IL GABBIANO
Mamma, ti ricordi quando da piccola ti dicevo che avrei voluto essere un
gabbiano, si uno di quei gabbiani che noi vedevamo volare sopra il mare durante le nostre passeggiate sulla spiaggia.
Ero affascinata dal loro volteggiare e con il dito ti indicavo quelli che man mano si libravano dagli scogli verso il mare aperto.
Tu sorridevi e mi accarezzavi i capelli, io seguitavo, rassicurata dalla tua
carezza, a guardarli e ad immaginarmi al loro posto chiudendo gli occhi e pensando ai mille riflessi prodotti dal sole sull'acqua del mare che essi
ammiravano.
Pensavo è questo il senso della vita, anche io da grande dovrò librarmi dallo scoglio della mia esistenza verso il mare aperto della vita.
Quando sono diventata grande, lo sai, l'ho fatto e sono andata a vivere da sola la mia vita, lasciando la casa che mi aveva vista nascere spinta dal richiamo del mare della vita.
Poi, lo sai, mi ero illusa di avere trovato l'amore ed in quel momento la
mia casa mi è sembrata la nostra casa.
Questa è la gioia che avevo provata, ma poi quello che avevo pensato fosse l'amore, si è sciolto come neve al sole lasciandomi sola in quella casa che non era più la mia casa.
Il pensiero subito ha rievocato nella mia mente il gabbiano ed ho pensato che anche esso nel suo volo si allontana dal suo nido e che certe volte si spinge per l'anelito di libertà oltre le sue forze raggiungendo un punto di non ritorno dal quale cerca invano di ritornare al suo nido, ma
la lontananza ed il vento spesso contrario lo abbattono stremato sulla
superfice del mare, dove dibattendosi, per qualche istante, trova la sua
dolorosa morte.
Anche io, mamma, mi sono spinta nel mare della vita per l'anelito di
libertà verso un punto di non ritorno.
Invoco la tua mano che possa tendersi verso di me per guidare il mio volo verso casa, quella vera dove vi era una famiglia piena d'amore, ma tu non ci sei più e quella casa ormai è vuota.
Le mie ali sono state tarpate dal vento della
La sua casa era diventata una Sant'Elena, lui che aveva partecipato a giri d'Italia e tour de France con Binda e Girardengo, Calzolari e Bottecchia.
Come una punizione dantesca la sua era nei pressi della ferrovia, vicino alla stazione di Antignano e tutti i giorni attraversava le rotaie per andare al distributore che gestiva sull'Aurelia nell'ultimo tratto rettilineo verso sud, prima che diventasse un serpente che avvolgeva il Romito.
La bici un ricordo lasciato sulle strade polverose delle Alpi e dei Pirenei, ed ora solo un mezzo ormai inutile tra il ferro dei treni che sfrecciavano senza fermarsi davanti casa ed il rumore delle auto immerso tutto il giorno nell'odore della gomma e della benzina.
Quando io l'ho conosciuto o inizio a ricordarlo era già vecchio, o così a me sembrava. Mio nonno lo salutava ogni volta che passavamo dalla via di Banditella, dopo il campino di calcio, come si fa con un vecchio compagno di scuola schivo e riservato.
La sera, nelle estati degli anni sessanta accanto alla sua bici, si godeva il tramonto, uguale ed opposto a quello goduto al di la' del mare di Nizza nel suo primo tour del 1911, ricordando il sole che spariva ad ovest dietro ai monti.
E "nell'onda dei ricordi l'assalse il sovvenir..."
in questo misero giorno di pioggia, rinchiusa dentro quattro mura, il mio pensiero va a te, mio tenero amore. se solo potessi vederti, sfiorarti o addirittura toccarti, sarebbe il regalo più grande che dio potesse farmi. oh mio perduto amore, mio effimero ricordo, per oggi, in questo misero giorno di pioggia, dedico tutte le mie scongiure, paure, dolori. ricordati solo di una cosa, la nostra promessa infrangibile che ci lega l'una all'altro.
Era la vigilia di Natale ed erano tutti riuniti attorno al fuoco del camino. Donna Pina sferruzzava con in mano un vecchio maglione da rammendare, ancora vestita di nero a un anno dalla morte del marito. La gente continuava a chiamarla la Salinara nonostante il fatto che ormai tutte le miniere di sale le erano state tolte dagli avidi parenti.
Sarina, la più grande delle sue figlie, aveva quindici anni e dondolava con monotonia la piccola Carmela di appena due anni che non smetteva di piangere.
Il più piccolo dei fratelli, Francesco, si rigirava i lacci delle scarpe alla ricerca di un modo per passare il tempo. Rosetta e Francesca, invece, stavano apparecchiando la tavola con il misero pasto che si potevano concedere: qualche fetta di pane duro, qualche pezzo di formaggio e qualche uova appena presa dal pollaio.
In tutta la casa regnava un opprimente silenzio interrotto solo dai brevi pianti di Carmela e dal rumore frenetico dei ferri che sbattevano senza sosta.
Qualcuno bussò con insistenza contro la porta. Donna Pina alzò gli occhi dal suo lavoro solo per riabbassarli l'attimo dopo. Sarina si voltò e chiamò Rosetta. Bastò quel breve movimento del capo per far dondolare i suoi orecchini d'oro con la “esse” del suo nome incisa sopra, ricordi di tempi migliori...
- Rosetta, va a vedere chi è alla porta.-
Con ubbidienza Rosetta andò ad aprire l'uscio di casa. Entrò un giovinetto contento e agitato.
- Mamma! Talia chi ci resi Don Vincenzo!- Era stato Angelo, che aveva tredici anni, ad entrare tanto festante dopo essere tornato dal bar dove lavorava. Tra le sue mani stringeva un grande panettone.
Francesco alzò gli occhi da quello che stava facendo e corse dal fratello maggiore, seguito a ruota da Francesca. Rosetta e lei posarono il panettone a centrotavola come una specie di monumento.
Sarina si avvicinò al tavolo con Carmela in braccio che aveva smesso di piangere incuriosita dallo stupore generale.
Perfino Donna Pina alzò gli occhi dal suo
3 biliardi da boccette, otto tavolini per giocare a carte, un barista pelato e sua moglie che...
... Che gran tette.
Non so perché ma a noi della Sacca, le tette sono sempre piaciute.
Dimenticavo di dirvi che cosa è la Sacca: un rione popolare dove il dottore vive a stretto contatto col muratore, dove l’ingegnere gioca a carte con il barbiere, dove al bar della coop viene anche il Don Alberto e nessuno bestemmia. La sacca il quartiere dove sono nato e dopo sposato non sono più ritornato.
Ogni tanto amo andare con la mente a quei ricordi, quando la giornata è stata dura, si è sbagliato un lavoro, ed un cliente, o chi per esso, ti ha talmente rotto il cazzo che hai bisogno d’evasione.
Eccomi al bar della Sacca.
Vi è Alfredo, record 20 optalibon in un colpo e rimane quasi sveglio.
Mentore il tromba, tromba in continuazione e non solo a parole, per lui il sesso è tutto.
Ricordo una volta al cinema Ambra, cinema di malaffare, frequentato all’epoca da molti”gay”.
Ci siamo io, lui, Alfredo, Ivan, il Pappa, e Sniffa.
Ci sediamo, inizia il film, un capellone trito e ritrito. Siamo tutti sulla stessa fila, ci saranno 25 spettatori su un centinaio di posti. Dopo 15 minuti entra un tizio, 40/50 anni e si siede vicino a Sniffa che al suo fianco ha Mentore. Passa poco tempo e sento confabulare Mentore con Sniffa, dopodiché Mentore scambia il posto con Sniffa. Osservo il tipo e penso: agh sam, che tradotto significa: ci siamo.
Passa il primo tempo, nulla, finisce il film, nulla. Accendono le luci usciamo e chiedo a Sniffa:
che è successo?
Mi risponde:
eh, quella checca ha iniziato ad accarezzarmi una coscia, l’ho detto a Mentore che mi ha risposto,
ci penso io. Poi è venuto al mio posto.
Guardo Mentore con espressione interrogativa e lui:
Eh, mi son fatto fare una sega.
Questo è lui, il Tromba.
Poi ci sono il Biondo e Tarta, sempre insieme. Giocatori di Pinnacolo, si segnano tutto e se giochi una lira al punto sei rovinato. Io l’ho p
Voglio raccontarvi una storia.
Non è la storia della nascita di un supereroe o un thriller avvincente in cui l’assassino è svelato soltanto all’ultima pagina... e non è nemmeno una storia che tratta guerre e battaglie fra buoni e cattivi e che appassiona dall’inizio alla fine.
Non voglio raccontarvi nulla di tutto questo.
Questa è la storia di un uomo come tanti altri. Un uomo non diverso da tanti altri uomini. Un uomo con tanti pregi e tanti difetti, che aveva sogni e speranze come tutti noi.
Il suo nome era Mario.
Mario era una persona di quelle che forse non ti volti a guardarla per strada quando la incroci. Non era più alto di tanti altri né più bello o più brutto; forse era un po’ più in carne ma nemmeno troppo in fondo. Io non l’ho conosciuto per tanti anni ma posso dire di avere avuto la fortuna di poterlo chiamare amico. Ho imparato da lui cosa significasse veramente questa parola e non ho mai trovato nessuno dopo di lui, per il quale provassi un attaccamento del genere.
Forse era dovuto al fatto delle cose che avevamo in comune. Eravamo entrambi appassionati di cinema, anzi lui lo era molto più di me e devo ringraziarlo per avermi aiutato ad alimentare questa passione che conservo tutt’ora. È stato grazie a lui se ho amato ed amo il cinema di Sergio Leone; poche persone della mia età apprezzano questo regista e le sue opere e tanti non sanno davvero quello che si perdono. Devo ammettere a me stesso di essere stato riluttante a mia volta al principio, ma i dubbi hanno fatto molto presto a scomparire.
Era bello restare seduti sul divano di casa sua e passare interi pomeriggi guardando le pellicole che tanto lo appassionavano e che lui teneva molto a condividere con me. Mi ha sempre trattato come fossi un suo pari, anche se aveva parecchi anni più di me. Non mi ha mai deriso o detto che non avrei mai potuto raggiungere un obiettivo e quando parlavo, mi ascoltava interessato come io facevo con lui.
Come due veri amici ci complet
E sono qui, su uno scoglio, come ogni giorno da vent’ anni. È sempre lo stesso, lo scoglio. Il più alto di tutti quelli del villaggio, che dà le spalle al bosco folto. Il cielo oggi è così limpido… Neanche una nuvola.
Guardo giù. Vedo il mare che si apre davanti a me. Io lo conosco bene quest’uomo solitario dal profumo salmastro.
Lui. Di cose ne ha viste, lui. Ha visto le case abbandonate del paese, mangiate dall’edera. Ha visto le foglie sugli alberi dare un po’ di colore allo squallore grigio.
Ha visto, nelle sere di tempesta, navi rientrare nei porti ed altre sparire nei suoi abissi, assistendo al drammatico spettacolo con la calma di chi è cosciente della propria impotenza sul loro destino. Ha guardato uomini divertirsi, ubriacarsi, cantare e fare a botte nelle taverne vicino alle banchine. Ha osservato i bambini giocare sulle spiagge d’estate. Ha sorriso vedendo i loro scherzi, sentendo le loro risate, partecipando alla loro felicità.
Ah, bella e andata giovinezza!
Ricordo bene quando per la prima volta presi il mare. Mia madre mi accompagnò fino al porto e mi stampò un bacio sulla fronte, senza aggiungere parole inutili.
Allora era tutto diverso. Il paese era diverso. Così pieno di vita…
Eh, pensare che ancora la gente amava affacciarsi alle finestre, incontrarsi di sera! La banda suonava. I ragazzi ballavano, facevano l’amore sulla sabbia, sotto il cielo stellato, allora…
Ho attraversato oceani, raggiunto isole esotiche, ho fatto esperienze…
Sembrerà strano, ma di quei quarant’anni d’avventura non ho ricordi.
Quelle sere. La burrasca che strappava le vele e gli uomini dal ponte, la pioggia che ci batteva in faccia... E poi più nulla. Niente degli amici, degli scherzi. Ricordo solo di quel giorno lontano, di quel bacio…
Quando si é a largo si sogna sempre la terra, ma poi, nel momento in cui la si raggiunge, resta quel vuoto. Si è perso qualcosa.
Ah, che pace! A volte, ho l’impressione che questo vil
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