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Racconti sulla natura

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L'Orso

Era il periodo in cui, il bosco, stanco del suo verde, ama screziarsi tra il rosso e il giallo. Sulla cima dei monti la prima neve e in giro, creature impegnate a vivere. Mimetizzato il capanno, dove Nora ed io amavamo dipingere e studiare il bello. Ad un tiro di schioppo, la grotta dell'orso. La natura incontaminata offriva scenari di inaudita bellezza e con calma olimpica, ne catturavamo i colori che, simili a note dell'anima, sapevano ingentilirsi sulla tela. L'aspra bellezza del posto e il silenzioso mormorio del ruscello inducevano a filosofare. Si opinava sul mito del Buon Selvaggio, sulla presunzione della poesia, sul diritto di vivere e quando non ci si voleva annoiare... coccole e tenerezze. Il Dipinto aveva ormai il vestito della festa e anche l'armonia dei suoni era stata catturata. Tornare in città e rituffarsi nel quotidiano? Avevamo da fare e poi aspettare il rientro di "Filippo". Filippo? Chi era costui? Costui era l'orso marsicano che si preparava per il letargo. La valle del Sagittario s'era imbiancata e Filippo, prima di rintanarsi per il lungo riposo, mangiava le ultime mele d'inverno. Eccolo il solito "Rambo"! Barba incolta, berretto alla Blek Macigno, ascia affilata, fucile, coltello e pistola. Sguardo truce e fucile puntato. Due colpi e il plantigrado cominciò a vacillare. Nonostante l'arma si fosse inceppata, la canaglia s'avvicinò a Filippo con la sua ascia affilata. Cosa volesse fare, non è dato saperlo. Nora, commossa e smarrita, prese l'archibugio e prese benissimo anche la mira. Chissà cosa si passava nella testolina del Trapper, nel momento in cui la pallottola si aprì un varco, nel suo cervellino. "Hai sparato alla bestia?" "Sì, ho sparato alla bestia." Rispose Nora.

   5 commenti     di: oissela


Perchè la natura, è anche questo

Poche persone, riescono a concedersi qualche attimo di felicità, semplicemente guardando il cielo o la natura.
Tutt' oggi, il mondo è sempre occupato, riceve e spedisce messaggi, è collegato con il mondo ed è sempre indaffarato.
Poche persone riescono a cogliere la vera e pura bellezza che si ha quando si esce fuori città. Alcuni non riescono neanche ad immaginarlo, è una questione sia di volere, ma anche di forza d'animo. Si può nascere in un luogo, senza mai abbandonarlo, ma cambiare fa bene alle volte.
È inutile, forse sono una di quelle poche persone che riesce ad apprezzare un qualcosa di naturalesco.
Qualche persona dice ''È inutile, una persona che sta male, sta male sempre, non c' è rimedio, se no aspettare un sorriso''.
Sicuramente, sarà così, per alcuni, ma per me no.
Quando il mio animo vacilla, e diventa triste, solo, assalito da animi crudi e di solitudine, per me, c' è la soluzione.
Poche persone riescono a trovare tempo per uscire a fare una passeggiata, magari fuori città, forse lo trovano, ma non vogliono.
Ecco, per me, basta uscire fuori città, salire sulla bicicletta e dirigermi fuori città, nella natura incontaminata. Perchè, è così, ti rasserena.
Pensa.
Vedere un campo di grano, lavorato, con le spighe al vento, un bambino che corre in mezzo e alza le spighe; gli uccellini che cinguettano sopra un sughero secolare, le montagne sede di animali e piante, in lontananza, le case, di chi ha scelto di vivere fuori città.
Anche solo immaginandolo si sta meglio. I brutti avvenimenti volano via, come gli uccellini, che si dirigono dove vogliono. La natura emana una purezza d'animo, che molte persone non sanno o non vogliono cogliere.
La natura riesce in qualche modo ad energizzare il corpo umano, a renderlo vivo, sereno.
Provate ad abbracciare un albero, a voi molto caro, non sentitevi idioti, perchè nessuno lo è, specialmente se abbraccia un albero. Io, ho provato ad abbracciare molti alberi, tra cui l'eucalipto. Mi

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Dal diario della Luna

1. 08. 2004 secondo giorno consecutivo di luna piena. Evento che accade solo ogni 7 anni..

Oggi è una nottata speciale, sono sette anni che aspetto, è la nottata della seconda possibilità, ed io sono ancora quassù più affascinante di ieri con il vestito più bello, appena collaudato la sera prima. Accattivanti riflessi amaranto sfumano il mio sguardo, perfino le stelle si sono tirate da parte, comincia l'inusuale replica di uno scontato successo. Esco di fuori e sono ancora io, di nuovo, per farmi guardare, per moltiplicare le stesse lusinghiere parole, per stupire ed ammagliare, per fare sognare, innamorare e sospirare. Mi guardo in giro nella mia superba bellezza e cerco gli sguardi ammirati di ieri che accompagneranno la mia oscurità e riempiranno la nuova attesa con inusuale abbondanza. Ed eccoli lì con il naso all'insù, mi aspettavano, occhi innamorati che risucchiano da me poesia, passione, sentimento, calore di cui si nutriranno e di cui nutriranno i loro baci, gli abbracci... ma io sento freddo, un gelo profondo, ghiaccio che scintilla sulla mia pelle ammirata da tutti.
Ed ecco la vedo, ha il respiro un po' affannato, un po' di sudore le imperla il corpo nudo. Apre le griglie, non cerca me, solo il fresco della notte, è al piano terra ma non le importa se qualcuno durante la notte potrebbe spiarla, si ridistende nel buio, sopra il lenzuolo stende le gambe, allarga le braccia offrendo all'aria nuova il suo corpo. Socchiude gli occhi per il caldo che non passa e tra le ciglia mi scorge. Si sente osservata. Io resto immobile nascosta tra i ventagli simmetrici di una palma, la osservo, l'attaccatura dei capelli sul cuscino è umida come la dolce curva che dal suo labbro superiore raggiunge il suo naso. Chiude gli occhi si lascia fare dal mio sguardo che ora le sta illuminando la pelle. La mia luce la sta accarezzando, mi ha davanti ed ha un brivido di stupido pudore scorgendo il luccichìo del suo seno, il piccolo avvallamento del suo ombelico,

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   6 commenti     di: Monica d


GLI OCCHI NERI

La brezza disegnò alcune strisce nel blu profondo del cielo notturno. Si sentivano gli animali tutti intorno che intonavano un assurdo peana, ed era impossibile distinguerli l’uno dall’altro, ed era impossibile anche solo tentare di attribuire un verso ad una figura, ad una fisionomia. Era vivo, adesso lo sapeva. Sentiva fluire il sangue, caldo nelle vene, e fu come una liberazione, o una condanna, ancora non poteva capirlo; aveva un persistente ticchettio che gli martellava la scatola cranica dall’interno e ancora non aveva aperto gli occhi, forse avrebbe potuto farlo, ma ancora non l’aveva fatto. Si teneva rannicchiato a se stesso, quasi in posizione fetale, timoroso di rompere quell’equilibrio stentato ma sicuro in cui si era trovato: avvertiva, sul lato della schiena su cui era appoggiato, l’umido della terra, e una strana miscela di dolore e forza che gli sgorgava dalla ferita sulla testa. Ma era sangue, ne era quasi certo, un fiotto denso e abbondante che fluiva delicato dalla sua fronte all’erba, gli sembrava quasi di poterlo sentire che sgocciolava un poco per volta. Non era la prima volta che sentiva il sangue sulla propria pelle, era già successo, ma ancora aveva troppa confusione in testa per ricordare dove e quando. Percepiva il sangue sulla pelle eppure aveva quasi la sensazione di poterne indovinare anche il gusto, era incredibile, ma il tatto aveva richiamato il gusto, e senza un filtro della ragione, solo così, perché era la cosa più naturale di questo mondo. Poi riacquistò la coscienza un passo alla volta, con una calma estenuante, anche se dire quanto tempo fosse trascorso da quando si era trovato a terra, schienato era impossibile.
La notte aveva disegnato un cielo simile anche il giorno della Pentecoste di due anni prima, quando con sua madre si era spostato alla fiera del paese, c’erano gli zingari e gente che vendeva i calendari e tutti parevano divertirsi. Manola stava appoggiata allo steccato vicino alla chiesa, e facev

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Seduti insieme... a guardare

Non ci sono parole… Domenico...
eppure ho visto come guardavi un albero… ci vedevi l’oro!
Una chioma abbagliata dal sole d’autunno…
Ho visto come guardavi i raggi del sole mentre scaldavano il fiume e i piedi dell’albero…
Mille stelle solleticate dal vento che s’accendevano e si spegnevano senza mai scomparire.
Non ci sono parole…
Tu guardavi l’oro dell’autunno ed io pensavo al mare, alle calde giornate estive profumate dal sospiro dei fiori.
Vedevo quello stesso albero con le sue foglie vibrare… attente a non cadere…
Le vedevo col braccino esile attaccate al ramo, combattevano sfinite dal vento, contro il tempo.
Mi parevano farfalle dalle ali dorate pronte, ma indecise a spiccare l’ultimo volo. Così, come il vento si fermava… finiva il loro affanno. S’affacciavano tutte sull’acqua del fiume… specchiandosi, ma allora… non erano stelle?



La fonte del cervo

Tantissimi anni fa, che a contarli si impiegherebbe un tempo lunghissimo, i ghiacciai alpini si ritirarono, lasciando profondi solchi sulle pendici delle montagne che avevano ricoperto lungamente. Trascorse altro tempo e le valli si rivestirono di erbe, cespugli, boschi, e si popolarono di animali. Infine venne l'uomo. Non sappiamo chi fu il primo a penetrare nella nostra valle e a stabilirvisi. Né conosciamo il motivo che lo spinse ad abbandonare la fertile pianura per addentrarsi in un ambiente ostile, fatto di lunghi inverni e di brevi estati, dove la natura non concede sconti e punisce severamente anche il minimo errore. Forse fu cacciato dal suo territorio da altri uomini più numerosi e potenti o forse fu a causa della innata curiosità della nostra razza, che ci spinge a voler andare sempre oltre. Probabilmente fu una famiglia o una minuscola tribù quella che si stabilì nella valle, non certo una moltitudine di genti. L'ambiente montano non riesce a mantenere che piccoli gruppi di persone. Pietre e legname non mancavano certo: si costruirono abitazioni. Di ridotte dimensioni, basse, con poche aperture, vicine le une alle altre. Quei costruttori non mancavano certo di ingegno! Sapevano che la natura va assecondata, non combattuta. Passarono gli anni, poi i secoli: il piccolo villaggio mutò di poco. Alcune altre abitazioni per i nuovi nuclei famigliari, qualche stalla e qualche fienile in più. In basso, verso il torrente, un vasto spiazzo soleggiato fu adibito ad orto per tutta la comunità.
Già allora si conosceva la fonte del cervo. Si tramandava che nei tempi passati un cacciatore del villaggio, il più abile e forte, raggiunta una verde radura avesse scorto un grande cervo maschio che si abbeverava ad una sorgente che sgorgava alla base di un masso biancheggiante in mezzo al prato. Teso l'arco con tutta la forza che possedeva, presa accuratamente la mira, il cacciatore scoccò la freccia che colpì il cervo diritto al cuore. Per noi oggigiorn

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Oggi non è un buon giorno

Oggi non è un buon giorno.
Mio fratello mi ha svegliato, ha iniziato a piangere appena uno spiraglio di luce è entrato dalla voragine vicina al soffitto. Ha paura, lo sento dall'odore.
Lui è appena arrivato, e come suo solito ha bussato sulle grate che ci dividono. Si è fermato su 7824 e compiaciuto è rimasto a guardarlo e a fare dei versi strani. Cerchiamo di stargli più lontani possibile, ma lui riesce sempre a prenderci. Ha quelle mostruose zampe con artigli morbidi, che quando ti afferrano ti si infilano nella carne. E lui stringe, stringe e poi ci risbatte nelle gabbie, se va male.

C'è freddo, e inizio a rimpiangere i giorni in cui la cella dava su quella di mia madre. Almeno ci si faceva caldo, stando vicini. Ma poi l'ha portata via, Lui. Così ha iniziato a darci da mangiare una poltiglia che a me, tutto sommato, piace.
Ma mio fratello non è dello stesso avviso. L'altra sera ha lasciato la metà del pasto, e Lui si è arrabbiato. Ha aperto la cella, e con le zampe gli ha spinto dentro tutto quello che aveva lasciato. Vuole che mangiamo, e più passa il tempo più penso che sia meglio fare tutto quello che vuole. Dopotutto lui è il Padrone.

È entrato nella stanza buia, infondo al corridoio, e poi è uscito e ha preso 7824. Ha fatto un verso strano, quasi amichevole, e poi l'ha portato con lui, chiudendo la porta. Si sentono rumori strani da là, dei rumori che ho paura di descrivere. Passiamo ogni giorno dentro le nostre stanzette, prima ci bruciano sul di dietro, ci danno un numero, poi ci versano la poltiglia. E ogni giorno che si ripete mangiamo e cachiamo.

Lui rientra dalla stanza, da solo. Fa un giro tra di noi, ci guarda. E mio fratello si nasconde in un angolo. Io non ho paura. Aspetto con ansia che mi prenda.
Io non ho paura. So che oltre quella porta c'è una grande stanza, e magari oltre quella stanza c'è un'altra calda stanza con la luce. Ma non la luce che c'è qui, quella che passa dal foro vicino al soffitto, quella che

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   2 commenti     di: Elena



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