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Il racconto e la diatriba

S. doveva aver fatto qualcosa di grave, poichè un mattino, senza motivo apparente, si risvegliò con la bocca completamente spalancata. "E i oèèe?" provò a chiedersi S. senza capirci una parola. La faccia le si era letteralmente trasformata in una sola notte. La mandibola sembrava quasi doversi frantumare da un momento all'altro tanto era in tensione e S. era una splendida ragazza. Gli uomini perdevano la testa per quelle come lei. Bionda. Occhi verdi. Quegli occhi che ora cercavano una qualche spiegazione e roteavano a destra e a manca sotto le sopracciglia alzate e le gote che sembravano esplodere. S. era nel panico. Non capiva. E decise di imprecare a mente poichè le sue vocali non gli avrebbero dato soddisfazione alcuna. Da qualche giorno dormiva nella casa dei genitori del suo compagno, aveva conosciuto i suoi da poco, loro la trovavano dolce e carina e M. era innamoratissimo di lei. Il solo pensiero la fece quasi urlare dal terrore. Non aveva mangiato nulla di particolare la sera prima per ritrovarsi in quel modo e andava a messa tutte le domeniche, anche se non metteva mai nulla nel cestino delle offerte e spesso durante i canti gregoriani si divertiva a sostituire il termine "Alleluja" con "La gianduia" ma nessuno ci fece mai caso. Non riusciva a capire perchè il suo volto si trovasse in quelle condizioni e cercava disperatamente di muovere la mascella con tutte le sue forze. Corse in bagno precipitandosi davanti allo specchio e quasi svenne vedendosi arrivare. Era come un isterico e femminile urlo di Munch che si fiondava a tutta velocità. Solo che questo era in carne ed ossa. Ed aveva i capelli. Per un attimo S. fu sollevata all'idea di aver ancora i capelli, ma forse avrebbe volentieri barattato tale sventura con la propria, quando le venne in mente l'esistenza delle parrucche. Erano le 9:00 di mattina, il suo compagno si sarebbe svegliato di lì a poco e i genitori sarebbero tornati a momenti dalla passeggiatina. Trovarla in quello stato avrebbe sconvolto sia loro che lei. Cercò di calmarsi allora. Fece un repiro profondo, ma faticava a deglutire e la saliva troppo spesso gli andava di traverso. Non gli era mai successa una cosa del genere, ok si, una volta ebbe il singhiozzo per 15 minuti durante una conferenza sulla "Fluidità del linguaggio" e i presenti s'infastidirono un pò. Se non altro perchè fu lei a tenerla. Ma a parte quella volta nulla di simile l'aveva assalita in quel modo. Era preda di una terribile e inspiegabile sciagura e non sapeva che fare. Più provava a chiudere la bocca e più non riusciva a trattenere le lacrime alla vista delle sue tonsille. E le sue tonsille erano belle. Erano perfettamente dove avrebbero dovuto essere. Così come i suoi denti, o la sua lingua. Tutto era apposto. In ordine. Ma la sua bocca... dio, la sua bocca non doveva proprio avere quella forma. Le bocche pensò S, sono fatte per nascondere quello che c'è dentro. O almeno per mostrarlo a piccole dosi. Nessuno vorrebbe mai avere continuamente davanti agli occhi degli incisivi. Alla fine verrebbero a noia. S. doveva trovare il modo di risolvere il problema, poichè nasconderlo sarebbe stato alquanto difficile. Pensò allora di farsi venire un idea. Ma non ci riuscì. Corse in giardino e disperata si accasciò in mezzo all'erba. Le foglie cadevano lente dagli alberi e l'autunno stava per fare il suo ingresso anche quest'anno in punta di piedi. Tutti quei fiori profumati le dettero per un attimo un senso di pace, poi le venne in mente qualcosa e balzò in piedi, di scatto. "Idea!!" si disse. "IEAAA!!" replicò forte a voce. Quando 10 minuti più tardi si convinse davvero di averne una si scapicollò in casa. Fece le scale a quattro a quattro, entrò in cucina e cominciò ad aprire ogni cassetto e pensile possibile e immaginabile, sperando che tutti quei fiori gli avessero ispirato la soluzione giusta. Rovistò tutti i mobili presenti e ne finì di montare uno. Quando si accorse che ciò che andava cercando era in realtà fermo sul tavolo ebbe un leggero calo di zuccheri, ma non svenne. Prese il barattolo. Estrasse un chicco di pepe e se lo portò al naso. "Inspirerò così forte da provocare uno starnuto" disse fra sè. "Devo provocare uno starnuto, devo starnutire! Così dovrebbe funzionare... la mascella si sbloccherà e tornerò come prima. Si, non c'è dubbio. Funzionerà per forza. Deve!". Ma ispirò troppo forte e il chicco le schizzò su per il naso a una velocità tale che non se ne seppe più nulla. Cominciò a tossire violentemente, ma niente starnuto. "Devo starnutire, perdio! Devo starnutire!". Prese un altro chicco, questa volta fece più attenzione, se lo rimise sotto al naso, tirò su lentamente, ma tutto fu inutile. Il pepe non funzionava. Le sue mucose però in compenso erano in ottimo stato e faticavano ad irritarsi. Aveva mucose forti. Tonsille meravigliose. Denti splendidi. Ma l'espressione di un calciatore che segna in una finale di coppa del mondo. E questo non le donava. S. aveva un volto dolce, candido e leggiadro. Un volto da attrice. E ora somigliava più a un serial-killer psicopatico, senza contare che qualsiasi insetto avrebbe potuto costruirsi un nido in un suo molare da un momento all'altro. Così mentre tentava di escogitare qualcos'altro per starnutire, sentì al piano di sotto lo scattare secco e gelido della chiave nella serratura del portone d'ingresso e venne assalita dal panico. Corse in salotto. "Devo starnutireeee!! starnutire subitooo!". Correva come fosse posseduta, incrociò il gatto in corridoio, con uno scatto agguantò il felino e ne inspirò prepotentemente il dorso peloso come una tossicodipendente in astinenza. Il gatto sembrò gradire molto ma non provocò nessun effetto. Le voci al piano di sotto intanto sembravano farsi sempre più chiare. I passi cominciavano a distinguersi nettamente. I genitori erano sulle scale. Al gatto mancava una striscia di pelo dal collo alla coda. S. era ancora la copia del capolavoro di Much e io continuavo a scrivere imperterrito questo racconto, nonostante non sia mai stato in grado di trovargli un finale. Avevo pensato una cosa però, ultimamente... e se la protagonista si suicidasse per evitare l'imbarazzo? Potrebbe essere una soluzione. Un po' troppo tragica, ma potrebbe funzionare. Non lo so. Io non sono mai stato un gran che bravo a trovare i finali adatti per i miei racconti. Ad ogni modo, qualche giorno più tardi S. fece una vertenza sindacale e me la recapitò via fax in ufficio. La protagonista mi contestava il fatto che l'avessi abbandonata nel mezzo della storia e che per di più in quelle condizioni non avrebbe mai trovato marito. Il mio avvocato tenne duro per un pò, portammo in aula anche vari romanzi a testimonianza del fatto che non tutte le storie debbano per forza avere un finale. Facemmo esaminare dalla giuria "Il castello" di Kafka ma il giudice ritenne l'elemento in questione non utile allo svolgimento del processo, dal momento che Kafka era morto e che se anche fosse stato in vita non sarebbe comunque riuscito a spiegarcelo. Alla quindicesima udienza decisi di svegliare il mio avvocato, ma fu troppo tardi. Perdemmo in appello e io fui condannato a finire il racconto entro i due mesi successivi e a scontare a razioni di due ore, 19 giorni ininterrotti di Grande Fratello. Accettai di finire la storia, ma impugnai la sentenza al secondo punto dal momento che il Grande Fratello subì poco prima l'abbandono di Pasquale Laricchia e la cosa sarebbe risultata più severa del previsto. Alla fine il giudice portò la pena da scontare a 10 giorni e S. l'ebbe vinta comunque. Per cui ora mi ritrovo impelagato in qualcosa che speravo non dover mai più ritirare fuori. Senza contare il fatto che ormai ho perso completamente interesse nel racconto e che i lettori si saranno già quasi totalmente dimenticati dei fatti narrati in precedenza. In realtà non avrei assolutamente dovuto menzionarvi l'atto processuale, poichè (sempre secondo quella saputella deforme di S.) rischierei di nuovo la citazione in giudizio. Ma sapete com'è, decido io. E io voglio che i miei lettori sappiano come sono andate realmente le cose. E quale ingiustizia abbia dovuto subire per il semplice fatto di essere un artista creativo, che prova a mettere originalità in ciò che fa.

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