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I colori

Maria aveva suddiviso la sua vita per colori. C'era stato il periodo rosso fuoco, tendente a volte al giallo carico, o al fucsia, abbagliante e appagante, il cosiddetto periodo a colori, il migliore in assoluto: l'amore e i figli. Sembrava non dovesse finire mai. Aveva commesso l'errore di pensare che fosse per sempre. Ma così non fu. Infatti, arrivò il periodo nero. Una catastrofe non annunciata aveva sbaragliato tutte le certezze che gli anni colorati le avevano garantito fino ad allora. Era entrata così in un periodo così buio che Maria sperò finisse il prima possibile, per poi dimenticarlo. Poi, asfissiata dalla mancanza di luce e proiettata con decisione verso una rinascita, assetata com'era di colori vivaci, scambiò per un meraviglioso rosso fuoco uno sbiadito grigio topo. Si, non un normale grigio che, volendo, è anche un colore che evoca eleganza, rigore, ma appunto, un riluttante grigio che riporta ad un frequentatore di fogne e puzzolenti cunicoli sotterranei. Era stato un incontro fondato su un equivoco. Troisi avrebbe detto "sembrava fosse amore ma invece era un calesse". Qualcuno glielo faceva notare, ma Maria aveva somatizzato un daltonismo inesistente, pur di illudersi che quello fosse un rosso vivo. Una bella botta in testa le ridiede la misura dei colori reali e, riavutasi dall'ematoma rielaborò: "pensai fosse amore, invece era un roditore". Entrò poi in quello che chiamò "il periodo arancione". Disse tra sé e sé: "ma chi me lo fa fare di cercare i colori belli e vivaci altrove; perché non fabbricarli io, immergendoci le mani, i piedi". Aveva deciso di dare una rinfrescatina alla sua vita grigia mettendo mano ad una sorta di machillage della casa. Dipinse tutte le stanze, scegliendo i colori più vivi e più allegri che stavano in catalogo. Gli arancioni la facevano da padroni, ovviamente, gialli dalle tonalità più sbiadite alle più vive, rossi di cui non conosceva neppure l'esistenza. A Maria era sempre piaciuto dipingere, ma non era mai andata oltre a schizzi su fogli di album che poi accantonava in un cassetto, che poi usava in inverno, per ravvivare le fiamme del caminetto quando non riuscivano a decollare. E fu così che si lanciò nella coraggiosa impresa di colorare la vetrata di una veranda. Era anonima, nascosta dietro ad una pudica tenda beige. Nascondeva la luce che proveniva, prepotente, dall'esterno. Strappò quelle tende dal soffitto con rabbia, imprecando contro sé stessa per non averlo fatto prima. Si trovò davanti ad una specie di lavagna trasparente, al di là della quale si alternavano il giorno e la notte, la pioggia e il sereno, il vento e la calma piatta. Una specie di monitor oltre il quale Maria osservava quello che la natura o gli eventi decidevano per lei. Questa volta avrebbe deciso lei cosa guardare. Era invitante quell'enorme vetrata, come un enorme foglio bianco per un bambino armato di acquerelli e pennello. Disegnò quello che usciva dal suo cuore: l'allegria e l'ottimismo, con pennellate decise. Non conosceva ancora il soggetto da disegnare. Intingeva il pennello nei colori e la mano andava da sola. Venivano fuori disegni bizzarri, allegri. Non avevano un senso logico, non era la testa a condurre la mano, bensì la fantasia, la libertà, l'improvvisazione, il cuore. Era come l'azione di un fiorettista che lancia stoccate all'avversario per avere la meglio su di lui. Lanciava le sue stoccate, intrise di colori vivaci, contro un vetro. Vi imprimeva i colori della sua vittoria. Si, il giallo, l'arancione, il rosso erano i colori della sua rivincita. Avevano sgombrato il campo dal nero. Le si sarebbe potuto dare della matta, e a guardarla faceva quell'effetto: "Maria cosa stai disegnando? Ma sei sicura di non rovinare questa bella vetrata?" Erano le domande e i consigli dei curiosi che la vedevano all'opera" E lei: "Non so cosa sto disegnando, ma non importa, se la mia opera dovesse risultare proprio inguardabile, chiamerò il vetraio e metterò dei vetri nuovi, per poi ricominciare. - "ma non potresti disegnare su una tela? Non sarebbe meno dispendioso?". - "forse, ma non sarebbe quello che voglio". Faceva quello che l'umore le suggeriva. Assecondava i suoi stati d'animo, si regalava il colore che in quel momento la rendeva felice. Dopo il periodo arancione, stancante, se pur bellissimo, cominciò a provare interesse per un rassicurante color panna. Si, dopo tanto sgargiare ci voleva un po' di riflessione. E cosa meglio di un bel riposante color panna? Segno di una riconquistata pacatezza, però senza rinunciare al resto della variopinta gamma di colori. I monocromatismi l'avrebbero annoiata. Dipinse color panna le pareti di una sola stanza. L'avrebbe chiamata "la stanza della saggezza", per quando avrebbe avuto voglia di starsene in solitudine a meditare sul valore della rassegnazione e sulla sobrietà dei sentimenti. Per il resto della casa, tanto arancione ancora, tanta voglia di felicità. Ancora.

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5 commenti     1 recensioni    

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1 recensioni:

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  • Antonio Garganese il 10/10/2012 13:42
    Fantasioso racconto che ha come tema l'arte vista da un preciso punto di vista: la tonalità di colore come scala dei nostri umori.
    Originale ed apprezzata.

5 commenti:

  • anna il 16/10/2012 11:03
    Si, forse è così, Massimo. Gli stati d'animo legati alle percezioni sensoriali.
  • Massimo Bianco il 11/10/2012 14:30
    E dopo la puntata sulla musica è giunto il turno dei colori, legati agli stati d'animo. Interessante con fantasia. Il secondo episodio di una serie?
  • anna il 10/10/2012 17:23
    grazie per i vostri commenti.
  • Anonimo il 10/10/2012 15:43
    Un abbinamento fantastico tra colori e stati emozionali che ripercorre esperienze di vita vissuta e in prospettiva futura.
    Nel complesso un'elegante opera cromatico-letteraria.
  • Antonio Garganese il 10/10/2012 13:47
    Fantasioso racconto che ha come tema l'arte osservata da un preciso punto di vista: la tonalità di colore come scala dei nostri umori. Originale ed apprezzata.

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