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Racconti sulla natura

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Pulcio è un gatto con la zeta

PULCIO È UN GATTO CON LA ZETA


Pulcio è un gatto con la zeta. È bianco e nero, rimasto nella crescita un micio di piccola corporatura, esile e dal musino minuto. Un po’ strabico da un occhio, e tale piccolo handicap gli conferisce uno sguardo un po’ sognante, un po’ stupito (o stupidino?) ed anche il merito di avere sul suo libretto di salute addirittura un cognome, pure doppio: Strabichini Ronfoni, di cui il secondo è facile capire a quale delle caratteristiche gattesche si riferisca. Giunto a casa anni fa, trasportato in una scatola, salvato dai cortili sporchi e unti di un antico ospedale della Torino barocca, fu sistemato nella camera più grande e ambita dall’altro gatto di casa, già da due anni ospite della stessa dimora. Pulcio dovette stare in quarantena, proprio perché era appunto un sacco di pulci e di funghi: parassiti vegetali e animali infestavano la sua pelliccia e diventavano un pericolo per tutti gli abitanti della casa. Pericolo non scongiurato poiché tutti dovettero sottoporsi a frequenti lavaggi di Pevaril a causa di un diffuso contagio.
Così trascorse queste prime settimane un po’ isolato e col privilegio di soggiornare e intanto crescere nella stanza più elegante. Guarito e inserito trionfalmente e ufficialmente in famiglia (consapevole l’altro gatto che non sarebbe più stato l’Unico, il Solo, il Meraviglioso, ma ben deciso a non cedere tutti questi titoli nobiliari), non ci mise molto a farsi ben volere, anche appunto dal sovrano assoluto, sua Maestà Mirtillo, un bel trovatello tigrato dagli occhi verdi, di maggiori dimensioni e senz’altro più astuto o per lo meno maggiormente conscio del fatto che un gatto deve agire sempre a proprio vantaggio, contrariamente all’indole più bonacciona e sprovveduta di Pulcio.
Pulcino, affettuosamente detto (ma in questo caso il piccolo della gallina non è un riferimento), si pose fin dai primi tempi in una posizione di pseudo-subordine al gatto più anziano, più che

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Vorrei essere come questa luna in questa notte di tempesta

Vorrei essere come questa luna in questa notte di tempesta. Il vento è in guerra. Sento il suo canto muto, nudo di parole. O forse è un vento che viene da lontano e parla una lingua a me straniera, incomprensibile. Ed i rami degli alberi rispondono quasi impacciati all'eleganza del suo attacco: sferrano colpi casuali, senza un bersaglio. Arrivano persino nel tentativo innaturale e disperato di vincere questa forza invisibile, come fanno gli uomini con il destino, a colpirsi tra loro con violenza. E sbattono contro la luna piena, così che a tratti una parte di lei scompare alla mia vista. Perdo per un istante la sua lucentezza, il suo colore fulgido, senza sfumatura: è ormai l'alba è lei è un sole in tramonto che mostra la parte migliore di sè!.
Perdo una percentuale del nostro affezionato satellite, ma non è realtà: è un gioco di prospettiva. Se mi trovassi in un altro luogo forse la parte di lei che mi sfugge ora apparterebbe al mio campo di vista mentre, forse, sarei privata da qualcos'altro alla vista di un'altra porzione di lei. Spesso la scelta del luogo in cui ci troviamo è semplicemente una mediazione tra ciò che vogliamo avere e ciò che siamo disposti a perdere per esso...

Vorrei essere come questa luna stanotte. Che testimone di una lotta cruenta del vento osserva ed ignora. Così distante, intangibile, esprime tutta la sua bellezza, la sua pace interiore. È , che sia ben chiaro, non è indifferenza o crudeltà d'animo. È che obiettivamente lei è lontana anniluce da tutti i nostri guai sulla terra. Vorrei possedere la sua distanza. Non lasciarmi sfregiare il volto dall'affilato vento e accecare dai goffi rami che lui muove. Vorrei contemplare senza partecipare emotivamente come questo disco tondo giallo dal volto quasi femmineo, plastico, senza espressione. Guardare in lontananza, grossolonamente perdendendo i dettagli. Senza risoluzione per evitare poi di trovare una soluzione, il pezzo mancante al puzzle della vita che

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Trappola

(trad. Eliude Santana )
Un mare sereno. Scarse onde. Quello che basta per la pratica di nuoto e allenamento agli amanti del surf.
Una moltitudine di bagnanti. Improvvisamente, un maremoto. Una catastrofe. Gigantesche onde nascono del nulla e si dirigono verso la spiaggia, trascinando tutto. Gran parte dei presenti è stata strascicata via all'arrivo della prima onda. Nessuno, comunque, riesce a scappare, tranne pochi fortunati nelle rarefatte superfici bordeggianti.
Quelli rimasti indietro sono stati trasportati dalle altre onde che non smettevano di crescere. Ci sono voluti pochi secondi per essere sbattuti nella spiaggia come fossero conchiglie. E qui non si tratta di una spiaggia qualunque: è inospitale, accidentata, acida, a volte inquinata e incompatibile con la vita. Devono scappare in fretta o moriranno.
La maggior parte in ogni caso morirà. Per fortuna, la violenza delle acque spinge alcuni ad entrare nel tunnel presente all'entrata della riva e con l'uscita molto lontana dal mare. Dovranno fare un viaggio molto lungo, soltanto di andata, in un percorso sinuoso da cui non sono mai passati prima.
Non si può affermare che sia stato un vero maremoto. Sembrava, invece, che il mare invadesse bruscamente la terra, come se varie dighe si fossero sbarrate allo stesso tempo nei Paesi Bassi. O ancora peggio, come se il livello dell'oceano fosse salito repentinamente a causa di uno scongelamento improvviso delle calotte polari.
Adesso ognuno se ne va per conto suo. Pervaso dalla disperazione, ciascuno cerca di trovare una via d'uscita. Si salva chi può. Impossibile ritornare. Molti soccombono calpestati durante il percorso, altri deviano della corrente e si perdono nei labirinti dei canali e pure questi saranno eliminati. I pochi superstiti che trovano la strada libera si muovono come disperati alla ricerca della fine del tunnel. Nessuna luce.
Chi sono quei bagnanti? Da dove vengono? Da una grossa città sopra il mare. Sono

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Vieni con me

Vieni con me,

ti porto in un posto che non farai fatica ad amare, in cima alla collina che accarezza il mare...

La Panoramica, la chiamano così quelli della mia città, poco più grande di un paese, Pesaro umile, dolce, semplice, senza pretese.

È questo il suo lato più bello, una donna da esplorare, che non ti stanca mai, con gli stessi discorsi, con la sua vanità di voler piacere a tutti i costi. Pesaro è come me... punto e basta, e si accontenta di poco o forse di tanto del sole, del suo calore e di quello che non fa fatica a ricevere, l'amore...

È una città un po' sbarazzina... ma adesso basta ora lascio la rima, per rincorrerla dall'alto della collina che la collega con la sua amica e rivale di sempre, la Romagna, ma in fondo non sanno che sono più simili di quanto sembrano e figlie dello stesso mare... l'Adriatico che le bacia con la stessa passione e lo stesso amore che lega un padre alle suie figlie.

E con il vento in faccia è bello arrampicarsi sulla "Pano", tra gruppi di volonterosi ciclisti e coraggiosi escursionisti.
Non è solo una passeggiata, è un rincorrere la vita, che si mostra bella in tutte le stagioni, austera come una mamma severa d'inverno, si tinge i capelli di rosso in autunno e in estate va a ballare fra le ginestre che scendono giù, verso il mare.

In primavera rinasce e ritorna bambina e tutto ricomincia sempre come prima e dietro ogni curva rivivono stagioni, segreti.

Rivedo un gruppo di ragazzini sul ciao, scalare la vetta a fatica e poi quel cespuglio dove... si scopriva la vita... e quei pomeriggi a raccogliere le more seduti sul ciglio del burrone a inseguire la luce del faro ed i sogni fra le luci della riviera, quando allora sembrava sempre primavera. E poi d'improvviso lui, nella sua immensità, si apre come il sipario di una commedia infinita, dove laggìù all'orizzonte C'è la vita, si rincorrono i gabbiani e liberi volano i pensieri, navigano le barche e le vele spiegate dei giorni

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   4 commenti     di: laura marchetti


La formica

Carlo sta pulendo con dovizia maniacale ogni angolo del cucinotto. Da qualche giorno formiche impertinenti, dotate di una certa costanza, lo angosciano con apparizioni inattese. Poche, pochissime, per carità, nulla di allarmante. Ma quella persistenza, comparsa quasi sempre al singolare, passeggiata solitaria e disinvolta fra il bordo del lavandino e la parete tirata a piastrelle bianche con filini bordeaux che disegnano quadrati perfetti, Carlo non la sopporta. Riesce appena a scorgerla quando non ha su le lenti. Quasi il rigo dritto del quadratino si animasse di un movimento fiabesco in una danza esotica e curvilinea. A giudicare dalle movenze doveva trattarsi d’un magnifico esemplare di “Crematogaster scutellaris” - formica rizzaculo.
Se fosse immobile, quella formichina resterebbe una presenza discreta, forse invisibile alla percezione dell'occhio presbite. Carlo odia negli animali e nelle persone l'invadenza. Oggi è la formichina a catturare la sua angoscia riversata a fiotti nelle strategie di opposizione a base di pulizia morbosa e perfidi insetticidi alla lavanda. Ma talvolta basta uno sguardo un po' più insistente del normale - e della normalità Carlo ha un'idea precisa - anche quello del barbiere accanto al portone di casa, a scuotere quel tanto di inquietudine sufficiente a scoraggiare la pazienza del sigle nella pausa pranzo per mettere su l'acqua, tanto che il pasto si fa caprese veloce condita con la foglia di basilico strappata senza garbo alla piantina sul davanzale della finestra affacciata sull'atrio interno.

Ha consultato autorevoli fonti in materia e specialisti etologi ed è persino riuscito a camuffare una richiesta di aiuto in conversazioni salottiere fra amici, spacciandola per la sua ultima forma di megalomania: adesione ad una associazione internazionale per la protezione e la conservazione di talune varietà d'insetti. La formica pare sia capofila delle stirpi protette. Per questa via, do

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   1 commenti     di: Carlo Diana


Eccesso

A cosa servono le norme se
non sono nient'altro che un paradosso?

Era questo il mio dilemma, il mio cruccio, il mio grattacapo insomma. Perché far diventare la vità un surrogato iniettandone il male? Perché?
NESSUNA RISPOSTA.
Spostai i mie pensieri dai perché umani a quelli della grande madre. NULLA. I perché non le interessavano, sembrava quasi non preoccuparsene, sicura e navigata della vità continuava serena. Voci indefinite, infinite, inprecise si stagliano al orizzonte.
MA NIENTE. Noia.
Dovette passare la stella di fuoco molte volte prima che io potessi capire. Fui un folle. Lo compresi, si può forse spiegare il senso specifico di ogni goccia del mare? Solo generalizzando e quindi sbagliando spiegazione, perché non si può fare di tutt' erba un fascio. L'incommensurabile immenso non può attrarre gli uomini, le distanze sono troppe per potersi comprendere.
TORNAI.
I mie vecchi crucci mai passati mi aspettavano al rubicone.
Non erano più come prima, o forse IO non ero più come prima, si stagliavano ora in modo chiaro e limpido. Li compresi.
Era l'ECCESSO.
Grandi cose potei guardare, comprendere e studiare.
Grandi cose false potei guardare, comprendere e studiare.
Che senso ha la legge se non la si applica in modo fermo e rigoroso? Ma che senso ha se la si applica in modo draconiano?
Le persone nel primo caso si faranno burla di essa e nel secondo caso la odieranno e la temeranno finendo per distruggerla.
Lo seguì. L'eccessive idee portarono a eccessivo rigore. Eccessivo rigore porto a eccessive pene. Eccessive pene portarono a eccessivi dolori. Gli eccessivi dolori portarono alla amara FINE.
Chi è il criminale e chi il giusto?

   1 commenti     di: Frinz Frinz


Una nuvola

ecco, ci risiamo. è ripreso a piovere. ma non era arrivata l'estate? non s'erano buttati alle ortiche i cappotti? e le scarpe pesanti? e gli ombrelli? le coperte non erano volate dai letti per andare anch'esse a salutar l'estate sui balconi? forse era vero, forse un sogno, chi può dirlo! tant'è che siamo qui a battere i denti in pieno maggio e sembra strano che solo qualche giorno fa siamo stati al mare; pare che piova da un secolo, ma sono solo due giorni. non vediamo l'ora di veder spuntare il sole per poter dire: uffa, che caldo!
e così, per la sola forza del ricordo, forza d'inerzia, che ne richiama altri pur senza volerli, mi ritrovo a viaggiare indietro nel tempo; le analogie e le reminiscenze si accavallano nella mente peggio che un turbine e in questo turbinio non vedo passare una nuvola, che strano, che cosa facevo nei giorni di pioggia? ci saranno pur stati giorni bigi nella mia primiera esistenza, che fine avranno mai fatto? ne è andata persa ogni traccia, non mi riesce di ricordare un paio di scarpe inzuppate, nè il colore del mio ombrello, ne avrò pure avuto uno.. nè potrei descrivere una giornata di pioggia che abbia in qualche modo umettato i fervori della mia fanciullesca fantasia o abbia lenito i bollori delle inquietudini giovanili.
sarà forse che è piovuto poco negli ultimi trent'anni? tanto poco che le nubi sian passate inosservate sulle nostre teste? o meglio, sulla mia testa? l'unica nuvola che ricordo bene d'aver visto e quasi toccata è quella che sognai, all'età di circa dieci anni; era bella, bianca e soffice, una spuma; sognai che era venuta giù da sola, lentamente ondeggiando sulle ali della brezzolina fino a posarmisi accanto. era venuta giù da un cielo azzurrissimo, terso, tanto da sembrare finto; ma si sa.. nei sogni... ed io, per la felicità e il desiderio di tenerla per sempre con me, le misi un collare, quello del mio cane Black e.. piano, piano, piano perchè non si rompesse, senza staccar gli occhi da qu

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