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Etilomachia

Esco, mi infilo una sigaretta in bocca, apro la macchina, giro la chiave e pigio l’accendisigari. Aspetto che le candelette si siano scaldate, la luce sul cruscotto si spegne, metto in moto. Prendo l’accendisigari dopo aver messo la retro, mi accendo la sigaretta mentre, a memoria, percorro il vialetto di casa. La volta che una macchina sarà parcheggiata fuori posto, sarà da ridere. Soffio fuori il fumo che si contorce in spastiche volute contro il parabrezza, pigio il bottone del finestrino, do un’occhiata allo specchietto. Metto la macchina sulla via. Prima. Via: un altro sabato sera, o venerdì, tanto è uguale.
Non bevo mai a pasto, non bevo mai da solo, passo intere giornate, più raramente intere settimane senza sentire il bisogno di un goccio di alcool. Non un bicchiere di vino, non una grappetta, non una correzione al caffè. Poi, arriva sabato sera, o venerdì, tanto è uguale, e mi ubriaco, più o meno, a seconda della compagnia, dello stomaco che non è più quello di una volta, dell’aria che si respira, della posizione degli astri. Inevitabilmente, ogni sabato, o venerdì (che tanto è uguale), bevo abbastanza per essere legalmente ubriaco, molto spesso bevo abbastanza per sentirmi discretamente ubriaco, raramente, quasi mai per la verità, bevo abbastanza per non sentirmi più niente.
Da dove vengo io non siamo in pochi, quelli che fanno come me intendo, una buona percentuale del totale. Quale potrebbe essere una percentuale preoccupante? Il trenta? Il quaranta? Non so. So che i bar sono pieni, e poi sono piene le discoteche anche se ormai non vanno più, i disco pub, i disco bar e i wine bar, che ancora oggi da noi si chiamano osterie, e gli american bar, e i bar dei paesi vicini, e via discorrendo.
Intanto sono arrivato al semaforo, lampeggia di giallo, sono le nove e mezza, giro a sinistra attento alle precedenze. Cinquanta metri e poi a destra, poi tutto il viale, in fondo al viale è gia centro, io sto in periferia. Nel bar della piazza, american bar per essere precisi, c’è già gente, passo piano controllando gli esiliati fumatori e le macchine parcheggiate. Ho amici qui, potrei sempre fermarmi a ber qualcosa. Nada. Saranno dentro. Accelero.
Esco dalla piazza, altro rettilineo, seconda o terza a seconda dell’umore. Incrocio con annessa caserma dei carabinieri, tac, freccia, si va a destra, collegio salesiano, stop. Cercare parcheggio. Lascio la macchina, mai in divieto di sosta o in posti dove ingombro che se gli sbirri han la luna storta fanno storie. Non è il massimo cercare di non farsi fare un verbale mezzi ubriachi e poco diplomatici. Preferisco far due passi.
Arrivo alla porta del bar, la sigaretta è poco più che a metà.
Diciamo, quaranta weekend all’anno, da quando ho la patente, con la certezza di andare incontro a qualcosa di nuovo che quasi sempre verrà disillusa, io ripeto queste stesse azioni. Quaranta weekend all’anno, da quando ho la patente. Uguali. Sempre uguali.
Entro.
Mi siedo, parlo, bevo. Mi giro, parlo, bevo, saluto, “è un po’ che non ti si vede”, paghi un giro, pago un giro, bevo. Parlo. Bevo.

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