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Lo specchio della disperazione

Lo specchio rimanda a Paolo un'immagine stanca, pallida e grigiastra. Sullo specchio, ormai sbiadita dal tempo e dai lavaggi, una decalcomania "Ciao fratello! Chi sei oggi?". Il ragazzo accarezza le lettere una a una, resistendo alla tentazione di scalfirle con l'unghia, perché gli devono ricordare che il necessario cambiamento non deve lavar via tutte le fatiche e i sacrifici che gli hanno risparmiato la fine che ha soffocato i suoi più cari amici. "La nostra è una generazione maledetta!", li aveva più volte sentiti dire, mentre ingollavano quelle pillole, piccole come la speranza che li portava a ingerirle. Gli occhi di Paolo sono scuri, come le occhiaie che li incorniciano impietose, e le loro congiuntive hanno ormai il rossore cronico di chi ha pianto tanto da asciugarsi dentro. Attraverso lo specchio gli pare di vederli, i suoi amici: Paolino, un ragazzo al quale era molto affezionato, dopo tutte quelle notti trascorse insieme a ridere del mondo, alto e biondo e bello e perennemente felice, tanto felice da non averne più bisogno e da cercare l'infelicità che si nasconde dietro al demoniaco flash dell'eroina. E Gianni, un bel ragazzo robusto e dolce, con un'onda nei capelli che ricordava il mare nei suoi momenti euforici, e che non si è mai appiattita, come invece ha fatto la sua esistenza che, saltando da una fede all'altra, si era poi accucciata nell'angolino più pisciato del vicolo più buio e puzzolente del suo cuore. Per restarci fino alla fine.
E Pasqualino, un magnifico leone tanto che la sua data di nascita non aveva potuto ignorarne quelle regali caratteristiche. Magrissimo, alto e generoso, arricchitosi con i traffici d'hashisc in Marocco, e che donava decine e decine di milioni agli Hari Krishna, forse per acquietarsi la coscienza, e che se ne è andato per una nottata folle di cocaina, lasciando qui una donna che lo amava e un bimbo piccolo e una nuvola nera di povertà improvvisa che lui non immaginava di dover avere nel suo destino, che gli si era sempre mostrato nella sua veste più sfavillante.
Ma Paolo avrebbe potuto sopportare tutto questo se, insieme a loro, non se ne fosse andata anche lei, la sua adorata compagna. Il suo amore per sempre. Fu quello il giorno che appiccicò la decalcomania allo specchio, perché voleva ricordarsi di voler vivere, e ogni giorno l'accarezzava, come fosse stata lei. E doveva vincere la tentazione di unghiarla via, come aveva fatto la vita con lei, impietosamente, ignorando che così avrebbe falciato anche lui insieme.
Con una fatica immane, e come faceva tutte le mattine, si spinse via dalla sua immagine diafana che portava impresse, nei colori sbiaditi dell'iride, le ferite del suo amore, annaspante nei flutti dell'autocommiserazione che lo risucchiavano via, esigenti.
Sarebbe uscito ancora, trascinandosi nel dolore che lo avvolgeva come un sudario pietoso e freddo, e si sarebbe mischiato al mondo del quale aveva tanto riso, sfuggendo agli altri sguardi che, come il suo, straziavano, spezzandola in tante lunghe ombre, la luce del sole.

 

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2 commenti:

  • massimo vaj il 13/06/2014 13:06
    La partecipazione è data dal fatto che erano tutti amici miei.
  • Ellebi il 13/06/2014 12:28
    Bel racconto, il tono e la partecipazione infusa nelle parole, lo rendono avvincente. Complimenti e saluti.

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