username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Il neurologo

In un tramonto di aprile il sole arrivava sbilenco sulla griglia del grande portone marrone, riverniciata di recente. Costruzione di fronte al mare, in pieno centro cittadino. Un maldestro tentativo per ridare dignità ad un vittoriano decadente. L'inverno, più lungo del solito, da poco aveva abbandonato ogni pretesa arrendendosi alla primavera che spingeva ansiosa e scomposta. Di quell'ansietà s'era riempito anche il sole, di modo che riusciva ad accecare fino a qualche minuto prima del tramonto. Mia sorella Fede ne subì le conseguenze più immediate, abbagliata dal riflesso del telaio dorato del citofono, che allineava a due a due i nomi sul marmo dello stipite di fianco al portone d'ingresso.
Fede mi accompagnava, o meglio, conduceva l'operazione, ma dovette chiedere ad alta voce l'intervento del mio più giovane occhio, nella cantilena della sua insofferenza e quasi in tono di rimprovero. Mi scambiava per il sole, evidentemente, o quantomeno mi attribuiva la responsabilità di quel bagliore. Rintracciai quasi immediatamente la targhetta del prof. Monzino, noto neurologo dell'ospedale dove Fede lavorava come infermiera. Mia sorella considerava quella visita poco meno che un favore concesso dal primario, benché avrebbe valutato assolutamente giustificata qualsiasi pretesa in tema di parcelle, onorari o richieste affini.
Il professore suggeriva ai pazienti conosciuti in corsia visite private per una efficace terapia, conseguente ad una più attenta diagnosi. Fede non era più sua paziente ma si riteneva particolarmente fortunata che il recente cambio di reparto disposto dalla direzione sanitaria, l’avesse destinata proprio lì: 1^ clinica neurologica, direttore prof. Monzino, sua vecchia conoscenza per antiche vicende psico-somatiche. In verità, si comprenderà in seguito, quella sua fortuna Fede mi girava senza alcuna richiesta in cambio, esclusa la doverosa gratitudine di routine, umanamente tipica ma particolarmente rinforzata nelle nostre abitudini familiari.

È risaputo che l'ingegno ha con sé quasi sempre un bagaglio di timidezza, ed è restio ai luoghi pubblici come ospedali e corsie, posti fulminati da occhi oltremodo indiscreti. Mostra il meglio in territori rigorosamente privati, dove la naturale asimmetria medico/paziente può essere abusata senza proteste e talora sfiora i confini d’una dolce schiavitù, spesso condivisa o addirittura auspicata dal paziente.
Suonai direttamente, prima ancora di indicare il pulsante a mia sorella, cogliendo nel grido d'aiuto di lei, quasi isterico, oltre che l'aspetto comico della scena, anche l'occasione per sfilarmi da quel ruolo di confine tra il malato morboso ed il reo confesso riconsegnato al buon senso, affibbiatomi mio malgrado dalle circostanze ed accedere, per un istante, ad una seminormalità funzionale. Rispose una voce maschile e supposi si trattasse del professore in persona. Fui così sollevato dall'ulteriore problema della presenza di una segretaria, una donna estranea ad assistere. A vent'anni non è facile accettare un disagio fisico o mentale, reale o supposto che sia, ancor meno vederlo palleggiato tra una schiera di fratelli e sorelle più grandi, prima di seguirne la traiettoria fin dentro quello studio neurologico. Una segretaria avrebbe rappresentato un "fuori", sia dall'ambito familiare che da quello professionale. Una campana che inonda la città con la notizia del mio disagio. Fui almeno risparmiato a quell'ulteriore fantasia velenosa.

1234

0
3 commenti     0 recensioni    

un altro testo di questo autore   un'altro testo casuale

0 recensioni:

  • Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
    Effettua il login o registrati

3 commenti:

  • Maria Lupo il 11/10/2007 01:59
    Molto profondo, ben rappresentati i particolari e l'atmosfera
  • alberto accorsi il 01/02/2007 13:13
    Scritto in modo piano e tuttavia ricco ;se posso permettermi, trovo solo un po' lunghetti alcuni periodi.