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Racconti sulla nostalgia

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La partenza di Francesco Paolo

I manicaretti alle olive danzavano briosi e primitivi nella testa di Francesco Paolo. A volte, quando il treno partiva, ne riassaporava con immaginaria libertà il loro gusto materno, rimestando in bocca gli avanzi dell'ultimo cornetto, preso poco prima al bar della stazione. Lo faceva spesso perché, per qualche ragione, quel dolce fondersi della sfoglia e dello zucchero a velo sotto il palato lo allontanava dal pensiero di un altro tedioso viaggio tra i monti dell'Appennino. Per intanto suo padre, vestito di pezze, gli portava la valigia corrugando una flebile angoscia al suo dipartire. La mestizia gli screpolava il cuore e così, preso dal ricordo dell'ultima nostalgica golosità, affogava con il suo vecchio in discorsi blandi, al limite del ridicolo. Riempivano i silenzi dell'addio con poche frasi mangiucchiate sul tempo, sul ritorno a breve, sul sole a picco in testa alla stazione.
Poscia ch'ebbe ritrovato il binario al primo colpo, non manifestando alcuna ansia per l'attesa, Francesco Paolo si alzava sulle punte dei piedi per poi ricadere sui talloni a movimenti costanti, mascherando qualche leggera premura agli occhi del padre, lontano dai pensieri rincuoranti di manicaretti perduti.
Tra quei monti, nella valle dove la sua infanzia si era consumata in uno schioppo di fucile, di patate bollite e di scamorze fritte, il senso di vuoto spariva solo il giorno dopo, quando al pensiero del ritorno s'aggiungeva la serena follia di un'uscita con gli amici di sempre. Era là che Francesco Paolo non serbava più alcuna intimità, la perdeva disseminandosi d'allegrezza; rincasando sul fare del giorno, alle prime luci del crepuscolo e guardava laggiù oltre l'orizzonte, dove tosto l'attendeva il domani. Quello strano e speciale sentimento gli riempiva il cuore, si faceva beffe ben più alte di lui, al voltarsi indietro verso la vita di paese, ora che la città lo trastullava con altro odore di caffè.
"Rimetti la cintura al pantalone", biasciò suo padre sottovoce. "

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I teoremi di Euclide non servono a nulla

" Ma prof a cosa servono i teoremi di Euclide?"
Mi volto e ti guardo: Marco il mio alunno migliore, studioso, curioso, dotato di quella logica che ogni insegnante sogna... Marco già uomo di casa con una madre da proteggere e un fratellino da accudire...
Rivediamo le applicazioni ma, scuotendo i riccioli con quel tuo sorriso disarmante mi chiedi :
"ma nella vita a cosa mai serviranno?"
Ammutolisco come la classe che incantata aspetta che il suo capitano abbia la risposta..
Diviene la nostra battuta..." i due teoremi di Euclide valgono quanto il solo di Pitagora? " e come due complici ridiamo.. fino all'esame.
A settembre la notizia agghiacciante: leucemia linfoblastica acuta
Inizia quel calvario che affronti giorno per giorno sempre a ancora con quel tuo sorriso e quella battuta che mi ripeterai tante e tante altre volte ancora sempre uguale..
Accanto al tuo letto ti spiego la dimostrazione.. quella che i tuoi coetanei stanno ascoltando in un'aula e le applicazioni che vedrai nella geometria piana, che sicuramente vedrai nella geometria solida, che sicuramente vedrai...
poi... il buio.
Sono trascorsi tanti anni da allora... i programmi ministeriali non li hanno ancora cancellati... devo spiegarli.. ad alunni ogni volta diversi ma.. una improvvisa crisi allergica o una ciglia negli occhi giustifica sempre quella lacrima che proprio non vuole saperne di non scendere..
Girata verso la lavagna rivedo il tuo sorriso lontano e poi voltandomi lentamente con timore attendo...

   12 commenti     di: alice costa


Il suono del vento nel bosco

Ascolto il suono del vento nel bosco, una melodia appena sussurrata; larici, abeti, faggi, vecchi e saggi maghi che parlano con me fin da bambino.
È strano: guardavo mio padre, forte e deciso, camminare sul sentiero ombroso. Sordo alle loro parole. Io rimanevo incantato e commosso.
"Carlo vieni ", la voce di mio padre impaziente, i miei fratelli che ridevano per la mia testa fra le nuvole. Ero rimasto di nuovo indietro, il mio cesto vuoto, perfino le mie sorelle avevano raccolto qualche fungo e se ne vantavano.
Anni dilavati dalla pioggia; percorro vecchi sentieri, non mi serve pensare dove sto andando, hanno tracciato un solco nella memoria, potrei farli ad occhi chiusi.
Mi fermo appoggiandomi a una roccia e assaporo il caldo del sole sul viso. I vecchi saggi continuano a parlarmi; vorrei tacessero, perché insistono a scavarmi nell'anima facendo uscire i ricordi.
Il suono di una cascata poco lontano mi riporta alla memoria il tuo sorriso, ( il sorriso di un bambino), innocente e spontaneo. Una giornata come tante, passata al mare con gli amici, stanco di lazzi e scherzi mi allontano quieto per guardare un tramonto di fuoco sul mare.
Ne ho visti tanti dalla cima del monte; tutti nuovi ogni volta e straordinari.
Ma questo, che si rifrange in mille luci sulle onde, è diverso. Capto qualcosa nell'aria, come quando l'odore di ozono preannuncia la folgore imminente.
Una risata cristallina mi fa l'effetto di una scossa elettrica; mi volto e rimango impietrito, incontro i tuoi occhi, un azzurro infinito dentro il quale si riflettono le stelle.
Mi guardi e sorridi; le tue labbra si muovono. ma mi sembra d'essere sott'acqua.
Non sento niente, non respiro, resto li non so per quanto, un attimo e l'eternità che si uniscono.
Il tuo volto si fa serio, ti avvicini e raccogli una palla che era finita ai miei piedi; quando ti rialzi mi pianti di nuovo gli occhi negli occhi, la tua mano tocca la mia guancia( la carezza di una donna).
"Ti senti bene?" mi chiedi.
Bocc

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   3 commenti     di: gina


Illusioni

Il suo sguardo viaggiava lungo quel sentiero ciottoloso tra aride distese autunnali, punteggiate qua e là da imponenti querce immerse in un sogno crepuscolare. I raggi rossastri del sole nella sua quotidiana decadenza abbozzarono un fugace sorriso che subito si sciolse in un'amara consapevolezza: si stava solamente illudendo di aver potuto trovare un sostituto della sua dolce ispirazione.
Aveva scritto per lei. Aveva scritto a causa di lei. Scriverà solo di lei.

   5 commenti     di: Primo Wong


Lettera a un ricordo

In questa serata affidata al cielo estivo che pare giocare di stelle cadenti, ammiro la quiete risuonante di grilli. C'è quel silenzio solo sfiorato dai brusii della natura che non interrompe mai il suo cullare, nella penombra, riflessi d'ali intorno.
Ed io penso alla mia vita, penso agli attimi che più s'accalcano di episodi... e penso a te, caro ricordo.
Ti scrivo, ora, per fermare emozioni che tu hai saputo, forse inconsapevole, donare.
Ti rammenti il primo dialogare, il primo suscitare in me quelle sorprese divertite nel tuo intavolare questioni d'amore.
Domande e risposte, sollecitazioni e palpiti: ecco il mio primo aprire il cuore verso te. E tu, trascinavi facile in un sentiero fatto di fantasia, di sogni rinati alle tue premure e di viaggi nel tuo esistere ignoto. Forse la solitudine di un sentimento, sia tuo che mio, ha giocato per qualche giorno, ponendo come posta il desiderio impossibile. Ma ancor prima di aver vigore e trasformarsi in tangibile necessità, piano gli slanci teneri si affievoliscono in te, e restarono poi muti e sempre più lontani nel riprendere parole più importanti.
Poi il silenzio di giorni, e l'anno passato ti porta in un altro tempo dove solo tu sai le cadenze e i luoghi del tuo vivere.
Ormai, caro ricordo, mi chiedo se sei in effetti un ricordo, l'attimo speciale vissuto e superato da altri attimi di contorno, superficiali e riservati all'indifferenza di un passaggio sfuggito per sempre.
Tuttavia in questa serata di pacata malinconia, mi chiedo ancora, e forse finché resterai in me, perché il mio pensiero diventa felice al tuo nome, perché le tue parole sono in me vive e calde, e piene di dolcezza come al tuo primo ciao, perché immagino il tuo apparire sempre prossimo, perché... ti amo, se alla fine sei e resterai un ricordo scritto che sbiadirà anche in queste righe.

   0 commenti     di: Marhiel Mellis


La cornice

Una sera rientri a casa e sei completamente spento. Stanco ma senza sonno, solo ma senza la voglia di vedere alcuno. Sei solo l'ombra di quello che sai di essere e che da qualche tempo sai anche di non essere più.
Dopo il lavoro ti trascini ciondolante fino al divano e rimani a fissare la parete come fosse una tv accesa, che poi è la stessa cosa.
È in quel momento che fai caso per la prima volta a quella macchia biancastra nel bel mezzo della parete del tuo salone. Sicuramente l'avevi già vista ma ancora non gli avevi dato peso. Cosa vuoi che sia un po' di alone bianco lasciato da un quadro che non c'è più. Lasciato da un quadro che tu stesso hai staccato perché non riuscivi più a vederlo tanto ti faceva male, tanto ti riportava alla mente ricordi a volte belli, a volte brutti, ma che sapevi solo ricordi e che non sarebbero tornati più.
Così, un sabato mattina con più nostalgia del solito, esasperato, senza pensarci troppo per evitare di non farlo più, lo hai preso, lo hai staccato dalla parete e lo hai buttato in strada.
Quel quadro che oramai conoscevi a memoria in ogni pennellata, che non avevi mai smesso di guardare perché lì si concentrava tutta la tua vita, fuori dalla tua vita.
Ma stupidamente non avevi pensato alle conseguenza di quel gesto. Non avevi considerato che non sarebbe bastato togliere quel quadro per non vederlo più. Non avevi considerato che non ti saresti liberato affatto di quel dipinto, ma che avresti fatto solo posto alla sua assenza. Quell'assenza sottolineata da una macchia che ne avrebbe ricalcato perfettamente la cornice. E non immaginavi che, in quella sagoma bianca, nonostante il tempo che sarebbe passato, ne avresti potuto ricostruire tutto il resto, ogni colore, ogni sensazione, ogni pennellata.
E quando a forza di fissare quel buco il dipinto sarebbe quasi riapparso ai tuoi occhi, avresti cominciato a domandarti dove fosse finito, chi l'avesse raccolto e appeso nel proprio salone. In che mani fosse finito. Ci sar

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   4 commenti     di: Moment


Dove si apprende...

Dove si apprende in qual modo Carmine e Patò scamparono a uno consistente pericolo.

In una di quelle notti che?" avresti detto?" solo settembre sa predisporre, Carmine e Patò ripararono, temporaneamente arrestati da uno di quei guasti meccanici alle vetture che solo la sorte volubile sa apparecchiare, nell’unica abitazione visibile entro un raggio di pochi, ma scoraggianti chilometri, in aperta campagna.
Era in realtà una notte di primavera, silenziosa e flagrante. L’aria agitava i rami degli alberi con un movimento blando, e la luna illuminava per un istante l’ombra e il mistero dei fogliami.
Si sentiva come un lungo brivido passare in un giardino colpito da incantesimo, e poi tutto tornava a placarsi in quella pace amorosa delle notti serene. Tremavano le stelle nell’azzurra profondità, e la quiete del paesaggio terrestre sembrava anche maggiore della quiete del cielo.
E bussa, e « ... Di casa... Permesso..? Qualcuno..?», e presentati decorosamente, e spiega il fatto com’è, Carmine non aveva ancora posto rilievo a richieste d’assistenza, che il contadino ospite, rubizzo ruspante e pur tuttavia gentile, alla fin degli approssimati conti, offrì loro?" ma si direbbe ancor meglio impose?" ricovero tra i lastroni di pietra viva assetata della sua modesta ma ben attrezzata masseria.
?" Ma noi non vorremmo arrecar disturbo... disse Carmine (Ha anche i suoi svantaggi, il portamento. Nella goccia d’acqua la libertà del microbo è assoluta).
?" Aaaàh! In queste cose, alla mia casa dovete di stare muti SignorLèi ?" rispose l’energumeno brevilineo.
?" Oooòh! Amico, statti bello calmo che per come ci vedi noi siamo cristiani come il Signore comanda... ?" baccagliava lo stillante Patonsio, snervato dal sudore, compagno suo fedele e delle sue sofferte carni in primissimo luogo;
?" Ammè qua nella contrada “Minnasicca” mi canosciono tutto il mondo; chè io sono don Biagio Badditranti, ’u scannatùri dì lupi!
?" Vi

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