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La tutina delle colleghe

“La tutina delle colleghe”
Una tutina rosa di ciniglia morbida e soffice si guardò il pancino e vide che su una nuvola paffuta e bianca dormiva beato un micio a strisce. In nuance con le strisce dei piedini della tutina.
Era una tutina da notte e stava ordinatamente piegata nella sua scatola di cellophane, con marca, etichette ed istruzioni per il lavaggio ed una migliore e più lunga durata.
Non si trovava male nello scaffale del negozio di merceria in cui era finita, accanto le stavano le “misure più grandi” (ogni volta che le sentiva nominare la sua dignità subiva una scossone) e un po’ più in là occhieggiavano le scatole dei bottoni con i bottoni-capo attaccati al bordo della scatola.
Una mattina si sentì volare sul bancone, spiegazzare, tocchettare, sovrapporre, (e un po’ soffocò) poi riemerse in trionfo, fu ripiegata e confezionata. Attraverso la velina della carta vedeva troneggiare un grosso bellissimo fiocco rosa. Ovviamente.
Tiziana aveva avuto una bambina e la tutina intese che in qualche modo lei c’entrava. C’entrava eccome, dato che questa bambina entrava proprio nelle sue maniche, entrava nei suoi piedi a strisce, entrava nel suo pancino.
Da quel momento non ebbe più pace; ciò che proprio non sopportava era tutta quella schiuma e quel gran rotolare nell’acqua fino a girare vorticosamente. Aveva pochi attimi di tregua, solo un giorno o due in quell’armadio di legno chiaro con i cassetti rossi, con compagni mai visti e in più al buio, dove pensava con un po’ di malinconia al suo scaffale. E poi latte, pappe, biscottini in macchie di tutte le forme e consistenze. E acqua, tanta acqua e bolle di detersivo.
A volte arrivava persino al punto di preferire quando si trovava tutta umida a testa in giù appesa ad un filo con i piedi pinzati da due becchi a molla. Il sole tiepido del mattino e l’aria frizzantina le erano sempre piaciuti, le ricordavano la sua vita precedente, quando era un ciuffo bianco in un grande campo di piante di cotone.
Poi quando ormai la rassegnazione aveva preso il sopravvento, la bambina cominciò a non c’entrare più. Soprattutto perché non entrava né nel suo pancino, né nei suoi piedini.
Per la tutina iniziarono giorni tristi, nell’armadio di legno chiaro la sua posizione guadagnò in altezza e lassù il buio era opprimente, anche perché comprese che si trovava in una zona ghetto. Intorno a lei dormivano di un sonno secolare asciugamani a fiori sgargianti, coperte infeltrite, lenzuola ferite e manopole di spugna con fantasie simili a quelle degli asciugamani.
Dopo molti mesi trascorsi a ricordare con nostalgia persino i numerosi lavaggi e le fragranze dei detersivi che ogni tanto Tiziana cambiava, si addormentò. Il suo sonno era duro come un sasso, e nemmeno i più sonori pianti o risa della bambina riuscirono a svegliarla.
Fu una dolce sorpresa risvegliarsi all’improvviso nel calore tiepido di un lettino. Un altro profumo, un’altra stanza. Soprattutto un’altra bambina, che guardava i piedini a strisce: la tutina percepì che non era finita e che forse questi fagotti che le impegnavano la vita si rinnovavano di tanto in tanto. Solo una novità le parve sgradevole, questa mamma (una collega di Tiziana) la strofinava molto, la strizzava, e la torceva, e non usava polveri profumate ma un cubo bianco.

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3 commenti:

  • Nella Bernardi il 18/02/2007 19:14
    molto molto divertente, fa davvero sognare, brava, ciao Nella

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