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Freddo

Mentre parcheggiava nei pressi della scuola di danza, con l'animo pesante, gli scorrevano davanti le immagini del cadavere grigio di Emily.
La mente analitica dell'ispettore Ohros si soffermò, macabra, sul segno rosso sul suo collo, sugli occhi vitrei e spalancati. Erano stati sicuramente bellissimi, pensò con rimpianto. Era certo che, vederla ballare, sarebbe stato come vedere un daino correre nella foresta umida. Piena di vita, aggraziata, dinamica.
Mentre saliva le scale in pietra deserte poteva udire l'eco dei suoi passi pesanti. Speditamente si diresse dove sapeva. Ormai ricordava a memoria il percorso.
Quando fu di fronte alle pareti a vetri della palestra non esitò a entrare, nonostante la ballerina si stesse allenando. Lei se ne accorse, ovviamente, ma - sdegnosa - lo ignorò e continuò il suo esercizio.
Distese tutto il corpo, che si allungò come una sinuosa molla infinita. Poi, quasi impercettibilmente, con una lentezza estrema e sempre in tensione assoluta, cominciò ad arcuarsi. Piano, piano... prima le mani, poi le braccia, e poi sempre di più, fino alle spalle, al seno, alla schiena, e infine natiche e gambe. Il primo pensiero che attraversò la mente di Ohros, come un lampo, fu che la donna, nell'intero suo gesto, sembrava preda di una forte ed elastica sensualità.
Incantato, ci mise qualche secondo a comprendere il dejà-vu che si trovava di fronte. Quella donna, il modo in cui si stava inarcando tutta, quasi in preda ad uno spasmo erotico, le ricordava vividamente una scultura di Rodin dal nome, per lui, sconosciuto. Non era mai stato una grande conoscitore dell'arte.
Ci furono un paio di secondi di completa immobilità, nel corpo della giovane ballerina. Poi la tensione venne rilasciata, i muscoli parvero cedere, e con la stessa languida eleganza, Amalia si ricompose, tornando a dimensioni e posizione normale. Dopo la breve performance, Ohros era quasi arrivato al punto di credere che l'essere che aveva davanti non fosse veramente una donna, ma piuttosto una seducente fata, o una venere voluttuosa. Un magnifico mostro. Poi lei aveva aperto le palpebre, l'aveva guardato con quegli occhi freddi e glaciali, e l'incantesimo s'era spezzato. La dea era tornata l'algida, nordica e tonica Amalia che aveva già conosciuto, e tutto il gelo dei suoi modi e del suo essere si lanciava fuori da quelle iridi grigio azzurre, incastonate in una coroncina di ciglia chiare. Era raccapricciante.
"Buongiorno. Mi scusi, non volevo dist... ", cominciò l'ispettore.
"Di cosa ha bisogno?", lo interruppe la danzatrice senza nemmeno voltarsi e continuando a fissarlo attraverso lo specchio. Le mani sulla spalliera, i piedi a formare un angolo perfetto, il busto retto... Il suo corpo, in quel momento, rispecchiava la rigidità interiore di quella donna incapace di apparenti inquietudini dell'animo. La flessibilità che aveva dimostrato di possedere e quel trasporto così esplicito, forse, non erano altro che perfette imitazioni di qualcosa che - Ohros se ne stava convincendo sempre più - lei probabilmente non aveva mai provato.
Con un gesto annoiato la donna si voltò, raccolse una bottiglia d'acqua da terra e bevve un sorso.
" Sono qui per Emily Ferguson ", disse l'ispettore, approfittando della pausa.
" Sì, lo so. Lei è di nuovo qui per Emily Ferguson perché non l'ho convinta le ultime volte ".

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