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L'Abbé Mauriac e il manoscritto perduto

Se c'è una morale in questo mondo
senza dubbio si nasconde molto bene.




Chi vuole uccidere il tempo? Con questa domanda surreale e inquietante iniziava il manoscritto dell'Abbé Mauriac. Un'opera destinata a disvelare, e forse a veder riconosciuta tutta la sua profetica forza, solo nella prima parte del terzo millenio. Ma che, nel frattempo, stava per procurare all'autore non pochi fastidi e sventure.

L'Abbé Mauriac era uomo di umili origini e media cultura, che però possedeva una dote invidiata da molti e posseduta da pochi. Questo lo rendeva inviso ai più. Specie a tutti coloro che nella gerarchia ecclesiastica si vantavano di avere cultura ben superiore alla sua. I cosiddetti luminari di Dio, i detentori di ogni conoscenza dei misteri della fede e del mondo e, come tali, i più titolati a discettare di qualsiasi argomento: divino o terreno che fosse. L'Abbé Mauriac aveva da poco compiuto ventinove anni ed era assegnato ad una piccola diocesi, sede dell'Abbazia benedettina di Cluny, con limitati compiti di routine. L'abbazia aveva ormai perso l'importanza da tutti riconosciuta durante il corso dell'Alto Medioevo, e sarebbe stata secolarizzata alla fine del secolo. In tempi molto andati, grazie alla fedele aderenza alla Regola benedettina, Cluny brillò come faro del monachesimo in tutto il mondo occidentale. Spesso soggiorno di religiosi assai dotti, stimati e apprezzati, produsse importanti opere di pensiero. E anche se adesso stava vivendo il suo momento di inesorabile declino, questo glorioso passato non aveva mai smesso di aleggiare fra le sue mura, ispirando i pochi fortunati che ebbero l'umiltà di stare ad ascoltare. Perché in certi luoghi anche le pietre parlano.

Correva l'anno 1759. Tempo in cui l'industria stava cominciando a diffondersi un po' ovunque. Anche se di vera e propria rivoluzione industriale si comincerà a parlare solo agli inizi dell'Ottocento. Le prime strutture di tipo industriale cominciarono a fare la loro comparsa già nella seconda parte del XVII secolo. Erano soprattutto laboratori tessili, dove le prime macchine, insieme a nuove tecniche, avevano integrato il lavoro manuale dell'uomo. Permettendo di produrre, con meno fatica e più velocemente, quantità superiori a quelle artigianali. Anche se eravamo ben lontani dalla catena di montaggio. Timidi segnali provenivano anche dall'agricoltura, con l'apparizione e la diffusione di nuovi strumenti agricoli e l'introduzione e l'estensione di nuove colture. La Francia era e restava fondamentalmente un paese agricolo. Ricca di una fitta rete idrica che agevolava i trasporti. Questi timidi mutamenti presero più vigore e consistenza all'inizio del XVIII secolo. In ogni caso, in Francia, questo modello di sviluppo procedeva più lentamente rispetto alla vicina Inghilterra. La crescita demografica subì un notevole incremento. Tanto ci pensavano le guerre a fare da calmiere. Il rapido inurbamento aveva fatto assumere a molti piccoli centri dimensione di città. Nella società si era innescato un lento processo di cambiamento. La nobiltà iniziava a dare segnali di cedimento sotto la pressione della borghesia. E anche la Chiesa Cattolica cominciò ad essere minacciata da altre professioni religiose. La Massoneria, per esempio, a partire dagli anni 20 lasciò, sulla scia delle logge inglesi, i propri appartenenti liberi di professare la religione che volevano. Valori quali l'uguaglianza, la meritocrazia, l'autogoverno, il rigore, il metodo, la libertà di dialogo gareggiavano con quelli che sembravano principi eterni e immutabili. Anche la percezione del mondo dell'uomo comune iniziò a mutare. Molto lentamente. Erano fremiti, nuove idee, che cominciavano a viaggiare da nord a sud, da ovest a est. Anche se ancora lumicini. I lumi, quelli veri, sarebbero arrivati di lì a poco, in piena seconda metà del 700. D'altronde questo era il loro secolo.

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