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Don Giuseppe Puglisi: la forza del garbo

Chissà se esiste una relazione del tutto trascendente fra persone tra loro sconosciute, vissute in luoghi e in epoche differenti, ma accumunate dal coraggio e segnate dal medesimo destino?
Cosa hanno in comune il vescovo salvadoregno Óscar Arnulfo Romero e il sacerdote palermitano don Giuseppe Puglisi?
Entrambi furono assassinati, in virtù della loro testimonianza: Óscar Arnulfo Romero fu trucidato con una pallottola che gli recise la vena giugulare, mentre stava elevando l'ostia; Giuseppe Puglisi fu soppresso con un colpo di pistola alla nuca, mentre stava rientrando nella propria abitazione.
Con atteggiamento profetico il vescovo salvadoregno annunciava: "Un vescovo potrà morire, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non morirà mai".
E come non estendere tale formulazione anche a don Puglisi e a tutti i martiri della Chiesa?
Può una pallottola mettere a tacere la voce univoca della Comunità cristiana?
Presto Don Giuseppe sarà beatificato per poi essere elevato all'onore degli altari come primo martire della mafia, deceduto in odio alla fede.
La cronaca nera rilevava che il 15 settembre 1993 il corpo di don Giuseppe giaceva a terra, privo di vita.
3P (acronimo delle iniziali Padre Pino Puglisi) veniva chiamato così dai suoi parrocchiani, terminava la sua avventura terrena il giorno del suo 56° compleanno.
Una strana coincidenza... eppure un altro elemento conferisce alla vicenda un significato un po' particolare: il giorno dell'omicidio don Puglisi indossava un clergyman, anziché la solita camicia a scacchi.
A qualche parrocchiano che glielo aveva fatto notare, don Giuseppe aveva spiegato che quel giorno doveva celebrare più matrimoni. A me piace pensare che il Signore lo abbia chiamato a sé, abbigliato con il suo abito migliore, in vista dell'imminente unione mistica con quell'anima devota.
Forse qualcuno potrebbe chiedersi: qual è il confine tra il dovere deontologico e il valore aggiunto della santità?
Perché la mafia ha inviato un commando composto da cinque tra i migliori killer di Cosa Nostra per eliminare un prete mite e disarmato?
È evidente che la minaccia apportata da don Puglisi non poteva essere militare, ma di altra natura.
Nato nel 1937 a Palermo e vissuto nelle borgate limitrofe al capoluogo siciliano, don Giuseppe conosceva il linguaggio, gli usi e la mentalità isolana, ma ciò non l'ha preservato da una morte precoce e feroce.
Poteva essere evitata una fine simile? Beh, se il parroco della parrocchia di San Gaetano, situata nel quartiere Brancaccio, avesse chiesto una scorta, oppure un trasferimento presso un'altra diocesi, forse sì. Ma tal punto don Puglisi doveva arrivare? A me sembrerebbe una resa.
Agli occhi di Cosa Nostra, i torti di don Giuseppe Puglisi erano tanti. Anzi, troppi!

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3 commenti:

  • Anonimo il 25/07/2012 11:25
    Per me è stato molto interessante e commovente leggerti. Hai narrato la vita e sopratutto la "serena e aspettata" morte di un Santo Uomo, che con il suo Vangelo faceva semplicemente il "sacerdote", senza timore di nessuno, forte della sua fede e del compito che gli si chiedeva di svolgere. Grazie e un saluto gentile!
  • Anonimo il 25/07/2012 09:12
    la voce di Dio è forte e chiara e non si lascia intimorire... che grande uomo in parte conoscevo la storia, ma il tuo racconto Fabio mi ha fatto commuovere... sei sempre molto bravo a toccare il cuore delle persone un bacio gentile...
  • Ellebi il 07/07/2012 11:25
    Un prete vero, insomma, un testimone del Vangelo, non altro: martire in virtù di questo fatto, come tutti i martiri della Chiesa. Io che non conosco le realtà di certi luoghi della Sicilia, ho letto volentieri questo tuo ritratto di prete. Complimenti e saluti

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