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Guerra di terra.

Venne l’alba. Come dopo ogni notte venne l’alba.
Ne morirono quella notte, ne morirono troppi.
La livida luce del mattino illuminava le donne: madri, moglie, figlie. Con gli stracci bagnati nelle pozzanghere, pulivano i visi dei morti dal fango e dal sangue rappreso, per scoprire un figlio, un marito, un padre.
Non salì il sole, l’alba fu solo una promessa non mantenuta, calarono le nubi e il mondo si tinse di grigio. Si tinse d’inverno.
Gli alberi spogli, contro il candore violato del grigio dell’orizzonte, erano simboli di morte. Crocefissi storti, contorti. Precise rappresentazioni di ciò che si era consumato in quella piana, quella notte.
Poco più in là ad est, la città dietro le mura ringraziava il fato per quella notte che le aveva regalato un altro giorno di libertà.
Poco più in là ad ovest, nell’accampamento, le bestemmie, perché la notte lasciava il posto ad un altro giorno prima di tornare a casa, un altro giorno ancora, prima del caldo di un fuoco, d’una città, d’una donna, d’un mattino di pace.
La guerra era cominciata per niente: un cavillo, una donna, un cippo di confine.
Chi se lo ricorda più?
O forse un fiume, una linea sulla carta, un insulto. C’è chi parlava dell’onore violato delle badesse di un convento.
Durava da due generazioni, un insulto all’intelligenza, al buon senso di quegli esseri che si sbranavano in quelle trenta miglia di piana che separava i due castelli.
Una battaglia, dietro l’altra, un assedio dietro l’altro. E cariche di cavalli bardati di ferro e acciaio, e cavalieri bardati d’odio e paura.
Fanti strappati alla terra da coltivare, nudi nei loro vestiti di stoffa così inutili di fronte all’acciaio delle spade e agli zoccoli dei cavalli, alle punte di lance e frecce.
E bambini che alla sera chiedevano il perché della guerra, e madri e padri invecchiati alla guerra che incapaci d’una risposta sensata tiravano in ballo il fiume, la linea sulla carta, il paletto di confine, l’amore, il cavillo, fino a confondere il motivo di una battaglia con un’altra e non ricordare più il motivo della prima strage.
Forse era da chiedere al padrone, al signore, a colui che comandava, che ordinava ai figli dei mercanti di armarsi e armare un cavallo e imparare a caricare.
Colui che ordinava ad ogni contadino del suo contado di armarsi, magari di forcone e levare le sue braccia dalla terra, smettere di sfamare moglie e figli e andare per guerra. Cercando di morire il meno possibile.
Forse era da chiedere al padrone, il signore dell’alabarda bianca che veniva da occidente e attaccava di sera, con il tramonto dietro la schiena e incendiava tutta la notte con la battaglia.
Forse era da chiedere al padrone, il signore del falco giallo che veniva da oriente ed attaccava solo con l’alba alle spalle, al levar del giorno, e le spade fendevano il cielo fino al tramonto.

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1 commenti:

  • luigi deluca il 13/04/2008 06:36
    angoscioso, purtroppo molto "vero" e quindi ancor di più "angoscioso"