curiosi e aspetto il mio turno per vedere di cosa si tratta. Arriva uno dei figli ad aprirci e ci fa entrare in casa. Aspettiamo ancora in piedi nella piccola cucina. Alcuni parlano a bassa voce facendo congetture, altri si informano sui particolari.
La cucina è piccola, afosa e malrischiarata. Il pavimento di mattoni sconnesso, i mobili scuri e sporchi. Da una porticina aperta vedo il retrocucina. Uno stanzino stretto e semibuio con uno stipo, una finestrella e una vecchia ghiacciaia.
Arriva il padrone di casa, alto, magro e sdentato. Con modi servizievoli ci guida dentro il retrocucina. Tira i catenacci per aprire lo sportello della ghiacciaia. Sembra un sacerdote che apre il reliquiario di un Dio. Trattengo l'impulso di ridere. Ma sono diventati tutti matti q

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   1 commenti     di: sergio bissoli


La Tua Anima

È buio, un po' di luce notturna entra dalla finestra aperta. È estate, il caldo è soffocante. Lucy è nel suo letto, sta dormendo, un sonno disturbato dal caldo affoso.
Improvvisamente nel cuore della notte il telefono di casa squilla. Lucy si sveglia di soprassalto, si guarda intorno, passa una mano sui capelli biondi spettinati, scuote un attimo la testa ma non riesce a scacciare il torpore del sonno. Il telefono continua a squillare.
Lucy si alza e finalmente risponde
-pronto?-
Dall'altra parte del telefono la voce profonda e pacata di un uomo
-ciao Lucy-
Anche se annebbiata dal sonno Lucy cerca di riconoscere la voce ma dopo alcuni secondi di silenzio non riesce a capire chi può essere
-chi sei? Cosa vuoi?-
-Lucy... tu non puoi conoscermi, ma la cosa certa è che io conosco te-
Sentendo questo, Lucy ha la tentazione di riattaccare ma la voce dell'uomo la charma, e spinta anche dalla curiosità continua la conversazione
-ma chi sei? Se non me lo dici riattacco-
-lo so che la tua curiosità non ti farà mai riattaccare- risponde la voce
Lucy si stupisce a sentire quelle parole ma si accorge che è vero, è curiosa di capirne di più. Si mette comoda nel letto, con la schiena appoggiata alla testiera e le gambe rannicchiate vicino al petto.
-ok, ok cosa vuoi da me?-
Lucy si rassegna e prende la telefonata come un gioco
-parlare Lucy... solamente parlare-
-e di cosa?-
-qualsiasi conversazione tu voglia fare, io sono disponibile-
-ma cosa stai dicendo? Sei tu che mi hai telefonato!-
Risponde Lucy bruscamente un po' scocciata dalle parole dell'uomo. Quello che la spinge a parlare così è la rabbia di non capire.
- Lucy, Lucy, non arrabbiarti; sai non è signorile per una madonna alzare la voce e corrugare gli occhi.
- Cosa stai dicendo? E come diavolo parli? Mi paragoni alla madonna!
Lucy rimane sbigottita dal modo di parlare dell'uomo al telefono
- Lucy non stupirti del mio modo di parlare, certo sarà poco moderno ma è elegante e po

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   1 commenti     di: Maedho L. T.



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