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Il mio Paese delle Meraviglie, parte III

Nonostante ardessi di una nuova forza che, impadronitasi di me, mi forzava a muovere un passo dopo l'altro, il freddo continuava a tormentarmi, inesorabile. Mi sforzai di non pensarci, ancora inebriato dallo strano fervore da cui ero persuaso, ma era impossibile evitare di stringere i pugni per cercare di farsi ulteriormente forza, anche se l'effetto che tale azione suscitava era l'esatto opposto, in quanto il freddo mi aveva talmente congelato le mani da non potermele far serrare. Pensai che dovesse sentirsi così una persona affetta da una qualsiasi forma di distrofia muscolare e, ad un tratto, la mia vita non mi sembrò poi così brutta. Ma, nella situazione in cui mi trovavo, non ero nemmeno in grado di vagare altrove con la mia mente, come ero solito fare mentre passeggiavo, probabilmente per colpa della temperatura, la quale non mi concedeva un attimo di tregua, o a causa del paesaggio, che stava lentamente facendomi uscire di senno. Dovevo aver percorso quasi un chilometro dal luogo dove sentii la nuova energia fluire dentro di me quando, così come era apparsa, questa mi abbandonò. Sentii le gambe cedermi di colpo, come se qualcuno mi avesse staccato la spina, privandomi di ogni energia di cui disponevo. Caddi in ginocchio. Rimasi fermo in quella posizione per qualche momento, impassibile, come trafitto da una spada invisibile. Riuscii a trovare la forza appena sufficiente ad abbandonarmi con la schiena contro il tronco di un albero. Ansimando, come stremato da una lunga corsa, cominciai a guardarmi intorno, credendo che l'immutabile paesaggio circostante, tutto ad un tratto, sarebbe cambiato drasticamente, assumendo delle sembianze più simili a quelle che, comunemente, vengono attribuite all'inferno: ero ormai dell'idea che fosse quello il misterioso luogo dove mi trovavo. Ma così non accadde. Lievemente sollevato, continuai comunque a osservarmi intorno, guardingo, quando mi parve, d'un tratto, di scrutare qualcosa nell'oscurità qualche metro più avanti a me. Appena fui in grado di riconoscere la figura che avevo precedentemente avvistato, balzai in piedi come una molla, senza nemmeno essermi reso conto dello sforzo che ero appena stato in grado di compiere. "Tu!" Urlai, rivolto all'essere che ero da poco riuscito ad identificare, prima di iniziare a correre verso di esso, come un orfano che fosse riuscito ad avvistare, a pochi metri da lui, l'assassino dei suoi amati genitori. La strana figura, prima di iniziare a scappare, mi sorrise come aveva fatto in precedenza, prima di condurmi in quel luogo che, da un secondo all'altro, mi parve addirittura più inospitale e lugubre di quanto non mi sembrasse in precedenza. Ma la voglia di raggiungere quell'essere, reale o immaginario che fosse, era maggiore rispetto al freddo, alla paura e allo sconforto, e forse erano anche queste tre sensazioni che, paradossalmente, contribuivano a darmi la forza di percorrere la strada, sempre minore, che mi separava dalla causa di quell'inferno in cui ero intrappolato. Quando gli fui abbastanza vicino, decisi di tuffarmi per acchiapparlo, noncurante dell'atterraggio, come un leone che, inseguendo una gazzella, compie l'ultimo sforzo atletico necessario a potersi sfamare. Ma proprio quando le mie mani si trovarono a meno di 5 cm dal corpo di quell'essere, questo sparì, facendomi atterrare con i gomiti sul terreno ghiacciato, che sembrò ancora più duro, essendo stato il mio tuffo totalmente improduttivo. Con la speranza svanita nello stesso momento in cui a svanire fu l'ineffabile figura, stetti per scoppiare in lacrime, ancora disteso a terra, quando sentii qualcun altro farlo prima di me. Le lacrime mi si bloccarono negli occhi, così come il cuore nel petto. Impietrito, alzai lentamente la testa, e potei distinguere, nitida davanti a me, la figura di una donna accovacciata, con la testa fra le braccia, intenta a piangere.

 

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