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Racconti del mistero

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Anxius

Mi svegliai nel cuore della notte tutto sudato. Non riuscivo a respirare. Pensavo fosse il raffreddore ed, invece, ero perfettamente in salute. Per modo di dire. Mi girai tra le lenzuola per un paio di minuti, poi, sopraffatto dalla nausea, mi mummificai guardando il soffitto. Respiravo a fatica, respiravo con la bocca. Tutto quello che avevo mangiato era dentro di me, ricordi, emozioni, sensazioni di un quotidiano fatto a mostro. Il sonno era svanito, la pesantezza mi opprimeva. Avevo voglia di urlare. Ci provai, ma non uscì niente dalla mia bocca. Un bruciore saliva dallo stomaco fino alla gola. Annaspavo nel mio stesso pensiero. Un toc continuo batteva nella mia mente. Urla, rumori, macchine e treni che ripetevano il loro squallido rumore nel mio cervello. Non ne potevo più. Volevo urlare, volevo girarmi, chiudere gli occhi e dormire. Così feci. Fu allora che vidi la sua faccia brancolare nel buio. Un breve riflesso della luna illuminava il suo sporco volto. Non aveva lineamenti. Semplici occhi, così come tutto il resto del suo volto. Quasi pareva un manichino, un manichino che fissava i miei occhi, che fissa quello che io non potevo vedere dentro di me. Ebbi paura, lo ammetto, ma non fu solo quello a terrorizzarmi. Una presenza sembrava avvolgermi tra le coperte. Non ero più padrone del mio corpo. Non riuscivo a muovermi. Solo lo sguardo fisso in quegli occhi da manichino. La luna splendeva fuori e il vento fischiava. Ho pensato sul serio di morire. Così sarebbe stata la mia fine, strozzato dai miei sterili pensieri, ucciso tra le bianche lenzuola nel cuore buio della notte mentre un manichino mi teneva compagnia. Poi qualcosa cambiò. Di preciso non so cosa, forse una chiave che finalmente trova il suo lucchetto. Sì, era una chiave, una chiave che gira e si spezza. Tutto il peso della giornata sul mio stomaco. Non riesco a respirare, sto per morire, questo pensai. Di nuovo quel toc, di nuovo quel martellante frastuono del quotidiano che si schiantava nel

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   3 commenti     di: Sergei Lubosky


Supercortemaggiore (prima parte)

Accadde nel primo pomeriggio del quinto giorno, il secondo dopo il grande diluvio. Per le striminzite esperienze di noi bambini di strada una pioggia come quella che si era abbattuta sul paese era paragonabile solo a un diluvio. In effetti non avevamo mai visto piovere così tanto e con tanta intensità, una pioggia torrenziale che aveva oscurato il cielo per tre giorni ininterrotti. Eppure era iniziata come una normale pioggia, e nemmeno tanto scrosciante, goccioline fitte, a volte a raffica secondo la direzione del vento, poi in meno di un'ora era aumentata d'intensità fino a diventare "iradiddio". Era iniziata verso le undici del mattino cogliendoci lontano dalle nostre case e costringendoci ad un'affannosa corsa per raggiungerle e dove, peraltro, ci arrivammo inzuppati fradici. Rimettemmo il naso all'aria aperta solo tre giorni dopo, pressappoco alla stessa ora, e per settantadue ore restammo rintanati con il viso appiccicato ai vetri delle finestre a guardare la pioggia. Per strada si venne in breve a formare un torrente in piena che trasportava dai rioni alti sassi, melma e quant'altro trovasse sul suo cammino.
"Gesù, quanta ce n'è!" esclamò mio fratello maggiore con gli occhi sgranati dallo stupore.
"Madonna mia, che paura mi mette" disse la mamma facendosi ripetutamente il segno della croce.
"speriamo che non succeda nulla" sussurrò il babbo con lo sguardo fisso rivolto a chissà quale lontano e triste ricordo.
Infine fece capolino una specie di nebbia causata dalla violenza della pioggia che sollevava da terra degli spruzzi così intensi da farli sembrare tale. In alcuni momenti di maggiore visibilità pulivo accuratamente i vetri dal vapore del respiro e scrutavo le case circostanti nella speranza di scorgere i volti dei compagni che immaginavo come me incollati ai propri vetri. Riuscii solo a intravedere Acquasanta per alcuni minuti sull'altro lato della strada e fu un'esplosione di grida eccitate, ben presto sedate dai genitori. Poi, di consegue

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   4 commenti     di: Michele Rotunno


Dove Portano le Strade

Erano le otto di mattina quando Tommaso si svegliò e, dopo essersi rigirato più volte nel letto, decise di alzarsi. Lui non lo sapeva, ma da quel momento partiva un conto alla rovescia: sarebbero state le ultime ventiquattro ore della sua vita.

* * * * * * * * *

Come tutte le mattine fece una colazione veloce, guardando fuori dalla finestra della piccola cucina. Le montagne erano illuminate dal sole. Nessuna nuvola, per ora. La giornata ideale per una gita verso i pendii più elevati.

* * * * * * * * *

Come trascorse la mattina?
Probabilmente non fece nulla di speciale, si preparò e partì per una gita. Lo testimonia lo zaino con alcuni biscotti aperti al suo interno, una bottiglia di acqua minerale bevuta per metà, le scarpe da tennis sull'uscio ancora sporche di terra.

* * * * * * * * *

Si vestì con calma. Scelse abiti particolarmente comodi - se voleva farsi quella benedetta gita erano necessari -. Prese qualche bibita e alcuni biscotti, nel caso non fosse stato di ritorno per pranzo. Non era una persona che mangiava molto.

Uscì e si avviò lungo la via che costeggiava la valle. A breve avrebbe preso un sentiero parallelo alla strada ma che gli avrebbe fatto evitare il traffico. Gli piaceva molto passare di lì: da una parte il suono tranquillo di un ruscello, dall'altra il bosco con i suoi rumori furtivi.

Arrivò in breve ai piedi della parete. C'era parecchia gente che si apprestava a salire. Famiglie, gruppi di ragazzi, scalatori solitari che presto avrebbero deviato dal sentiero principale, alla ricerca di mete ben più impegnative.
Il sentiero partiva in modo quasi banale, con una pendenza quasi nulla, su uno sterrato arso da quel sole mattutino. Arrivati ad un primo rifugio, ci si inerpicava su per un bosco, per circa un'ora, fino ad arrivare ad un altopiano: una sorta di anfiteatro naturale, che si estendeva maestoso per circa un chilometro, fino ad arrivare alle vertiginose pareti della grande montagna.

Oltre quel

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   2 commenti     di: paolo molteni


Questa Mattina. . .

questa mattina. . . rileggendo alcune delle tue mail, mi sarei fatto prendere volentieri dalla voglia di tornare a scrivere una poesia. . . ormai è da tempo che non lo faccio, da quando mi sentivo pieno d'amore
Oggi invece vivo giorni in cui mi sento vuoto. . . insignificante, eppure oggi avrei voluto tanto potesse essere uno di quei giorni di primavera, carico di colori di luce, di sole di silenzio.
Se lo fosse stato, avrei rubato questa giornata alla mia vita per regalarla alla mia voglia di vivere, in passata l'ho fatto tante volte. . . si, me ne sarei andato alla ricerca di un posto da poter definire tutto mio. . . e li me ne sarei stato da solo ad ascoltare il rumore della natura, delle onde, degli animali.
Ed invece. . . sono rimasto qui, tra il fare ed il pensare ha vinto l'illusione di tornare a fare. . . però, un sorriso me lo sono sentito nascere dentro, perchè ho capito che quella voglia di andare arrivava da te.
Sei tu che oggi mi hai fatto tornare ad aver voglia di scrivere, e non scrivere a caso ma tornare a scrivere poesie, che altro non sono che emozioni che sentiamo dentro, e che vogliamo cercare di trasmettere a chi ci sta intorno. . . a chi ci sta vicino, a chi vogliamo bene.
Piccole frasi gettate d'impulso per cercare di fermare come una fotografia ciò che in questo momento stiamo provando.
La mente corre veloce, e la mano tenta di lasciare impressa su un foglio di carta ciò che il pensiero ed il cuore ci suggerisce,
e lo fa senza nessuna selezione, senza correzioni, senza essere rivisto.
Questo modo di scrivere lascia a te che leggi lo spazio per interpretare quel che il mio messaggio vuol dire. . . . trasportare a te parte delle mie sensazioni sotto forma di parole. . . di sensazioni.
Oggi le emozioni sono pericolose, esiste l'organizzazione, esistono le regole,
la perfezione, l'apparire. . . si, l'apparire è molto più importante dell'essere.
Chi si ferma è perduto. . .è per questo che non si vede mai nessuno sedu

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Il figlio della paura (seconda parte)

A questo punto del racconto il vecchio s'interruppe, si asciugò l'angolo della bocca e rimase con la te-sta bassa e lo sguardo fisso per terra. Aveva parlato ininterrottamente con esasperante lentezza, se lo avesse fatto in fretta avrei avuto l'impressione che stesse farneticando così invece dava l'impressione di uno che stesse, anche se disordinatamente, pensando ad alta voce. Rimase silenzioso per lunghi se-condi. Il suo silenzio non era dovuto al fatto che stesse riordinando le idee perché inconsciamente sa-pevo che non aveva alcuna perplessità su quanto volesse dirmi. Né aspettava un mio invito a continuare perché per lo stesso motivo intuivo la sua determinazione. Piuttosto mi sembrava stesse in attesa di un mio segno per non continuare il suo racconto. In effetti fino a quel momento non mi aveva detto assolu-tamente nulla. È vero che la descrizione del suo passato appariva romantica ma apparteneva ad un pas-sato ormai lontanissimo ed anche la sua analisi sul presente era sì lucida e nostalgica ma niente di più. Eppure sapevo che c'era dell'altro, lo si poteva immaginare facilmente, non aveva fatto tanta strada per nulla. Quel senso di disagio che avevo dentro mi suggeriva di congedarlo, avrei fatto certamente in tempo, era quanto volesse concedermi, perciò aveva smesso di parlare. Ciononostante la curiosità ali-mentava il desiderio di ascoltare cos'altro avesse da dirmi a dispetto dell'apprensione che mi pervadeva, dovuta sempre a quella iniziale e greve espressione dialettale: la paèur.
Il vecchio, quindi, dopo aver emesso un profondo sospiro riprese lentamente a parlare mentre io, in-tuendo che stava per arrivare al punto, trattenevo il respiro e mi calavo sempre più in uno stato d'ansia.
"Stando nascosto nel bosco ad ascoltare i racconti dei mulattieri venivo a conoscenza di ciò che suc-cedeva nel mondo e spesso quello che sentivo non mi piaceva affatto anche se, poco dopo, con una scrol-lata di spalle me ne ritornavo noncurante alla mia vi

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   5 commenti     di: Michele Rotunno


la vita e la...

Come tutti sanno, da quando Dio ha creato la Terra e più precisamente subito dopo aver creato l’uomo e la donna, un angolo del Paradiso è stato destinato ad una miriade di “esserini”.
Sono minuscoli, piccoli come la sabbia del mare, brillanti come tanti piccoli diamanti. Sono il tesoro del Paradiso ed hanno un compito un po’ faticoso: popolare via via la Terra.
La prima volta che uno di loro stava per intraprendere il viaggio verso la terra, Iddio triste per la partenza di un suo esserino verso un mondo pieno di iniquità, oltre alle raccomandazioni che ogni Padre fa al proprio figlio prima di affrontare un lungo pericoloso viaggio, gli disse di dare un’occhiata ad un grossissimo calendario.
L’esserino non aveva mai sfogliato quel librone?" sorretto, al centro della sala, da un coro di Angeli - perché era troppo preso dai giochi bellissimi, dai giocattoli, insomma da tutte quelle cose belle che piacciono anche ai piccolissimi dei piccoli.
Ma questa volta siccome il Padre aveva richiamato su di esso l’attenzione, l’esserino si mise a sfogliarlo.
Su quel grosso calendario erano riportati i mesi di tantissimi anni a partire da quello in corso fino all’infinito.
Ma quel calendario aveva qualcosa di strano: di tanto in tanto qualche giorno di qualche mese non risultava stampato!
Curioso, come solo gli esserini lo sanno essere, prontamente chiese spiegazioni al Signore.
Iddio con un dolce rassicurante sorriso gli disse: “purtroppo per un malfunzionamento della nostra stampante parecchi giorni non sono stati impressi!”
“Ma per ogni esserino che come te parte, viene poi stampata la copia personalizzata del calendario questa volta quasi perfetta: manca un solo giorno. Questa copia non la potrai vedere perché verrà stampata dopo che tu sarai partito visto che una mamma ed un papà hanno espresso il desiderio di avere un bambino”.
“Questa copia la conosco e la conservo - in una enorme cassaforte - solo io”.

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   0 commenti     di: Rosa Chila


Pensieri e sogni affettivi

la mamma ci ha lasciati più di vent'anni fa, ci ha lasciati perché aveva un impegno importante con il nostro amato padre celeste. Da allora periodicamente viene a trovarmi, ultimamente con mio sommo piacere viene sempre più spesso. la rivedo da giovane, indaffarate sempre, ma, mai stanca, sorridente con un sorriso velatamente triste, odo il suo amoroso dire muto, che rimbomba come un accurata richiesta, sento che vuole comunicarmi ma non capisco cosa, allora prego. Anche Filippo (seppur defunto) si è fatto vivo nei miei sogni, proprio l'altra notte, l'ho visto e parlato con lui per brevissimo tempo, intendevo acquistare una partita di frutta e piante, (pochissima cosa) e gli chiedevo di aprire la macchina per caricare la merce, cosa che lui faceva con un sorriso e asserendo di volermi assecondare. prossimamente spero di sognare anche Alfonsa e Maria, mi piacerebbe rivedere anche il babbo, chisà . i sogni miei con chi mi manca.

   4 commenti     di: AGOSTINO



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