Storie raccontate da Bissoli Gelmino, narrate da suo padre Francesco, riferite da suo nonno Secondo. Queste storie me le raccontava mio papà nel 1956 quando ero bambino. Adesso che mio papà ha oltre 80 anni me le sono fatte raccontare di nuovo con lo scopo di scriverle.
L'OMBRA
Intorno al 1920, ci fu una estate caldissima. Durante la raccolta del frumento, in luglio, il troppo caldo faceva aprire le spighe e il grano cadeva a terra. Per evitare questo, alcuni contadini del Volon di Zevio, decisero di continuare la raccolta durante la notte, approfittando delle ore più fresche e della luce del plenilunio. Quattro uomini mietevano il grano con le falci, caricavano i fasci di spighe sul carro e un quinto uomo, Vittorio, lo trasportava alla fattoria.
Una notte, durante un viaggio di ritorno, Vittorio guidava i buoi che trainavano il carro vuoto, pronto per un nuovo carico. A circa metà del percorso udì un colpo battuto sul carro. Il guidatore suppose che una ruota fosse entrata in una buca e si voltò per controllare. Egli vide un uomo seduto sul fondo del carro. La scarsa luce notturna non era sufficiente a scorgerne il viso, completamente in ombra, e Vittorio suppose trattarsi di qualcuno che si trasportava nei campi della mietitura.
Ma non fu così. Perché dopo un tratto di strada, Vittorio udì un altro colpo dietro il carro; si voltò e vide che il passeggero non c'era più. Forse era già arrivato a destinazione.
La stessa notte, al quarto giro di ritorno col carro vuoto, Vittorio udì un forte colpo battuto sul carro. Si voltò e vide che il misterioso passeggero era salito ancora sul carro, ma questa volta stava seduto a metà. Vittorio proseguì il percorso senza curarsi di lui. I buoi muggivano, la stradina era sconnessa e la luna quasi al tramonto dava una luce scialba. Inoltre c'era la stanchezza e il desiderio di finire presto per andare a dormire.
Dopo circa un quarto d'ora, un nuovo colpo fece voltare Vittorio; l'uomo era sceso ma i fi
Selena aprì il grosso pacco che le aveva appena consegnato il postino, scartando l’involto con ansia febbrile. Non vedeva l’ora di avere fra le mani ciò per cui aveva tanto atteso. Sollevò il coperchio ed eccola lì… l’agendina elettronica che aveva sempre sognato. Era rettangolare, di un blu intenso, simile ad un qualunque comune astuccio. La aprì e si presentarono al suo sguardo una serie di tasti neri e lucenti. Le lettere dei tasti erano bianche ed in rilievo. Vi passò sopra le dita, provando un brivido alla sensazione dei suoi polpastrelli che sfioravano quelle lettere, che l’ attraevano come una calamita.
L’aveva ordinata circa un mese prima ad un’asta su Internet, per un prezzo più che ragionevole; passava molte ore al giorno navigando su Internet, cercando di isolarsi da un mondo, che del resto, non mostrava il benché minimo interesse nei suoi confronti. I suoi genitori assecondavano volentieri i suoi capricci, pur di non sentire i suoi continui piagnistei, rassicurandola che no, non era affatto grassa, che era solo “robusta”, che aveva le ossa grosse e tutte quelle balle stratosferiche che un padre o una madre si ripete come un mantra per non dovere ammettere a se stesso, che sì, effettivamente, c’è qualcosa che non va. Ciò infatti significherebbe mettersi lì e parlarne seriamente; e Dio mi è testimone che lo farei se avessi tempo, ma torno a casa stanco dal lavoro e devo ancora finire di mettere in ordine il materiale per la prossima riunione, ma sì che ci parlo con mia figlia, ma sono anche una donna, non solo una madre, ho una carriera da portare avanti… così continuavano a ripetersi Jhon ed Elise Graham, convinti di essere ottimi genitori perché erano sempre disponibili ad aprire il portafoglio con un sorriso, quando la loro gioietta, che pesava qualcosa come 85 chili, chiedeva soldi per compensare l’immenso vuoto della sua vita. Non le chiedevano mai cosa facesse ore chiusa in camera, il volto tondo e inespressiv
"Queste sono le chiavi Sig. Fornari, allora tanti auguri e buona permanenza." Disse l'agente immobiliare consegnandomi l'appartamento.
Mi sentivo decisamente soddisfatto; quella casa mi piaceva, era esattamente come la volevo io: un bel trilocale con terrazzo, che dava proprio su un giardinetto interno, avrei evitato così la strada col rumore del traffico e guadagnato aria pulita e silenzio. Il silenzio, per me una priorità, non potrei mai dormire in una casa dove si sentono i rumori provenienti dall'esterno, è una cosa che non sopporto.
Fino ad allora ho sempre viaggiato tanto e ho sempre avuto la fortuna di trovare alloggi molto silenziosi, sia che fossero case o alberghi; quando così non era abbandonavo subito il posto in cerca di qualcosa di più silenzioso.
Questa volta dovevo fermarmi a Bologna per qualche mese, quindi avevo bisogno di una casa nella quale stare più a lungo, contattai qualche agenzia e vidi tanti appartamenti: troppo centrale, troppo periferico, troppo grande, troppo piccolo, bilocale in pieno centro con affitto stratosferico e traffico di auto continuo, attico in quartiere residenziale in un palazzo di dimensioni da grattacielo newyorkese, con regole condominiali da lager nazista, stamberga riattata, soffitta mansardata e tanti altri ancora.
Ma soprattutto, la cosa che notavo maggiormente: erano tutti troppo esposti al rumore.
Finché un giorno l'agenzia immobiliare mi propose "un appartamentino in una zona molto tranquilla, lontano dal traffico."
Una settimana dopo vidi l'appartamento di via Lemonia, mi piacque il quartiere e anche l'appartamento: ben arredato, con gusto ma semplice, molto luminoso e soprattutto molto silenzioso.
Lo presi, e anche il costo dell'affitto non era male.
Pare che appartenesse a una signora di una certa età, ma l'agenzia non seppe darmi molte informazioni in merito, e del resto la cosa non mi interessava più di tanto.
Sistemai le mie quattro cose negli armadi e pian piano presi possesso della casa.
La casa fantastica (parte Settima)
Il rapporto con mio padre, aveva assunto degli aspetti di complicità: avevamo abbattuto quella barriera che si crea tra un genitore ed un figlio.
Infatti si ripetè per più volte di andare insieme al cinema, macchè! quale cinema!.
Facevamo finta di andare al cinema, in realtà andavamo nel nostro rifugio segreto.
A Mamma e mia sorella Sara, sarebbe venuto un colpo se avessero saputo dell’esistenza di tale struttura sotterranea, tanto, chi gli avrebbe detto qualcosa?
Anche io sono rimasto allo scuro per tanto tempo… se non fosse stato per quella circostanza fortuita della cassapanca.
Ma! ritorniamo al racconto: mio padre mi centellinava poco per volta delle sue ricerche e delle sue scoperte.
Aveva incentrato tutto il suo sapere sul teletrasporto, creando dei software adatti a questo tipo di viaggio.
Un giorno, mi ricordo una domenica primaverile, ma di stagione autunno! Mio padre portò tutta la famiglia, ad una gita fuori porta, visto che noi abitiamo in un posto così ameno, non abbiamo fatto tanta strada per arrivarci.
Mia madre era felicissima nel vedere la famiglia riunita “ cosa rara per uno che ha gli impegni di lavoro come mio padre”.
Mia sorella Sara scorazzava tra gli alberi inseguendo le farfalle, mia madre inseguiva lei per non perderla di vista.
Mio padre facendomi segno con la testa mi dice: Salvo! vieni, ti faccio vedere dove nascono i funghi! là in fondo ci sono gli alberi secchi bruciati dalla lava, guardandomi in faccia ammicca!
Ci incamminiamo per una leggera salita, tutto attorno è sublime, alberi di castagni e betulle che fanno insieme una cornice al canto degli uccellini di bosco, un odore acre si alza dal terreno al calpestio dell’erba fresca, mi distraggo da tanta bellezza: Salvo, là!
Mio padre indica con il dito puntato come una pistola, una radura.
Da lontano, intravedo al centro di quella piccola zona priva di alberi un traliccio, arrivammo fin sotto la struttura metalli
Un tempo, era una fredda mezzanotte,
mentre, debole e stanco, io meditavo
sul mio antico e pluri-usato water
fatto di una dura pietra ormai non più utilizzata,
ciondolando il mio capo per il tanfo,
sentii all'improvviso un rumoraccio,
come il vibrar d'un cellulare, alla mia porta.
"Qualcuno ha mangiato fagioli" mormorai,
"qualche visitatore l'ha fatta davanti alla mia porta.
Questo soltanto dissi e nulla più."
Ricordo bene, avea un odore tremendo.
Tuttavia, era un freddo inverno.
Con impazienza aspettavo il mattino;
invano avea cercato di trovare
sul water mio, sollievo al mio dolore di panza,
per la perdita grave di limone,
unica cura, rara e radïosa, per la mia cacàrella
che gli angeli, lassù, chiaman "diarrea",
ma sulla terra sarà, per sempre, rammentata con quel nome.
Ed il fruscio delle tende, terrori spettrali m'incuteva;
così che ora, per calmare l'odore,
ripetevo: "È un ambulante venditore di Arbre Magique che implora
di entrare, perciò bussa alla mia porta,
qualche ambulante venditore tardivo è alla mia porta;
solo questo e nulla più."
Divenne allor più forte il grave tanfo.
Senza esitare ancor, spalancai la porta:
tenebre fuori, e nulla più.
Scrutando intorno nel profondo buio,
stetti in dubbio tra il panico e lo svenire.
Osservai con gran stupore, che l'escremento tanferrimo, parea
una palla di cannone.
Tornando nella stanza, ero agitato,
udii vibrar di nuovo fuori dalla finestra,
e più forte di pria fu questa volta.
"Certo" diss'io, "qualcosa è alla finestra,
vediamo, allor, chi è il pigmeo.
Si plachi il suo cuore e speriamo che stavolta
il sedere non si scopra." Ma anche questa volta
errai, e nel buio all'infuori della finestra, un altra palla
di cannone, purtroppo, notai.
Io spalancai le imposte e un vecchio, curvo,
con frullio delle foglie macchiate che in mano tenea,
avanzò maestoso e irriverente.
Né si trattenne quivi un solo istante,
ma con aria superba, da padrone,
si p
Fuori casa fa freddo. Il sole del mattino non ha ancora deciso il suo destino e uno statico torpore avvolge il mio risveglio, come ogni domenica mattina di questo acido inverno.
Il rischio è di caderci dentro, nel grigio, nel malumore, nella pigrizia.
Stamattina no, stamattina vinco io. Non senza sforzo mi sveglio ed inizio a vestirmi, deciso a farmi una bella nuotata prima dell’abbondante pranzo domenicale.
Nuotare è così, una cosa un po’ vocazionale, la si odia o la si ama. Decidersi a vestirsi per andare in piscina comunale, soprattutto in inverno, è un po’ come stare con un solo piede in equilibrio su una ringhiera: a volte cado dalla parte sportiva, dinamica, e la giornata mi si apre in maniera inaspettata, l’ossigeno migliora l’umore ed arrivo ad essere contento di me stesso; altre volte cado dalla parte sbagliata della ringhiera, resto nel mio letto, tutto ciò che riesco a concretizzare è inedia e senso di vuoto.
Oggi sono caduto bene, e dopo una leggera colazione sono sveglio e pronto a saltare in auto e dirigermi in città. Il tragitto in auto la domenica mattina è uno dei momenti che preferisco: in tranquilla solitudine, con la radio accesa e nessuno sulle strade, un senso di onnipotenza si impadronisce di me e compatisco i “poverini” che rimanendo a letto si stanno giocando la mattinata.
“Bene, bene?" dico a me stesso?" oggi viene fuori un bell’allenamento”. Già perché peggio di nuotare la domenica mattina, c’è solo nuotare molto la domenica mattina, imbarcarsi in uno di quegli allenamenti di fondo senza pause che richiedono una notevole dose di voglia ed autocontrollo.
Una volta parcheggiata la Ford pago l’ingresso e mi faccio dare la chiave dell’armadietto numero 26, il mio numero preferito, ed ormai il numero del mio armadietto “di fiducia”.
Mi cambio ed eccomi pronto a tuffarmi, molto professionale, con calottina di silicone ed occhialini essenziali ma tecnici. Un ultimo sguardo per decidere la cor
Patrick Dempsey quella mattina pensò di avere le allucinazioni quando, guardando fuori dalla finestra del suo ranch vide una persona avvicinarsi barcollante. La figura distava ancora più di duecento metri ma l'avrebbe notata chiunque in mezzo a quel nulla che la circondava.
Patrick infatti non stava a Sidney, oppure a Melbourne; in quel caso non si sarebbe stupito più di tanto di tale presenza. L'uomo da dieci anni a quella parte abitava in quello che veniva chiamato il Grande Scudo Australiano, ai margini del deserto Gibson, uno dei luoghi più inospitali della terra. Per la precisione stava a Farina, 600 chilometri a nord di Adelaide; trattandosi di sole tre case che costeggiavano la strada non poteva nemmeno essere definito paese.
Patrick, assieme ad una giovane coppia ora in vacanza, era l'unico abitante. Per trovarne altri era necessario percorrere alcuni chilometri verso nord, oppure scendere a sud, verso Lyndhurst. Qui però la distanza da percorrere sarebbe stata maggiore.
Abbandonò la finestra e uscì all'aperto tenendo gli occhi incollati sulla figura che si avvicinava; qualcosa nella sua andatura non andava. Il passo non era regolare e sembrava trascinasse i piedi, quasi le mancasse la forza per alzarli.
Erano le nove del mattino e il termometro appeso all'esterno del ranch segnava già 34° gradi; il sole picchiava in maniera terribile e Patrick iniziò a chiedersi da dove arrivasse quello sconosciuto. Non essendoci molte alternative concluse che per forza di cose doveva provenire da nord: Country Rock era l'unico paese nelle vicinanze. Contava non più di cinquanta anime e trovandosi ad un paio di chilometri dal ranch, Patrick poteva tranquillamente vederlo dalla finestra di casa sua.
La persona era a meno di cento metri quando, dopo un passo completamente scoordinato crollò a terra di colpo. La caduta lo convinse finalmente ad andare ad aiutarla. Si mise a correre sulla sabbia a piedi nudi non facendo caso a quanto scottasse, oramai
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