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Sandali in... panne

Il vecchio bus procede lento nel traffico di Canal Street. Ad ogni sosta il motore ronfa con suoni sfiatati, ad ogni partenza si lascia dietro puzzolenti sbuffi neri. Quasi nessuno ci fa caso, impegnati come siamo a osservare la vita che ci scorre accanto.
È un tour, il nostro, e non una normale linea pubblica, cosi' che i passeggeri sono stranieri e quei luoghi non li hanno mai visti se non nelle pellicole di Hollywood.
Al confine tra Chinatown e Little Italy il contrasto e' stridente: insegne tricolori al neon e nomi come "O' Vesuvio" e "Bella Napoli" convivono accanto a ideogrammi cinesi, carretti siciliani seguono a pseudo-pagode ornate di lanterne rosse. Dalle vetrine affumicate di una rosticceria araba proviene il forte aroma del shisc kebab che ruota sullo spiedo e pare proprio un polpaccio umano messo li' da dei cannibali. Accanto, un bazar indiano espone grandi sacchi di spezie: cardamomo, zenzero, curry, cannella, chiodi di garofano, coriandolo saturano talmente l'aria che anche l'interno del nostro mezzo ne e' invaso. Vecchie botteghe, coffee shops polverosi, mucchi di bidoni per l'immondizia, ristoranti e vetrine sbarrate si susseguono senza interruzione. Accanto ad ingressi bui come caverne sostano capannelli di persone intente in chiacchiere o in chissa' quali trattative d'"affari". Come spesso capita per le strade di NY, anche qui dalle griglie delle fogne escono nuvolette di vapore che si disperdono al calore dell'asfalto. Passa un ragazzino di colore reggendo sulla spalla una radio portatile grande come una valigia. Canta, si molleggia sulle gambe, e dagli altoparlanti la musica urla ma nessuno ci fa caso. In questa citta' si potrebbe girare con un water sulla testa e la reazione sarebbe comunque di totale noncuranza.
Piu' avanti una stretta curva interseca Delancey Street. La strada s' allarga in una sorta di piazzale, la luce trova un varco nel folto delle facciate, entra radente dai finestrini, accende d'oro e di rame i capelli della ragazza davanti a me, ne segna il profilo come in una foto d'autore.

Tra la fine del 19° secolo e l'inizio del 20°, Lower East Side ha visto il grande boom dell'immigrazione da diecine di Paesi e i caseggiati in mattoni rossi che ci sfilano accanto, ricoperti dal zigzag fitto come tessuto delle scalette d'emergenza, rappresentarono per tanti la speranza nel futuro e una sicurezza mai avuta prima.
"Meriga", una storpiatura che in tre sillabe ha racchiuso tante aspettative, un grande Paese che aveva bisogno di gente coraggiosa offrendo in cambio l'opportunita' di un'esistenza migliore.
A dir il vero ho gia' visitato altre volte Manhattan esplorandone a piedi una gran parte, da Wall Street fino ad Harlem e oltre il Washington bridge, attraverso la Quinta Strada e poi la Madison Ave. e Broadway e la Avenue of Americas e la Lexinton e tante e tante streets e avenues, per diecine di chilometri.
Mi sono fatto tentare dalla pubblicita' di questo tour perche' prometteva un programma fuori dagli usuali percorsi turistici. Presto mi sono accorto che non e' cosi', allora rivolgo sempre pi? spesso l'attenzione ai miei compagni di viaggio, dall'ultima fila dove mi sono sistemato per avere una visuale pi? completa. Non tutti i posti sono occupati e quelli vuoti straripano di zaini e attrezzature fotografiche dei passeggeri. Tre orientali dall'aria eccitata scattano raffiche di foto stringendosi allo stesso finestrino e con suoni gutturali e aspirati si indicano a vicenda cio' che di volta in volta suscita il loro interesse; lampeggiano inutili i flash e sembrano i bagliori di un temporale in arrivo. Pochi sedili pi? avanti una coppia di neri si guarda intorno con aria placida e attenta. Vestiti modestamente, composti e silenziosi, dimostrano una sessantina d'anni. Da dove mi trovo vedo soltanto i capelli crespi e spruzzati di grigio. Quando si girano l'uno verso l'altra, sorridono, i profili si accostano e le labbra pronunciano brevi frasi silenziose. A un tratto la donna ha un'espressione di fastidio, mentre si abbassa da un lato, come a cercare qualcosa sul pavimento. Quando si rialza tiene in mano un sandalo e ne guarda la suola. Mostra qualcosa al marito, che scuote le spalle come a dire: "E io che ci posso fare?" Indispettita la donna colpisce il sandalo una, due volte sul tacco e capisco che dev'essersi staccato dalla suola. Altri colpetti nervosi risuonano nel bus, questa volta con il dorso di un piccolo binocolo. Il conducente si gira e guarda incuriosito. Anche lui nero, baffetti curati e una straordinaria somiglianza con Clark Gable, pelle a parte, per un attimo fissa la donna alle prese con il sandalo ma al verde deve ripartire, continuando pero' a sbirciare indietro.

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