"Siete in un manicomio, senza più speranze. È finita!".
Erano queste le parole scritte da Mario sul muro di recinzione del cimitero. Era il pazzo del paese, era il suo benvenuto, il suo messaggio d'aiuto. Aveva sempre sostenuto che i pazzi fossero gli altri, non lui. La massa si sentiva minacciata da Mario. Faceva paura. Qualche anno prima pensarono di correre ai ripari, subito. Se non vai con il branco, il branco ti sbrana. Etichettarono Mario come PAZZO.
Quando lo incontravano per strada, lo evitavano, lo schernivano, lo prendevano in giro. I ragazzi gli tiravano anche le pietre. Era il prezzo da pagare. Povero Mario, povero Uomo.
Tutte le volte che lo incrociavo ci fermavamo a parlare, e lui non smetteva più. Avevamo la stessa età. Diceva sempre la stessa cosa, ma ogni volta la diceva in modo diverso. Ogni volta più accattivante. Lui non era così, lui lo era diventato. Iniziò tutto durante una campagna elettorale di qualche anno prima. I soliti politici che vivono di consenso, di facciata, non potevano perdonare un uomo che li sputtanava di continuo.
Mario non poteva offrire nulla alla gente, i politici si. Tutti stavano con i padroni del paese, e Mario restò solo.
Quando si resta soli, non si vive più. Quando gli altri non ti accettano, la solitudine ti cambia. Quando sai di non essere tu quello che sbaglia, e nessuno ti ascolta, la mente ti logora. È come avere un cappio al collo che si stringe sempre più forte. Più passa il tempo e più stringe, fino a farti male, fino a farti morire.
Come passava in fretta il tempo. Entrai nel "manicomio" per dare l'ultimo saluto a Mario. Ero da solo. Ripensai alle sue parole più frequenti: "Vedrete il mondo gonfiarsi e poi scoppiare!"
Andai via piangendo. Ciao Mario.