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Racconti horror

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L'altalena nel parco dei salici piangenti

In un'antica città ai piedi di un monte, risiedeva una famiglia austera ma allo stesso tempo felice, era composta da 4 membri: La madre Dahlia, il primo figlio Joshua, il secondo Pwar ed il padre Sean Alksarn.
Una mattina cupa i due figli erano a giocare nell'atrio della loro casa quando a Joshua entrò nell'occhio l'antica altalena nel parco dei salici che avevano difronte casa loro, andò davanti al cancello di casa, l'aprì e proseguì lentamente verso l'altalena quasi come se fosse stato attratto fortemente da qualcosa, andò davanti l'altalena e la iniziò a fissare senza nessun motivo apparente, Pwar insospettito dal comportamento del fratello lo seguì e lo schiafeggiò in faccia dicendoni"Oh! Cosa stai guardando!? Sembri ipnotizzato!?" Joshua allora si girò ed i suoi occhi erano diventati completamente neri e oscuri, la sua voce era cambiata, ed i suoi capelli sembravano rami di un salice piangente, afferrò il fratello Joshua per la maglia e lo scaraventò contro un albero del parco facendoni perdere i senzi, allora Joshua preso dalla pazzia frenetica si diresse verso casa dove armato di forza sovrumana disarcionò il cancello e si diresse verso la madre che stava cucinando, disarcionò la porta di casa con una mano e si ritrovò faccia a faccia con la madre in preda al panico, la madre non aveva riconosciuto che fosse il figlio, in quel momento, avendo la mannaia in mano la prese e la scaraventò verso il mostro che aveva davanti senza alcun esito, allora il figlio con voce strana ed oscura disse "I salici aspettano sangue!" allora la madre impaurità tirò un urlo di terrore verso la stanza dove il padre stava revisionando i fucili da caccia, Sean allora impaurito si avvicinò a sua moglie con il fucile carico e sparò al figlio-mostro che dopo il violento sparo si accascio a terra senza sensi, il suo aspetto mutò e ritornò alla normalità, non aveva segni nella pelle degli spari ed era del tutto integro, i genitori dopo che il figlio s'

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   2 commenti     di: Udrihel Affen


L'invito

Le diciotto e trenta.
Come corrono le lancette!
E ci sono ancora tantissime cose da fare... ma per farle al meglio è necessario non farsi prendere dal panico e smettere di fissare l'orologio appeso alla parete della camera; concentrarsi sulla preparazione... proprio così.
Rita si sforza di inculcare questo pensiero nella sua mente per evitare che il nervosismo abbia il sopravvento e le faccia compiere errori grossolani nella minuziosa organizzazione che ha progettato da quando ha ricevuto l'invito. Ha ancora tempo... un mucchio di tempo, ma deve sfruttarlo al meglio... ragionare lucidamente e quasi con curato distacco per fare le cose per bene.
Il vestito viola le sta a pennello... non troppo scollato o esageratamente castigato; la sarta ha eseguito egregiamente il compito affidatole e si può ammirare tutto l'impegno profuso nel risultato; davvero un vestito da sera impeccabile e della lunghezza giusta... la luce della stanza fa brillare piacevolmente le paillette, concedendo una lucentezza non troppo aggressiva ma impossibile da non notare ed accentuando l'eleganza d'insieme... davvero gradevole.
Il raso è di ottima qualità... è costato un occhio della testa ma ne è valsa la pena... gli orli delle spalle e della gonna descrivono onde sinuose che contribuiscono a spezzare lo stile altrimenti troppo classico e maturo, infondendo un frizzante contorno giovanile, in simbiosi con la giovane età dell'indossatrice. Da essi, le esili braccia e le caviglie avvolte nelle lunghe calze nere semitrasparenti si presentano al meglio, la pelle candida puntellata qualche e là da piccoli nei che sembrano posizionati proprio nei punti giusti... minuscole imperfezioni, comunque necessarie in quel corpo armonico ed in perfetta forma.
Il rossetto, dal colore non troppo acceso, crea un piacevole contrasto con il candore del viso, accoppiandosi con la sfumatura perfettamente descritta dalla cipria appoggiata sulle gote.
Mascara a rendere affilate e seducenti le cigli

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Zucche

"Vieni a vedere, vieni a vedere che cosa ho trovato... Stamattina sono andato nel campo delle zucche e mi sono spaventato. Vieni, vieni a vedere anche tu..." insiste con voce ansante il contadino di nome Angel.
É un umido pomeriggio di fine agosto. Il sole rosso sta per tramontare.
Avanzo nel terreno fangoso seguendo malvolentieri il grasso Angel che cammina dondolandosi. In fondo al sentiero basso si stende la piantagione di zucche. Per terra ci sono enormi pozzanghere e l'aria è satura di umidità.
Camminiamo fra le foglie ruvide di zucche che fanno un rumore di cartaccia spiegazzata.
"Dove andiamo a finire?" chiedo senza interesse.
"Siamo quasi arrivati" sbuffa Angel. "Dovrebbe essere qui, o più avanti... Ecco, là! Guarda."
Due zucche color rosso fuoco, enormi e deformi stanno adagiate tra le foglie.
"Ma ti sembrano zucche queste? É roba da fotografare! É roba da mettere sul giornale..." grida Angel.
"Beh, sì, forse..."
"É roba dell'altro mondo, questa!"
"Beh, adesso non esageriamo..."
Promettendogli di venire con la macchina fotografica ritorno a casa e dimentico l'accaduto.
Un paio di sere dopo, al ritorno dal lavoro, passo davanti alla casa di Angel. Lui è ancora nell'orto e mi chiama agitando il braccio. Scendo dalla bicicletta e lo raggiungo vicino a una aiola di melanzane.
Gli edifici degli essiccatoi mandano un'ombra cupa e fredda. Le distese di meli di fronte sono immerse nella foschia. Ci sono mucchi di pali marciti. Un pagliaio è fradicio di acqua.
Angel sembra fuori di sé stasera:
"Ne ho trovata un'altra, ed è ancora più grossa!"
"Beh, adesso non ho tempo..."
"É mostruosa ti dico! Seguimi!"
Ci incamminiamo ancora per il sentiero in discesa verso la piantagione di zucche. Il cielo è color grigio piombo, eccetto per una macchia rossastra laggiù a ovest. Gli stivali di Angel affondano nel fango e io ho le scarpe tutte bagnate camminando sui ciuffi d'erba.
Quando arriviamo in vista della piantagione di zucche Angel si fer

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   4 commenti     di: sergio bissoli


Salotto

Nel salotto l'aria era un poco opaca. Le due donne, splendidamente vestite per quell'immobilità densa di chiacchiere, stavano buttate su due divani attigui troppo grandi per ognuna di loro. Alle pareti i vari Monet, Picasso, De cChirico guardavano forse senza approvare ciò che erano costretti a sentire.
"Guarda, l'ho trovato neanche un mese fa. Per puro caso. Me ne sono innamorata subito. Ha già quindici anni, ma è così tenero! Gioca ancora, è affettuoso, devi vedere che feste che mi fa!"
La padrona di casa è rapita, mentre l'ìnterlocutrice tiene sospesa la tazza di porcellana con thè e latte e l'ascolta, ben impresso un sorrisetto chic sul labbro.
"Non ha problemi di salute, è tutto a posto. Una fortuna, una vera fortuna è stata! L'ho preso con due soldi, ma fosse costato trecentovolte tanto l'avrei comprato uguale. Mi sono accorta subito quanto valesse. I fratelli no, erano gracilini, sai com'è la madre ne ha partoriti sette, e solo uno, il mio aveva la tempra, il carattere giusto..."
"Ti capisco, ti capisco" l'amica annuisce grave. Nella sua testa chissà quali ricordi oscuri.
"Ovviamente l'ho fatto comunque vedere per scrupolo, giusto che non avesse niente. Qualche parassita, ma per il resto apposto! E come si è ambientato! Appena entrato, si è squadrato attorno, ha girovagato un po' e poi si è scelto il suo angolino preferito. All'inizio era tutto mogio, silenzioso (io penso che gli amncasse la amdre, non so). Ma adesso andiamo d'accordo che è una meraviglia. L'ho educato pian piano. Il mangiare era preparato solo per lui. Dormiva da solo. Poi pian piano l'ho fatto venire in camera con me. Piccole resistenze, ma alla fine si è abituato. Ormai siamo inseparabili. E devi vedere a letto, a letto che cos'è. Un talento innato! Mi son fatta un regalone per i miei sessantanni diciamo così!"
"E quando me lo fai vedere? Dai, son curiosa!"
"Adesso non posso, sta giocando con i suoi videogiochi. Non vuole essere dist

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   5 commenti     di: vito ferro


Giochi del destino

Parte prima.

"Chissá stará facendo Lei? Quasi quasi le mando un messaggio". Bip, bip, bip, COSA FAI? Bip, bip, MI MANCHI GIA'..., bip messaggio inviato, bip, ricevuto.

Chi legge il messaggio non é lei, lei giace a terra con la lama di un grosso coltello che le sporge fuori dalla gola delicata che lui amava tanto baciare.

Quella mattina, come tante altre, era scesa dal treno ed aveva imboccato quel sottopasso un po' buio che le incuteva sempre un certo timore anche se mai le era capitato di fare incontri spiacevoli. Mai aveva fatto incontri spiacevoli ma quel giorno c'era il destino ad attenderla lì sotto, il destino con il cervello sconvolto dalla follia ed un lungo coltellaccio in mano.

"Mi manchi già... ti mancherà molto di più di quello che pensi povero imbecille! Vero bambina?" Lei non poteva certo rispondere ma a lui bastava il ricordo delle sue urla mentre le faceva scorrere lentamente il coltello sulla pelle per eccitarsi, ed in effetti era già molto molto eccitato. "Lo sai che insanguinata sei proprio bella? Più bella, molto più bella che da viva, il colorito bianco morto ti dona tesoro, sei così bella che mi viene voglia di scoparti, quasi quasi ti violento..., stai ferma eh?.

   43 commenti     di: Alessio Cosso


Una famiglia unita

L’ affetto di un genitore può essere un'arma a doppio taglio: può farti sentire protetto, ma può anche tenerti prigioniero in una gabbia dalle sbarre invisibili.
Laura lo sapeva bene. Ci era cresciuta lì dentro. Ed ogni giorno sentiva quella prigione incorporea diventare sempre più piccola e soffocante, toglierle l'aria per respirare. Aveva deciso di scappare, di partire, di trovare la serratura di quella cella mentale. La chiave era andarsene, lontano dai suoi, da quel paese asfittico dove era cresciuta, desiderando soltanto lasciarsi indietro quella sensazione insopportabile di soffocamento che la stava facendo diventare pazza.
Credeva di potercela fare, di poter guardare la preoccupazione di suo padre continuare a crescere e gli occhi di sua madre riempirsi di lacrime. Quello sguardo umido e patetico che tante volte aveva significato rinunce forzate e brucianti rimpianti. Poi però la crisi di sua madre l'aveva bloccata, come un paio di manette ai polsi. I suoi singhiozzi erano risuonati per tutta la casa, le sue preghiere, le sue suppliche. insopportabilmente melense, eppure dolorose. Era crollata; non poteva, non ci riusciva. I suoi la coccolarono e viziarono: le dissero che non c'era nulla di male ad essere deboli. Lei aveva bisogno dei suoi genitori; ne avrebbe avuto bisogno per sempre.
Sola nella sua stanza, Laura non riusciva più a controllare quella sensazione di avere una mano stretta intorno alla gola che la stava soffocando. Doveva fare qualcosa, doveva liberarsi prima che fosse troppo tardi. Loro si sarebbero occupati di lei all'infinito, uccidendola col loro amore.
Li uccise lei prima di fare quella fine: una scala ripida, la cantina buia. caddero l'uno addosso all'altro con un tonfo sordo sul pavimento in terra battuta. Era libera. Respirava finalmente. Chiuse a chiave la porta della cantina e andò a dormire; tutte quelle emozioni l'avevano spossata. Si addormentò subito, ma si svegliò di soprassalto dopo alcune ore: le era par

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Casa di Martha

Nel gelido crepuscolo di novembre la vecchia fiera di Stellara è composta di bancarelle dei dolciumi, spazzacamini, burattinai, ombrellai...
Io sono venuto per andare dalla vecchia Martha affinché provi a guarirmi il mio male al petto. Chiedo di lei a un contadino che sta spaccando la legna.
"Lei sa dove abita la vedova Martha?"
"Sicuro che lo so. Abita laggiù, dove cresce la saggina, insieme a quelle altre..."
"Perché? Che cosa fa?"
"Fa le stregonerie. Lei e le vecchie Diana, Viviana e Gelsomina hanno passato la vita a rovinare i raccolti, far ammalare uomini e bestiame e a scatenare temporali. Bisognerebbe bruciarle! Spero che ricevano tutta la sofferenza che si meritano!"
La nebbia cade sul villaggio. Sapevo che la vecchia Martha ha fama di essere una strega.
Percorro la via principale, talmente stretta che le streghe si potrebbero graffiare stando alle finestre. Poi la strada prosegue in campagna. Gelsi e salici vecchissimi, piegati e squarciati che sembrano piantati dal diavolo.
La sua casetta è vicino a cespugli di rosellina selvatica. Un cardo è piantato davanti alla porta di casa.
All'interno sono appese pentole e vecchie litografie di fiori e animali. Un pappagallo tetro mi guarda dall'alto.
Sul tavolo ci sono chiodi storti, spilli, uncini. La vecchia piccola e magra li innaffia con il liquido di una boccetta. Ha il viso bianco, labbra e occhiaie nero viola.
"Entra. Ti aspettavo."
Le spiego brevemente dove mi fa male. Mi fa intingere un dito nell'olio e lasciare cadere alcune gocce in un pentolino d'acqua.
"Le gocce si disperdono..." borbotta.
Mi porge alcuni grani di frumento da buttare nell'acqua. I grani cadono a fondo e lei mormora:
"Sei stato affatturato."
Allora mette un pentolino d'acqua a bollire sul fuoco. Vi butta dentro cenere, polveri scure e si mette a borbottare strane parole. Prende un fazzoletto rosso con una estremità annodata e lo striscia per terra disegnando un cerchio intorno a me.
Nel silenzio della cucina si od

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   1 commenti     di: sergio bissoli



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