Porta che si chiude dietro di te. Porta che si apre davanti a te.
Ordini urlati per ogni sequenza apertura-chiusura.
Varchi la soglia. Porta che si chiude dietro di te, porta che si apre davanti a te.
Ogni volta è un rumore di metallo trascinato che termina in un secco clang, forte come uno sparo.
La colonna sonora di qualunque attività che non sia starsene distesi sulla branda a fissare il soffitto, ti accompagna in ogni momento, ad ogni passo che fai, come a ricordarti che puoi andare avanti perché qualcuno te lo permette, e che in ogni momento potresti rimanere lì, bloccato tra le due porte.
Da qualche parte aveva letto che i neonati che trascorrono i primi anni di vita lì le prime parole che imparano non sono mamma o papà, ma aprire e chiudere. Non sapeva fosse vero, ma di sicuro era plausibile. Tristemente plausibile.
Una vita scandita da porte che si aprono e si chiudono senza che tu possa nemmeno toccarle, azionate da fantasmi. E ad ogni clang quegli interminabili secondi di sospensione in attesa che il cancello davanti si apra.
L'ultima porta però si aprì e si chiuse dietro di lui senza alcuna ulteriore attesa, senza che davanti a lui ve ne fosse un'altra.
Lionel Montecristo varcò la soglia del cancello e si ritrovò nella strada deserta. Davanti a lui una striscia di asfalto da cui poteva vedere, nell'aria sfocata, salire la calura del mattino, lo separava da un paesaggio sconfinato di campi aridi, l'orizzonte chiuso solo da qualche macchia di alberi.
Sempre dando le spalle alle porte che si aprivano e si chiudevano fece i suoi primi passi da uomo libero fuori dal penitenziario di Salt Bay. Si frugò in tasca, indossò gli occhiali da sole e si accese una sigaretta.
I suoi unici averi erano costituiti dagli oggetti di quel piccolo rituale: un pacchetto con quattro sigarette avanzate, un accendono di metallo, un paio di Ray-ban neri, oltre ovviamente ai vestiti che indossava: un completo nero di buon taglio, una camicia bianca, una cravatta sottile sottile.
Il solerte impiegato dell'ufficio matricola aveva conservato tutto per quei due anni e mezzo, e la sigaretta gli sembrava dannatamente buona, un sapore migliore di quelle che aveva fumato durante quel lungo oblio.
Se non avesse avuto timore di apparire retorico ed idiota avrebbe detto che sapeva di libertà.
Il sole lo colpiva in faccia, ed era incredibilmente bello. Si passò una mano tra i capelli folti e meditò sul da farsi.
Anche se hai avuto un'infinità di tempo per pensarci - pensare è stata l'unica attività degli ultimi anni, il gioco da detenuti tu cosa fai appena esci? - quando poi arriva il momento non sei mai pronto.
Fece qualche lento passo lungo la strada, le scarpe che scricchiolavano nel terreno sassoso.
Aveva sentito che circa cinquecento metri più in giù c'era una fermata dell'autobus.
Be', non era molto, ma almeno era un inizio.
Si avviò, senza fretta, fumando lentamente e dando qualche calcio distratto alle pietre aride.
L'asfalto sembrava sul punto di sciogliersi e colare fuori dalla sede stradale, ma Lionel stranamente non sentiva caldo, Si stava godendo quel momento di sospensione, di non dover pensare.
A lungo termine il progetto lo aveva. O meglio, aveva il suo scopo; ed a ricordarglielo c'erano tre cicatrici sulla spalla e sul fianco destri.
Ma per il momento non voleva pensare a nulla, almeno finché non fosse arrivato l'autobus. Aveva pensato troppo in quei due anni e mezzo. Il tormento della prigione è che ti lascia troppo tempo e tu non puoi fare altro che pensare. E pensare può essere molto pericoloso, soprattutto quando tutti i tuoi progetti riguardano cose che potrai fare in un futuro così lontano da sembrarti irreale, che rende tutto privo di significato.
Non ne poteva più di pensare.
Sole, caldo, sigaretta e pietre da scalciare, che poteva desiderare di più?
James e Jamal erano due che sapevano arrangiarsi.
Se la cavavano fin da quando erano nati, in attesa della loro grande occasione che, erano sicuri entrambi, sarebbe prima o poi arrivata e li avrebbe resi ricchi.
Nell'attesa, facevano quello che capitava. Jamal era appena stato licenziato dall'elettricista per cui lavorava - lui sosteneva fosse per motivi razziali, che quello sporco portoricano del suo capo lo aveva sempre odiato perché era nero; il suo amico aveva rinunciato a fargli notare il paradosso insito nella frase stessa, limitandosi a sospirare sconsolato - mentre James ancora riusciva a tenersi il lavoro di antennista. Il tutto in attesa della grande occasione, ovviamente.
E in quell'attesa arrotondavano lo stipendio. Qualche furto di poco conto, qualche auto rubata, un po' di erba venduta in giro. Due rubagalline come tanti nel quartiere; del resto o hai le palle per diventare qualcuno, o le palle per andartene o, se le palle non le hai, be', allora se proprio non le hai rimani nella nullità ed attendi la grande occasione dal cielo.
Fino a quel momento tiri campare con quel che ti capita.
Stavano camminando con aria svogliata lungo la strada. Era domenica e non avevano nulla da fare. Jamal aveva dormito fino a tardi, finché James non lo aveva svegliato bussando rumorosamente alla porta posteriore di casa sua, poi si erano avviati lentamente verso il bar. Lì c'era sempre qualcuno per sentire come andavano le cose, se c'era qualche lavoro da fare, qualche soldo da tirare su. E se non c'era nulla da fare, era comunque meglio che stare a casa a guardare la tv.
Soprattutto, come nel caso di Jamal, se dovevi un bel po' di soldi per delle scommesse andate male e avevi paura che venissero a cercarti a casa per ricordarti del debito. Ultimamente non gliene andava dritta una. Puntava su eventi sportivi, basket e football soprattutto, e negli anni, pur non vincendo mai cifre significative, era sempre riuscito ad andare in pari. Nelle ultime due settimane, invece, sembrava che qualunque squadra sulla quale scommettesse fosse irrimediabilmente destinata a perdere. E il debito aumentava. Di pari passo con la pazienza di Ivan, il russo che gestiva le scommesse, che, invece, diminuiva.
Quella mattina era quindi particolarmente nervoso e suscettibile, e camminava a fianco del suo amico calciando una lattina vuota che aveva trovato davanti alla porta di casa, le mani in tasca.
Sulla destra una lunga fila di casermoni grigi, alcune finestre sprangate da assi di legno.
Sulla sinistra una basa rete metallica arrugginita divideva il marciapiede da un campo incolto invaso di rifiuti, al cui centro troneggiava come lo scheletro di un mammut quello che rimaneva di una motrice di un tir bruciata, rossastra e annerita di ruggine e fumo.
Jamal scavalcò goffamente la rete, impacciato dai jeans troppo bassi.
- Devi pisciare? -
- Tagliando per il campo si fa prima -
- Sì, ma con lo schifo che c'è per terra rischi di morire prima di arrivare dall'altra parte-
Jamal si strinse nelle spalle e continuò lentamente a camminare, schivando le bottiglie, i rottami e le lattine slavate dal sole.
Il rumore di metallo gli fece capire che James stava anche lui scavalcando la rete per seguirlo.
In fondo al campo c'era la strada principale, su cui si affacciava un distributore di benzina. Poi altre case e, più in là, la loro meta.
Girarono attorno allo scheletro ferroso del mammut e raggiunsero il limitare del campo. Davanti a loro c'era il basso edificio del distributore di benzina, oltre esso il piccolo piazzale con tre pompe di carburante sotto una tettoia sgangherata. Qualche secolo prima un camion troppo alto aveva provato a passarci sotto, storpiando e deformando metà della struttura. Il proprietario del distributore l'aveva sistemata alla bell'e meglio con della corda, ma ovviamente quella che doveva essere una soluzione provvisoria era divenuta definitiva, ed ancora adesso parte della tettoia era tenuta insieme da pezzi di corda fradicia e marcia di pioggia e sole e dava l'impressione di essere sul punto di esalare l'ultimo respiro per collassare esausta a terra.
Come ogni domenica era tutto chiuso. Le serrande del gabbiotto davanti le pompe erano abbassate dietro i vetri rabberciati con del nastro adesivo. L'aria calda aleggiava ferma e pesante sulla desolazione della zona.
Il silenzio fu rotto da un'auto che rallentava e si fermava nella piazzola.
James stava per girare l'angolo del casotto quando Jamal lo trattenne. Si girò a fissarlo con aria interrogativa.
- Magari è un'auto interessante - disse sollevando la maglietta e mostrando la pistola infilata nella cintura.
James fece un gesto annoiato con la mano. Non era uscito per quello e i cambiamenti di programma non gli piacevano. Non era pronto per l'azione, si sentiva apatico per il caldo ed ancora intontito dal sonno.
- Avanti - insistette Jamal intuendo l'esitazione dell'amico - un po' di grana extra ci fa schifo? -
- Ricordi cosa ha detto Gnarly l'ultima volta? Che quello che gli portiamo non vale un cazzo -
- Appunto. Vediamo che auto è e decidiamo se ne vale la pena. Niente più furgoni arrugginiti -
- Già, perché ci voleva un genio per capire che quel catorcio non valeva un cazzo -
- Ehi, tu non sbagli mai?
- Ok, vediamo che auto è, ma smettila di gesticolare con quella cazzo di pistola in mano che...-
- Che..? -
- Che niente, vediamo che auto è - chiuse James evitando di dirgli che non si sarebbe stupito se gli fosse partito un colpo e si fosse sparato in un piede.
Da quando si era comprato quell'arma, circa un mese fa, Jamal era diventato più arrogante, sbruffone e intraprendente. In sostanza, più propenso a fare cazzate.
James tirò fuori la sua pistola con cautela - lui sapeva come usare le armi - ed osservò l'amico sporgersi lentamente da dietro l'angolo del gabbiotto, per vedere chi si fosse fermato.
Dieci a uno che è la solita utilitaria di merda guidata da poveracci ancor più merdosi. Se gli portiamo un altro bidone simile è la volta buona che Garly ci spezza le gambe col girabulloni per il tempo che gli facciamo perdere.
Ufficialmente Gnarly gestiva un'officina con annesso sfasciacarrozze. Ugualmente ufficialmente, almeno per la gente di quella parte della città, si occupava di trafficare in auto e pezzi di ricambio rubati. Era sempre interessato ad acquistare un veicolo. Se pensava si potesse vendere lo ridipingeva, sistemava i documenti, le targhe ed i numeri di matricola; se invece era invendibile recuperava i pezzi di ricambio e quello che non serviva finiva nell'immensa pressa idraulica che troneggiava al centro del cortile sul retro dell'officina, circondata da mucchi di carcasse e pezzi di automobili che facevano sembrare quel posto un cimitero dei dinosauri di metallo. E a giudicare dai modi di Gnarly, le carcasse di automobili non erano l'unica cosa che aveva schiacciato con quel macchinario inquietante.
- Oh oh oh, mi sa che qui abbiamo fatto il botto - disse Jamal sbirciando da dietro l'angolo.
Cautamente anche James si avvicinò. Una grossa Mercedes nera era posteggiata tra le pompe di benzina ed un uomo stava armeggiando con il distributore automatico, mentre un altro era accanto al veicolo, poggiato accanto alla portiera aperta e si guardava intorno con aria svogliata.
I due avevano abiti che si confacevano alla loro vettura: giacca e cravatta scure e scarpe lucide.
Che ci fanno due così in questa zona? Possono solo essersi persi.
Il primo dei due iniziò a fare benzina all'automobile. Era basso e tarchiato, la giacca era tesa sulla sua schiena larga, la nuca coperta da capelli neri che bordavano una calvizie incipiente. L'altro invece era più alto, capelli chiari tagliati corti, fisico atletico.
Prima che il suo amico potesse fare qualche idiozia, James lo istruì bisbigliando: - Aspettiamo che finiscano con la benzina. Quando stanno per rientrare in macchina usciamo fuori. Io mi occupo di quello che guiderà, tu dell'altro. Niente cazzate, non sparare, prendiamoci solo la macchina. Io guido.
Jamal sbuffò come se gli stesse dicendo delle ovvietà, ma poi annuì.
La situazione rimase immutata per alcuni minuti. Quello alto e svogliato appoggiato alla vettura, quello basso che faceva rifornimento.
Loro due immobili dietro l'angolo.
Ma quanta cazzo di benzina ci va in quella macchina? Manco fosse un camion.
Finalmente il tarchiato staccò la pompa dall'automobile e la riaggancio' al distributore.
Aprì la portiera e salì a bordo, mentre il suo collega si metteva alla guida.
Era il momento.
La distanza che li separava dalla vettura fu percorsa in un istante, prima ancora che le portiere avessero finito di chiudersi.
Come sempre in questi casi James sentiva il cuore che gli pulsava nelle orecchie, così assordante che i rumori erano ovattati, come provenienti da una realtà lontana.
Tuttavia sentì benissimo lo starnazzare esagerato di Jamal che si era piazzato accanto al guidatore, agitando la pistola come un ossesso, al punto che se avesse dovuto usarla non gli sarebbe stato possibile: - Scendidallamacchina scendidaquestacazzodimacchina avantistronzoscendidaquestacazzodimacchina -
Merda, lo avrebbero sentito a chilometri di distanza. E in più gli aveva detto che doveva occuparsi del passeggero, non del guidatore. Maledetto coglione.
Tutte queste riflessioni durarono solo un istante, mentre si avvicinava al lato del passeggero. Aprì la portiera e quello alto, che fino a quel momento stava ovviamente guardando Jamal, si girò di scatto. La pistola di James era a pochi centimetri dal suo viso. Probabilmente con un gesto rapido avrebbe potuto afferrarla e disarmarlo, ma James, colpito all'improvviso dalla stessa considerazione e sentendosi stupido, fece un passo indietro facendogli cenno di scendere.
L'uomo era di una testa più alto di James e quest'ultimo, benché fosse armato, si sentì improvvisamente incerto ed insicuro. Sotto i capelli dal taglio militare aveva un viso duro, inespressivo, e lo fissava senza apparente paura, come se non fosse la prima volta che si trovasse con un'arma puntata contro.
Improvvisamente James voleva andarsene da lì, con o senza automobile.
Intanto, dall'altra parte della vettura, a forza di urla, strilli ed imprecazioni Jamal aveva fatto scendere dalla macchina l'altro. Appena fu davanti a lui lo colpì con la pistola, con tutta la forza che aveva.
A James sembrò di vedere la scena a rallentatore: Jamal che alzava il braccio e tirava una specie di pugno circolare, con l'arma in mano, alla tempia del tizio tarchiato che, dopo un secondo di incertezza, fece due passi indietro e si afflosciò contro la pompa di benzina.
Una O perfetta di stupore si disegnò sulla bocca di James: ma che cazzo faceva quel coglione? Non poteva credere avesse fatto una cosa così stupida e gratuita. Jamal non era mai stato in grado di colpire davvero qualcuno, era lento e scoordinato, gli era andata solo bene che aveva beccato il punto giusto e quello era andato giù, ma aveva rischiato di far degenerare inutilmente la cosa.
Si girò di scatto verso il tipo alto, che sembrava si fosse avvicinato troppo. Puntandogli la pistola gli gridò di stendersi a terra. Quello non si mosse. E adesso che cazzo faccio, gli sparo? Impugnò più saldamente l'arma, dannatamente incerto sul da farsi. Grazie a Dio alla fine quello si stese a terra.
Intanto Jamal era già salito in macchina. Per fortuna le chiavi, particolare che entrambi avevano trascurato, erano già appese al cruscotto. James scivolò a bordo sui sedili in pelle e chiuse la portiera mentre Jamal partiva sgommando.
Steso a terra, l'uomo alto vide il parafango posteriore dell'auto allontanarsi sbandando, chiaramente guidata da uno che era la prima volta che metteva le mani su una vettura così.
Si rialzò lentamente e si spolverò la giacca ed i pantaloni con un gesto meccanico. Mentre si avvicinava al suo compare, che si stava lentamente rialzando, tirò fuori di tasca un sottile telefonino.
Dall'altra parte risposero al primo squillo:- Sono io. Abbiamo un problema -
Jamal gridava mentre guidava, in preda all'eccitazione: - vedrai cosa ci dirà Gnarly quando gliela porteremo... e questo è solo l'inizio -
James annuiva silenziosamente. Nonostante Jamal avesse fatto di testa sua, come al solito, adesso era tutto finito, ed era finito bene; l'ottimismo dell'amico iniziava a contagiarlo.
Proseguendo a tutta velocità attraversarono il quartiere e si trovarono ben presto ai margini della città. Gli edifici erano sempre più bassi e radi, intervallati da spiazzi di vegetazione incolta che il più delle volte cresceva tra le crepe dell'asfalto di posteggi abbandonati.
- Andiamo al garage - disse James.
- Perché ? - l'amico lo guardò stupito. Evidentemente pensava di andare direttamente da Gnarly.
- Voglio controllare questa macchina, magari c'è qualcosa di interessante, visto il tipo di auto. E poi voglio evitare di andarci troppo in giro, darebbe troppo nell'occhio. Da Gnarly ci andiamo stasera, quando in giro non c'è nessuno, magari con un paio di targhe rubate -
Jamal annuì: - Non ci avevo pensato. Anche se non credo troveremo nulla.
Svoltò in un paio di volte e si fermò di fronte all'ingresso di un basso capannone industriale. La parte posteriore dell'edificio era mezza crollata, il tetto collassato sotto una nevicata, probabilmente.
James scese e con una chiave, dopo qualche armeggiamento, aprì il grosso lucchetto che teneva chiuso il portone arrugginito. Ovviamente quel posto non era loro, si erano limitati a metterci un lucchetto. Lo utilizzavano come base quando era il caso di non farsi vedere in giro per un po' o quando avevano qualcosa che scottava da nascondere, anche se fino a quel momento di più di qualche computer rubato, auto scassata o qualche etto di erba non si era trattato. Quell'automobile era di gran lunga la cosa più preziosa che mai fosse stata nascosta lì. Anzi, valeva anche più di tutta la refurtiva della loro carriera messa insieme.
Il garage, come lo chiamavano loro, era uno dei tanti capannoni abbandonati della zona, lasciati a se stessi da una ventina d'anni, quando una locale fabbrica di mobili, che dava lavoro a tutta la zona, aveva deciso che era meglio spostare tutto in qualche sottosviluppato paese dell'estremo oriente. Jamal e James erano nati giusto per godersi in pieno la crisi dei licenziamenti in blocco della generazione precedente la loro.
Jamal fece entrare l'automobile e James subito chiuse la porta, non prima di aver dato una guardinga ed inutile occhiata alla strada totalmente deserta.
Quando entrò nel capanno invaso dal sole che penetrava da un grande lucernario sul tetto, Jamal stava girando intorno alla Mercedes come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto - e probabilmente era così - come timoroso di toccarla per paura che potesse sparire. Sembrava stesse pregustando il momento di scartare il suo regalo di Natale.
- Ci diamo da fare? -
- Oh, sì certo - Jamal si riscosse.
Aprirono le portiere anteriori ed iniziarono a frugare nei portaoggetti. A parte una busta di pelle con i documenti del veicolo non trovarono nulla. L'auto profumava di pelle e di pulito, doveva essere praticamente nuova. James provò a guardare il contachilometri per vedere quanta strada avesse percorso, ma tutti gli indicatori del cruscotto erano digitali e quindi a motore spento non funzionavano.
Sui sedili posteriori, protetti da vetri oscurati, trovarono soltanto una giacca, nulla nelle tasche.
Solo per completezza aprirono il bagagliaio per dare un'occhiata.
Per la seconda volta in quella giornata, lo stupore si dipinse sul volto di James: - E questo chi cazzo è?
- E io che cazzo ne so, come faccio a saperlo? -
- Idiota, era una domanda retorica -
- Una che? -
- Una domanda retorica, una domanda a cui non serve dare risposta -
- E allora perché l'hai fatta? -
- Per... ma che cazzo di discorso è. Cerchiamo di capire chi è, idiota.
James si chinò sull'uomo legato che era nel bagagliaio e strappò il pezzo di nastro adesivo che gli copriva la bocca. Lo sconosciuto sorrise: - Buongiorno, io sono Lionel Montecristo, con chi ho il piacere di parlare?-
Erano un paio d'ore che Lionel non vedeva la luce. Il sole che aveva apprezzato appena uscito dal carcere era durato poco. Non aveva fatto in tempo ad arrivare alla fermata dell'autobus che già la situazione era degenerata. Sapeva che sarebbe successo, ma non così presto, che diamine. Sperava almeno gli dessero il tempo di arrivare a casa, farsi una doccia. Avrebbe anche capito se li avesse trovati sul divano di casa ad aspettarlo, ma non a cento metri dall'uscita del carcere. E quindi non era pronto ad affrontarli. Ancora una volta, come da quando quelle persone erano entrati nella sua metodica vita, i suoi piani andavano in malora.
Mentre camminava lentamente verso la fermata, un'automobile nera era sopraggiunta alle sue spalle. Non ci aveva fatto caso, perso nei suoi pensieri- anzi, non pensieri, visto che per due anni aveva pensato troppo - finché non aveva inchiodato accanto a lui e dal finestrino abbassato si era trovato puntata contro una pistola.
- Salve Lionel, due anni non passano mai, vero? - il sorriso smagliante che aleggiava sopra la pistola era tanto odioso quanto largo, e Lionel, anche se era parecchio che non lo vedeva, se lo ricordava bene.
Era per sfuggire a lui ed al suo amico, e soprattutto al loro datore di lavoro, che aveva trascorso gli ultimi due anni e mezzo ospite di Salt Bay.
Si era guardato rapidamente intorno, soppesando le possibilità. La strada era totalmente deserta, nessun'auto che stesse sopraggiungendo; le mura del carcere erano troppo lontane perché qualcuno potesse vedere quello che stava succedendo. Intorno a lui c'era uno spazio aperto di campi e sterpaglie in cui il nascondiglio migliore era un mucchio di sassi che gli arrivava a stento al ginocchio.
Anche se di sicuro lo volevano vivo, non avrebbero esitato ad impallinarlo come un coniglio se si fosse dato alla fuga, anche solo per cercare di ferirlo. E una pallottola in una gamba avrebbe ridotto di molto le sue possibilità di salvezza.
Non poteva fare nulla.
Sempre sorridendo come un gatto che ha finalmente messo la coda su un topo ed ora lo guarda dimenarsi, Herbert era sceso dalla macchina e gli aveva fatto cenno di sedersi sul sedile posteriore, aprendogli con cerimonioso scherno la portiera, poi si era seduto accanto a lui, facendogli sentire il duro della pistola contro le costole: - Don Venanzio ti vuole vivo, ma ti assicuro che se provi qualcosa me ne frego e ti ammazzo -
- Ci hai già provato due anni fa e ti è andata male, ma forse qui da quindici centimetri il bersaglio riesci a colpirlo.
Herbert era divenuto paonazzo, e Lionel era stato sicuro che la pressione sul grilletto fosse aumentata, aveva quasi sentito i muscoli del sicario tendersi spasmodicamente, ma poi il buon senso aveva prevalso: - Tony, accosta. Voglio togliermi di torno questo cazzone prima che mi costringa davvero a sparargli - poi, tra i denti - testa di cazzo.
L'ubbidiente Tony aveva accostato accanto ad una macchia d'alberi. Erano scesi tutti e tre ed Herbert gli aveva fatto fare il giro della macchina, pungolandolo dolorosamente con la pistola: - Visto che non sai stare trenta secondi senza fare lo stronzo arrogante, e io non posso fartela pagare come ti meriteresti, perché questo piacere lo vuole don Venanzio in persona - sorriso malefico a sottolineare le atrocità che da due anni e mezzo don Venanzio stava progettando per lui - almeno voglio che tu mi stia fuori dalle palle, e che il tuo viaggio sia il più scomodo possibile -
Aveva aperto il bagagliaio e ne aveva tirato fuori un rotolo di nastro adesivo, di quello telato. In dieci secondi - Herbert e Tony sapevano decisamente fare il loro mestiere, bisognava riconoscerlo, e probabilmente per questo due anni fa erano stati lasciati vivere nonostante il loro fallimento - si era ritrovato buttato nel bagagliaio, mani e piedi bloccati ed un pezzo di nastro a tappargli la bocca.
Poi il buio totale ed il ronzio costante ed ipnotico del silenzioso motore Mercedes, finché l'auto si era fermata. Lionel aveva pensato fossero arrivati, anche se era passato troppo poco tempo. Poi aveva sentito armeggiare di lato alla macchina, ed aveva capito che stavano solo facendo rifornimento.
Poi era successo qualcosa di imprevisto.
Grida, ordini ed imprecazioni, una, anzi, due persone che se la prendevano coi due sicari, poi l'auto era ripartita sgommando e sbandando.
Era uscito da nemmeno un'ora di prigione e già la vita aveva voluto ricordargli due volte quanto poco controllo avesse su di essa.
Rassegnato, aveva continuato a giacere sulla morbida moquette del bagagliaio, mezzo rannicchiato. Dopo un tempo indefinibile l'auto si era fermata.
Aveva sentito qualche dialogo sommesso, ma non era riuscito a capire di cosa si trattasse.
Poi, finalmente, il bagagliaio si era aperto. La luce gli aveva ferito gli occhi, ma era riuscito comunque a vedere le due facce stupite che lo fissavano. Erano due ragazzini, almeno dal suo punto di vista. Poco più che ventenni, si capiva chiaramente che lui non era previsto nei loro piani.
Lionel di delinquenti nella propria vita ne aveva visti tanti; se faceva un elenco di tutte le persone che conosceva, forse giusto un paio non avevano precedenti. E se c'era una cosa che aveva imparato era capire subito con chi avesse a che fare, una capacita' fondamentale per sopravvivere, soprattutto per uno come lui che non amava menare le mani ed aveva poca dimestichezza con le armi. E da come aveva sentito strillare quei due mentre rubavano la macchina - roba che era un miracolo che non li avessero sentiti direttamente alla centrale di polizia - e da come continuavano a fissarlo inebetiti, gli era bastata un'occhiata per capire che aveva a che fare con due mezze tacche.
Aveva quindi sfoderato il migliore dei suoi sorrisi.
Jamal e James rimasero bloccati a fissare l'uomo legato; si guardarono una volta, poi tornarono ad appuntare gli occhi sgranati su di lui.
- E tu chi cazzo saresti? - chiese esitante Jamal.
- Ve l'ho appena detto, sono Lionel Montecristo - rispose lui come se fosse la cosa più ovvia.
- E che cazzo ci fai lì dentro? -
- Mi ci hanno infilato i due cui avete sottratto la macchina. Ma non preoccupatevi, potete tenervela. Tanto non è mia. Ora che ne direste di tirarmi fuori da qui? Inizio ad avere i crampi.
Jamal si chinò e lo afferrò goffamente per le braccia, cercando di tirarlo fuori, ma l'altro lo bloccò e gli fece cenno di seguirlo. Sparirono dal campo visivo di Lionel, che si rassegnò ad attendere di nuovo. Aveva provato più volte a liberarsi, ma Herbert non aveva economizzato col nastro adesivo, fasciandogli i polsi dietro la schiena e le caviglie fino a metà polpaccio, immobilizzandolo quasi del tutto.
- E adesso che facciamo? - chiese Jamal quando furono fuori dalla portata delle orecchie dell'uomo nel bagagliaio.
- Non ne ho idea, ma di sicuro quei due cui abbiamo preso la macchina non erano quello che sembravano -
- Perché? -
- Ma sei coglione? Ti sembra che due uomini d'affari girino con uno legato nel bagagliaio?-
Jamal annuì rapidamente: - Sì, scusa, hai ragione. Allora che facciamo? -
- Non lo so, non lo so. Probabilmente è stato rapito. Adesso cerchiamo di capire perché e da chi. Magari riusciamo a ricavarci dei soldi -
- Tu dici? -
- Se l'hanno rapito è ovvio che deve valere qualcosa, quel tizio. Magari qualcuno è disposto a pagare per liberarlo -
- Intendi un riscatto? -
- Sì, esatto, un riscatto. E visto che ora lui lo abbiamo noi, chiunque sia interessato a riavere questo tizio deve pagare noi -
Jamal annuì di nuovo. I suoi occhi brillarono: - E pagherà un sacco di soldi. Hai visto che auto avevano? Questa non è gente qualunque, è stra piena di grana - poi si rabbuiò: - Ma siamo sicuri di volerlo fare? Potremmo finire nei casini, cioè, voglio dire...-
James lo afferrò per le spalle e lo guardò negli occhi: - È la nostra grande occasione, è quello che aspettavamo: possiamo farci un sacco di grana. Vuoi forse buttarla al vento? -
Jamal scosse la testa. James continuò, in preda ad un'eccitazione febbrile: -Tanto se lo hanno rapito non denunceranno certo la cosa alla polizia. E nessuno ci ha visto arrivare qui. Dobbiamo solo scoprire come fare a guadagnarci il più possibile.. Hai visto com'è vestito? Roba costosa. E su che auto era? Qui ci sono in ballo un sacco di soldi, te lo dico io. E noi ce li prenderemo. Ora torniamo di là e cerchiamo di capire chi è - e senza attendere risposta tornò verso l'automobile, seguito a ruota da Jamal, che inziava a chiedersi quanto potesse valere uno come quello che avevano trovato nel bagagliaio.
A Lionel quel colloquio in disparte tra i due non era piaciuto. Chissà cosa si erano detti, quelle due teste vuote. Capi' che avevano elaborato una qualche strategia dal cipiglio affettato e fintamente sicuro con cui il più alto dei due gli si rivolse: - Allora, che cavolo ci facevi lì dentro? -
- Mi ci hanno messo i due cui avete preso l'auto. In un certo senso mi avete liberato. Potreste tirarmi fuori da qui? Non sento più i piedi da quanto sono intorpiditi -
L'altro lo ignorò; atteggiandosi come uno che deve pazientare con un ritardato gli chiese, lentamente: - E per quale ragione ti avrebbero messo lì dentro? -
- Non ne ho idea. Non li avevo mai visti. Stavo camminando per strada quando mi hanno rapito e cacciato lì dentro -
- Sì, certo. E tu li hai lasciati fare? -
- Avevano una pistola -
Vide i due sobbalzare. Evidentemente, l'idea che quelli cui avevano sottratto la macchina potessero essere armati li raggiungeva solo ora. Herbert e Tony dovevano proprio essere stati colti alla sprovvista per farsi sopraffare da due incapace del genere. O forse iniziavano a diventare troppo sicuri di loro stessi e della nomea del loro datore di lavoro. Quello che gli aveva rivolto le domande si allontanò di nuovo dalla macchina, portandosi dietro anche l'amico trascinandolo per un braccio, sparendo cosi' dal limitato campo visivo di Lionel.
Altro conciliabolo lontano da lui, poi tornarono a spuntare dall'apertura del bagagliaio.
- Se ti hanno rapito un motivo deve esserci; e ti conviene dircelo, o sarò costretto a farti molto male - sottolineò la sua frase da duro estraendo la pistola e sventolandogliela davanti.
- Già, ti conviene rispondere, il mio amico qui non scherza per un cazzo -
Lionel sospirò: - Sentite, non so perché mi abbiano rapito. Non ne ho idea. Cosa credete, che quelli che vengono rapiti sappiano sempre il motivo?-
- Certo che lo sanno. Di solito vengono rapiti per un riscatto, genio -
Lionel rise. L'idea del riscatto lo divertiva davvero. Le due espressioni da duri vacillarono di nuovo: - Mi spiace deludervi ragazzi, ma non c'è nessuno disposto a pagare un riscatto per me. Non ho famiglia né soldi da parte. Se proprio volete saperla tutta sono appena uscito di galera, e come potete immaginare non è che uno appena uscito di galera di solito navighi nell'oro. Ora, per l'ultima volta, potreste tirarmi fuori di qui? -
Ancora una volta si allontanarono per una manciata di secondi. Lionel sentì uno dei due alzare la voce, ma non capì cosa stesse dicendo. Poi tornarono. Quello pi? alto iniziò a tastarlo per perquisirlo. Fu soddisfatto quando trovò il suo portafogli: - Ehi, non ha davvero un soldo in tasca - disse aprendolo.
- Dammi qui, coglione - disse l'altro strappandoglielo di mano. Estrasse la patente di guida: - Lionel Montecristo, allora il nome è vero... che cazzo di nome - mostrò il documento all'amico.
- Molto bene, Lionel. Faremo qualche ricerca in giro. Visto che non vuoi collaborare e non abbiamo voglia di macchiare la Mercedes di sangue, cercheremo di scoprire qualcosa su di te. Del resto uno uscito di prigione da qualcuno deve essere conosciuto, immagino -
Lionel fu stupito da tanta arguzia. Probabilmente avevano deciso di fare così perché non avevano nemmeno idea di come si facesse a far parlare uno reticente, e cercare informazioni su di lui sarebbe stato più semplice che torturarlo. Per fortuna.
- Fate quello che volete, ma potreste tirarmi fuori? Qua dentro sono davvero scomodo -
- No - e richiusero il bagagliaio.
Maledizione.
L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che quei due ritardati sprovveduti andassero in giro in certi ambienti a dire il suo nome. Di sicuro Herbert e Tony avevano già comunicato a don Venanzio che lui era scappato, e altrettanto sicuramente tutti i vari tirapiedi erano già in giro a cercarlo. Quei due idioti non sapevano certo come muoversi, entro la sera don V. avrebbe saputo che due cercavano informazioni su Lionel, ed entro la mezzanotte avrebbe scoperto dove era nascosto.
Cazzo.
Non poteva permetterlo, era la cosa peggiore che potesse accadere. Doveva stare il pi? lontano possibile dalle grinfie di don V. e dei suoi sicari almeno per il tempo necessario ad organizzare una qualche strategia: quei due ruba galline sembravano abbastanza stupidi da essere manipolabili, forse potevano anche servirgli.
Certo, era un grosso rischio, ma lasciava pur sempre qualche possibilità in più che farli andare in giro a blaterare il suo nome finché chi lo cercava non li avesse scoperti.
- Ehi - gridò sperando che potessero ancora sentirlo - Ehi, tornate qui, vi dirò tutto - poi, a mezza voce: - idioti -
Il bagagliaio si aprì e Lionel non poté fare a meno di notare il sollievo che i due non erano riusciti a nascondere sui loro volti. Dio che ingenui.
- Allora, muoviti. Chi pagherà un riscatto per te? -
- Purtroppo non è così semplice, ragazzi. Ma per prima cosa fatemi uscire, che qui dentro è scomodo e ci sono stato fin troppo tempo.
Da che aveva memoria, Lionel Montecristo aveva sempre rubato. Come suo padre del resto, il rapinatore di banche Jerome Montecristo. C'erano volute dodici pattuglie ed un inseguimento di sei ore in diretta sui telegiornali di mezza nazione per arrestarlo, condurlo finalmente davanti ad un giudice e appioppargli un paio di ergastoli. Lionel invece era finito una sola volta dentro, a sedici anni, e da allora aveva giurato che mai più sarebbe successo. Piuttosto sarebbe morto. E aveva mantenuto questo proposito fino a due anni prima, quando aveva scoperto che in fondo la prigione non è male quando stai sanguinando e l'unica alternativa è davvero la morte.
Aveva iniziato col borseggio, poi qualche furto più impegnativo, finché non era stato beccato ed era finito nel riformatorio di Rusty Hill insieme al suo migliore amico nonche' complice Mike.
Li avevano beccati mentre uscivano da un appartamento appena svaligiato. Poca cosa in realtà: un po' di contanti, qualche gioiello di poco valore, un pc portatile. A vederli era stato uno spazzino che, come tutte le sere a quell'ora, stava ritirando i bidoni delle villette di quella via. Aveva fatto una telefonata alla polizia ed una pattuglia li aveva arrestati due isolati più in là.
Risultato: un anno nel carcere minorile di Rusty Hill, e tanto tempo per riflettere sul perché erano stati beccati:
Ma oltre a fargli giurare di non vedere più il mondo da dietro le sbarre, quell'esperienza gli aveva fatto capire una cosa fondamentale: l'importanza della pianificazione.
- Tu lo sai perché ci hanno presi, Mike? - gli aveva chiesto dopo due giorni di silenzio totale.
- Perché siamo sfigati? - aveva risposto lui alzando appena gli occhi dal fumetto che stava leggendo.
- La sfiga non c'entra nulla. Il netturbino passa di là tutte le sere a quell'ora, sarebbe bastato andare dieci minuti prima o dieci minuti dopo e non sarebbe successo -
- Appunto, sfiga... se non è sfiga per dieci minuti -
Lionel gli aveva strappato di mano il fumetto e lo aveva lanciato nel muro: - Ma non capisci? Bastava pensarci... ed è da quando siamo qui che ci penso. Io le cose a caso non le voglio più fare. Non voglio fare come tutti gli sbandati ignoranti del quartiere. Io non voglio né morire né finire arrestato per cazzate, o come mio padre. D'ora in poi le cose le pensiamo bene prima di farle. Niente più rapine a caso, niente più fughe senza sapere dove si va, niente più furti in case in cui non sappiamo se c'è qualcuno e soprattutto se c'è qualcosa -
Mike lo aveva guardato allibito, ma Lionel aveva continuato, quasi gridando: - Guardaci: chiusi qua dentro, e per cosa? Per quattro spiccioli e perché non abbiamo pensato a quello che facevamo. Ma io non ci sto più. Ho ben altri progetti che finire ammazzato, arrestato o peggio. Sei con me? -
E Mike, che lo guardava affascinato, aveva annuito. Anche se non capiva cosa il suo amico intendesse esattamente, sapeva che di lui poteva fidarsi, che lo avrebbe portato dove mai avrebbe sognato. E così era stato.
Usciti di lì avevano iniziato a seguire l'intuizione di Lionel; avevano tagliato i contatti con il vecchio gruppo, preferendo lavorare in proprio. Gente inaffidabile, a volte fatta, non idonea al nuovo corso di Lionel.
Avevano ricominciato con le case, ma questa volta in modo diverso. Sorvegliavano l'abitazione per qualche giorno, cercavano di capire quanto denaro potesse esserci, se c'erano sistemi di allarme, le abitudini degli inquilini, come si vestivano e quale fosse il loro tenore di vita. Poi andavano a colpo sicuro.
Nel giro di qualche anno erano i topi d'appartamento più famosi della città e avevano accumulato un bel gruzzolo, almeno per i loro standard di allora.
Ma Lionel questo non bastava. Negli appartamenti si trovava contante, sì, ma il bottino era soprattutto roba da rivendere: elettrodomestici, gioielli, soprammobili, argenteria... tutta roba che era rischiosa da piazzare e che non fruttava il reale valore. Lionel voleva denaro liquido, non dipendere dagli umori dei ricettatori. Aveva quindi alzato il tiro: i supermercati. Entravano armati, ma con discrezione. Spesso le armi erano addirittura scariche e non avevano praticamente mai dovute usare. Non urlavano, non sparavano, erano rapidi ed efficienti. Anche in questi casi sorvegliavano l'obiettivo per un po', studiavano le vie di fuga, la zona intorno al bersaglio; entravano in azione quando le casse erano piene ed il negozio vuoto. Arraffavano un po' di contante e se ne andavano. Una delle regole fondamentali era non farsi prendere dall'avidità. Entrare ed uscire in tre minuti al massimo, senza far casino: niente spari, niente morti, niente violenza; rapido ed indolore. Come ripeteva sempre Lionel, sorridendo sornione alle cassiere che lo guardavano terrorizzate: - Avanti tesoro, tanto non sono soldi tuoi ed il supermercato è assicurato. Riempi la borsa che ce ne andiamo in tre minuti e te ne torni a casa - e puntualmente così avveniva.
Dai supermercati alle banche il passo era stato breve. Il concetto era lo stesso: denaro contante detenuto da persone che non lo possedevano, ed erano ben contente di dartelo per farti andare via il prima possibile.
Il motivo per cui non li avevano mai arrestati era che pianificavano accuratamente e sapevano sempre quando fermarsi, quale era il limite. Non pretendevano mai di svuotare il caveau fino all'ultimo centesimo, o di pendere tutti i soldi delle casse. Prendevano quanto potevano, non ammazzavano nessuno, facevano un paio di colpi e poi sparivano, ognuno per la propria strada a spendere quanto avevano tirato su, sempre però tenendo un basso profilo. Era quello il trucco: pianificare e tenere un basso profilo, oltre ad un sempre crescente affiatamento.
Un paio di lavoretti ai danni di furgoni blindati avevano consacrato il loro ingresso nell'Olimpo del crimine.
Anche qui ogni operazione - come le chiamavano - era studiata nel dettaglio: studio del percorso, scelta accurata del luogo dell'assalto, decisione del giorno in cui agire: quando erano sicuri che il furgone fosse ben pieno e che le guardie non avessero voglia di fare casini. Come per le banche, gli obiettivi ideali erano quelli sorvegliati da guardie giurate sovrappeso e prossime alla pensione. Se avevano i pantaloni della divisa infilati negli anfibi ed indossavano il giubbotto antiproiettile chiuso anche ad agosto, era gente che credeva di essere Robocop ed avrebbe provocato di sicuro problemi; quello era un bersaglio da evitare.
Certo, talvolta, ovviamente, qualcosa era andato storto. In qualche occasione le guardie si erano dimostrate più stupide del previsto ed avevano provato a reagire sparando, e loro avevano fatto lo stesso. Non sapevano se avessero ferito o ammazzato qualcuno, erano sempre riusciti a squagliarsela in tempo, ed il massimo danno era stata una ferita superficiale per Mike. Dal canto suo, a Lionel il destino delle guardie non interessava. Se avessero fatto come lui aveva detto, sarebbe andato tutto bene come sempre; avevano voluto fare di testa loro e ne avevano pagate le conseguenze.
In dieci anni di attività ed oculati investimenti, sempre fatti in modo da non dare nell'occhio, aveva accumulato abbastanza denaro da poter vivere tranquillo ed abbassare il ritmo dei prelievi. Oramai nell'ambiente tutti lo conoscevano e lo rispettavano. Ecco perché don Venanzio aveva voluto lui per il lavoro che aveva in mente.
Gli aveva fatto arrivare voce che qualcuno di importante voleva parlargli. Così, tanto per fargli sentire il peso della chiamata, fargli capire con chi avesse a che fare e farlo stare in ansia qualche giorno.
E già in quel momento una sensazione di inquietudine si era insinuata nel dormiveglia di Lionel, quei minuti prima di addormentarsi che, da quando era uscito da Rusty Hill ed aveva dato un nuovo corso alla sua vita, aveva sempre passato serenamente- a meno che stesse progettando qualcosa- sentendo il piacevole torpore pre sonno anestetizzarlo lentamente.
Un paio di giorni dopo un'auto nera si era fermata accanto a lui mentre camminava placidamente per strada. Il sorriso a trentadue denti di Herbert che si affacciava dal finestrino lo aveva subito urtato: il sorriso maligno di uno che porta guai. Negli anni Lionel aveva imparato a fidarsi delle proprie sensazioni; da un lato perché come tutti i ladri - o come tutti quelli che fanno un lavoro preda di variabili che sfuggono al loro controllo - era superstizioso. Dall'altro perché era convinto che le brutte sensazioni, anche se assolutamente ingiustificate, condizionano il tuo modo di agire: se sei agitato o nervoso mentre pianifichi una rapina, anche che non c'è motivo di esserlo, non lavori in modo corretto, e poi le cose vanno a rotoli. Una previsione che si autoavvera.
Ed il sorriso di Herbert gli dava proprio quel genere di sensazione. Ma sapeva bene per chi lavoravano Herbert ed il suo compare. Tutta la città lo sapeva. E non era una persona cui dire di no a cuor leggero. Quindi aveva finto di essere lusingato dell'invito ad andare con lui che il sicario gli rivolgeva ed era salito di buon grado sull'auto. Come prevedeva si erano diretti verso un lussuoso quartiere sulla collina che domina Mallont, per fermarsi però di fronte ad una delle ville più modeste della zona. Due piani, un aspetto quasi dimesso, anche se ben tenuta. Nessuna cafonata di fontana o piscina in cortile, niente colori sgargianti, niente iniziali del padrone di casa sul cancello in ferro battuto. Lionel era quasi deluso, per qualche istante aveva addirittura pensato di aver frainteso tutta la situazione e che ad aspettarlo ci fosse tutt'altra persona. Ma purtroppo non era cosi'
Il cancello si era aperto da solo, silenzioso, e l'auto era entrata nel cortile.
Appena sceso dal veicolo due colleghi di Herbert e Tony erano usciti dalla casa e lo avevano perquisito gentilmente ed maniera professionale. Fatica inutile: tra le sue regole - elaborate nel corso egli anni, frutto della codificazione dell'esperienza di decine di colpi - Lionel aveva quella di non girare mai armato. Poi lo avevano fatto entrare, conducendolo per saloni e corridoi arredati con gusto. Dentro la villa era molto più ampia di quanto sembrasse all'esterno. Il suo proprietario, come Lionel, seguiva la regola del tenere un basso profilo.
Don Venanzio era seduto sotto il patio sul retro della casa, a guardare il panorama che la collina offriva sulla città e le orchidee che galleggiavano su un piccolo laghetto bordato di aiuole. Fumava silenziosamente un sigaro. Era più giovane di quanto Lionel avesse immaginato: i capelli scuri solo un po' brizzolati, il volto solcato da qualche ruga d'espressione, ma niente di più. Sembrava una persona normale, un uomo d'affari, come suggerivano la camicia e l'abito di sartoria; e forse proprio in questo stava la sua vera forza. Forza che Lionel sentì davvero quando si girò di scatto verso di lui ed appuntò i suoi occhi luciferini nei suoi.
- Tu lo sai chi sono io? -
- Naturalmente - Lionel rimase interdetto. Magari aveva davvero frainteso tutto. Decise di stare al gioco, la cosa un po' lo divertiva: - don Venanzio, giusto?
L'uomo corrugò la fronte e i suoi occhi scintillarono, come per soppesare se nelle parole di Lionel fosse nascosta una qualche insolenza, poi si rilassò: - Giusto. A quanto pare c'è ancora rispetto per me in giro-
Lionel si sentì in dovere di dire qualcosa, ma non gli venne in mente niente che non fosse già stato detto nel Padrino o in qualche serie televisiva sulla mafia, quindi preferì limitarsi ad annuire silenziosamente.
- Lo sai perché ti ho fatto chiamare? - questa volta non aspettava una risposta - perché mi hanno detto che sei il migliore. Come tuo padre, del resto.
- Lei conosceva mio padre? -
- Tutti nell'ambiente conoscevano tuo padre. Ha lavorato qualche volta per me, ma non ha mai voluto farlo stabilmente. Una testa calda, e forse è per questo che è finita così - lo aveva detto senza malizia, con calma, quasi con malinconia e rimpianto per un tempo andato ed un amico perduto.
- Ma veniamo a noi - aveva ripreso con decisione - io ho bisogno dei migliori per un lavoro delicato: ho bisogno di te e del tuo socio. Ho voluto incontrare solo te perche' era pi? semplice, visto il modo in cui ho dovuto contattarti, ma suppongo che tu possa parlare anche a nome del tuo socio -
Lionel aveva annuito, attendendo che don V. andasse avanti. Dunque si trattava di un lavoro, ma non sarebbe stato come tutti gli altri. Fin da quando le voci avevano iniziato a girare, non certo per caso, sapeva che sarebbe finita così, con don V. ad affidargli un incarico.
Oltre a evitare la gente disorganizzata, incapace e pericolosa, un'altra regola che aveva sempre seguito, riguardo alla scelta delle persone con cui lavorare, era stata tenersi alla larga da quelli come don Venanzio, quelli cui non puoi dire di no. Adesso l'unica cosa che poteva fare era provare a trattare, cercare di porre qualche condizione per assicurarsi un qualche controllo, ma non andarsene dicendo la ringrazio, sarà per un'altra volta, come invece avrebbe voluto e fatto se non si fosse trattato di don V.
In sostanza, era fottuto.
Per un istante il suo narcisismo prese il sopravvento e sorrise tra sé: essere oggetto delle attenzioni di Venanzio era la consacrazione del suo successo.
- Vedi, Lionel - parlava lentamente, scandendo ogni parola; l'affabilita' che mostrava era sincera, non affettata o ostentata per sottolineare la differenza di potere e di importanza che c'era tra loro - qualche tempo fa mi è accaduta una cosa molto brutta. Un mio... collaboratore è stato arrestato. E con lui sono state prese anche delle cose che mi appartengono. Diamanti per l'esattezza. Cinque milioni in diamanti - gli occhi luciferini avevano scintillato di nuovo, e Lionel non aveva potuto evitare di sentire netto un brivido percorrergli la schiena per andare a morire nell'elastico delle mutande. Era una cosa molto più grossa di quanto si aspettasse. Era davvero il migliore sulla piazza, a quanto pareva.
- Fino ad oggi quei diamanti, di mia proprietà, sono stati custoditi nella camera blindata della centrale di polizia, ma tra due settimane ne usciranno, e sai perché? Perché tra due settimane c'è l'udienza finale del processo a carico del mio collaboratore, prima della sentenza. È tutto un equivoco, puntiamo all'assoluzione con formula piena - non ci fu un particolare cambiamento di tono, un qualche gesto od inflessione della voce, ma dal modo con cui lo disse Lionel capì che il collaboratore non sarebbe riuscito a posare la testa sul cuscino della branda della prigione la sera dopo la sentenza - ma quei diamanti sono miei, ed io li rivoglio. Nessuno può toccare ciò che è mio - fece un lento gesto a ricomprendere l'ampio giardino. Ma quel gesto era anche in direzione della città che si estendeva ai piedi della collina, rossa sotto il sole del tramonto, e Lionel pensò che in realtà si stesse riferendo ad essa.
- I diamanti verranno trasportati sul furgone che ogni giorno porta le prove in tribunale per i processi. Non c'è alcuna scorta, del resto non vi è nulla di valore, di solito. Solo due agenti, una situazione che tu ed il tuo socio siete perfettamente in grado di amministrare, a quanto mi dicono. Ma io so che quel giorno trasporterà i miei diamanti. Ecco, vorrei che tu voi recuperaste per me.
Gli posò una mano sulla spalla, sorridendo: - Ovviamente il vostro disturbo verrà adeguatamente ricompensato, non c'è nemmeno bisogno di dirlo, siamo entrambi gentiluomini e su certe cose volgari non c'è bisogno di entrare nello specifico a mercanteggiare... io coi miei amici sono estremamente generoso, perché mi fa piacere esserlo, è una cosa personale, d'animo, capisci Lionel?
Invece con i miei nemici, con chi mi delude... ah, Lionel, non hai idea. Ma è inutile parlarne, perché tu non mi deluderai, vero Lionel?
- Naturalmente non la deluderò - il miglior sorriso a trentadue denti che avesse mai sfoderato, cercando di pensare solo alla sua fetta dei cinque milioni.
Don Venanzio si era rilassato: - Ne ero sicuro, sapevo di poter contare su di voi, Lionel - aveva sorriso di nuovo - Herbert e Tony ti daranno tutti i dettagli e vi coordineranno nell'operazione, assistendovi - si era voltato verso il giardino, allontanandosi.
- Mi spiace, ma io lavoro a modo mio -
Don Venanzio si era bloccato, girandosi lentamente verso di lui, con espressione rabbuiata. Dietro di lui il sole morente gettava gli ultimi raggi rossi che si riflettevano sull'acqua del laghetto, arrossandola come fosse sangue di un capillare esploso.
- Io ed il mio socio lavoriamo da soli - aveva detto Lionel tutto d'un fiato, prima che don Venanzio potesse equivocare. Era l'unico margine di manovra che aveva, l'unico per avere un minimo di controllo sulla cosa, e doveva sfruttarlo - lavoriamo insieme da sempre, siamo affiatati e questo ci dà la garanzia del successo. Ha detto che siamo i migliori, ed ha ragione; ma possiamo esserlo solamente se ci lascia carta bianca, se ci fa lavorare come diciamo noi -
Don Venanzio aveva fatto aleggiare su di lui uno sguardo incuriosito, la mani dietro la schiena, con aria meditabonda, come incuriosito da quella strana creatura che osava contraddirlo, esaminandolo come si esamina un rettile in una teca allo zoo.
- E sia - aveva detto infine, girandosi di scatto verso il panorama della città su cui iniziavano ad accendersi le prime luci - del resto sei tu il professionista. Herbert e Tony ti assisteranno comunque, è un'operazione complicata e quattro persone sono meglio di due, non voglio errori. Ci vediamo presto, Lionel - gli aveva stretto la mano con la solita aria affabile e cortese ed era scomparso dentro la casa.
Lionel era rimasto a fissare il panorama per un tempo che non avrebbe saputo definire. La città, come mai l'aveva vista, lo ipnotizzava esattamente come i pensieri che gli si rincorrevano in testa, senza che potesse afferrarne uno preciso. Per la prima volta lavorava per qualcuno, e che qualcuno. Qualcuno cui doveva rendere conto, cosa che aveva sempre odiato. In più c'era il problema dei due tirapiedi, che sarebbero stati lì a contargli i passi. Sarebbe stato difficile approntare una strategia alternativa, come sempre faceva.
Sospirò e si girò. Solo allora si accorse del viso inespressivo e tondo di Herbert che lo fissava, dall'angolo della casa, come in attesa.
- Vieni, ti riportiamo a casa -
Lui e Tony lo avevano lasciato davanti alla porta: - Ci vediamo domattina per iniziare il lavoro. Due settimane sono poche e don Venanzio vuole che tutto sia perfetto. Ti serve qualcosa in particolare? -
- Tutte le informazioni che avete, di qualunque genere, che riguardino la faccenda. E quando dico tutto intendo tutto. E un'auto poco vistosa, dovremo fare un po' di giri in città -
- A domani, allora -
- Mike, abbiamo un problema da cinque milioni di dollari -
- Allora non è un problema -
- Temo invece che lo sia, visto che è don Venanzio che chiede di recuperarli-
- Ah -
- Già, ah, è quello che ho detto anch'io -
- Possibilità di evitare il lavoro? -
- Nessuna. Vuole noi. E visto che non possiamo fallire, ci ho tenuto a precisare che senza di te non sarei in grado di portarlo a termine -
- E dovrei ringraziarti? -
- Andiamo, lo sai che senza di te non posso lavorare. Metà del successo dipende da te -
- È la prima volta che te lo sento dire. Non lusingarmi, non provarci. Abbiamo sempre rifiutato di lavorare su commissione, troppi problemi, troppe variabili, non sai se puoi fidarti del committente, se ti paga, se ti dà le informazioni giuste... è una delle regole -
- Le conosco le regole, le ho inventate io -
- E allora perché siamo qui parlarne? Rifiuta il lavoro -
- Vai tu a dirlo a Venanzio? Se vuoi ti do il numero, chiama subito, magari è ancora sveglio. Digli qualcosa del tipo siamo lusingati dalla proposta, ma al momento non possiamo accettare. Gentile ma deciso, mi raccomando -
- Va bene, va bene, non serve ironizzare. A quanto pare non possiamo evitare il lavoro -
- Già, non possiamo. A meno di voler affrontare conseguenze imprevedibili e dolorose. A questo punto temo che l'unica cosa che possiamo fare è fare il lavoro cercando di tenere sotto controllo la situazione e preparando una strategia d'emergenza. In fondo se tutto va bene verremo ben pagati -
- È quello che ti ha raccontato lui -
- Sì, ma non abbiamo altro se non la sua parola. Cazzo, la parola di un boss varrà ancora qualcosa. Se nemmeno i mafiosi rispettano più i patti il mondo è destinato ad andare a rotoli -
- Me lo auguro. Altrimenti nel migliore dei casi non vedremo un centesimo, nel peggiore...-
- Non voglio nemmeno pensarci. Cosa fanno i mafiosi oggigiorno? Va ancora di moda buttare la gente in mare con delle scarpe di cemento o hanno cambiato stile? -
- Non lo so... ho sentito però di persone date in pasto ai maiali... sai, quelle bestiacce non lasciano niente, nemmeno le ossa o i vestiti. Sparisci, puf, nel nulla, e torni sulla terra sotto forma di merda di suino, senza lasciare altra traccia -
- Gesù, non voglio diventare cibo per suini -
- Non dirlo a me, sei tu che mi hai tirato dentro questa storia. Perché ti ho dato retta? Perche' a Rusty Hill ho creduto a questa balla della pianificazione? Potevo farmi i miei bei furti, con tranquillità, magari mi sarei fatto anche qualche anno di galera, ma in fondo non è poi così male, meglio di passare per l'apparato digerente di un maiale.
- Piantala e cerca di concentrarti, la pianificazione puo' salvarci anche questa volta, almeno spero. Domattina verranno i due scagnozzi di Venanzio a casa mia con tutte le informazioni. Vieni anche tu così iniziamo a pensare a come agire.
- Gli scagnozzi ci danno le informazioni e se ne vanno, vero? Non li abbiamo addosso tutto il tempo, dimmi che non è così, ti prego -
- Ci vediamo domattina -
- Cazzo, non mi hai risposto. Ci staranno addosso o no? -
- Buonanotte, Mike -
- Buonanotte un cazzo, io devo sapere se avrò per i prossimi giorni due sicari della mafia attaccati al culo. Lionel, Lionel, no, non provare a riattaccare...-
Il tuuuuuuuuuu della cornetta gli aveva confermato che avrebbero avuto due sicari della mafia attaccati al culo.
Mike si era presentato a casa di Lionel qualche minuto prima dell'arrivo dei famigerati Herbert e Tony. Qualche presentazione rapida, strette di mano gelide, poi si erano seduti tutti intorno al tavolo della cucina.
Herbert aveva preso la parola, facendo saettare intorno i suoi occhi a palla - Allora, questa è la faccenda: tutte le mattine, sabato e domenica esclusi, ovviamente, un furgone blindato lascia la centrale di polizia in direzione del tribunale. Trasporta le prove relative ai processi del giorno. Pistole, coltelli, armi varie, cose del genere insomma. Ma da qui a due settimane trasporterà una valigetta con dentro diamanti per un valore di circa cinque milioni di dollari. Il procuratore vuole mostrarli alla giuria, perché lo scintillio di quelle pietre si imprima bene nei cervellini bacati dei giurati e se lo ricordino quando dovranno decidere se condannare o meno. Oltre al fatto che credo sia obbligatorio esibire le prove in aula. Questo torna a nostro vantaggio: il furgone non è mai scortato, appunto perché tutti i giorni trasporta cose di nessun valore, di cui non frega un cazzo a nessuno. E ovviamente nessuno sa che quel giorno trasporterà i diamanti. Quindi ci saranno le solite due guardie: l'autista ed il suo collega. Il che rende tutto più facile. Ora, come pensate di agire? -
- Tutto qui quello che sai dirci? - aveva detto Mike con disprezzo - Niente di più utile? -
Lionel gli aveva subito dato manforte: - Il mio amico ha ragione. Dobbiamo sapere di più. Per prima cosa, da dove vengono quei diamanti? -
-Non capisco cosa c'entri questo con l'operazione - era intervenuto Tony
- I professionisti siamo noi, lasciaci lavorare, non te ne pentirai. Allora, puoi raccontarci tutta la storia? -
In realtà Tony aveva ragione: il perché i diamanti fossero su quel furgone non era cosa che potesse interessare ai fini del furto. Ma Lionel era curioso e metodico, e, visto che sentiva di stare camminando su ghiaccio sottile, voleva un quadro il più completo possibile della situazione.
Così Herbert aveva iniziato a raccontare.
Tutto era cominciato tre mesi prima.
Don Venanzio si era da sempre occupato del commercio degli stupefacenti, ma adesso stava preparando una grossa offensiva commerciale.
Si era quindi accordato con i suoi soliti partner - un'organizzazione colombiana con cui era in affari da tempo - per un grosso contratto, con il quale avrebbe ottenuto merce sufficiente da sbaragliare la concorrenza; nessuno era in grado di fare un acquisto del genere in un'unica tranche: tutto il mercato sarebbe stato suo.
Ma qualcosa era andato storto. Al momento della conclusione dell'affare la polizia aveva fatto irruzione, arrestando tutti e soprattutto sequestrando sia la merce che i diamanti, che dovevano servire per il pagamento. Su esplicita richiesta dei venditori, infatti, il pagamento doveva avvenire in quel modo. Nessun rischio di banconote segnate, nessun problema di riciclare il denaro; avevano già pronto un altro affare da concludere con quei diamanti. Una compravendita di armi in Africa o qualcosa del genere.
Il tutto era stato un enorme danno: primo, don Venanzio aveva perso la possibilità di conquistare il mercato; poi aveva perso i suoi diamanti che, oltre al valore in sé, erano stati piuttosto difficili da trovare. Terzo, aveva perso la faccia, sia di fronte ai venditori che di fronte alla città. Tutti ottimi motivi per volere indietro i suoi diamanti, oltre al fatto che stava trattando di nuovo un acquisto di droga che sarebbe avvenuto di lì ad un mese e che intendeva pagare con le suddette pietre
L'unica cosa stupefacente qui è sentire usare termini da esperto di marketing in un contesto del genere aveva pensato sprezzante Lionel. Ma evidentemente si credevano davvero uomini d'affari.
Per tutta la sua carriera Lionel aveva sempre fatto in modo di evitare spacciatori, trafficanti e gente simile: troppo avidi e violenti per essere affidabili. Ma a quanto pareva anche questa regola era stata infranta.
- Ora, se ho soddisfatto le vostre curiosità, possiamo procedere al lavoro, se non vi dispiace - aveva chiosato Herbert con un sorriso da squalo.
- Diteci di cosa avete bisogno - aveva incalzato Tony.
- Abbiamo bisogno di vedere. Il furgone si muove tutti i giorni, alla stessa ora, giusto? Allora dobbiamo vedere che percorso fa, che traffico c'è a quell'ora, se c'è qualcosa che possiamo sfruttare lungo la strada. Solo a quel punto decideremo come agire. Siete venuti con un'auto poco vistosa? -
Herbert e Tony avevano annuito. - Bene, allora andiamo. Per oggi ci mostrerete esattamente qual è il furgone, da domani ci divideremo per sorvegliarlo meglio.
Con quella scusa sperava di averli vicino il meno possibile. Oltre ad elaborare il piano principale, dovevano, come facevano sempre, anche preparare il piano B, la exit strategy, la rete di salvataggio, e non voleva che i due scagnozzi lo conoscessero. Almeno questa regola voleva riuscire a rispettarla.
I giorni seguenti erano stati continui appostamenti e pedinamenti al furgone, cercando di usare sempre auto diverse. Oltre a seguire il veicolo, fare una media del tempo che impiegava, controllare il traffico e la sincronia ed i tempi dei semafori, avevano fatto decine di volte il percorso, studiando anche le strade limitrofe ed la via più breve per arrivare alle grandi arterie stradali lungo le quali sarebbe stata possibile una fuga più rapida, affidando a Herbert e Tony compiti marginali, giusto per non farli sentire inutili. I due comunque non sembravano particolarmente interessati a dare il loro contributo: apparentemente si fidavano del modo di agire di Lionel e Mike - evidentemente don Venanzio così li aveva istruiti - e si limitavano a fare quello che veniva loro detto.
Erano state ore lunghe ed il più delle volte noiose, in cui i discorsi vacui si erano sprecati:
- Cazzo, ma li hai sentiti come parlano? Compravendita, mercato, credono di essere degli uomini d'affari, mentre sono solo degli spacciatori. Cazzo, io almeno so di essere un ladro. Se me lo chiedono, rispondo faccio il ladro. Quelli sono in grado di risponderti: io mi occupo di compravendite internazionali con partner sudamericani, e magari ci credono davvero -
- Non tutti hanno la nostra onestà intellettuale, Mike. Magari volevano fare i broker, o gli agenti di borsa, purtroppo sono finiti così e non sanno rassegnarsi
- Se, come no. Quelli ce l'hanno nel sangue fare i sicari. Ma lo hai visto, quello lì? Sembra che non aspetti che il momento per piazzarmi una pallottola in mezzo agli occhi -
- Chi, Herbert? Sì, nemmeno a me piace -
- No, non Herbert, l'altro... come si chiama, Tony. Continua a giocare continuamente con la sua cazzo di pistola. L'ho capito che hai una pistola, non c'è bisogno di continuare a masturbarla. Lo so che appena mi distraggo mi pianta una pallottola nella nuca, è programmato per questo.
- L'altro invece sembra più uno da torture. Che prima di farci fuori si divertirebbe a tormentarci con un coltello arrugginito, senza mai smettere di sorridere come un pupazzo.
- Dio, non li sopporto. Sono qui a farci da cani da guardia, ad alitarci sul collo -
- Non lamentarti, è già tanto che non ci dicano come dobbiamo fare il nostro lavoro. Almeno si limitano a controllarci -
- Don Venanzio non è certo arrivato dov'è fidandosi della gente -
- Siamo noi che siamo costretti a fidarci di lui. E non mi piace per niente. Hai qualche idea? -
- Le regole, Mike, le regole ci salveranno anche questa volta -
- Tu e le tue regole. Spero ce ne sia una sul come salvarsi dai maiali, perché ogni giorno che passa li vedo più vicini. In fondo che motivo avrebbe don Venanzio di tenerci vivi e pagarci dopo che abbiamo recuperato i diamanti? -
- A parte la sua parola nessuna. E non ci crederai, sono tentato di crederci. Hai ragione, non si arriva dove è arrivato lui fidandosi delle persone, ma nemmeno tradendo i soci in affari. E credo che in questo siano affidabili. Quindi proviamo a dare loro un po' di fiducia.
- Ma solo un po' -
- Ovviamente, come dicono le regole: mai fidarsi troppo degli sconosciuti -
- Ma non era mai fidarsi degli sconosciuti? -
- Sì, ma in questo caso siamo costretti a fidarci, quindi alla regola aggiungiamo troppo -
La prima settimana era passata così, discorsi oziosi, caffè e panini consumati in macchina. Nella cucina, che era divenuta la base operativa, Mike, come faceva ogni volta che preparavano un colpo, aveva appeso una cartina della città. Due punti rossi a pennarello indicavano la centrale di polizia ed il tribunale, una linea dello stesso colore segnava il percorso che il furgone faceva. Accanto era appeso un calendario con cerchiata la data X.
Oramai sapevano a memoria tutte le strade ed i vicoli della zona, tutte le vie che sbucavano sul percorso del furgone, in ordine.
Ogni volta che Lionel provava ad addormentarsi, sognava il colpo. A volte finiva bene, a volte male. Ma era un buon segno, gli succedeva sempre durante la fase di pianificazione. Un buon auspicio, lo aveva definito.
Infine, a tre giorni dal giorno fatidico, quando Herbert e Tony iniziavano ad innervosirsi, Lionel aveva esposto il suo piano, nella cucina di Mike e con alle spalle la cartina, come da copione da film.
Il furgone faceva invariabilmente lo stesso percorso, alla stessa ora. Circa tre chilometri, per un tempo medio di ventisei minuti calcolato su tredici volte che lo avevano cronometrato. Un campione abbastanza esteso per definirsi affidabile. A bordo c'erano sempre due poliziotti. Le coppie che si alternavano, avevano osservato in quelle due settimane, erano tre. Nessuno dei sei agenti sembrava particolarmente pericoloso. Nessuno era giovane, erano tutti brizzolati o stempiati o entrambe le cose, un paio erano in palese sovrappeso. Poliziotti vicini alla pensione che volevano passare gli ultimi anni prima di ritirarsi a svolgere un compito di tutto riposo. Non avrebbero dato problemi.
La strada che percorrevano tutte le mattine era costituita quasi totalmente da grosse strade cittadine, larghe, con traffico scorrevole. Agire lì era da escludere. Troppi punti da cui la polizia poteva arrivare, pochi semafori cui il furgone si fermava, quasi impossibile bloccarlo in altro modo.
A circa metà strada tra la centrale di polizia ed il tribunale pero', il furgone entrava in un tunnel. Una corta galleria di circa cinquecento metri, scavata in un terrapieno su cui passava un ramo dell'autostrada. Le due corsie erano separate da un muro, così era sufficiente bloccarne una sola per bloccare il furgone ed essere sicuri che la polizia non arrivasse troppo in fretta.
Il giorno prima avevano fatto la prova: con un'auto lasciata verso la fine del tunnel, nell'ora di punta, in pochi minuti si creava un ingorgo mostruoso, e prima che qualcuno decidesse di chiamare il carro attrezzi per levare l'automobile, ci voleva almeno un'ora per sbloccare tutto.
Avrebbero agito lì. Non appena il furgone avesse varcato la soglia della galleria, Tony avrebbe lasciato l'automobile in mezzo alla strada al capo opposto del tunnel. Meglio se avesse finto di schiantarsi contro un lampione, senza però fare troppi danni: l'auto serviva intera. Questo sarebbe stato il compito di Tony.
- Intanto io e Herbert saremo con un'altra automobile subito davanti al furgone. Faremo in modo di imboccare la galleria subito prima di loro. Herbert, tu sai fingere di stare male?
- Come scusa? -
- Ti ho chiesto se sai fingere di stare male, un attacco epilettico, un infarto, qualcosa di simile. Più è impressionante e scenografico meglio è. Sai sbavare? -
- Sbavare? -
- Sì, sbavare. Non mi hai ascoltato? Dobbiamo fare scena. Tu fingi di stare male, io scendo dall'auto e chiedo aiuto ai due poliziotti sul furgone. Almeno uno dei due scende. Appena si avvicina ed è a tiro io lo stendo. L'altro, se non è già sceso, a quel punto scenderà. E Mike, che sarà in un'auto subito dietro il furgone, a quel punto sarà già accanto al mezzo e neutralizzerà anche lui non appena apre la portiera. Apriamo il retro del furgone, recuperiamo la valigetta coi diamanti, corriamo in fondo al tunnel e scappiamo con l'auto di Tony. Tre minuti in tutto al massimo. Ve la sentite?
- Sì, credo di poter sbavare -
Anche Tony aveva fatto una faccia convinta. Ora veniva la parte difficile da comunicare: - Quasi dimenticavo, niente armi, è la regola per lavorare con me-
Due visi stupiti degli scagnozzi. Evidentemente non concepivano una cosa simile.
- Scusa, ma come...
- Come eliminiamo i due sbirri? Con questi - aveva poggiato sul tavolo quattro taser. - Danno una scossa sufficiente da stendere un cavallo. Niente spari, niente rumore, niente panico in galleria, niente casino e, soprattutto, non muore nessuno e niente ergastolo se ci beccano. Basta poggiarli sul corpo del bersaglio e il risultato è garantito. Funzionano fino a cinque metri di distanza. Niente pericolo che sia solo ferito e possa reagire. Va giù fulminato e non si riprende per almeno tre ore.
- Non ci credo. Vuoi assaltare un furgone della polizia... con i taser - aveva interloquito Tony.
- Lo so, lo so. Alcune associazioni per i diritti umani hanno contestato l'uso di queste armi da parte della polizia perche' troppo brutali, ma saremo prudenti - l'intervento di Mike gli era valsa un'occhiataccia da parte dei due sicari.
-Sì, esatto. È così che si lavora - aveva ripreso Lionel - Se don Venanzio avesse voluto una strage a colpi di fucile avrebbe lasciato fare a voi. Se ha chiamato me è ovvio che vuole un lavoro pulito.. Per questo ho studiato tutto. Minimo rischio, massimo risultato Niente casini, niente morti, tutto più semplice e cinque milioni per tre minuti di pericolo vero. Rapido ed indolore. Fate come vi dico io ed andrà tutto bene.
- Lionel, lo sai che cercheranno di fregarci, vero? - I due sicari se ne erano andati e loro erano rimasti da soli nella cucina buia.
- Sì, lo so. Ma non abbiamo alternative. L'unica cosa che possiamo fare è sperare che non lo facciano. Del resto stiamo lavorando per loro.
- Già, ma incrociare le dita non è esattamente una strategia -
- Cerca di dirmi qualcosa che già non so. Abbiamo alternative? -
- No, direi di no. Se non vogliamo finire in pasto ai maiali -
- Ancora con questi maiali... cerchiamo di pensare ad altro, va bene? Comunque d'ora in poi agiremo partendo dal presupposto che cercheranno di sicuro di fregarci. Non sappiamo dove, come e quando, ma dobbiamo essere pronti, perché di sicuro lo faranno.
Mike aveva annuito. Lionel sapeva che era con lui. E in fondo c'era sempre la possibilità di fare un bel gruzzolo, che non era da trascurare: - Saremo pronti. E quando sarà il momento non capiranno nemmeno come abbiamo fatto.
Si erano ritrovati la mattina fatidica sotto casa di Mike, un paio d'ore prima del passaggio del furgone. E lì Lionel aveva capito di aver fatto il primo errore.
Aveva voluto stare solo con Mike per un paio di giorni per pensare al piano B, ma così aveva lasciato parecchio tempo per pensare anche agli sgherri di Venanzio, che quella mattina, invece di essere due, erano tre: Herbert e Tony si erano portati un loro amico: un nero rasato a zero con l'aria scocciata.
Se prima Lionel aveva avuto ancora un lumicino di speranza, adesso anch'esso si era spento: era chiaro che volevano fregarli. Cio' che ancora non sapeva era solo il dove ed il quando.
In un'altra situazione Lionel avrebbe semplicemente applicato le regole: un imprevisto incontrollabile, soci che non ti sei scelto che fanno di testa loro; troppo rischio, gira i tacchi e vattene senza nemmeno voltarti indietro.
Ma purtroppo non poteva. Se voleva vivere non poteva, doveva giocare alle regole di Venanzio, che non erano le sue. Aveva così incominciato con Herbert e Tony una conversazione inutile il cui esito era scontato: - E lui chi è? -
- Buongiorno anche a te Lionel - sorriso mellifluo di Herbert - lui è Ludwig -
- Non mi interessa il suo nome, cosa ci fa qui? -
- Ci aiuterà -
- Non abbiamo bisogno di aiuto -
- Invece un uomo in più fa sempre comodo -
- Un uomo in più fa solo danni se non sa il piano e se non serve -
- Tranquillo, non creerà problemi
- Li creerà eccome. Non sa la strada, non sa la strategia, non sa i tempi. Farà solo danni -
- Gli ho spiegato tutto io e interverra' solo in caso di bisogno-
- Non ci sarà nessun bisogno se farete come vi dico io-
- Senti - il tono di Herbert era cambiato - è stato mandato da don Venanzio. Se non ti va bene parlane con lui -
E la conversazione, come previsto, era finita lì. Lionel aveva rinunciato. Sapeva che sarebbe andata a finire così. Aveva solo chiesto insistentemente loro che non si portassero dietro le armi. Herbert aveva risposto con un cenno svogliato che Lionel aveva voluto interpretare come un sì.
Ovviamente Ludwig si era piazzato in auto con Mike. Ora nessuno di loro due aveva possibilità di manovra: entrambi avevano uno degli uomini di Venanzio attaccati al culo.
Per Lionel era un incubo che diveniva realtà: da quando lo avevano arrestato tanti anni prima e mandato al riformatorio, aveva sempre fatto in modo di avere tutto sotto controllo, di prevedere anche gli imprevisti. Adesso tutto si preparava per andare a rotoli e lui, impotente, stava correndo verso il disastro senza potersi fermare.
Non era riuscito a parlare con Mike. O meglio, non aveva voluto. Non aveva voluto dare agli altri la sensazione di stare preparando qualcosa anche lui. Gli aveva semplicemente detto: - Procediamo secondo il piano - e Mike aveva annuito, un secondo prima di salire in macchina con Ludwig.
Il furgone svolta dove lo aspettano, dove ha svoltato per due settimane. Nero, lucido, massiccio, per il resto anonimo. Indifferente pachiderma in mezzo al traffico.
Si muove lento, come tutte le auto a quell'ora del mattino. I due agenti a bordo non fanno caso all'auto che li precede né a quella che li segue. Stessa strada tutti i giorni, una monotonia sempre uguale di traffico e smog.
Lionel è teso. Sente il volante scivolargli sotto le mani sudate. Nello specchietto continua a lanciare sguardi furtivi al furgone, che è sempre lì, dietro di lui. Herbert dal canto suo è tranquillo, come se la cosa non lo riguardasse. Guarda fuori, osserva il traffico con aria annoiata.
Non va bene. Lionel non sente la giusta tensione, ma non può farci niente. Avrebbe già mollato tutto, ma purtroppo non dipende da lui, e non può fare latro che andare avanti e sperare. Sperare. Sperare non è un metodo di lavoro. Come pregare: sono tutte cose che le regole hanno bandito da tempo, e che adesso sono rimaste l'unica cosa da fare.
Da quando don V. lo ha contattato, una dopo l'altra lo ha costretto ad infrangere le sue regole, sempre utilizzate ed efficaci, fino a metterlo nella peggiore delle situazioni: far dipendere buona parte del successo e della sua vita dalla fortuna.
Si concentra sulle auto intorno a lui, cercando di non pensarci. Madri che portano i figli a scuola, gente che va al lavoro, un tizio assonnato che sembra doversi addormentare ogni volta che l'auto si ferma al semaforo. Il traffico è intenso ma scorrevole, si avvicinano sempre di più al tunnel.
L'auto di Lionel, come previsto, è la prima a varcare la soglia della galleria. Si addentra subito nella luce giallognola delle lampade al neon, seguita dal furgone. La macchina con a bordo Mike e Ludwig chiude la processione. Herbert fa uno squillo a Tony per segnalargli che deve entrare in azione e bloccare il traffico.
Avanzano lentamente. Ma c'è qualcosa che non va.
Per quantopiano, le due file di auto incolonnate continuano a muoversi. Tony avrebbe già dovuto bloccare la fine della galleria. Le auto dovrebbero essere immobili. Invece continuano ad avanzare. Il trio di mezzi, con al centro il furgone, è già quasi a metà della galleria. Lionel inizia ad agitarsi. Che cosa hanno preparato gli uomini di don V.? Sapeva che avrebbero tentato qualcosa, ma si aspettava che prima avessero almeno recuperato i diamanti. Si guarda indietro nervosamente.
Herbert se ne accorge: - Tutto a posto Lionel? - la sua faccia tonda imperturbabile ed il suo tono piatto impediscono di capire se c'è ironia o meno nelle sue parole.
- Sì, tutto bene. - le auto avanzano ancora.
Herbert inizia a guardare nello specchietto retrovisore, come aspettandosi qualcosa da dietro. Merda.
Poi succede.
Un'ondata di clacson infuriati proveniente dalle auto più avanti che coincide con l'arrestarsi quasi simultaneo di tutti i veicoli. Almeno Tony ha fatto il suo dovere. Sono a metà della galleria, immobili. Nessuna possibilità di avanzare o arretrare. Come al solito i suoi calcoli erano esatti.
Controlla la paranoia, controllati, cazzo. Fin qui è tutto giusto.
Herbert: - Allora, ci diamo da fare? -
Lionel guarda nello specchietto retrovisore. L'auto di Mike è dietro il furgone, come previsto. Da lì può vedere esattamente quando e da che lato scenderanno gli agenti.
- Si va in scena, datti da fare con la recita -
- Il procuratore si incazzerà-
- Capirai, si incazza un giorno sì e l'altro pure -
- Se continua così non ci arriva alla pensione, muore prima d'infarto
- Come se il traffico dipendesse da noi. Va' che casino. Tutto bloccato. È da mezz'ora che siamo in questa dannata galleria - l'agente Mallroy si lascia ricadere sconsolato sul sedile di guida, rassegnato.
Il suo collega fa lo stesso. In fondo nessuno dei due ha voglia di prendersela: in venticinque anni di servizio ne hanno viste troppe perché un ingorgo possa impressionarli. Chiusi nel loro furgone blindato, si apprestano ad una lunga attesa. Mallroy fa lo sforzo di telefonare in tribunale per avvertire che faranno tardi, ma questo è il massimo dell'attenzione che quella situazione merita. Ha dovuto pure usare il suo cellulare per chiamare.
I minuti scorrono lenti, densi di gas di scarico che si accumula nella galleria, le auto non accennano a muoversi.
- Guarda là - Mallroy scatta all'improvviso su dal sedile.
- Là dove? - il collega riemerge lentamente dai suoi progetti domenicali a base di barbecue e birra con famiglia nel giardino dietro casa.
- L'auto davanti a noi. Cazzo, quello lì sta male -
- Dio che roba; credo sia epilettico -
- Scendo e vedere se hanno bisogno di aiuto -
- Sì, tanto siamo totalmente bloccati. Anche se chiamo l'ambulanza quello lì fa in tempo a morire tre volte prima che arrivi qui -
Deve ammettere che Herbert ci sa fare. Se non sapesse che sta recitando ci cascherebbe anche lui. Occhi quasi bianchi, convulsioni e bava che cola. Perfetto. In un ultimo gesto teatrale, Herbert spalanca la portiera e si butta mezzo fuori dall'abitacolo, penzolando dalla portiera aperta come un grottesco pupazzo a molla.
Lionel salta giù e inizia a gesticolare in direzione del furgone, mentre si avvicina al suo amico. Grida che ha bisogno di aiuto, poi finge di sostenere la testa di Herbert.
Dal furgone, dopo qualche incertezza dovuta all'altezza del veicolo, salta giù una guardia corpulenta, il suo collega rimane alla guida; si avvicina cercando di muoversi rapidamente, come meglio può.
- Serve aiuto? -
- Il mio amico è epilettico, tutti questi clacson lo hanno fatto andare fuori di testa. Mi aiuti a calmarlo, se no rischia di soffocare -
Herbert continua a dimenarsi, scuotendo la testa. Le sue gambe sono ancora all'interno dell'auto, il resto del corpo lo sostiene Lionel, in piedi accanto alla portiera, cercando di non farlo cadere.
Bava che cola ed occhi strabuzzati.
Gambe che scalciano e braccia che mulinano, ma senza esagerare correndo il rischio di cadere.
Ha un talento naturale.
- Ho sentito che bisogna impedire che ingoi la lingua, se no soffoca -
- È quello che sto cercando di fare, mi aiuti a tirarlo fuori dalla macchina, che lo stendiamo a terra -
Lo sbirro si avvicina ad Herbert e Lionel, senza sapere cosa fare esattamente, cercando di ricordare i rudimenti di pronto soccorso appresi all'accademia.
Quando è vicino Herbert smette di dimenarsi e Lionel fa la sua mossa.
L'agente si blocca per un istante, come paralizzato, poi crolla al suolo, pesante come una statua che crolla. Il suo collega dal furgone non ha visto bene quello che è successo, ma intuisce che c'è qualcosa di strano; Lionel lo vede dimenarsi per liberarsi della cintura di sicurezza, per un tempo infinito. Al terzo tentativo riesce ad aprire la portiera e saltare giù anche lui. Prima che possa decidere cosa fare, prima che la sua mano vada oltre il semplice posarsi sulla fondina, gli elettrodi del taser di Mike gli si piantano nella schiena. Rigido, fa un passo incerto come un pachiderma del circo, poi frana al suolo, in un replay di quanto accaduto al suo collega.
Lionel guarda Mike alle spalle del corpaccione di cetaceo in divisa blu arenato sull'asfalto: come al solito sincronia perfetta; Mike era già pronto accanto al furgone in attesa del secondo agente. Purtroppo accanto a lui c'è Ludwig.
- Cerchiamo le chiavi - Lionel si occupa del primo agente, Mike del secondo. I due uomini di don V. controllano ogni loro mossa, due obbedienti cani da guardia.
Lionel trova le chiavi attaccate alla cintura del primo dei due panzoni, con un cenno richiama gli altri e corrono tutti intorno al furgone per aprire il portellone posteriore.
Clack clack, due giri alla serratura e Lionel salta dentro.
Herbert lo imita, ma è Lionel a mettere per primo le mani sul bottino. In mezzo a buste di plastica contenenti pistole, coltelli e altri oggetti che si fa fatica a ricondurre ad un crimine, la valigetta di metallo satinato è l'unica che puo' contenere i diamanti.
Lionel la afferra e salta giù dal furgone.
Adesso gli uomini di don V. agiranno. Hanno il bottino, hanno una via di fuga, l'unica cosa di cui non hanno più bisogno sono Lionel e Mike.
Con la coda dell'occhio vede qualcuno correre verso di loro, sul lato destro della galleria, in fondo.
È Tony.
Cazzo ci fa qui? Doveva attenderli in fondo alla galleria con la macchina per scappare.
È la loro mossa.
Tutto si svolge come al rallentatore, suoni ovattati. I clacson sono un lontano e impastato rumore di sottofondo.
Stringendo la valigetta al petto, Lionel fa due passi fluidi verso il lato sinistro della galleria, in modo da frapporre tra se' e Tony il furgone,.
Ludwig ed Herbert si girano verso di lui, cercando di capire cosa stia facendo.
In un ultimo istante vede Mike piantare il taser nel collo di Herbert, poi sguscia dietro il furgone.
Si gira per vedere se Mike lo sta seguendo, ma da dietro il mezzo vede spuntare Ludwig, che ha intuito la sua fuga e lo ha seguito. In mano ha una pistola enorme e nera come lui e gliela sta puntando contro.
Sapeva che non avrebbero seguito le regole.
Da come il sicario lo fissa non sembra abbia intenzione di dirgli di fermarsi e di dargli i diamanti. Gli pianterà una pallottola in mezzo agli occhi e si prenderà la valigetta. Rapido e pulito, da due metri: nessun posto dietro cui ripararsi, per Lionel, fin troppo facile, per lo scagnozzo di don V.
Lo sparo risuona come una cannonata nella galleria. Le orecchie di Lionel fischiano e ronzano.
La testa di Ludwig esplode in una nube di sangue rosso e schegge di tessuti organici vari che vanno a spruzzare il finestrino dell'auto incolonnata lì accanto. Solo in quel momento l'uomo a bordo sembra rendersi conto di quello che sta succedendo e probabilmente inizia a gridare, ma Lionel non lo sente: le orecchie gli ronzano troppo, così gli sembra di osservare un pesce boccheggiante in un acquario.
Mike emerge anche lui da dietro il furgone, una pistola in mano.
- Cazzo, nemmeno tu rispetti le regole oramai -
- Mi aspettavo almeno un grazie -
- Dio che casino; a quanto pare il morto era inevitabile. Andiamocene prima che...-
Un altro sparo rimbomba nell'aria satura di gas. Dall'altra parte della galleria Tony li quasi raggiunti e sta puntando l'arma contro di loro. Mike gli spara contro. Non vuole colpirlo, spara apposta alto, ma è sufficiente a far accucciare l'uomo di don V. dietro le macchine.
Come quando erano ragazzini, Lionel e Mike si mettono a correre.
Un finestrino esplode accanto a loro, grida di panico, ma continuano a correre. Dopo pochi metri nella galleria c'è un vano. Il loro piano B.
La porta della scala antincendio è aperta, Mike l'ha controllata l'ultima volta poche ore fa. La aprono, si lanciano dentro, la richiudono bloccandola con una sbarra di ferro lasciata li' apposta.
I gradini della scala di metallo quattro a quattro, tre rampe in totale apnea, tempie che pulsano e polmoni che bruciano.
In cima un'altra porta; la spalancano e sono in uno slargo dell'autostrada sopra la galleria, le auto sfrecciano incessanti a pochi metri da loro, folate di vento e rumore ad ondate.
Lì accanto c'è la loro auto, dietro il parabrezza un foglio di carta: Sono rimasto a secco, sto andando al distributore più vicino a fare benzina.
Dentro la macchina, via il foglio, partenza alla massima velocità verso la periferia.
Il piano B ha funzionato.
- Che incubo, che incubo -
- Anzi ci è andata bene. Troppe variabili incontrollabili, è un miracolo che ce la siamo cavati -
- Perché gli hai sparato? -
- Era un coglione -
- Questo lo so ma... -
- Ripeto, mi aspettavo almeno un grazie per averti salvato le penne per l'ennesima volta -
- Hai ragione, grazie. Ma temo che abbiamo solo rimandato il momento in cui qualcuno ci pianterà una pallottola in testa -
- Don Venanzio? -
- No, lui probabilmente vorrà solo assistere. Lo farà fare a Herbert o a qualcun altro. È la seconda volta che gli portano via i diamanti. Pur di trovarci e riprenderseli ribalterà tutta la città.
- Merda -
- Già, descrive bene la situazione -
- Ma perché? Perché? Fossimo stati avidi, ci fossimo cercati noi questo lavoro, avrei anche potuto capire la punzione divina alla nostra ingordigia. Ma io ne avrei fatto a meno di questo lavoro, stavo benissimo anche senza.
- Stavolta è la rogna che è venuta a cercarci, assumendo le sembianze di don V. -
Oramai erano quasi arrivati alla loro destinazione. La loro casa sicura. Da quando avevano iniziato a pianificare attentamente i loro lavori, avevano sempre un rifugio a disposizione, irrintracciabile, dove andare a nascondersi quando le cose prendevano una brutta piega, almeno finché le acque non si calmavano. Era un appartamento affittato sotto falso nome in un casermone in periferia da un tizio che era felice di accettare pagamenti in contanti e di non fare nessuna domanda nè chiedere documenti.
Lasciarono l'auto a qualche isolato di distanza e arrivarono a piedi fino alla porta, cercando di nascondere la valigetta con una coperta che Mike aveva trovato sul sedile posteriore.
La casa erano tre stanze al primo piano: una cucina con annesso salotto, un bagno, una stanza con due brande e soprattutto una finestra che dava sul tetto di una rimessa sul retro dell'edificio, utilizzabile come via di fuga in caso di bisogno.
Lionel crollò sul divano con un sospiro: - E ora che facciamo? -disse.
- Per prima cosa diamo un'occhiata a questi diamanti -
Mike afferrò la valigia e la posò sul tavolino basso davanti al divano. Ora che ci faceva caso era piuttosto pesante.
Si sedette accanto a Lionel. Rimasero qualche secondo così, con la valigia davanti a loro, fissandola come ipnotizzati.
Dopo qualche secondo di trance Mike si mosse, con cautela. Le due serrature che la tenevano chiusa erano a combinazione. Inziò ad armeggiarci e in pochi minuti le fece scattare, poi si trasse indietro, lasciando il coperchio chiuso. La fonte di tutti i loro guai stava lì, davanti a loro, in quella valigia di metallo dagli angoli smussati.
Cinque milioni in diamanti.
Nella loro vita, Lionel e Mike avevano conosciuto gente disposta ad uccidere per un centesimo di quella cifra. Anzi, a pensarci bene, quasi tutte le persone che avevano conosciuto erano disposte a farlo. Si salvava solo il prete della parrocchia del loro quartiere e le suore che si occupavano degli orfani. E sulle seconde Mike non era nemmeno tanto sicuro.
Con movimenti lenti Lionel si avvicinò alla valigetta. Poggiò entrambe le mani sul bordo del coperchio e lo sollevò di scatto.
Dentro c'erano una dozzina di sacchetti di velluto nero, di quelli usati dai gioiellieri.
Ma oltre a quelli c'era qualcos'altro, che giustificava il peso della valigia.
- O. Merda -
- È l'ennesima volta oggi che sento questa parola, temo che la situazione ci stia sfuggendo di mano ogni secondo di più -
- Ci è sfuggita di mano fin da quando abbiamo accettato questo lavoro -
- E adesso, come se non bastasse, abbiamo una novità in più -
-Dio come odio le novità.
Sotto i sacchetti di velluto coi diamanti, la valigetta era ordinatamente riempita con involucri di plastica, tutti della stessa misura, tutti con il timbro del deposito prove stampigliato in bella vista, tutti pieni di polvere bianca che non poteva essere che la cocaina di don Venanzio.
- Possibilità che sia bicarbonato? -
- Mike, vaffanculo -
Mike si alzo' di scatto ed inizio' a marcciare per la stanza, agitando le braccia ad ogni imprecazione: - Perché ci ha mentito? Perché don V. non ci ha detto che c'era anche la sua roba oltra ai diamanti? Il processo è lo stesso, quindi ha senso ci sia anche la roba, ma perché non dircelo? -
- Non ne ho idea, magari non lo sapeva, o forse non voleva dirci il vero valore di quanto avremmo rubato, o forse temeva che non avremmo accetto il lavoro, che cazzo ne so.
- No Lionel, no. Ragiona. Qui ci sono anche i diamanti. Questa cocaina non è di don V., è ancora dei Colombiani, che aspettano ancora di essere pagati -
La mente di Lionel iniziò a correre a velocità spaventosa, cercando di analizzare tutte le possibilità, tutte le spiegazioni ragionevoli, ma non ce n'erano altre: era come aveva detto Mike.
- Fino a trenta secondi fa non pensavo la nostra situazione potesse peggiorare, ma a quanto pare ho poca fantasia -
- Don V. ci ha giocato un bel tiro. Non voleva recuperare solo i diamanti, voleva impossessarsi anche della cocaina. Ecco perché voleva farci fuori. Nessun testimone del furto, nessuna notizia della roba e i Colombiani non avrebbero potuto pretendere nulla. Lui avrebbe avuto la droga e i diamanti, i Colombiani un cazzo e noi e le guardie del furgone una bella pallottola in testa ciascuno. Prima che si riuscisse davvero a ricostruire l'accaduto don V. avrebbe provveduto a vendere tutto, eliminando ogni possibile recriminazione dei fornitori sudamericani -
- Credi che lo sappiano? I Colombiani intendo -
- Il trasporto era segreto, eliminando noi e le guardie del furgone ci sarebbe voluto un bel po' perché la situazione si chiarisse. Sarebbe passato come una rapina finita male da parte di due idioti che si sono ammazzati con le guardie. Ecco perché ha voluto noi; non solo perché siamo bravi: un colpo del genere i suoi scagnozzi avrebbero anche saputo organizzarlo. Lui aveva bisogno di un paio di cadaveri non ricollegabili a lui da lasciare sul posto, in modo da confondere le cose per un po'. Nessuno avrebbe potuto accusare don V. di essere coinvolto: due come noi, che siamo conosciuti, che si ammazzano a vicenda con le guardie del furgone, ed un terzo rapinatore immaginario che riesce a scappare con la valigetta. Diamanti e denaro spariti nel nulla, i Colombiani non hanno niente da reclamare e don V. fa il colpo gobbo -
- Ma le cose non sono andate tanto diversamente: un cadavere di un rapinatore, il buon Ludwig, glielo abbiamo dato, magari dopo che simo fuggiti hanno provveduto ad eliminare le guardie. Tutto come da piano di don V., solo che la refurtiva ce l'abbiamo noi -
- No, Ludwig è ricollegabile a don V. Sono sicuro che il cadavere se lo sono portato via per non lasciare nessuna traccia. Adesso la storia della rapina circolerà senza una versione ufficiale, ognuno si farà la propria idea dai pochi elementi che ci sono: una valigetta sparita e due guardie neutralizzate -
- Quindi anche i narcotrafficanti soci in affari di don V. inizieranno a farsi delle domande... e direi che è molto probabile che le risposte vengano a chiederle a noi -
- Tu cosa faresti se sapessi che qualcuno si è portato via i tuoi cinque milioni di cocaina? -
- Direi che farei esattamente quello che faranno loro: ribaltare Mallont da cima a fondo fino a trovarli, oltre a fare fuori i due stronzi che se li sono presi -
- Stronzi che in questo caso siamo noi due -
- Temo proprio di sì -
- Cazzo, cazzo. Non bastava avere fatto incazzare la mafia, ora avremo addosso anche i narco sudamericani. Mancano solo la Yakuza e le triadi cinesi, poi abbiamo esaurito l'elenco delle organizzazioni criminali che possono avercela con noi
Rimasero a lungo in silenzio, come cercando di relizzare la cosa.
- Dobbiamo trattare - disse Lionel, riscuotendosi.
- Non mi sembra che siamo nella posizione per farlo. Abbiamo la roba che interessa ai narcos e a don V., ma non siamo nella posizione di imporre condizioni -
- Se ce la giochiamo bene forse sì. Don V. adesso sarà furibondo. Dopo tre mesi sperava di concludere l'operazione, mettere le mani suoi suoi sospirati diamanti e prendersi la roba a costo zero. Il suo piano è saltato, ma stai sicuro che rivorrà tutto indietro, e non è uno stupido: sarà anche disposto a trattare per riavere ciò che vuole, se scendere a patti renderà il recupero più facile -
- Se non stessimo parlando della stessa persona che ha cercato di farci fuori senza alcuna remora dopo averci dato la sua parola che non sarebbe successo, ti direi che hai ragione; ma non sono così sicuro si possa fare -
- Ragiona, Mike: altre possibilità non ne abbiamo. Don Venanzio, non rinuncerà certo a riavere la propria roba. Inoltre non possiamo sparire: per dileguarci in modo che nemmeno lui ci trovi dovremmo cambiare continente. Oltre al fatto che sono affezionato a Mallont, non abbiamo abbastanza soldi per una fuga del genere -
- E ovviamente non possiamo fare soldi coi diamanti o la cocaina, perché non troveremmo nessuno tanto pazzo da voler comprare roba che appartiene a don V., nè è consigliabile andare in giro per Mallont provando a vendere merce sottratta ad un padrino della mafia o ai narcotrafficanti: finiremmo garrotati prima ancora di riuscire a dire il prezzo -
- Esatto. Per questo ti dico che l'unica cosa che possiamo fare è trattare. Contattiamo don V., gli diciamo che siamo disposti a ridargli i diamanti se ci lascia in pace, e che in più abbiamo trovato la cocaina, che gli diamo pure quella in omaggio -
- Non mi sembra abbia senso: è tutta roba sua, non gli stiamo facendo una concessione -
- No, la coca è dei narcos: gli diciamo che se ci lascia in pace gli riconsegnamo tutto senza clamore, se no la roba la ridiamo ai suoi amici sudamericani, che così avranno la prova definitiva che voleva fregarli -
- E una volta che gli abbiamo consegnato tutto cosa gli impedirà di prenderci e darci in pasto ai maiali?-
- Assolutamente niente. Spero solo che una volta avuto quello che gli interessava perda interesse per noi e non stia a sprecare tempo per farci fuori. Alla fine tutto può ancora concludersi quasi come vuole lui: si prende diamanti e coca e ai narcos potrà sempre raccontare che con la rapina al furgone non c'entra niente... sempre che poi sappiano davvero che è stata rubata anche la loro roba -
- Ci affidiamo alla speranza e questo...-
- Sì, lo so, è contro le regole, ma non abbiamo altre possibilità. Comunque pensiamoci fino a domattina, magari ci viene qualche idea migliore, un modo di trovare una garanzia. Se no contatteremo don V. e gli faremo avere il nostro messaggio -
La dispensa era piena e il frigo pure. In teroria sarebbero potuti rimanere asserragliati lì per almeno un paio di settimane, forse tre razionando il cibo, ma come aveva aspettato tre mesi, don Venanzio avrebbe aspettato ancora, cercandoli in ogni angolo di Mallont; e impegnato nella stessa ricerca probabilmente c'era anche un branco di sudamericani incazzati che voleva indietro la roba. Di quest'ultima cosa non potevano essere sicuri - non era detto che i Colombiani avessero saputo che era stata rubata anche la loro cocaina - ma vista la dose di fortuna che avevano avuto negli ultimi giorni, entrambi davano per scontato che fossero tutti sulle loro tracce e con questo pensiero opprimente avevano trascorso la giornata.
- Sai cosa fanno i sudamericani quando vogliono eliminare qualcuno, dando l'esempio? -
- Mike, sto cercando di dormire, ti prego - erano nella camera da letto, su due brandine, nel buio. Lionel stava cercando di addormentarsi prima che la sua mente iniziasse a vagare. Se avesse potuto avrebbe voluto svenire, per addormentarsi all'istante.
- Cioè, intendo, quando vogliono far sapere a tutti che sono stati loro, per dare un messaggio? -
- Mike, quale parte di voglio dormire ti sfugge? -
- Ti portano in un posto all'aperto, e ti mettono un paio di copertoni addosso, uno al collo, uno in vita, uno alle caviglie.. una cosa così -
- Mike...-
- Poi ti cospargono di benzina, e...-
- Mike, davvero. Vorrei evitare di avere incubi stanotte. Fino a ieri mi sognavo don V., adesso mi sognerò anche i narcos, ti prego -
- Ok, ok, hai ragione. Allora ti racconto una barzelletta -
- Le tue barzellette non fanno ridere, e poi voglio dormire -
- La sai quella del cane che entra nel bar... -
- Me l'hai già raccontata un milione di volte, Mike, e non fa ridere. Non faceva ridere nemmeno la prima volta che l'hai raccontata -
- Allora, c'è un cane che... -
- Non so se odio più te o le tue barzellette di merda - ma nonostante questo ascoltò la barzelletta di Mike e si addormentò con le labbra increspate da un impercettibile sorriso.
Fecero colazione in silenzio, riflettendo su quello che li attendeva, pi? che mangiare si ficcarono del cibo in bocca e lo mandarono giu'. La prima cosa da fare era nascondere in un luogo sicuro la valigia, poi andare da Queequeg e dargli il messaggio da riferire a don V.
Queequeg e suo fratello erano gli ultimi di una stirpe di baristi; il locale era di proprietà della sua famiglia dai tempi di loro nonno - anche se le leggende arrivavano a spingersi fino al trisavolo - e vi erano cresciute generazioni di delinquenti, dai ladri di polli ai più grandi ricercati. Nel bar di Queequeg a memoria d'uomo nessuno ricordava una rissa, un litigio o un regolamento di conti. Sia perchè il barista aveva sotto il bancone un fucile a canne mozze che, tutti ne erano sicuri, non avrebbe esitato un secondo ad usare, sia perché negli anni quel posto aveva risposto ad un'esigenza di tranquillità - evitare di doversi guardare le spalle anche quando si beve una birra - che tutti i suoi frequentatori sentivano, diventando cosi' territorio neutrale.
Lì Lionel e Mike avevano imparato i rudimenti del mestiere, ascoltando i discorsi che vi si facevano e studiando i suoi frequentatori. Il bar era per loro uno dei ricordi più vividi della loro infanzia, ed inevitabilmente aveva segnato il loro destino, non facendo loro supporre, nemmeno per un istante, che potesse esistere una realtà differente rispetto a quella che vi vedevano tutti i giorni.
Dal bar di Queequeg circolavano tutte le notizie, se succedeva qualcosa, se girava una certa voce, era li' il primo posto in cui lo si veniva a sapere.
Adesso era giunto il momento di utilizzare quell'agora' del crimine per cercare di fare un accordo con don V. senza venire ammazzati prima di poter parlare.
La mattina dopo, appena fece giorno, la prima tappa fu andare a nascondere la valigia. Per quanto il loro rifugio fosse teoricamente sicuro, non volevano correre rischi. Troppi imprevisti c'erano stati fino a quel momento per lasciare anche il minimo spazio al caso.
Poi andarono al bar.
A quell'ora del mattino il locale era quasi deserto, a parte un paio di relitti umani che si rintanavano nella penombra in fondo al locale, consci che se si fossero esposti alla luce diretta del sole sarebbero probabilmente morti.
Lionel e Mike sgusciarono dentro, lieti che non ci fosse nessuno a badare a loro. Queequeg era al centro della sala, intento a passare uno straccio sulle piastrelle, con movimenti lenti e pigri, quasi che fosse il bastone della scopa a reggere lui piuttosto che il contrario. In mano sua - un gigante coperto di tatuaggi alto quasi due metri, con il cranio perfettamente lucido ed un brillante all'orecchio che luccicava quando intercettava un raggio di luce che entrava dalla finestra semichiusa - lo scopettone sembrava un giocattolo terribilmente fragile in procinto di spezzarsi sotto quella mole. Nessuno sapeva se Queequeg fosse il suo vero nome e lui avesse deciso di somigliare il più possibile al personaggio di Melville, o se invece era un soprannome datogli per il suo aspetto.
Vedendoli arrivare sorrise: - Ma allora siete ancora vivi -
- Grazie per la fiducia, Queequeg. A quanto pare le voci corrono -
- Lo sai che le notizie arrivano qui prima di ogni altro posto. Si sapeva dell'assalto al furgone blindato prima ancora che voi due foste usciti dalla galleria -
- E cos'altro si sa? - chiese Mike, cercando di sondare il terreno.
- Nient'altro, a dire il vero. Ma che diavolo c'era da rubare su quel furgone? -
- Lascia perdere, è una brutta e complicata storia. Dobbiamo chiederti un grosso favore, Queequeg -
Il barista poggiò lo scopettone al muro e li fissò, incrociando le braccia. In quella posa, la camicia tesa sul petto attraverso la quale si riusciva a sorgere l'infinita teoria di tatuaggi che decorava il suo corpo, appariva ancor pi? imponente e simile al baleniere di Melville: - Ha a che fare con quello che è successo ieri? -
- In un certo senso...- Lionel preferi' tenersi sul vago, ed ovviamente Queequeg, come al solito discreto come un maggiordomo inglese, non insistette - devi organizzarci un incontro con don Venanzio -
- Ma non vi aveva gia' cercato lui? -
- Si', ma temo ci siano delle cose... delle cose da chiarire, ancora - rispose Mike, quasi pi? a se stesso che a Queequeg.
- Il prima possibile, magari per domani stesso - concluse Lionel.
Queequeg dopo qualche secondo annui', con un lento gesto della testa, come uno che ha risolto mentalmente un'operazione matematica. Evidentemente aveva pi? o meno capito di cosa si trattasse.
- Devo fargli riferire qualcosa in particolare? -
- Sì, una cosa molto importante. Digli che siamo pronti a ridargli quello che è suo, ed in più, se ci lascera' in pace, gli daremo anche qualcos'altro che sono tre mesi che aspetta di avere. Digli anche che non parleremo a nessun altro della cosa, solo a lui. -
- Bene. Prima o poi oggi passera' di qui qualcuno che possa riferire a don V. il vostro messaggio -
- Allora torneremo domattina per vedere se sei riuscito a farglielo avere -
- No, per voi faro' un'eccezione, visto il personaggio che dovete incontrare. Dammi il tuo numero di telefono, ti chiamero' io -
Normalmente Queequeg non voleva avere alcun contatto cosi' personale al di fuori del bar, ma in quel caso, evidentemente, aveva intuito pi? di quanto dicesse e voleva aiutarli.
Lionel gli diede il numero del suo cellulare, un telefono usa e getta non rintracciabile - almeno cosi' sperava - comprato qualche giorno prima durante la preparazione della rapina.
- Grazie Queequeg. Digli che se accetta la nostra proposta possiamo vederci nel posteggio qui dietro, quando preferisce lui. Vogliamo che venga lui, non uno dei suoi scagnozzi. Vogliamo lui, da solo. Noi gli portiamo la sua roba, lui purtroppo avra' da darci solo la sua parola -
- Pensavo che la parola di gente come don V. avesse una certa importanza -
- Lo pensavamo anche noi, Queequeg, lo pensavamo anche noi - sospiro' Mike.
Fu Bill a notarli: uscendo dal cesso li incrociò che entravano ed andavano a parlare con Queequeg.
Loro non sembrarono fare caso a lui, puntando direttamente sul barista, ma lui sì. In due rapide falcate, cercando di non farsi notare, arrivò al tavolo da cui si era alzato, dove, con aria annoiata, Tom giocava con una cannuccia.
- Ehi, ma non è Lionel Montecristo, quello? -
Improvvisamente gli occhietti di Tom divennero vispi e pieni di attenzione. Li puntò in direzione dei due uomini che parlavano fittamente con Queequeg, al centro de locale.
- Cazzo, è proprio lui. Mi sa che abbiamo fatto centro -
Tom e Bill facevano parte di quella galassia di perdigiorno che ruotavano intorno al bar di Queequeg ed al quartiere. Lavoretti saltuari, mai onesti, qualche scippo, qualche rapina agli angoli delle strade. Dentro e fuori di prigione, attaccabrighe di natura, c'era da stupirsi che fossero arrivati vivi a quell'età, vista la loro propensione per le risse e la violenza anche immotivata; probabilmente non avevano incontrato ancora la persona giusta che facesse loro capire in modo definitivo che non era il caso infastidire la gente psolo per il gusto di combattere la noia.
Erano amici di Herbert e Tony; o meglio, dicevano di essere loro amici, perché nella loro mentalità conoscere gente che lavorasse per don V. era qualcosa che ti faceva salire nella scala sociale. In realtà i due interessati, Herbert e Tony, sapevano a stento i loro nomi - di solito si riferivano a loro chiamandoli quei due o i due del bar - e il loro legame discendeva semplicemente dal fatto che ogni tanto avevano affidato loro qualche incarico. Ovviamente assolutamente niente che richiedesse un minimo di organizzazione o intelligenza: si trattavadi solito di far capire a qualcuno che non era più il caso di fare certe cose che a don V. non erano piaciute. Talvolta solo a parole, più spesso sottolinenado in maniera fisica il messaggio. Bassa manovalanza cui venivano affidati incarichi che Herbert e Tony non avevano voglia o tempo di portare a termine di persona e che erano ben felici di delegare a due ottusi che come scopo nella vita avevano menare le mani.
Ed anche questa volta si erano rivolti a loro. Don V. cerca Lionel Montecristo ed il suo amico. Sapete chi sono, giusto? Appena li vedete chiamateci, che don Venanzio ha un conto da regolare con loro.
- Sapevo che prima o poi sarebbero passati di qui. Tutti passano da Queequeg prima o poi -
- Chiamiamo subito Herbert e Tony -
Bill bloccò la mano dell'amico che già stava cercando il cellulare.
- No, non questa volta. Questa volta il lavoro lo facciamo direttamente noi -
- Come scusa? -
- È chiaro che don V. li vuole morti. Herbert ha parlato di un conto da regolare. Non può voler dire altro che volerli morti -
- E quindi? -
- Per l'ultimo lavoro Herbert ed il suo amico ci hano passato quattro soldi. È da un po' che ci penso, da tanto. Mi sono stancato di essere trattato come l'ultimo degli idioti. Voglio lavorare direttamente per don Venanzio -
- E questo cosa c'entra con Montecristo ed il suo amico? -
- Invece di passare l'informazione a Herbert e Tony e far fare a loro il lavoro, il lavoro lo facciamo noi. Li eliminiamo come vuole don Venanzio e poi andiamo a parlare direttamente con lui, in modo che capisca che siamo adatti a lavorare per lui -
- Non lo so... se ci hanno detto... -
- Zitto, stanno salutando il negro, tra poco se ne andranno -
La mano di Bill corse alla cintura dei pantaloni, dove aveva come sempre la pistola, pronta ad essere estratta e puntata contro chi lo stesse anche solo guardando male o troppo insistemente, almeno dal loro punto di vista. Anche se, ovviamente, non nel bar di Queequeg. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quel nero tatuato gli faceva una paura maledetta.
- Adesso ascoltami. Se sono a piedi li seguiamo e appena siamo nel posto adatto li facciamo fuori. Ce l'hai la pistola? -
- Per chi mi hai preso? Certo che ce l'ho -
- Bene. Se invece sono in macchina prendiamo la nostra e li seguiamo e, appena possiamo, li eliminiamo -
- Ok, Bill, come dici tu, Bill -
Succube prima del padre e, dopo la sua morte, di Bill, Tom non avrebbe mai osato contraddirlo. Bill era il suo idolo, la sua guida. Senza di lui non avrebbe saputo che fare nella vita, non trovando nemmeno un motivo per alzarsi dal letto la mattina.
Così lo seguì docilmente fuori, controllando che la pistola fosse al suo posto mentre saliva i tre gradini della porta del bar.
- Elaboriamo un piano? -
- Certamente -
Stavano camminando rapidamente, pur cercando di non darlo a vedere, verso la loro automobile. Dal giorno prima ogni volta che erano in uno spazio aperto si sentivano come bersagli e, nonostante tutti gli sforzi fatti per contenere la loro paranoia, dovevano imporsi di comportarsi in modo normale.
Avevano scelto il posteggio dietro al bar di Queequeg perche' sembrava la soluzione, tra le poche possibili, pi? conveniente. Incontrare don V. a casa sua o in qualche posto analogo di sua scelta era fuori questione, dargli anche quel vantaggio sarebbe stato folle. Il bar di Queequeg, cui avevano pensato come prima soluzione, non consentiva la necessaria privacy per uno scambio del genere: don V. non avrebbe mai accettato, oltre al fatto che, qualora la situazione fosse degenerata - cosa molto improbabile, ma non da escludere - non vi era una via di fuga agevole.
Ci voleva un posto di facile accesso, controllabile anche da due sole persone e che potesse essere abbandonato in pochi secondi. Lo spiazzo asfaltato dietro il locale di Queequeg corrispondeva a questa descrizione, oltre al fatto che non necessitava di sopralluoghi perche' lo conoscevano da sempre.
Salirono in macchina e si allontanarono, Lionel alla guida, Mike alla sua destra che si guardava intorno nervosamente, la testa che girava a scatti e le mani che tamburellavano nervosamente ogni volta che l'auto doveva fermarsi per il traffico o un semaforo rosso.
- Quell'auto -
- Cosa? -
- Ci sta seguendo da quando abbiamo lasciato il bar di Queequeg -
- Quale auto? -
- La Ford blu -
Lionel fissò lo specchietto e vide, un paio di auto più indietro rispetto a loro, una Ford blu sgangherata.
- Sei sicuro? -
- Sì, sì, cazzo. Ci segue dall'incrocio vicino al bar -
- Merda, cerco di seminarla, così vediamo se davvero ci sta seguendo -
In prossimità di un semaforo cambiò corsia. La Ford fece lo stesso. Decisamente come pedinatori facevano abbastanza pena. Sempre rimanendo qualche decina di metri più indietro, separata da qualche automobile nel traffico, la ford li seguì per qualche isolato.
Poi Lionel rallentò davanti ad un semaforo che stava per diventare rosso, come a volersi fermare; all'ultimo accelerò a fondo e attraversò l'incrocio in uno stridio di pneumatici, scatenando una salva di clacson furibondi. Lasciò la strada principale e svoltò in una strada laterale, meno trafficata. Un altro paio di svolte e fu di nuovo nella direzione giusta, a qualche isolato di distanza dal percorso iniziale. Rallentò.
- Se davvero ci stava seguendo, forse l'abbiamo seminata -
- Dio, sto diventando paranoico, questo stress mi sta uccidendo. Un altro paio di giorni così e don V. non avrà bisogno di uccidermi: morirò d'infarto.
Si fermano all'ennesimo semaforo.
Un auto si affianca alla loro destra, in attesa del verde.
Un lampo, un'esplosione, il finestrino di Mike che si sbriciola in una cascata di vetro. A Lionel sembra di vedere ogni scheggia, ogni singolo frammento che cade, poterne vedere la traiettoria e il modo in cui rimbalza sul cruscotto.
La testa di Mike schizza di lato, priva di sostegno, un fiore appassito; gocce calde, sulla guancia.
Una fitta alla spalla, una lama gelata nel braccio, sottile come un raggio laser; lampi e brividi di dolore che si irraggiano in tutto il corpo. La camicia che gli si appiccica addosso fradicia di qualcosa che per forza deve essere sangue.
Il braccio gli si irrigidisce e la macchina sbanda; la testa di Mike molle come quella di un pupazzo asseconda i movimenti della macchina, le braccia inerti come un burattino grottesco cui abbiano tagliato i fili.
Lionel sterza bruscamente in una strada laterale, tutte le fibre del suo braccio sembrano lacerarsi e gridano e protestano e per un secondo gli si annebbia la vista e sta per svenire cadendo di faccia sul volante.
L'auto resta un po' indietro, ma lo segue e lo sta raggiungendo di nuovo; gocce rosse sul cruscotto, sul vetro, sullo specchietto retrovisore; la sua mano rossa di sangue che stringe il volante priva di sensibilita'.
Ma sì, in fondo, che importa.
Era destino. Per una volta non te la sei cercata, ma ti è venuta a cercare. Hai fatto di tutto per evitarla, ma niente. Don V. che chiede di te, i suoi scagnozzi, il piano B per cercare di uscirne indenni, la trattativa con don V., il restituirgli la sua roba, ma non c'è stato niente da fare. Quando tocca a te tocca a te, tanto vale rassegnarsi e prenderla con serenità.
Poi in fondo alla via compaiono due luci blu, affiancate e fluttuanti a mezz'altezza, come due gigantesche lucciole colorate che vengono verso di lui, lentamente. Forse ha gia' perso troppo sangue, forse invece ancora non tocca a lui, o forse semplicemente non tocca mai a nessuno, bisogna solo avere un po' di fortuna. E qui Lionel è in credito di parecchio
Capisce e sorride. Sterza in direzione delle luci con un gesto che non riesce a controllare bene, cerca di frenare ma non sa se ce la fa, se quello che preme a fondo è il pedale giusto.
Schianto, lamiere contorte, vetri che esplodono di nuovo e l'abitacolo dell'auto che trema e sembra comprimersi. Sente il suo corpo scattare in avanti per poi essere ributtato indietro dalla cintura di sicurezza; un dolore che gli comprime il torace e gli mozza il respiro. Polmoni che bruciano per lo sforzo di ricominciare a respirare.
La mano rossa è ancora sul volante, probabilmente perche' si è appiccicata. Deve guardarla per rendersi conto che è ancora lì, che è ancora sua. In un secondo di lucidità pensa che l'airbag non si è gonfiato. Vatti a fidare delle auto rubate.
Davanti a lui le luci blu fluttuanti, distorte dal parabrezza crepato. L'auto che li inseguiva passa accanto sgommando, scompare in un istante dal suo comapo visivo.
Adesso puo' svenire, qualcuno pensera' a tirarlo fuori di li'.
- Vai, vai, ci sono gli sbirri -
Tom non se lo era fatto ripetere un'altra volta. Non appena aveva realizzato quello che era successo, aveva accelerato e si era lasciato alle spalle il loro bersaglio, sgommando e sbandando per infilarsi il più in fretta possibile nei vicoli del quartiere.
Ansimavano entrambi, e ci volle qualche minuto prima che fossero di nuovo in grado di parlare e di ragionare.
- Li abbiamo fatti fuori? - chiese dopo qualche minuto.
- Credo di sì. Uno di sicuro, quello alla guida non so, ma in ogni caso era conciato male -
- Sì, non sembrava muoversi quando gli siamo passati accanto -
- Bene, molto bene -
- Cosa facciamo adesso? -
- Contattiamo don Venanzio e gli diciamo che abbiamo portato a termine lamissione che quelgi idioti di Herbert e Tony non erano in grado di eseguire -
- Sì. Noi li abbiamo trovati e noi li abbiamo fatti fuori. Noi ci prendiamo il merito -
In realtà don V. non avrebbe affatto gradito. Bill e Tom ignoravano che don V. odiava le persone che agivano di propria iniziativa, soprattutto se l'iniziativa contravveniva i suoi ordini o addirittura collideva coi suoi scopi, come in questo caso.
Herbert e Tony sorridevano soddisfatti mentre li buttavano legati sul fondo di uno scavo per le fondamenta di un nuovo centro commerciale della cui costruzione era incaricata una delle società edilidi don V.
Volevate scavalcarci? Vi credevate migliori? Eccovi serviti pensavano i due sicari mentre osservavano il cemento colare fuori dalla betoniera e lentamente coprire i due fagotti che si dibattevano sempre più debolmente.
Gli sbirri della pattuglia contro cui Lionel si era schiantato erano stati i primi a soccorrerlo. La sua coscienza era andata e venuta per un bel pezzo: da quando gli ambulanzieri, con l'aiuto forse dei pompieri, lo avevano tirato fuori, a quando si era risvegliato il giorno dopo in ospedale, con il polso del braccio sano ammanettato al letto e uno sbirro a piantonarlo fuori dalla porta.
Di Mike nessuna notizia. Non sapeva se fosse morto, ferito o cos'altro. Non glielo avevano detto elui non aveva chiesto: non voleva incasinare ulteriormente la situazione e mettere la polizia sulle tracce di Mike.
Naturalmente era finito dentro: era su un'auto rubata, con armi altrettanto rubate per le quali non aveva il permesso. Ovviamente avevano fatto di tutto per capire in cosa fosse coinvolto o cosa avesse fatto per farsi sparare addosso, ma lui non aveva detto nulla. Era stato in silenzio in ospedale, agli interrogatori, in tribunale, parlando solo per ammettere il furto dell'auto, sostenendo invece che le armi non erano le sue.
E cosi' il giudice gli aveva dato due anni e mezzo.
Anche se per tutta la vita, da quando era uscito dal riformatorio, si era sempre ripetuto "meglio morto che in prigione", che era forse la pi? importante delle sue regole, quando avevano i proiettili avevano iniziato a piovergli addosso si era reso conto che quello era solo uno slogan buono per una maglietta. Piuttosto che morire si era buttato nelle braccia della polizia, benche' facesse di tutto per convincersi che quella decisione era stata il frutto di un calcolo accurato tra vantaggi e rischi: in fondo due anni e mezzo non erano poi molto quando l'alternativa era lasciarci le penne.
Due anni e mezzo in un carcere riservato a condannati a pene brevi, non in compagnia di gente troppo brutta. Il problema era sempre don V.: uno come lui non avrebbe avuto nessun problema a farlo ammazzare in carcere, anzi probabilmente gli sarebbe stato anche più facile: lì dentro Lionel non aveva vie di fuga e l'unico piano che aveva era girare sempre con un coltello artigianale fatto con una lama di rasoio ed il manico dello spazzolino... ben poca cosa.
I giorni passavano e non succedeva niente. Giorni da incubo, per la verità, in cui faticava ad addormentarsi e non poteva stare più di dieci secondi senza voltarsi per guardarsi alle spalle.
Piano piano, riflettendo sulla sua situazione, la paranoia iniziò a scemare.
Lionel non sapeva perché avessero cercato di ammazzarlo quando aveva lasciato il bar: lui e Mike erano gli unici che sapessero dove erano nascosti cocaina e i diamanti; uccidendoli, sarebbero stati perduti per sempre. Non aveva senso.
Evidentemente qualcosa non aveva funzionato nell'organizzazione di don V., o forse quelli che gli avevano sparato non erano i suoi uomini. In ogni caso, se don V. rivoleva la sua roba, aveva bisogno di lui vivo per farsi dire dove l'avesse nascosta, informazione che non poteva avere finché lui fosse stato rinchiuso a Salt Bay. Don V. era uno che sapeva attendere, e attendere in questo caso era la cosa più sensata.
Tanto era ovvio che Lionel non avrebbe parlato: nè con gli altri detenuti - sarebbe stata la sua condanna a morte e la perdita del bottino - nè tantomeno con gli sbirri - avrebbe voluto dire accusarsi dell'assalto al furgone blindato e probabilmente anche di un omicidio.
Tanto valeva aspettare il giorno del suo rilascio, e ricominciare da dove erano stati interrotti al momento del suo arresto; cosa che puntualmente era avvenuta con herbert e Tony che venivano a prenderlo all'uscita del carcere.
- Ecco, quella che vi ho appena raccontata è la storia di come sono finito nel bagagliaio -
I due lo fissavano immobili. Visto che non dicevano niente, Lionel proseguì: - E già, ragazzi, vi siete infilati proprio in un bel casino.
Quello che sembrava meno sveglio dei due si riscosse: - E no, cazzo, il casino è solo tuo, noi non c'entriamo niente - era davvero il meno sveglio.
Lionel sospirò: - E tu pensi davvero, genio del crimine, che a don V. interesserà qualcosa di quanto voi c'entriate davvero? Per il solo fatto che siete venuti in contatto con me ci siete dentro con tutte le scarpe. Ha aspettato due anni per prendere me e farmi parlare, pensi che adesso gli freghi qualcosa di uno in più o in meno da eliminare per raggiungere il suo scopo? Oltre al fatto che dubito che crederà che per caso mi avete liberato. Penserà che siete miei complici. Voi direte di no, lui non vi crederà e, anche se gli venisse il dubbio che possiate essere sinceri, per sicurezza vi sparerà in testa. Non gli frega niente di uno come me, figuratevi di due come voi che, senza offesa ovviamente, non contate un cazzo. Lui vuole solo recuperare la valigia, non importa quanta gente dovrà uccidere, torturare o entrambe le cose per riuscirci -
Jamal lo guardò sbalordito: quello stronzo che fino a un'ora prima era legato come un salame nel bagaglio di una macchina e adesso era in mano loro, li stava trattando dall'alto in basso, come idioti. Fece per colpirlo, ma James lo fermò: - Temo abbia ragione, Jamal, ci siamo dentro davvero.
- Esatto ragazzi, e l'unica speranza che avete di uscirne vivi è darmi una mano. Vi salvate la pelle, forse, e magari ci guadagnate anche qualcosa -
- Quindi, fammi capire. Don V. vuole te perchè sei l'unico che sa dove sia nascosta la sua roba, giusto? -
- Esattamente -
- Ha aspettato che tu uscissi dal carcere perché finché eri dentro non poteva farselo dire, e non appena sei uscito ti ha fatto rapire per farsi dire dove fosse la valigia? -
- Vedo che mi hai ascoltato e sei stato attento -
Jamal sembrò soppesare le sue parole, come cercando di capire se lo stesse sfottendo o meno. Dio che ritardato. Prima che decidesse, Lionel riprese a parlare: - Se non foste intervenuti voi probabilmente a quest'ora starei trattando con lui riguardo alla sua roba. Cercando di non farmi ammazzare. Ma adesso sono in leggero vantaggio. Col vostro aiuto posso recuperare la valigia e possiamo scappare; o quantomeno giungere ad un accordo con don V. -
- Ma avevi detto che non era roba che si potesse vendere -
Lionel sospirò, come uno costretto a spiegare un'ovvietà: - Due anni e mezzo fa era così. Adesso qualcuno abbastanza incauto da comprarla, che si è dimenticato di tutta la storia o che vuole rischiare lo troverò di sicuro. Vendo tutto, do a voi una parte sostanziosa e me la squaglio - fissò impassibile le due facce ottuse davanti a lui, sperando che se la bevessero e lo aiutassero per quello che gli serviva.
- E chi ci dice che non stai cercando di fregarci? Che non hai raccontato una marea di palle per indurci a liberarti? -
Lionel sorrise di nuovo, paziente: - Se avessi la fantasia per inventare una storia così complicata, sui due piedi, farei lo scrittore, non il ladro. È vero, non avete nessuno motivo per credermi, ma se ci pensate vi conviene farlo: se decidete di credermi, entro stasera saprete se ho mentito o meno, perché andremo a recuperare la valigia. Se invece decidete di non credermi, e andate in giro a fare domande su di me, correte il rischio di trovarvi i sicari della mafia addosso in un paio d'ore. Che io abbia mentito o meno vi conviene comunque credermi, non aveve nulla da perdere a farlo.
Per l'ennesima volta si allontanrono a confabulare, poi tornarono di nuovo davanti a lui: fu quello scemo a parlare: - Allora, qual è il piano? -
- Per prima cosa gradirei mi levaste il nastro adesivo da mani e piedi, che sto impazzendo -
Quando aveva iniziato a raccontare, lo avevano tirato fuori dal bagagliaio e fatto sedere su una cassa di legno che avevano trovato in un angolo del magazzino, senza però liberarlo.
James, quello che sembrava più sveglio, tirò fuori dalla tasca un lungo coltello a scatto e gli si avvicinò: - Se provi a fare qualche cazzata, giuro che te lo pianto in un occhio -
- Tranquilli, non vado da nessuna parte, ho bisogno di voi -
Con qualche esitazione tagliò il nastro adesivo. Lionel iniziò a massaggiarsi i polsi, poi si alzò in piedi e si sgranchì le gambe piegandosi in avanti, lentamente.
I due lo osservavano senza riuscire a dire nulla. Lionel li ingorò e continuò il suo lento stretching.
- Bene, signori - disse riscuotendosi all'improvviso - direi che la prima cosa da fare è liberarsi di questa macchina -
- Cosa intendi per liberarsi? -
- Intendo lasciarla da qualche parte lontano da qui. Anche se verrà ritrovata non importa, anzi, meglio: condurrà gli uomini di Venanzio su una falsa pista, facendoci guadagnare qualche ora. Il posto ideale sarebbe il parcheggio della stazione, o dell'aeroporto, insomma, qualcosa per depistarli finché noi non recuperiamo la roba -
- Ehi, hai idea di quanto vale quella macchina? Non l'abbiamo rubata per poi abbandonarla - Jamal, quello tonto, lo interruppe puntandogli il dito contro.
Per l'ennesima volta Lionel si trovò a sospirare: - Sì, lo so. Ma ti assicuro che ne vale la pena. Ti liberi della macchina, stasera recuperiamo la valigia ed entro mezzanotte avrai abbastanza soldi da potertene comprare quante ne vuoi di auto come quella -
Jamal si bloccò, pensando ai diamanti. Ma gli scocciava comunque sprecare così una così bella automobile.
- Ha ragione, Jamal. Non credo troveremmo nessuno disposto a comprarcela, è di don V., chi vuoi che abbai voglia di rischiare? Meglio liberarsene.
Jamal sbuffò, si diresse verso l'automobile: - Vado a lasciarla alla stazione, almeno mi faccio un ultimo giro su questa bellezza -
Lionel avrebbe preferito fosse stato l'altro a assumersi l'incarico, che gli sembrava di gran lunga più affidabile, ma non volle mettersi a discutere.
Aiutò James ad aprire il cancello e l'auto uscì sgommando.
- Bene, mentre lo aspettiamo, puoi iniziare a spiegarmi cosa dobbiamo fare per recuperare il bottino... sempre tenendo presente che appena ho anche solo l'impressione che stai cercando di fregarci ti sparo -
Lionel tornò a sedersi sulla cassetta di legno.
Jamal si diresse verso la stazione, guidando lentamente ed allungando volutamente la strada. Dio quanto gli dava fastidio dover sprecare i soldi che gli avrebbero dato per quella macchina. Chissà quanto ci sarebbe voluto per vendere i diamanti: non aveva idea a chi potesse rivolgersi, e dubitava che James ne sapesse più di lui. La Mercedes, invece, sapeva esattamente a chi darla, che gli avrebbe dato contanti subito, sull'unghia. Contanti di cui aveva un gran bisogno per pagare le scommesse ad Ivan: un'urgenza che non poteva aspettare la vendita dei diamanti. Oramai era quasi sera e i lampioni iniziavano ad accendersi. Cazzo, aveva sotto il sedere la soluzione immediata dei suoi problemi, e doveva buttarla via.
Nessuno avrebbe il coraggio di comprare un'auto di don V. Bah, Gnarly era abbastanza pazzo da farlo. Non guardava in faccia a nessuno, lui.
Ma del resto c'era di mezzo don Venanzio, uno con cui non era il caso di rischiare. Entro quella sera avrebbe avuto i diamanti. Il tizio dle bagagliaio aveva detto che forse sapeva a chi piazzarli.
Ma in realtà, per lui, peggio di don Venanzio era Ivan, che, al contrario di don V. sapeva esattamente chi fosse, dove abitasse e che cosa pretendere da lui.
No cazzo, io a questi soldi non rinuncio, ne ho bisogno, ora. Il pensiero di Ivan, del suo sguardo inespressivo come quello di uno squalo - non ricordava nemmeno se avesse le pupille o meno - e dei suoi soci altrettanto indifferenti ed insensibili a qualunque supplica o richiesta gli fece decidere di dirigere il muso della macchina verso lo sfasciacarrozze.
L'officina di Gnarly era un grosso capannone invaso dal disordine. Ovunque attrezzi e pezzi di automobile: dai banconi da lavoro ingombri al pavimento, su cui era difficile camminare senza inciampare in qualcosa. Sul retro dell'edificio c'era uno spiazzo fangoso la cui dimensione era indefinibile, invaso com'era da mucchi di rottami, cataste di pezzi di ricambio e pile di automobili in attesa di finire dentro la pressa, che troneggiava al centro del deposito, lucida di grasso e sempre pronta ad ingoiare carcasse per sputare compatti cubi di metallo.
Garly in comune con la pressa aveva solo le macchie di grasso, che perennemente annerivano le sue braccia magre fino ai gomiti, per sparire nelle maniche rimboccate della camicia a quadri. Era un ometto basso, con un paio di baffetti sottili, sotto cui pendeva perennemente un mozzicone di sigaro dall'odore nauseante, e lo sguardo lucido che saettava senza mai fermarsi, come alla ricerca del modo di fregarti mentre ancora gli parlavi.
Jamal posteggiò la Mercedes poco distante dall'ingresso dell'officina; nonstante l'ora tarda scintille di saldatura schizzavano fuori dalla soglia. In tanti anni, Jamal non ricordava di aver mai visto quella porta chiusa, a nessuna ora del giorno o della notte. Solo una volta era successo: la polizia aveva fatto chiudere e messo i sigilli allasaracinesca, ma doveva essersi trattato di un errore: un paio di giorni dopo, infatti, l'attività aveva riaperto regolarmente.
- Ciao Gnarly, come va? -
Gnarly sollevò lo sguardo dal foglio unto che aveva in mano, si tolse gli occhiali -ugualmente unti - e gli puntò contro il mozzicone di sigaro: - Se sei venuto a propormi un altro dei tuoi furgoni di merda, evita di farmi perdere tempo, negro -
Jamal mandò giù. Non poteva far pagare a Gnarly gli insulti come avrebbe fatto con chiunque altro. Oltre ad essere sempre circondato dai suoi uomini - quello che stava saldando aveva sospeso il suo lavoro, e li fissava attraverso la maschera con in mano la fiamma ossidirica ancora accesa - Ganrly non aveva remore a far fuori le persone: la pressa non serviva certo solamente per le auto.
- Vedrai, rimarrai sbalordito -
Effettivamente Gnarly rimase senza parole: rimase qualche secondo a fissare la Mercedes, senza dire nulla.
- Allora, ti interessa - lo provocò Jamal.
- Mi interessa eccome - si riscosse Gnarly - portala dentro, io ti aspetto nel mio ufficio
Jamal saltò sulla macchina e la guidò cautamente dentro l'officina, poi entrò nell'ufficio di Ganrly: una stanza sul retro con un enorme finestrone che dava sullo spiazzo fangoso e sulla pressa, arredata solamente con una scrivania, un computer dalla tastierasporca ed un calendario sexy vecchio di almeno dieci anni.
Si sedette su una sedia consunta davanti alla scrivania ed iniziò a giocherellare con una penna, mentre si chiedeva quale fosse una cifra equa per un'auto del genere. Effettivamente solo ora ci pensava: la decisione di vendere l'auto invece di abbandonarla era stata così repentina che non si era posto nemmeno il problema. Quanto costava quell'auto nuova? Centomila? Duecentomila? Non ne aveva la minima idea. E usata? Idem.
Le sue riflessioni vennero interrotte da Gnarly, che entrò sorridendo: - Buone notizie, figliolo. Il vecchio Gnarly ti ha già trovato un acquirente. Sta venendo qui. Un po' di pazienza e potrai trattare direttamente con lui, salvo poi detrarre quello che spetta a me per la mediazione e il lavoro su targhe e documenti che dovrò fare, ovviamente -
- Bene... bene, perfetto - era felice che la cosa si chiudesse immediatamente e al contempo stava ancora chiedendosi quale fosse una cifra ragionevole.
- Ora io torno di là, che ho un paio di cose da fare. Appena arriva ti chiamo e concludiamo l'affare -Senza attendere risposta Gnarly uscì, chiudendosi la porta dietro le spalle.
Jamal tornò a rimuginare sul prezzo, senza venirne in alcun modo a capo. Non aveva la minima idea, era come chiedergli di calcolare l'orbita di un razzo o di determinare il prezzo di un'azione in borsa: non aveva nemmeno una base di partenza.
Poi iniziò a chiedersi quanto tempo sarebbe passatoprima di concludere la cosa. James e l'altro lo stavano aspettando, probabilmente aveva giàperso troppo tempo e lo stavano aspettando. Pensò di chiamarli, ma non aveva in mente alcuna scusa credibile. Decise di andare a vedere a che punto fosse Gnarly, per sollecitarlo: non aveva tutta la notte da perdere lui, che cazzo.
Abbassò la maniglia ma la porta non si aprì. Riprovò: niente.
Gnalry lo aveva chiuso dentro.
Jamal provò ancora ad aprire la porta; la scosse e provò a colpirla. Nulla.
Era ovvio che qualcosa non andava. Non sapeva cosa, ma non era certo normale venire chiusi dentro una stanza a quel modo. Doveva uscire da lì.
Fece qualche passo indietro per prendere lo slancio per provare ad abbattere la porta, quando la serratura scattò e la porta si aprì.
- Gnarly, ma che cazzo...-
Ma ad aprire la porta non era stato Gnarly, ma un uomo corpulento con un vistoso cerotto bianco sul lato della testa, che gli copriv anche parte della fronte: - Così ci rivediamo, stronzo - disse l'uomo con un sorriso luciferino, prima di colpirlo in piena faccia.
Mentre Jamal barcollava indietro, per poi crollare contro il muro, lo riconobbe: era l'uomo del distributore, quello cui aveva rubato la macchina.
- Questo è per il pugno che mi hai dato stamattina. E questo - gli diede un calcio nello stomaco che fece piegare in due Jamal, facendogli buttare fuori l'aria in un unico rantolo come un canotto bucato - è per avermi puntato contro una pistola. E questo - Jamal si rannicchiò in posizione fetale, in attesa dell'altro colpo, che però non arrivò.
- Herbert, basta, credo abbia capito il concetto. Lascia che gli faccia un paio di domande - alle spalle di Herbert comparve l'altro che era al distributore con lui. Lo afferrò per la maglietta, lo sollevò e lo posò sulla sedia, come fosse una bambola.
Jamal si chiese come avessero fatto a rubare loro l'auto, quella mattina.
Tony, senza dire niente gli diede uno schiaffo. Jamal sentì metà della faccia bruciare, l'orecchio fischiare, ma capì lo stesso benissimo quello che gli stava dicendo: - Dov'è Montecristo? -
Jamal lo guardò inebetito, rintronato.
Altro schiaffo, più forte. Il labbro che si spacca.
- Dove è Montecristo? - parole scandite lentamente, come rintocchi di campana.
- L'uomo nel bagagliaio? -
Tony ed Herbert non gli rispondono, limitandosi a guardarlo. Domanda inutile, è il caso che si sbrighi a rispondere alle loro invece di dire idiozie.
La porta si apre di nuovo, entra Gnarly.
- Gnarly, ma che cazzo hai fatto? - disperato, fissa l'ometto coi baffi, che allarga le braccia sconsolato: - Mi spiace, figliolo. Ma don Venanzio mi aveva chiesto di dare un'occhiata in giro, qualora vedessi la sua macchina, e non ho potuto fare ameno di aiutarlo. Ad un vecchio amico non si può negare un favore -
- Anche io e te siamo amici, cazzo -
- Jamal, francamente, tu non conti un cazzo. Se posso darti un consiglio, di a questi signori quello che vogliono sapere. In un modo o nell'altro lo sparanno comunque. Se glielo dici ora, eviterai che te lo chiedano in modo meno gentile tra poco. Non sono molto pazienti -
Herbert sorride facendo saettare lo sguardo dalla pressa che si vede fuori dalla finestra a Jamal.
Per la prima volta in vita sua, Jamal si trova a dover pensare, pensare sul serio. Pensare per salvarsi le penne. La prima idea che gli viene in mente è che se dice loro subito quello che vogliono sapere, è morto. Se dice loro che l'uomo del bagagliaio e James sono al magazzino quelli vanno lì e prelevano Montecristo. A lui e James, probabilmente, un colpo in testa.
Deve prendere tempo: - Non so dove sono - la mano di Tony, grande come un badile, si alza - mapossochimarliescopriredovesono. Posso fare una telefonata e scoprirlo -
Tony ed Herbert si guardano, poi annuiscono.
Lionel e James erano rimasti al magazzino. Dopo che il ragazzo gli aveva assicurato che nessuno conosceva quel posto, Lionel aveva preferito rimanere lì. Meglio lì che a casa di uno dei due, che di sicuro era più rintracciabile di quel posto. Se tutto fosse andato bene, entro poche ore sarebbe potuto sparire con i diamanti. E tanti saluti a don V., Herbert, Tony e a Mallont.
James non aveva distolto gli occhi da lui per un solo secondo, terrorizzato che potesse fare qualcosa all'improvviso. Probabilmente non lo aveva legato di nuovo solo perché temeva di sembrare ridicolo.
Lionel era divertito da tutto questo; il confine tra carceriere ed ostaggio si assottigliasse sempre di più: costretgti aprendere ordini da lui, pur di arrivare ai diamanti.
Mentre aspettavano che Jamal tornasse, Lionel gli aveva rapidamente spiegato dove fosse il bottino, senza però dargli dettagli sufficienti, poi aveva cercato di scoprire il più possibile su di lui e sul suo amico: da un lato perché raccogliere informazioni era una cosa che aveva fatto così tante volte da diventare un istinto automatico, dall'altro perché era sinceramente curioso di conoscere un po' meglio i due con cui aveva a che fare.
James gli aveva lagamente confermato quello che aveve intuito: erano due sbandati come tanti, come era lui prima di finire in riformatorio e inventare le regole. Probabilmente destino segnato e facilmente intuibile: in carcere o ammazzati da qualcuno per un motivo futile. L'incontro con Lionel probabilmente non avrebbe cambiato molto: anche se fossero davvero riusciti ad avere la loro parte, ciò non li avrebbe resi più intelligenti o avrebbe fatto cambiare il loro modo di vedere il mondo; Lionel si intristì a questo pensiero, ma del resto non poteva farsi carico delle sventure dell'umanità, non ancora, almeno.
James aveva provato a scoprire qualcosa di più sull'uomo del bagagliaio, come lo chiamava nella sua mente, ma aveva ottenuto ben poco. Tutto quello che c'era da dire, a detta sua, era già stato detto quando aveva raccontato loro come fosse finito là dentro.
Ben presto quindi la conversazione era giunta un punto morto ed entrambi attendevano il ritorno di Jamal, ad intervalli regolari alzandosi e camminando lentamente per il magazzino, le mani in tasca e i pensieri più vari in testa.
Improvvisamente una musichetta odiosa interruppe la lenta passeggiata circolare di Lionel. Si girò e vide James pescare dalla tasca il suo cellulare.
- Cazzo, è Jamal -
- Spera che il tuo amico non si sia messo nei guai, o lo siamo tutti -
James rispose. All'inizio sentì solo ansimi: - Jamal? Jamal? -
- James, mi hanno beccato -
- Come ti hanno beccato? Chi ti ha beccato? -
- Quelli di stamattina? Ricordi? I due della Mercedes? Sono qui. Sono gli uomini di don Venanzio -
- Merda, merda merda -
- Passalo a me - Lionel era comparso davanti a lui, tendendo la mano per farsi dare il telefono.
- Jamal, sono Lionel. Con chi sei? - cercò di avere un tono rassicurante, anche se avrebbe voluto strozzarlo per essere stato così idiota.
- Sono con i due di stamattina -
- Herbert e Tony? -
- Sì, credo si chiamino così. Sono i due di stamattina, cazzo -
Merda.
- E cosa vogliono? -
- Lo sai cosa vogliamo, stronzo -
- Herbert? -
- Esatto. Scommetto che non ti aspettavi di sentirci così presto. Ora ascoltami bene, perché questa storia è durata fin troppo. Vogliamo i diamanti e la roba. Siamo all'officina di Gnarly, sai dov'è. Hai mezz'ora di tempo per portarci tutto, poi ammazziamo il tuo amico qui. E troviamo anche te, ci facciamo dire dov'è la roba ed eliminiamo anche te. Puoi rendere le cose facili per tutti, o dannatamente difficili, ma il risultato finale sarà lo stesso. Hai mezz'ora -
- Lascia andare il ragazzo, Herbert. Lui non c'entra nulla -
- C'entra eccome, Lionel. C'entra perché se non mi porti la valigia entro mezz'ora, lui muore -
Click metallico alle sue spalle.
Un click che conosce fin troppo bene. James gli sta puntando contro la sua pistola: - Se Jamal muore, muori anche tu - poi gli fa cenno di continuare aparlare con Herbert.
Ci mancava anche questa. Deve provare a resuperare il controllo della situazione.
- Aspetta, aspetta. Io non ho recuperato la valigia. Non ne ho avuto il tempo. So dov'è, ma non ce l'ho ancora. Mezz'ora non mi basta. Se è ancora dove l'ho lasciata due anni fa, mi ci vuole più tempo -
Silenzio dall'altra parte. Voci sommesse di un rapido conciliabolo. Poi Herbert torna a farsi sentire: - La valigia la recuperiamo insieme. Dicci dov'è e ci troviamo lì; tu la prendi, ce la consegni e se è tutto a posto ti ridiamo il tuo amico e ve ne andate tutti sani e salvi -
- E chi mi garantisce che dopo aver avuto la valigia non ci eliminate tutti? -
Risata dall'altra parte: - Non fare l'ingenuo, Lionel: nessuno te lo garantisce. Ma non sei nella situazione di poter chiedere niente. Se non porti la valigia, lui muore -
- Non mi importa niente di quel tizio. Lo conosco appena. Lui e quell'idiota del suo amico stamattina vi hanno rubato l'auto nel cui bagagliaio per caso c'ero io. Non mi volevano fare scappare, so a stento i loro nomi -
- Lo so Lionel, lo so. Ma quello che è lì con te sono sicuro che non è dell'idea di fare morire il suo amico, quindi farai quello che ti dico io. E poi chi vuoi ingannare, Lionel. Lo sappiamo tutti che in realtà sei un cuore tenero e la morte di questo ragazzo sulla coscienza non la vuoi -
Davanti a lui, James continuava a puntargli contro la pistola, cercando di cogliere le parole di Herbert che uscivano dal cellualare
Ogni minuto che passava, il suo peggior incubo si concretizzava a tinte sempre più fosche: essere costretto ad un gioco del quale non fissava lui le regole. Ora era davvero incastrato.
- Lionel? Sei ancora lì? - voce in falsetto di Herbert - allora? Dov'è la roba? Dove ci incontriamo? -
- Voglio che venga anche don Venanzio. Soltanto a lui consegnerò la roba. Se c'è uno di cui forse posso fidarmi, è lui -
- Lionel, don Venanzio è un uomo occupato, non può certo venire -
- Stronzate. Sono due anni che aspetta la sua valigia. Chiamalo e digli di venire, sono sicuro che anche lui vuole partecipare alla festa. Non si farà sfuggire l'occasione di mettere per primo le mani sul bottino -
- Va bene, Lionel. Vedrò cosa posso fare. In fondo hai ragione: quando ti abbiamo prelevato da davanti la prigione, don Venanzio ti stava aspettando a casa, voleva parlarti di persona -
- Che gentile, dopo che due anni fa mi ha fatto sparare addosso -
- Ecco, anche in quel caso c'è un malinteso. Non erano nostri uomini quelli che ti hanno sparato. Ma poi ti spiegherà lui. Ora basta cazzate. Dimmi dov'è la valigia e dove dobbiamo vederci -
Lionel strinse i denti. Non aveva scelta, doveva fare quello che gli dicevano ed improvvisare all'ultimo. Le regole le aveva inventate proprio per non trovarsi in una situazione del genere. Proprio per evitare che la sua vita dipendesse dalla fortuna, dall'improvvisazione, da variabili incontrollabili. E adesso tutte le regole si stavano rivelando inutili.
- Lioneeel? Allora? Dove ci troviamo? -
- Chiesa di San Lazzaro, tra un'ora. Porta il ragazzo e fai venire don Venanzio, o l'accordo salta a costo di farmi sprare, e lo sai che lo faccio. Inoltre senza il mio aiuto non troverai mai la valigia, anche se sai che è nella chiesa -
- Certo Lionel. Non abbiamo alcun motivo di infrangere il patto -
- Tra mezz'ora -
La chiesa di San Lazzaro era immersa nel silenzio. Una grande chiesa moderna, al centro di un parco nella parte nord di Mallont, accanto ad un piccolo cimitero.
Lui e Mike ci avevano fatto i chierichetti fino a quando avevano dieci anni. Non era la chiesa del loro quartiere, ma il padre di Mike per qualche oscura ragione si era sposato lì e ci teneva che il figlio facesse il chierichetto lì; quello che invece Mike faceva il resto della settimana non lo riguardava.
Lionel aveva seguito l'amico in quella specie di passatempo sperando di poter rubare qualcosa, ma da quando vi aveva messo piede la prima volta, il suo scopo gli era subito passato di mente: quell'immensa chiesa era grande ed affascinante, il prete simpatico senza essere ambiguo e servire messa lo faceva sentire, per la prima volta in vita sua, importante, con un ruolo di responsabilità.
Era da più di due anni che non la vedeva. Da quando, nella notte prima di andare da Queequeg, con Mike era andato nel cimitero dietro essa per nascondere il bottino nella cappella di famiglia.
Quella cappella era stata comprata un po' di anni prima, all'inizio della loro carriera, da Mike. L'aveva acquistata per quattro soldi ad un'asta giudiziaria, in cui venivano venduti all'incanto i beni di un piccolo imprenditore fallito.
Quando gli aveva annunciato che aveva investito un belpo' dei loro soldi in due loculi, Lionel lo aveva preso per matto, ma ben presto il suo progetto si era delineato: con qualche bustarella e l'aiuto di un contatto nell'amministrazione comunale, aveva provveduto a farla registrare sotto falso nome e a far risultare che in essa avevano trovato eterno riposo due coniugi, ovviamente inventati anch'essi. Quel posto, che non era in alcun modo ricollegabile a loro, era divenuto negli anni il nascondiglio perfetto per la loro refurtiva. Di facile accesso a qualsiasi ora del giorno e della notte senza timore di venire visti o individuati, lo si apriva con una semplice chiave che, se anche fosse stata persa o trovata addosso ad uno di loro, sembrava una normale chiave di un portone.
Anche in quell'ooccasione, quindi, vi aveva trovato nascondiglio la valigia di don Venanzio.
Seguito da James, Lionel varcò il grande cancello sempre aperto che introduceva nel parco. Grandi viali alberati coperti di ghiaia rosa ed ornlati da aiule: si vede subito che sono usciti dal quartiere.
James lì non ci era mai stato e camminava guardandosi intorno, la ghiaia che scricchiolava ad ogni passo.
La cattedrale si stagliava illuminata appena da un quarto di luna; il resto della poca luce era dato dai fiochi lampioni sparsi per il parco. La costeggiarono ed arrivarono fino al cancello chiuso del cimitero.
- Bene ragazzo, diamoci da fare -
- Sicuro che non ci sia nessuno? -
- Non c'è nessun custode e nessuno in giro, muoviamoci - le uniche informazion che aveva su quello che stava per fare.
Il muro era abbastanza basso e Lionel ovviamente conosceva un punto dove si poteva facilmente scavalcare con l'aiuto di un albero che vi cresceva lì acccanto.
James lo osservò arrampicarsi agilmente e saltare al di là della recinzione senza quasi fare rumore, poi provò ad imitarlo.
Da dentro il cimitero, Lionel vide l'albero iniziare a tremare e a perdere foglie come se fosse scosso dal vento, facendo un rumore che gli sembrò un fracasso quasi assurdo. Poi finalmente James spuntò tra i rami, più in alto del muro.
- Cosa aspetti, salta? - gli sibilò, spazientito, guardandosi intorno.
- Ma è alto -
- Idiota, salta. Come l'ho fatto io lo fai anche tu -
Dopo ancora qualche esitazione James saltò ed atterrò pesantemente sulla ghiaia del vialetto del cimitero. Poi si accasciò a terra, senza fiato per l'impatto, gemendo sommessamente
- Ringrazia che non c'è nessuno in giro. Sei agile come unsacco di mattoni. Non lo sai che non si deve saltare così rigidi? -
- Non potevi dirmelo prima? -
- Pensavo tu avessi avuto un'infanzia in cui andavi a giocare al parco. Ora muoviamoci -
Lionel si avviò verso il centro del cimitero. James, dolorante, si alzò e lo seguì, zoppicando per i primi metri.
La stradina, di ghiaia rosa come il parco, era costeggiata da tombe. Qualche metro più in là cominciavano le varie cappelle: piccoli edifici bassi dalle forme più diverse. Anche se non c'erano luci, a parte qualche lumino elettrico che birllava sulle tombe o davanti alle cappelle, gli occhi di Lionel si erano oramai abituati all'oscurità ed individuò immediatamente la cappella. Era un edificio in cemento e marmo, sormontato da una grande croce e con piccole finestrelle in alto.
Prese la chiave ed aprì il portoncino in metallo e vetro smerigliato, che emise un sinistro cigolio e a Lionel sembrò distintamente di sentire James inghiottire un groppo di paura.
Un forte e familiare odore di aria stantia lo investì e fece esitare james.
- Muoviti, non abbiamo tutta la notte -
Il ragazzo entrò ed a un suo cenno chiuse la porta.
L'interno era un'unica stanza, con diverse piante e fiori di plastica che Mike aveva portato appositamente. Al centro troneggiavano affiancati due sarcofagi in marmo rosso, sormontati da un'unica lapide.
Mike aveva anche fatto incidere sulla lapide da un suo amico scalpellino - che di solito si occupava, con scarsi risultati, di falsificare opere d'arte - i nomi fittizi ed aveva provveduto a mettervi sotto due fotografie di due vecchietti sorridenti, un uomo ed una donna, che aveva ritagliato dalla pubblicità di una pasta per dentiere trovata in una rivista.
Il tutto dava un effetto assolutamente realistico, al punto che James lo guardò interdetto: - È il posto giusto, ora aiutami - lo prevenne Lionel, raccogliendo da terra una torcia elettrica che avevano lasciato appositamente lì.
Si avvicinò alla lapide che era poggiata sul fondo dei due sarcofagi e rimosse due grandi piante finte che la fiancheggiavano. Nascosti dai vasi, alcuni ganci di metallo a vite tenevano ferma la lapide contro i sarcofagi. Poi si rivolse a James: - Svita i due ganci di destra, io svito quelli di sinistra. Poi la spostiamo.
James non ribattè ed ubbidì. Le viti erano a testa larga, di quelle che si possono svitare senza cacciavite. In un paio di minuti rimossero i ganci, poi Lionel si alzò e afferrò la lapide: - Io la sposto, aiutami e stai attento che non cada indietro.
Lentamente fecero scivolare la lastra di marmo lateralmente, scoprendo il lato corto di uno dei due sarcofagi, che Mike aveva rimosso. In questo modo, spostando la lapide, si aveva direttamente accesso allo spazio in cui doveva esserci la bara.
- Prendi la valigia, io sono vecchio - disse Lionel ansimando, illuminando la cavità.
Controvoglia James si piegò e mise la testa dentro. L'odore lì era ancora più penetrante che dentro la cappella: di chiuso e di marcio, e per un istante James dubitò che i cadaveri ci fossero davvero.
Poi vide il bagliore metallico della valigetta, l'afferrò e si rialzò. Pesava molto di più di quanto si aspettasse.
- Ora rimettiamo a posto -
In pochi minuti richiusero tutto, rimisero a posto le piante ed uscirono fuori. Lionel, la valigia in mano, si diresse dalla parte opposta da cui erano venuti.
James posò la mano sulla pistola: - Dove stai andando -
Lionel si girò, interdetto: - All'uscita: non possiamo ripassare da dove siamo venuti: non ci sono appigli - sbuffò.
James si rilassò. Camminarono fino ad un angolo del muro di cinta, dove una bassa cappella mortuaria dal tetto quasi piatto era affiancata da una grande tomba in marmo nero.
Senza dire nulla Lionel si arrampicò sulla tomba, posò la valigia sul tetto della cappella, poi vi si arrampicò. James cercò di imitarlo, impacciato dai pantaloni troppo larghi. Dopo un paio di annaspamenti a vuoto, riuscì ad issarsi sul tetto. La cappella era addossata al muro di cinta. Lionel lanciò la valigia al di là del muro, poi saltò anche lui, sparendo nel buio.
Cazzo, avrebbe dovuto prendersi lui la valigia, non lasciarla a Lionel.
James tirò fuori la pistola e la puntò verso il parco, dove distingueva appena le sagome di alcuni alberi: - Se fai un altro passo ti sparo -
La voce, calma, giunse da un punto più lontano da dove stava mirando: - Non vado da nessuna parte, ora muoviti -
James fece un sospiro e saltò. Atterrò su un'aiula d'erba e fece una mezza capriola. Si alzò subito e puntò la pistola contro Lionel, a pochi metri da lui: - Dammi quella dannata valigia -
- Cosa pensi, di presentarti da don Venanzio con la valigia in mano? Così ti spara, spara al tuo amico e se ne torna tutto contento a casa? Dammi retta, ragazzo; se vuoi uscirne vivo, la cosa migliore che puoi fare è lasciare fare a me - e senza aggiungere altro si diresse verso l'ingresso principale della chiesa, ove avevano appuntamento con don Venanzio.
Il sagrato era ancora deserto; Lionel consultò il suo orologio e vide che erano in anticipo di circa un quarto d'ora. Perfetto.
Il portone massiccio della chiesa li osservava nero e silenzioso, fiancheggiato da due porte minori e da quattro grandi colonne che sostenevano uno stretto porticato che ripava gli ingressi. Lionel si avvicinò ad una delle due porte più piccole ed iniziò ad armeggiarci.
- Che fai? - chiese nervoso James, guardandosi intorno.
- Cosa credi, che avremmo aspettato don Venanzio qui, davanti alla chiesa, per farci impallinare non appena i fari della sua auto ci illuminano, come conigli? -
La grande e vecchia serratura che chiudeva la porta finalmente cedette e Lionel sgusciò dentro, seguito da James sempre più stupito.
La chiesa era fresca e buia. Appena i suoi occhi si abituarono all'oscurità, Lionel potè scorgere le panche e la sagoma nera e indefinita del mastodontico altare in fondo alle tre navate.
Ma Lionel non si diresse verso l'altare. Camminò verso sinistra finchè non trovò una scala stretta che, quasi invisibile nel buio, portava all'organo. L'organo, con le sue migliaia di canne dorate, era infatti posizionato su un soppalco sopra le porte d'ingresso. Lo spazio là sopra era angusto e Lionel e James ci stavano a stento.
- Ma perché siamo saliti qua sopra? Come facciamo a...-
- E taci un attimo. Lasciami lavorare -
Lionel aprì una finestra e la scavalcò, sparendo nel buio. James si affacciò per capire dove stesse andando.
La finestra era una delle grandi finestre dai vetri colorati che si aprivano nella facciata principale, ed arrivava fin quasi al pavimento del soppalco. Scavalcandola, Lionel era giunto sul tetto dello stretto portico sostenuto dalle quattro colonne che proteggeva le tre porte d'ingresso.
- Cosa aspetti, muoviti - gli sibilò Lionel.
Con ulteriori movimenti impacciati James riuscì finalmente a scavalcare. Da dove erano, pur essendo solamente a circa quattro o cinque metri d'altezza, riusciva a vedere tutto il sagrato e il sentiero del parco che portava fino al cancello dal quale erano entrati.
- Ehi, un momento, dov'è la valigia? -
- L'ho lasciata vicino all'organo, subito accanto alla finestra
- Perché? -
- Senti, se vuoi salvarti le penne, devi fare esattamente quello che ti dico, non ci sarà tempo per i perché -
- Va bene, ma mentre aspettiamo me lo puoi dire -
- Per i motivi che ti ho detto prima: la valigia gliela facciamo vedere solamente quando vediamo che il tuo stupido amico è vivo. Finché non sanno dove sia la valigia non possono farci fuori. È lo stesso motivo per cui sono voluto salire qui: li vedremo bene, loro ci vedranno molto poco perché qui non ci sono luci e se dobbiamo scappare loro ci metteranno un po' a capire da che parte siamo andati. Ora aspetta che devo fare una cosa -
Aprì la valigia e ne controllò il contenuto. Ovviamente era tutto come dua anni prima. I diamanti contenuti in un grosso involto - una federa di cuscino, in casa non avevano altro - in cui avevano unito i vari sacchetti, sotto le buste di cocaina.
Lionel prese l'involto e richiuse la valigia.
- Perché lo tiri fuori? -
- Perché non intendo certo dargli tutto in una volta. Gli tiro i diamanti, lui rilascia Jamal, poi gli lancio la valigia. Cerchiamo di avere un qualche controllo sulla trattativa. Quando Rilascia il tuo amico idiota, gli dirò di entrare nella chiesa. Tu sarai sotto, ad aspettarlo. Non uscire per nessun motivo, lascia che sia lui ad entrare. Una volta dentro correte verso l'altare ed entrate nella sacrestia, alla sinistra dell'altare -
- Cos'è la sacrestia? -
- È una stanzatta a sinistra dell'altare. Entraci. Sulla parete di fondo c'è una finestra che dà sul restro della chiesa. Apritela e scappate da lì. Attraversate il parco ed uscite -
- E tu? -
- Io ho altri programmi. Tu fai quello che ti dico e basta -
James annuì, sembrava più convinto. Tirò fuori la pistola e la soppesò in mano, guardandola.
- Ecco, se vuoi uscirne vivo quella devi scordartela -
- Ma... -
- Niente ma. Quelli che arrivieranno saranno meglio armati, più numerosi e sanno sparare decisamente meglio di te. Quindi ora ti scordi di avere la pistola e lasci fare a me -
James rinfilò controvoglia la pistola nella cintura dei pantaloni
- Ascoltami, ragazzo, Se vuoi rivedere vivo il tuo amico, devi fare quello che ti dico. Non stiamo giocando e siamo in questa situazione di merda perché quell'idiota del tuo amico non ha fatto quello che gli ho detto. Quindi adesso tu scendi, aspetti il tuo amico e non farai e dirai niente. Parlo io con don Venanzio, discuto io con i suoi uomini e cerco io di far rilasciare tutto intero il tuo amico. Tu non farai nulla. Chiaro? -
James annuì, anche se dopo un'esitazione.
- Mi fa piacere, perché se fai un'idiozia ci lasciamo tutti le penne, e io non ne ho nessuna voglia -
Il ragazzo rembrò riflettere, contrito: - Verrà?
- Verrà, verrà, anche solo per piantarci una pallottola in testa -
- Ma tu sei sempre così ottimista? -
- Dopo quello che è successo oggi, non mi permetto nemmeno di usare più la parola sperare -
La prima macchina svolta lentamente nel parco, dirigendosi verso la chiesa in uno scricchiolio di ghiaia, subito seguita da un'altra, identica.
La prima si ferma all'inizio del viale, la seconda prosegue fin davanti al sagrato, fermandosi sotto di loro.
La portiera anteriore si apre, un'ombra nera scende e rapidamente apre quella posteriore. Don V. si materializza fuori dall'auto. Si guarda intorno con aria placida, poi si incammina lentamente verso la chiesa, fermandosi al centro del sagrato.
Chiunque altro si sentirebbe un bersaglio. Lui no. Sa bene che nessuno oserebbe mai fare quello che nemmeno immagina, men che meno il ladro e quello sbandato ignorante.
È venuto solamente perché è il modo più rapido per chiudere la cosa, per recuperare diamanti e merce in modo semplice e senza troppo clamore. Ma è venuto anche perché, in fondo, la cosa lo diverte.
Con le mani nelle tasche del suo vestito fatto su misura, si guarda intorno nello spiazzo deserto, in attesa che le sue controparti si facciano vive. Non ha fretta, sta assaporando una sensazione che non provava da tempo: anche se i suoi uomini lo sorvegliano da vicino, è solo davanti al suo avversario.
- Don Venanzio, buonasera - la voce di Lionel risuona nel buio, da qualche parte in alto, un po' incrinata da una tensione che don V. percepisce perfettamente.
Alza la testa di scatto e sorride: - Buonasera Lionel, che posto solenne hai scelto per incontrarci -
- Ha ragione, spero le piaccia lo scenario. Del resto l'ultima volta io sono venuto da lei, questa volta lei viene da me. -
- Giusto, anche se casa mia è un po' meglio di questo posto -
- Cosa ci vuole fare, noi siamo persone semplici, ci accontentiamo di poco -
- Non fare il modesto, Lionel... comunque, come va? -
- A parte il fatto che ha cercato di uccidermi, tutto bene, lei? - Lionel sembra pi? deciso.
- Abbastanza bene, Lionel. Ma, come te, ho anche io avuto un intoppo, un problema di affari, che forse tu puoi aiutare a risolvere -
- Probabilmente posso, ma anche lei deve aiutarmi. Come sa, niente per niente -
- Ma certo, Lionel, lo sai che io gli amici li aiuto -
- E prova anche ad ucciderli, gli amici? -
- Ecco, diciamo che c'è stato un malinteso -
- Suvvia, Lionel, sono passati due anni -
- Detto da lei mi sembra molto strano... non mi sembra quel genere di persona che dimentica facilmente -
- Già, hai ragione. Diciamo che due anni fa ci fu un malinteso -
- Un malinteso che mi stava per costare le penne -
- Vedi, Lionel, i miei uomini si sono fatti un po' prendere, diciamo, dalla foga. Mi spiace, non sarebbe dovuto succedere. E quelli che vi hanno assaliti per strada, vicino al locale di Queequeg, non erano miei uomini, ed hanno agito anche contro i miei interessi. Sono stati ovviamente puniti per questo. Arrivati a questo punto, posso anche dirti mi spiace per il tuo amico e lo dico sinceramente. Non era mio interesse che morisse. Come ti ho detto, quelli che lo hanno ammazzato non rispondevano a miei ordini e l'hanno pagata per avermi disubbidito. E lo sai che se voglio farla pagare a qualcuno lo faccio -
- Non ne dubito. -
- Veniamo al dunque, Lionel. Cerchiamo di venirci incontro. Tu hai una cosa che mi appartiene, e giustamente in cambio vuoi qualcosa da me. Allora? -
- No, don Venanzio. Io la sua roba gliela ridò senza problemi, perché è sua;. Ne sono venuto in possesso per un malinteso, per usare le sue parole. Non voglio niente in cambio altrimenti sarebbe un ricatto, non un accordo -
Lionel si gode per qualche istante il silenzio interdetto di don V.: - È che ho anche un'altra cosa, che so che le interessa. E come ben lei sapra', nel mondo degli affari purtroppo non c'è posto per la gratuita'. È per questa seconda cosa che le interessa che voglio qualcosa in cambio -
Anche se Lionel tace, Don V. non lo interruppe, continuando a guardare verso l'alto, verso il buio da cui proviene la voce di Lionel. Il volto imperturbabile, anzi increspato da un leggero sorriso, ma Lionel sa che sta aspettando la sua mossa, oltre probabilmente a chiedersi dove sia nascosto Mike.
- Vede, don Venanzio, quello che io ho e che non è suo è molto richiesto sul mercato. O meglio, ci sono delle persone che sono sicuro farebbero carte false per averla. Ma lei mi è simpatico, don Venanzio, e quindi voglio venirle incontro. Se lei mi dara' quello che voglio in cambio, io seduta stante le do la merce; quelle altre persone non sanno che ho qualcosa che a loro può interessare, quindi evitero' di contattarli e chiudiamo qui l'affare. Oltre, ovviamente, a darle le sue cose di cui, come detto, sono giunto in possesso solo per un malinteso -
Il sorriso di don V. si allarga, fino a divenire un ghigno da squalo. Smette di guardarsi intorno e appunta lo sguardo su un punto preciso del tetto, e Lionel trattiene il fiato, convinto che sia riuscito a vederlo, benche' sia impossibile.
-Lionel, Lionel - ridacchia - decisamente ci sai fare, devo dartene atto. Hai ragione, quella merce mi interessa. Ma ricordati che anche io ho qualcosa che interessa a te. Se vuoi che torni sano e salvo ti conviene che quello che mi appartiene e quello che, come di ci tu, mi interessa sia pronto per me -
- Non si preoccupi, don Venanzio. La sua roba è qui vicino, pronta per essere consegnata. Invece, il nostro amico, per chiamarlo così, è qui? -
Don V. fa un cenno verso la macchina. L'ombra che gli aveva aperto al protiera va verso l'altra auto, posteggiata più indietro. Apre la portiera e scendono altre tre figure. Si dirigono verso la prima auto, sotto le luci dei lampioni. Due sono Herbert e Tony, in mezzo a loro trascinano Jamal. Si fermano dietro l'automobile di don V., attendono.
Anche se è c'è solo la luce dei lampioni a rischarare la scena Lionel riesce a vedere il pallore di Jamal, lo sguardo vacuo. Se Tony ed Herbert non lo tenessero probabilmente cadrebbe a terra.
- Come vedi il tuo amico è sano e salvo - sorriso da squalo in direzione del buio, in alto.
- Ora tocca a te Lionel. Dov'è la mia merce? -
- Ho bisogno di un'altra cosa da lei, don Venanzio. Quello che voglio è essere lasciato in pace. Un malinteso, come lo chiama lei, posso anche tollerarlo, puo' capitare, anche tra gentiluomini. Ma se dovessero esserci ulteriori problemi tra noi, potrei iniziare a pensare che lei ce l'abbia con me - Lionel si ferma per prendere fiato. Sta sfidando don V. sul suo stesso piano, sta ponendo condizioni, ma non c'è altra via; se vuole sopravvivere deve trattarlo da pari - e se lei ce l'avesse con me sarei costretto a chiedere aiuto. Come sa io mi occupo di altro genere di affari rispetto a lei, quindi sarei costretto a contattare quelle persone di cui le dicevo prima, che probabilmente sono interessate alla merce e che forse potrebbero aiutarmi. Non ho interesse a farlo, la questione si puo' chiudere qui. Ma se non si chiudesse come spero, come speriamo entrambi, avrei per forza bisogno di aiuto -
Scende il silenzio. Don V fa qualche passo lento per il parcheggio, le mani intrecciate dietro la schiena. Si guarda intorno con calma, come se stesse passeggiando. Lionel è come ipnotizzato, deve sforzarsi per distogliere lo sguardo e controllare che il terzetto dietro la macchina sia ancora ferma accanto alla macchina, immobile.
- E allora facciamolo, questo accordo - dice allargando le braccia, il volto sempre sorridente appena illuminato dalla luce dei lampioni.
- Quindi lei mi da' la su parola che nessuno dei suoi uomini verra' a cercarci, in nessun modo e per nessuna ragione e per nessuno motivo? Che, senza offesa, non avremo pi? nulla a che fare con lei e che i nostri rapporti sono finiti? -
- Ma certo Lionel, ma certo, se è questo che vuoi. Prima pero' devo vedere se davvero hai quello che mi interessa -
- Intanto prenda questo, è la sua roba - Lionel lancia l'involto coi diamanti, che cade con un tonfo ovattato sull'asfalto. Lo ha lanciato il pi? possibile lontano, in modo che don V. o i suoi uomini non capiscano dove si trova lui. Don V. non si avvicina. Fa un cenno impercettibile all'ombra rimasta vicino all'auto, che lesta attraversa il sagrato ed apre l'involto ed estrae le buste di velluto coi diamanti. Li controlla rapidamente, poi fa un cenno di assenso a don V. e torna rapido e silenzioso alla macchina, con l'involto sotto braccio.
- Questo per dimostrarle la nostra buona volontà, don Venanzio. Ora, possiamo concludere l'accordo? La merce che le interessa in cambio del ragazzo e della garanzia di essere lasciati in pace? -
- Va bene, Lionel, va bene, concludiamo questo accordo -
- Ho la sua parola? - e qui Lionel trattiene il fiato
- Hai la mia parola - annuisce lentamente don V.
- Molto bene, don Venanzio. Lasci andare il ragazzo. Quando sarà entrato nella chiesa le lancerò la valigia con la sua roba. Così tutto questo si concluderà.
Don V. continua a guardare in alto, sempre con il suo sorriso da squalo. Anche se è immerso nel buio, Lionel per l'ennesima volta ha la sensazione che sappia esattamente dove si è nascosto, e non può fare a meno di provare un brivido.
Dopo qualche secondo di immobilità sorridente, don V. si gira verso l'automobile e fa un cenno. Tony e Herbert lasciano andare il ragazzo. Jamal sembra cadere appena gli manca il sostegno. Si guarda intorno, poi con passo incerto si avvicina alla chiesa. Inizia a camminare piano, poi sempre più veloce e giunge al portone quasi correndo ed inciampando nei pantaloni troppo larghi.
Lionel lo perde di vista appena passa sotto di lui, ma sente la porta aprirsi e chiudersi.
Spera che quei due idioti facciano quello che ha detto loro, o saranno guai per tutti.
- Il ragazzo è salvo, Lionel. Ora, la mia roba -
Il tono di voce di don V. si è fatto impaziente; anche se tutto questo lo ha un po' divertito, ora vuole chiudere la cosa, subito.
- Ecco la sua roba, don Venanzio -
Lionel getta la valigia, che atterra con un tonfo che sembra un'esplosione sul selciato del sagrato. Don V. fa un altro cenno in direzione dell'automobile e la solita ombra si avvicina trotterellando alla valigia. La apre, la controlla, fa cenno che è tutto a posto e poi torna verso il veicolo.
È come uno sbuffo ovattato che viene subito inghiottito dagli alberi e dal silenzio del parco, una fiammata che Lionel coglie solo con la coda dell'occhio. Vede invece bene l'ombra stramazzare al suolo, una vampata di sangue al posto della testa.
La valigia gli sfugge di mano e scivola sul sagrato fino ai piedi di don V.
Il boss si gira verso l'automobile, ma cade prima di poter fare un altro passo. Altri sbuffi nel buio, altre fiammate che svaniscono subito, come lucciole tra le ombre degli alberi.
I vetri delle due automobili si frantumano uno dopo l'altro, i copertoni esplodono e le auto crollano di colpo.
Herbert e Tony vengono falciati uno dopo l'altro e satramazzano al suolo a pochi metri dall'auto. Gli sbuffi continuano finché non si muove più nulla, finché tutto è fermo attorno alle due auto e si sente solo il vento tra le foglie. Una bucolica scena di sangue.
Altre ombre iniziano ad uscire caute dai cespugli, Si avvicinano lentamente alle macchine, le armi puntate.
Lionel ha visto abbastanza.
Si gira, scavalca la finestra, torna nel buio della chiesa, le tasche appesantite dai veri diamanti di don V.
Per la prima volta da tanto tempo, dai tempi di Rusty Hill, ha inserito nel piano una variante incontrollata. È stato un colpo di testa, una decisione proveniente dalla semplice considerazione che le sue regole si mostravano insufficienti ogni minuto che passava, totalmente impotenti fin da quando don V. lo aveva contattato, due anni e mezzo prima.
Per tutto eurl tempo aveva cercato disperatamente di applicare le regole come aveva sempre fatto, di cercare dci controllare tutto quello che stava accadendo, senza nessun risultato. Così, quando Herbert lo aveva chiamato, trionfante, aveva deciso che le regole non funzionavano più, che era meglio agire d'istinto.
Così, senza nemmeno pensarci, appena aveva terminato la telefonata con Herbert aveva chiamato Queequeg ed era andato al suo bar, lasciando il ragazzo in macchina ad attenderlo, ignorando del tutto le sue proteste.
Era entrato dal retro, la porta era socchiusa. Il barista lo attendeva seduto su una cassa di alcolici, le braccia tatuate incrociate sul petto. Il suo sorriso brillò sul volto olivastro vedendolo entrare.
- Lionel, Lionel... l'ultima volta che ci siamo visti, dua anni e mezzo fa, eri esattamente nella stessa situazione. Da quando don Venanzio ti ha coinvolto in questa storia, la tua vita è un bel casino -
- È proprio quello che pensavo, Queequeg, ed è per questo che sono qui; è il caso di chiuderla una volta per tutte -
- C'è gente che ti cerca Lionel, lo sai? -
- Un gruppetto di sudamericani, immagino -
- Esattamente. Come sai io non so nulla, ma le voci corrono molto rapide, e a quanto pare è da quando eri dentro che ti tengono d'occchio -
Lionel non era rimasto più di tanto stupito. Era ovvio che con il casino che era successo al furgone anche i colombiani che facevano affari con don V. qualcosa lo sarebbero venuto a sapere. Ovviamente non tutto, ma abbastanza per decidere di controllarlo, giusto per scrupolo, sia mai che quel tizio ci riposti alla nostra roba.
- Lo supponevo. Sarebbe stato da idioti pensare che avessero rinunciato ad ogni pretesa. Quindi immagino sappiano anche che sono uscito -
- Lo sanno eccome, ma ti hanno perso di vista. Li hai seminati? -
- Più o meno... diciamo che per l'ennesima volta la situazione mi è sfuggita di mano -
- Non è proprio da te -
- Lo so, ma come hai detto tu, la mia vita è un casino ultimamente. Bene, visto che mi cercano, di' loro che mi troveranno tra un'ora e mezza alla chiesa di San Lazzaro. Ci sarà uno scambio. Io darò a don Venanzio i diimanti e la roba, lui mi ridarà... diciamo un amico. Anche se il preavviso è poco, sono sicuro che riusciranno ad arrivare in tempo, ansiosi come sono di recuperare la loro merce -
- Lionel, sei sicuro di quello che stai facendo? -
- Per niente. Ma ho smesso da tempo di essere sicuro delle cose. Tutti i miei calcoli sono miseramente falliti. Sarà don V., o che sto invecchiando, non lo so. Quindi tanto vale giocarsi il tutto per tutto. Tra un'ora e mezza io darò i diamanti a don Venanzio, lui mi ridarà l'ostaggio, poi gli lancerò la valigetta con la droga. Parlerò con don Venanzio e gli farò dire quello che i colombiani sospettano da quasi tre anni: che li ha fregati. A quel punto quando gli avrò dato la droga, immagino sappiano già cosa fare; non devo certo spiegarglielo io. Il resto non mi interessa -
- Lo sai che è un azzardo? Che niente impedisce ai coombiani di afre fuori anche te? -
- Lo so benissimo. Da un lato conto sul fatto che mi siano in qualche modo grati per aver dato loro l'opportunità di riprendersi la loro roba. Senza di me non avrebbero mai avuto questa possibilità. Dall'altro lato... dall'altro lato non me ne frega più nulla. Finora la prudenza non ha minimamente pagato, adesso sono stanco, è ora di inventarsi qualcosa di imprevedibile. I colombiani mi elimineranno don Venanzio e si riprenderanno al loro roba. Io sparirò nel nulla coi diamanti. Il buon Mike a suo tempo aveva già provveduto a procurarsi dei dimamanti fasulli e li aveva messi nella valigia -
- Diamanti finti? -
- Dopo quello che ci aveva fatto passare, non avevamo alcuna intenzione di ridargli i suoi maledetti dimamanti, non tutti almeno. Così Mike si era procurato da un amico falsario un po' di diamanti sintetici. Li aveva mescolati agli originali, sostituendone la metà circa. Poi successe l'imprevisto e non se ne fece nulla. Ma le due valigie e i diamanti veri sono ancora dove li abbiamo lasciati. Ora è il momento di usarli. Quando i colombiani lo scopriranno, daranno la colpa a don V., e saranno ancor più contenti di averlo fatto furi: penseranno che volesse fregarli fin dall'inizio, dalla conclusione dell'acquisto -
- Lo sai che io non voglio sapere nulla di niente, Lionel. Io ascolto solo quello che succede intorno a me e ogni tanto riferisco messaggi, ma questa volta mi spiace non poter fare nulla di più -
- Va bene così, Queequeg. Saprai molto presto com'è andata a finire. In ogni caso, spero di rivederti, quando le acque si saranno calmate e potrò tornarmene in giro -
Poi era semplicemente uscito da dove era entrato, sentendosi stranamente più leggero, più sereno. Le domande di James che gli sembravano un sottofondo inudibile e tranquillo.
Al cimitero, mentre il ragazzo si infilava nel sarcofago a recuperare la valigia, aveva preso l'involto coi diamanti veri che Mike aveva sosituito e che erano ancora nascosti nel vaso della pianta finta nella cappella.
L'aria della notte è serena ed immobile. Mentre scavalca la finestra della sacrestia, lasciata aperta dai due ragazzi, pensa che si sente finalmente sereno dopo tanto tempo. Don V. è morto, i colombiani sono soddisfatti, hanno la loro roba e adesso ci penseranno loro a vedersela con la mafia.
Agli sgherri di don V. non importerà più nulla di lui: adesso avrenno problemi ben più grossi da risolvere, e soprattutto non penseranno mai che sia stato lui a chiamare i colombiani; nessuno sarebbe stato mai così stupido da correre un rischio simile.
Invece lui per la prima volta in vita sua l'ha fatto, e adesso è libero.
Non gli importa nulla di quello che succederà, se userà i diamanti per andarsene su un'isola tropicale o li investirà in immobili o chissà cosa... non vuole nemmeno pensarci.
Sa solo che adesso è libero, l'aria della note è piacevole e respira sereno a pieni polmoni come da tre anni non riusciva più a fare; ed è questo tutto quello che importa.
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