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Schegge di follia

Dopo 12 interminabili rampe di scale, Chris giunse al cospetto della piccola porta di metallo che dava sulla terrazza dell'ultimo piano di uno squallido appartamento, nel centro della città. La scalata del palazzo si rivelò più ardua del previsto, aggravata sia dalla non perfetta forma fisica del quarantottenne, sia dal peso dell'"Archer Sniper Rifle" che si portava appresso, contenuto in una pratica valigetta. Col fiato corto e ancora accaldato per l'inevitabile fatica notturna, Chris spalancò faticosamente la porta arrugginita e, dopo averla saldamente bloccata dall'esterno con una catena, a passi lenti si accinse ad accorciare la distanza che lo separava dal parapetto del grattacielo, sempre imprecando contro l'architetto che aveva progettato quello stupido palazzo privo di ascensore. Il fiabesco cielo stellato che lo sovrastava sarebbe stato l'unico spettatore, il solo che avrebbe assistito a ciò che stava per accadere in quella fredda e asciutta notte di gennaio.
Le strade di quell'isolato erano ben illuminate ma semideserte. Di rado transitava una macchina giù in strada, per non parlare dei pedoni. Ne passava in media uno ogni quarto d'ora, tutti con una andatura frettolosa, impazienti di raggiungere la propria abitazione e di sfuggire alla morsa del gelo invernale.
Quando Chris raggiunse la sua postazione, accovacciandosi, estrasse il suo "Archie" dal contenitore, cominciando meticolosamente ad assemblarlo. Come in ogni analogo evento, quei piccoli e semplici gesti meccanici ripetuti ormai chissà quante volte nella sua lunga carriera di killer, portarono alla mente dell'assassino i volti delle decine di persone alla quale aveva tolto la vita, senza sapere il vero motivo, la ragione per la quale quelle stesse persone meritassero di morire. "Eseguire gli ordini" era il suo compito, solo e soltanto eseguire degli ordini, senza fare domande, senza chiedere spiegazioni od ottenere informazioni aggiuntive: da 23 anni a questa parte, Chris aveva stroncato la vita a uomini della quale conosceva solamente due cose, prima che essi venissero uccisi: il loro aspetto e dove essi si sarebbero dovuti trovare negli ultimi minuti della loro esistenza. Nemmeno il loro nome gli era concesso di sapere.
Anche se l'insieme di tutti i suoi compiti, quali la scelta della posizione migliore, la montatura del suo fucile, l'attesa e il completamento dell'opera erano diventati ormai consuetudine per Chris, questo non significava che non avesse più alcun timore, che non avesse più alcuna paura. Le prime volte, quando ancora era un "dilettante", il suo cuore sembrava esplodere dalla mattina del fatidico giorno lavorativo all'attimo immediatamente antecedente la pressione del grilletto: quell'ultimo gesto si, che lo faceva stare meglio, che iniettava nel suo corpo stressato una massiccia dose di valeriana e cocaina, molto simile ad un orgasmo sottocutaneo. Col passare degli anni e con l'incrementare del contatore delle sue vittime, le paure e lo stress scemavano sempre di più, riducendosi tutt'oggi ai soli minuti che precedevano la fuoriuscita dei proiettili calibro 7. 56 dal suo fedele e preciso compagno metallico. Ma ancora oggi, Chris non era mai del tutto tranquillo. Nervosismo e stress facevano razzia della calma e del sangue freddo. Solo grazie alla tempra del suo carattere forte, plasmato negli anni dal suo lavoro, riusciva a non far tramutare ciò che provava realmente in sudore freddo o, peggio ancora, tremolio alle mani. Ma questo non significava che fosse sereno e spensierato durante lo svolgimento del suo compito.

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