La prima volta che ti vidi mi accorsi soltanto della tua voce che tuonava nella grande sala rotonda, stipata di gente che non conoscevo.
Dal posto dove ero seduta, a fianco di un'amica che aveva accettato il mio invito a venire all'incontro, riuscivo a vedere le tue ginocchia che battevano sotto il tavolino, ogni volta che un concetto enunciato si rafforzava con il volume e l'intensità del tuo dire.
Si trattava di energici richiami alla vita cristiana.
Poi cercai di non lasciarmi distrarre dalle tue gambe e mi misi attenta alle cose difficili che spiegavi.
Usavi parole specifiche della materia teologica ma il tuo modo forte di spiegare, con fughe ampie che aprivano incisi lunghi che potevano durare anche un quarto d'ora di ininterrotta divagazione, rendevano le nostre meningi tese e surriscaldate.
Capivo che quanto dicevi era farina del tuo sacco, non avevo mai sentito nessuno annunciare Cristo così! Capivo che era esperienza, che quello che dicevi era vero.
Con un po' più di tempo mi accorsi che ciò che insegnavi non era soltanto etica cristiana, ma era una proposta, un invito concreto a vivere nella quotidianità, tutti valori, le regole, le norme, che le istituzioni, a noi ignoranti e tardivi, raccomandavano di vivere nei luoghi della nostra vita abituale, nelle nostre famiglie, sui luoghi del lavoro, in ogni istante della giornata, perché il significato del mangiare e del bere, del lavorare o del dormire era uno solo: Cristo!
Ma mano che le tue parole si adeguavano al modo comune di pensare esemplificando le applicazioni del discorso filosofico (così allora credevo) alla realtà della vita, incominciai a comprendere che, facendo le debite distinzioni ed il doveroso non confronto, parlavi di cose che conoscevo e che senza badarvi troppo, da sempre vivevo.
Mi nacque subito dentro una simpatia, una piacevole attrattiva che mi era destata soprattutto da quell'immenso contenuto che era dentro di te e che usciva dalla tua bocca come un fiume in piena.
Era la prima volta che mi sentivo capita molto in profondità e ciò mi provocò grande stupore; non ero più giovanissima, ero già madre ed avevo figli, eppure prima non mi era mai accaduto.
Essere capiti è tra le cose più preziose che ci possono capitare nella vita. Ci sorprende che un essere sconosciuto riesca a toccare le profondità del nostro animo, solitamente ricoperte e celate dai limiti della non comprensione altrui.
È come quando incontri persone di altre culture, di paesi lontani con linguaggi e costumi diversissimi dai nostri e ti accorgi che, qualunque lingua parlino, dicono le stesse cose che diciamo noi ed hanno gli stessi bisogni fondamentali per vivere la vita terrena.
Ciò ci affascina e riempie il nostro cuore di stupore perché le diversità non potranno mai essere causa vera di disunione.
Il vagito di un neonato eschimese è identico a quello del mio bambino, il lamento dell'ammalato africano è uguale a quello del mio amico che è ricoverato nell'ospedale della mia città, il disorientamento senile dell'anziana di casa mia non ha nulla di diverso da quello di tutti gli anziani del mondo.
Un giorno ebbi modo di incontrarti faccia a faccia e di parlarti di me, della mia vita, di ciò che volevo comunicarti.
Fui sorpresa all'improvviso dai tuoi occhi allagati di lacrime e che a fatica cercavi di arginare.
Eri commosso perché t'avevo detto che ero già vedova da alcuni anni e che avevo tre bambini; avevo circa trentaquattro anni.
Ti dissi che avevo abbracciato con fermezza e con entusiasmo la vita che proponevi e che mi stavo impegnando con passione per tutti coloro che, nell'ambito nel quale vivevo, esprimevano un bisogno e mi venivano segnalati dai capi della comunità.
Risultavo essere persona affidabile e matura, anche perché la maggior parte dei componenti della compagnia era costituita da giovani studenti o giovani lavoratori. Quanto più il caso della vita di qualcuno era difficile, tanto più entravo in scena io: persone che non avevano casa, che cercavano lavoro, che si drogavano o che soffrivano di qualche male psichico per cui non trovavano accoglienza presso nessuno.
Con l'aiuto di Dio e la fiducia dei miei figli, aprii la mia casa a molta gente, anche per periodi lunghi di mesi ed una volta per circa due anni. Li ospitavo gratis, ascoltavo tutte le loro pene rubando il tempo al riposo della notte e non chiedevo in cambio nulla, neppure la gratitudine che infatti non c 'era mai perché ormai tutti davano per scontato che ciò che facevo, lo facevo per Gesù Cristo, come esperienza edificante, ma che, nel mio caso suscitava malumori e persino invidie..."ma chi crede di essere...!"
Tutta questa attività si sommava all'enorme impegno che già avevo per la cura dei miei figli; ero affaticata ma quasi non me ne accorgevo perché, nonostante la fatica, quel tipo di vita era di per sé gratificante. Mi sentivo io grata al Signore che andava facendomi capire che gli potevo essere utile.
Per anni tutto andò bene ed i vari casi si risolvevano nel migliore dei modi: chi trovava la casa, chi il posto di lavoro, chi gli amici ecc. ma le responsabilità nella mia famiglia aumentavano, tanto più grandi quanto più i miei figli crescevano. La mia casa, monca della presenza paterna mi era rimasta tra le braccia ed io spesso non sapevo come rimediare ai miei problemi e le risposte che ritenevo autorevoli, il più delle volte risultavano sbagliate e non davano buon esito.
Io avevo perso chi pensasse a me, chi mi volesse bene ed avesse cura della mia vita. Se avevo la febbre non avevo neppure la possibilità di stare a letto o qualcuno che mi preparasse da mangiare.
L'utilità di ciò che facevo per gli altri mi rincuorava e non toglieva nulla ai bisogni dei miei figli perché in essa attingevo quelle energie che mi erano necessarie per rispondere a loro.
Ma essi crescevano ed il loro ambito di vita si faceva sempre più vasto e complicato. Erano gli anni della contestazione scolastica, del disordine sociale; le aule delle scuole erano disseminate di ragazzi seduti per terra che facevano e si permettevano di tutto.
Io mi ero proposta per il Consiglio d'Istituto e venni eletta, ma in sede di Consiglio il preside ed alcuni insegnanti sorvolavano su tutto quanto andassi dicendo, facendo capire che le mie erano utopie e che non avremmo mai potuto andare contro quella corrente tanto impetuosa quanto serpeggiante ormai in tutti gli ambienti.
Nella classe di mio figlio vennero le lezioni: di educazione sessuale, tenute dall'ostetrica del quartiere che doveva dare chiare e precise spiegazioni anatomiche; lezioni sull'aborto e sul diritto ad esso da parte della donna di tutte le età e condizione; lezioni sul divorzio assolutamente necessario e salutare in tutti quei casi in cui gli interessati, unici responsabili della loro vita, lo avessero deciso.
L'affermazione femminile richiedeva grande impegno anche nel primo luogo sociale che era appunto la famiglia.
Come risultato di tanto impegno, mi venni a trovare in casa dei giovani figli con la testa ingombrata e confusa dai nuovi concetti imbastiti dalla società esterna.
Mia figlia andava a prendere il vino in cantina, cosa che normalmente eseguiva il fratello maggiore; i due maschi volevano a tutti i costi imparare a cucinare.
Cose che nel tempo furono utili specialmente durante le mie assenze. Ma la cosa che ancora oggi non è chiara e che denuncia qualche errore d'impostazione, è il fatto che le donne, pur facendo molte delle cose che un tempo erano affidate agli uomini, specie gli incarichi più faticosi dal punto di vista fisico, esse rimangono comunque considerate meno capaci ed un gradino inferiore ai maschi. Ciò sebbene in molti campi la donna abbia dimostrato grandi ed abili capacità: nel campo imprenditoriale, quello politico, artistico ed altri.
Forse è soltanto questione di tempo, è probabile che tra qualche secolo sarà raggiunta la totale parità.
Il mio parere è che la parità già oggi, deve esserci ma non nelle cose da fare bensì nel valore intrinseco della persona, la sua dignità. il suo pregio di creatura libera, intelligente e capace.
Nessuna differenza c'è su queste basi però è importante che ogni donna ne sia consapevole e che non si presti, per alcuna ragione, a compromessi divenendo cosi inferiore se non addirittura schiava dell'uomo. Il terreno più infido e che può far fare facili scivoloni è quello della sessualità dove da sempre l'uomo occupa un posto di preminenza. Non basta che la donna si atteggi a maschio per recuperare il valore di pari dignità, anzi, più si comporta come un uomo più si allontana dalla meta cui ogni donna aspira.
Ti incontravo qualche volta più per ascoltarti che per parlarti di me ma ogni volta me ne tornavo a casa col fiato sospeso perché avevo atteso un incoraggiamento e non me lo avevi dato, avrei voluto essere consolata e tu avevi dato per scontato che dovessi offrire senza limiti ogni fatica, ogni azione perché ai miei figli ci avrebbe pensato Iddio. Non dimenticavi mai di mandar loro un abbraccio mio tramite, e continuavi a chiamarli bambini sebbene avessero ormai raggiunto la maggiore età, quasi bastasse a ridar loro tutta quella mamma che la comunità aveva loro sottratto.
Li accomunavi al mio sacrificio ed il tuo cuore, lo capivo, era grato a Dio mentre io misuravo quanto avessero perso e soffrivo perché si può essere quieti nella propria offerta a Dio ma lo si è un po' meno quando l'offerta riguarda il sacrificio di un figlio. Credo inoltre che ragionevolmente nessuna madre cristiana sappia essere felice di ciò. Si può essere rassegnati, sentirsi incapaci ma lieti della sofferenza un figlio, proprio no!
Poi un giorno mi parlasti della verginità!
Mi spiegasti che "Vergine" è il cuore che sa offrire tutto ciò che vorrebbe ottenere e lo dona a Dio affinché operi per il bene di tutti.
Ed io capii che non è soltanto un fatto di fisicità deflorata ma è innanzi tutto dono di sé, dono compiuto nell'offerta lieta per la costruzione della vita nuova, del Regno di Dio.
Il tutto vissuto in un ambito di persone che, scelgono questa stessa via o che sorreggono, confortano, accompagnano per tutta la vita il cammino della verginità.
Mi dicesti che io avrei potuto, facendo un salto qualitativamente grande, vivere la verginità nella vita che già facevo, nella casa dove vivevo con i miei figli e che avrei avuto come supporto un certo luogo dove viveva un gruppo di persone già avviate sul questo cammino.
Me lo dicesti con grande disimpegno, lasciando a me tutta la responsabilità della scelta.
Contemporaneamente aggiungesti che ero una donna libera ed in me la confusione cresceva perché mi ero venuta a trovare tra due possibilità in netta antitesi tra loro.
La consacrazione alla verginità richiedeva il rispetto di una regola ben precisa, con orari fissi di preghiera, la santa Messa quotidiana, la partecipazione ai ritiri ed agli esercizi spirituali che puntualizzavano i grandi momenti liturgici della Chiesa, l'obbedienza.
Cosa poteva voler dire allora essere liberi? In quale modo sarei stata io una donna libera?
Ebbi la grande grazia dello Spirito Santo che mi illuminò e te lo mandai a dire con uno scritto:
Essere liberi cristianamente significava usare della propria libertà, dono ricevuto nel Battesimo, per l'adesione a Cristo Signore; adesione libera e totale, sequela nella compagnia affinché questa adesione si potesse attuare, affinché si giungesse a quel progetto che Gesù stesso ci aveva indicato venendo sulla Terra e morendo per noi.
Con il compito gravoso che mi ritrovavo in casa, ebbi qualche perplessità di carattere pratico: mancanza di tempo, scarsa possibilità di far rientrare, tra gli impegni doverosi che avevo verso i miei figli, tutto quel nutrito programma previsto dalla nuova istituzione.
Tuttavia mi lasciai trascinare dal mio entusiasmo, dalla passione che avevo mantenuta intatta fino dal primo giorno dell'incontro.
Quell'aspetto di contrasto che aveva rabbuiato il mio cuore permaneva comunque dentro di me e con il passar del tempo aumentava perché intorno a me si andava creando un vuoto inspiegabile: nessuno mi parlava, nessuno mi guardava, nessuno mi dava informazioni; insomma se non prendevo io una iniziativa non ricevevo alcun invito.
La cosa mi sgomentava ma fino ad un certo punto in quanto il mio cuore era tranquillo e sapevo che il Signore era con me.
Me ne stavo tranquilla ad aspettare gli eventi; ma gli eventi non cambiarono ed io mi ritrovai sola a rincorrere quel gruppo che non mi indicava alcun cammino.
Era tutto affidato alle mie iniziative, ero io che dovevo in totale solitudine e senza alcuna indicazione esplicita, decidere cosa fare e dove andare.
Qualche volta ad onor del vero, ricevetti degli inviti e si trattò di due spettacoli alla Scala, uno in un altro teatro per uno spettacolo di Charles Peguy, qualche pranzo in un paio di case allestite a convento e basta. Tutto ciò nell'arco di un a decina d'anni. Ogni altro momento formativo non era contemplato negli inviti. Al che incominciai a capire che non ne avevo bisogno ma è assai arduo vivere una simile realtà senza che qualcuno te ne abbia mai parlato.
Noi siamo creature e siamo dipendenti per natura; se non abbiamo nessuno che ci accompagna nella vita, vaghiamo nelle nebbie ed anziché sentirci privilegiati, eletti da Dio, soffriamo. Oltretutto il demonio è invidiosissimo di questa libertà e non perde occasione per minarla, per sottrarla, per rubarla.
Andavo tuttavia a qualche raduno cercando di orecchiarne la data ed il luogo da qualche parte. Nei loro interventi i regolari partecipanti ripetevano spesso la frase: ..."Questa Presenza che mi ha preso..."
Anch'io volevo essere presa ma ciò ormai non accadeva più. Tu eri rimasto l'unico e sporadico punto di riferimento ridottosi ormai a poche parole dette
da me ed al chiudersi dei tuoi occhi, dopodiché mi facevi cenno di andarmene, causandomi appunto un ferimento.
Smisi di cercare anche te ed ora, dopo anni ed anni, continuo a vivere questa inumana, cattiva assurda solitudine che, ne sono certa, non fa piacere nemmeno a Gesù.
Se fosse qui, persona concreta vivente tra noi, come duemila anni fa, anch'io come Maddalena ed altre, mi innamorerei di Lui, perdutamente, pazzamente.
Nel vederlo mi sentirei piena di gioia, lo vorrei accarezzare, lo servirei, gli ubbidirei, gli bacerei le mani, i piedi, gli confiderei i miei desideri più nascosti, quelli che di solito ci fanno un po' vergognare; gli farei regali, complimenti e non mi stancherei mai d'ascoltarlo. Si, un sentimento di adorazione mi terrebbe avvinta a Lui, affascinata dalla sua bellezza immensa e totale; avrai già capito che sto parlando del mio Signore Gesù: l'Uomo Ideale, l'Uomo Vero, la creatura perfetta che ci è stata mandato da Dio onnipotente per la nostra felicità. La parola felicità non è sinonimo di Salvezza, né soltanto la immediata conseguenza perché non possiamo essere felici se non siamo salvi.
Gesù è il mio uomo ideale, l'hai capito ormai, e non mi angosciano più le precarietà, le incompiutezze terrene che creano il vuoto nel nostro cuore poiché Egli c'è ed è presente così come la Chiesa mi ha sempre insegnato.
Ti ridico ciò che mi hai sentito dire tante e tante volte, non perché tu abbia bisogno di fare chiarezza sulle mie parole; mi conosci e sai già quali sono i miei pensieri; ho bisogno io di ripetere a te i contenuti dell'esistenza perché chiunque mi legga comprenda il contenuto della nostra amicizia.
"Il Risorto è presente - tutto, in tutti -" Ogni volta che scopro una piccola traccia di Lui nelle persone che incontro, rimango impressionata, colpita, subito rallegrata sebbene Egli ami abitare anche in chi non è affatto a Lui somigliante, anche quando la opacità del male umano ne offusca totalmente l'immagine.
È facile che confondiamo la Sua presenza e che non ci riesca di saperlo riconoscere; eppure il giudizio di valore se permane nella mente e nel cuore, muove nell'animo una energia vitale, una attrattiva da farci subito più attenti,
più solleciti, pieni di slancio. Benché difficile da individuare, il Suo amore riesce sempre ad affascinare e ad invadere il cuore.
Infatti quanto più noi ne sappiamo fare memoria, tanto più la sua presenza ci fa palpitare il cuore, attrae in modo invincibile con una forza misteriosa tanto più forte quanto più noi Lo riconosciamo.
Ma la sua potenza di conquista non si manifesta sempre in modo travolgente, anzi! Il più delle volte quel che accade in noi e così poca cosa, mescolato alle nostre distrazioni, ammantato di sentimentalismo pietistico e dobbiamo essere molto indulgenti con noi stessi per riuscire ad accettare una condizione tanto falsa. Io ho capito che non mi voglio accontentare, che non mi basta sollecitare il mio pietismo davanti a Gesù in croce per sentirmi felice.
La felicità è alata, fa spiccare il volo verso l'amato, protende l'essere al di sopra di tutto e lo spalanca all'Amore che lo attende; la felicità è estasi!
Il primo passo dipende dalla nostra libertà e Gesù che ne è l'artefice, è il primo a rispettarla; Egli si affida interamente alla nostra volontà libera, consapevole e sgombra da condizionamenti, con grande differenza dalle aggregazioni che si creano attorno ai personaggi presenti nel tempo e nei luoghi della vita.
Egli è il Figlio di Dio e seguirlo, volerlo, significa abbandonare il male in tutte le sue manifestazioni per lasciarsi prendere da Lui affinché ci sia possibile pregustare qui, in questa vita la Sua presenza e per poterlo poi godere nella vita futura, eternamente.
Vorrei aggiungere su questo argomento ciò che mi si è chiarito a proposito della parola "vocazione". Essa non indica soltanto quella decisione che matura e si prende di solito in giovane età per seguire un cammino di formazione con il sostegno di un Padre Spirituale, in una struttura che abbia tradizioni secolari e che, secondo il concetto più comune e diffuso, si chiama Convento o Seminario.
Tali strutture garantiscono il cammino e pacificano il cuore di quei giovani che si affidano con slancio e con la certezza d'aver fatto la scelta giusta, la più importante della vita, non priva di quell'emozione che travalica la comprensione e che misteriosamente avvince.
Sempre l'iniziativa di Dio avvince!
Ma proprio perché esistono delle strutture, perché vi sono persone preposte alla conduzione dell'anima che vuole fare quel cammino, spesso il tutto si svolge come in famiglia quando si devono fare le scelte universitarie od altre scelte di attività artistiche che comportano l'uscita di casa e l'allontanamento per tempi lunghi, in altre città per frequentare gli appositi Istituti.
Io qui voglio parlare della vocazione che non ha nulla di formale, di preordinato, di già stabilito; non vi è nulla e nessuno che dia delle garanzie, anzi! Molto spesso pare che l'impegno del demonio sia proprio quello di cancellare ogni appoggio, ogni possibilità di certezza, anche ogni conforto affinché permanga soltanto l'Amore di Gesù e la sua creatura. Questo è lo scopo e la realtà autentica su cui contare; tutto il resto viene ad essere sfrondato in modo che l'anima non abbia bisogno d'altro.
Ma finché viviamo nel corpo noi abbiamo dei bisogni relativi alla nostra fragilità fisica; ci ammaliamo ed abbiamo bisogno di guarire, abbiamo appetito e dobbiamo nutrirci, siamo stanchi e dobbiamo riposare. Tutto ciò non ci allontana certo dall'Amore perché lo viviamo nella sua Misericordia che non farà mancare nulla alla nostra umana condizione.
Questa vocazione è "evocazione" cioè richiamo diretto di Dio alla sua creatura, in un momento qualsiasi della vita, nel luogo e nella struttura dove già la persona vive, quando a Lui è piaciuto farsi incontrare, senza alcun presupposto o altro condizionamento.
Come già ho accennato, la possibilità di confusione in questo caso è maggiore poiché mancano le indicazioni e le garanzie; non c'è nessuno che assicuri che si tratti proprio della Sua presenza e che quindi ci sia chiaro il seguirlo. Pensare con certezza di essere in rapporto privilegiato con Lui è passibile di errore assai facile.
Mi sono voluta dare delle norme, piccoli accorgimenti che spero mi evitino di cadere nell'inganno: l'aspetto principale è l'oggettività del bene che pur essendo il bene limitato della nostra vita, è tuttavia bene per la mia persona, la risposta concreta al mio bisogno. Ciò a volte è sufficiente per spiccare il volo e ritrovarsi tra le braccia di Cristo pieni di gioia. Può essere un esame andato bene, la vendita di un quadro eseguito con passione, una vacanza piacevole ecc. Viceversa se l'incontro non è benefico e non vi sono termini per poterlo riconoscere, dobbiamo persuaderci che il Segno è troppo offuscato perché noi lo si possa riconoscere; non è Lui.
La mia non è una vita chiusa in una sfera di cristallo asettica e protetta, dove vivo d'amore e di solitudine; vivo una vita pienamente terrena sempre immersa nel mio corpo che è il più grande deterrente per l'elevazione dell'anima.
Inoltre bisogna considerare che la vita di ognuno di noi ha un raggio d'influenza e d'azione più o meno intensa, pari agli incontri fatti nel corso degli anni, alle persone conosciute, ai familiari che abbiamo avuto, allo sposo che abbiamo scelto per la vita, ai figli che ci sono nati.
Crescendo ed affrontando la vita, l'ambiente da cui ero partita andò mutando non poco e non poche volte, sempre protesa a trovate le risposte al mio bisogno così come io divenivo risposta al bisogno altrui e raramente ciò avveniva in condizione di pienezza spirituale; normalmente mi capitava di dovermi donare partendo da zero, con l'animo arido ed il cuore vuoto. Allora mi tornava utile il richiamo al Cristo crocifisso che solo aveva il potere di rianimarmi e di ridarmi la buona volontà.
L'incontro col Signore è inequivocabile quando non soltanto ci rianima al bene rinvigorendo le nostre energie, ma anche quando la nostra fatica non turba lo stato d'animo ma lo mantiene pacifico e ben disposto verso gli altri. Infatti la
Sua presenza è pacificante di per sé e porta con sé sempre qualche motivo di conforto e di consolazione.
È comunque sempre possibile l'inquietudine, a volte anche lo sconcerto di fronte ad un bisogno che non trova risposta in nessun modo; allora ci si sente impotenti, soli e la nostra vita priva di bene ci appare inutile. In realtà il bene c'è sempre, dobbiamo noi averlo presente anche quando ciò che ci preme, non va secondo le nostre attese ed a noi pare che tutto vada a rotoli.
Dove attingere speranza? Dove possiamo giungere noi con i nostri mezzi, per essere di aiuto ai milioni di bimbi e di adulti che muoiono di fame, di sete, di freddo? E le malattie contagiose? E le guerre? E tutto il male che circonda la nostra vita? Lo sconforto attanaglia il nostro cuore e l'effetto più ovvio e subdolo è che ce ne sentiamo responsabili fino al punto che se non siamo capaci di risolvere anche soltanto con pochissimo, almeno qualcosa di ciò che accade, non meritiamo di considerarci uomini.
Ma questo è un ulteriore strumento diabolico per annichilirci, per toglierci la volontà di attenderlo, di riporre in Lui la nostra speranza poiché Lui e soltanto Lui può cambiare il mondo. A noi chiede unicamente di fare memoria della Sua presenza, di liberamente sceglierlo, di lasciare che sia Lui a costruire le nostre azioni, ed il bene che possiamo fare ed anche farlo arrivare ai confini del mondo.
Siamo molti sul pianeta Terra ad avere più del necessario; dobbiamo gradualmente imparare a capire che l'unica cosa veramente necessaria è Cristo.
Tuttavia la nostra scelta non è mai priva di spine e la sua positività sta soltanto nell'atto libero di riconoscimento di Lui, della Sua persona, in quel momento, in quel luogo, in quella circostanza. E, non accade sempre con evidenza ossia con la chiara preponderanza del bene per cui appaia sicura la decisione a seguire. Tutt'altro! Però quando lo Spirito Santo che è in noi ci protende a Gesù, Egli ce lo fa incontrare davvero. Di ciò sono più che certa!
Spesso la cattiveria e la meschinità del peccato mio ed anche quello altrui, Lo adombrano e ne vogliono impedire il godimento; ma spesso può bastare una invocazione per ritrovare la pace interiore che è il presupposto più consono al raggiungimento della felicità in Cristo.
Quindi io mi accorgo della Sua presenza, quando l'incontro con Lui è un bene per me, manifesto per la vita che vivo ora, qui sulla Terra e nel mio corpo e nel luogo dove vivo, che mi conforta e mi pacifica l'animo.
La seconda norma è la seguente: se ci si mantiene saldi in Sua compagnia, l'effetto del male cade da sé ed il riscontro è la gioia che permane nel cuore perché quando il Signore si dona non è altro che per una gratuita ed anche imprevista felicità.
Si può capire perché a volte la tristezza accasci l'animo delle persone fino alla disperazione ed assistiamo angosciati alla non volontà di vivere, al venir meno delle energie per accogliere il tempo che è dato per il dono della vita che ci è stato fatto. Ciò accade quando il male ottenebra la Sua presenza, la nasconde, impedisce di vederlo e di riceverne il beneficio.
Rimaniamo oppressi, oltre che dal male e dalla neghittosità che è in noi anche da quello che vediamo fuori di noi ed il nostro disimpegno, il rifiuto del sacrificio e della fatica che comporta, ci fanno dimenticare che basterebbe proprio poco per farlo risplendere in noi ed intorno a noi.
La non comprensione si dissiperebbe all'istante, come la nebbia al sole di mezzogiorno, se soltanto fossimo capaci di superare il nostro egoismo, il nostro egocentrismo con un solo pensiero d'amore rivolto a Lui sempre presente.
Al di là della nostra capacità di memoria, di attenzione, che lo vogliamo o no, il Signore Gesù c'è sempre. Che ci tiene lontano da Lui cioè dalla felicità è soltanto il nostro male, il solo vero responsabile dei nostri dolori perché il peccato non cancella la presenza di Cristo ma nasconde la Sua presenza in noi e nella nostra vita ed appare così evidente soltanto il male.
Mi sono resa conto che il metodo per attrarci a Lui è sempre lo stesso, uguale a quello che usava con le persone che lo incontrarono duemila anni fa.
Il Signore per invadere il mio cuore si è servito di una lunga serie di miracoli che non starò ad elencare in questo libro ma che costituiscono tuttavia la colonna sonora della mia vita, il lit-motiv, il sottofondo dolce e commovente che ogni volta mi lascia ammutolita dopo avermi fatta esplodere di entusiasmo.
Molto di ciò che ho detto è l'elaborazione delle cose udite da te, scese in verticale alla radice del mio essere dove so di poter sempre incontrare l'ideale amore della mia vita.
Quando il Signore distribuì i pani ed i pesci alla folla che lo andava seguendo durante le sue predicazioni, l'intenzione vera che lo decise al miracolo, perché quella gente gli andava appresso fiduciosa ed attratta ed era affamata, fu quella di voler rispondere al loro bisogno principale, di cui essi non erano consapevoli e che trascendeva la loro fisicità; il miracolo aveva lo scopo di dar loro un dono più grande e che non poteva avvenire se non conoscendolo gradualmente, andandogli appresso: il dono della salvezza eterna.
Quando le loro reti offrirono pesci sufficienti a sfamare tutta la folla presente, il loro animo era già più pronto ad accogliere ed a capire qualcosa di ciò che stava loro accadendo.
Noi non siamo in grado di comprendere la misura del Suo amore per noi perché conosciamo la misura della finitezza della nostra esistenza che si svolge nei limiti del tempo, dalla nascita alla morte, sempre imbrigliata nella incompiutezza, nella precarietà e nella brevità del tempo che viviamo. Da soli non ci saremmo mai salvati perché per liberarci dal male che si è insinuato nella nostra vita, occorre toglierci da esso. Il male proviene da un'altra dimensione e da quella dimensione soprannaturale proviene anche la potenza grande del nostro Signore contro il quale il male nulla può!
Noi aneliamo alla salvezza sebbene molti non ne siano consapevoli perché ne fraintendono il suo vero significato. Quale uomo non aspira alla felicità? Io dico nessuno! E, come già ho detto:
Salvezza vuol dire felicità, terrena ed eterna. Il valore della felicità eterna rompe il nostro limite, ci supera, comprendiamo a malapena che vuol dire "per sempre" concetto che non sappiamo contenere così come, non sappiamo comprendere il concetto di "infinito".
È questo il motivo del nostro disimpegno: non capiamo cosa perdiamo nell'errore e nella dimenticanza della Sua presenza.
Quando Gesù si pose su un'altura per farsi meglio vedere dalla folla che lo aveva seguito sul mare di Galilea e cantò il "Discorso della Montagna" elencando le Beatitudini che sono la descrizione degli eletti, anche allora la gente non poteva capire; tuttavia le Sue parole sprigionavano il suo amore ed il cuore dei discepoli che Egli aveva chiamati più vicini, si accendeva di passione per lui, per quella promessa di felicità.
Con il "Discorso della Montagna" Gesù ha chiarito la scala dei valori che conducono alla vita sublime che ci attende nell'eternità.
Ogni parola di quel Discorso è lo zampillìo di una grande cascata d'acqua pura che cade dall'alto ed arriva a noi portatrice di promesse e per le quali vale la pena di lasciarsi costruire, perché indicano la via maestra verso la beatitudine.
Il Cristianesimo se non è accolto con la disponibilità a lasciarci fare da Lui attendendo con fede quanto Egli ci ha già guadagnato morendo sulla croce, si riduce ad una serie di leggi e di norme da seguire e rispettare che, anziché rinvigorire ed allettare il nostro cuore, copre come un velo ammuffito tutta la bellezza e la sacralità del suo messaggio.
Anche il concetto di "sacro" spesso è confuso perché viene quasi sempre abbinato al sacrificio, alla fatica nonché al dolore. Noi siamo mortali, è vero, ma Gesù ci ama e non ci vuole in pena, ci vuole felici. Egli è venuto sulla Terra per questo semplice e fondamentale motivo: darci la felicità eterna.
Il rito religioso che affonda le sue origini all'inizio della vita umana sulla terra, diviene nel cristianesimo la celebrazione della sacralità della nostra vita in Gesù Cristo.
E la Santa Messa che ne è il momento culminante evidenzia ogni aspetto essenziale di questa vita rendendola Sacramento; questo momento dal significato così profondo, così intimamente legato alla nostra appartenenza al Signore Gesù, viene spesso vissuto come obbedienza ad una forma, quando non per una abitudine, dimenticandone il vero significato.
Sappiamo che nell'obbedienza non viene meno il valore e che la partecipazione mantiene integro tutto il suo contenuto; tuttavia non possiamo non accorgerci che, come avviene a Lourdes, la processione venga seguita con la gioia di chi è pieno di speranza per una guarigione od altra grazia domandata. Possiamo quindi dedurre che ciò che ci aspettiamo dalla religione che abbiamo abbracciato, sia la risposta al nostro bisogno qui, nel tempo che viviamo ora, accompagnati al destino buono che Gesù ha promesso ed ottenuto per noi.
Non c'è differenza di contenuto tra La Santa Messa e la domanda di un popolo in processione perché la risposta è sempre l'intervento di Dio nella vita dell'uomo.
La differenza tra il Sacramento ed il miracolo deve essere affidata allo Spirito Santo che ne illumini la comprensione e induca il nostro cuore alla gratitudine, ogni volta, ogni domenica, in tutti quei casi in cui la presenza del Signore Gesù si rende manifesta; perché l'artefice di tutto ciò è proprio Lui, presente nel nostro cammino; è il suo intervento nella nostra vita, concreto, attivo, sacramentale esattamente come lo fu prima della Risurrezione ed ancor più ora che la Resurrezione è avvenuta nello storico momento scelto da Dio e che ha valore per quanto è avvenuto prima di Lui e che continuerà permanentemente nella vita di tutta l'umanità.
L'Evento che si pone al centro della storia e che comprende il prima ed il dopo, l'antico ed il Nuovo Testamento, la Preistoria ed il tempo moderno, tutto il nostro futuro e nell'Eternità. Ogni intervento di Dio è eterno.
Egli è venuto per rivelarci il mistero della nostra vita, il perché, il significato di questo cammino spesso arduo e doloroso e ce ne ha date le direttive affinché ci fossero evitate le deviazioni, così facili nella nostra distrazione e nella nostra dimenticanza della Sua presenza e potessimo ritornare da dove siamo venuti, ossia al Padre Eterno. Ed Egli, il Risorto, ci accompagna per farci camminar diritto, senza sbagliar strada: Lui è la strada maestra.
Il più delle volte perdiamo il beneficio della sua presenza proprio per distrazione; d'altronde per noi non soltanto non è facile ma addirittura può essere inquietante doverlo riconoscere nei volti di coloro che conosciamo da sempre, che ci sono arcinoti e dei quali abbiamo già il nostro parere, il nostro pre-giudizio.
A noi parrebbe così ovvio che una madre debba essere lei il segno dell'amore di Cristo nella vita dei figli e non viceversa; perché è la madre che ama, perdona, aiuta i figli e cioè esprime in sé, nel suo ruolo, molto della carità cristiana che è una delle Virtù Teologali: la più grande, dice San Paolo!
Ma il nostro modo di pensare è davvero diverso da quello divino; i nostri giudizi, i nostri progetti sono sempre rasoterra, ossia noi non sappiamo guardare in alto. Siamo come le formiche che indaffaratissime si muovono e costruiscono la loro vita piene di solerzia ma non si avvedono di nulla di ciò che le circonda. Non il sole, non il mare, non le persone e i fiori; forse sanno riconoscere una farfalla, così come noi sappiamo vedere le cime dei monti, il sole e le stelle.
La presenza del Signore Gesù è oggettiva e non è opinabile; che Lo si voglia riconoscere o no, Egli è presente ma chiede d'essere affidata al nostro libero atto di volontà per poterlo godere anche qui in questa vita transitoria.
Nel cristianesimo il dato grande che emerge è proprio la libertà dell'uomo che è il massimo dono che ci è stato dato nel Santo Battesimo, che proviene direttamente da Dio Onnipotente e che è la nostra vera ed indiscutibile condizione. Tutti i condizionamenti sono sempre in funzione della nostra libertà in atto, diversamente divengono coercitivi, abusivi, imprigionanti. Iddio ci ha voluti liberi così come Lui è libero.
Proseguirò a descrivere quanto in me si è radicato attraverso l'insegnamento ricevuto e l'esperienza vissuta, ma alla fine, sarà chiaro un fatto fondamentale e determinante che spiegazioni a parte, avevo già tutto dentro di me, già vivevo, senza conoscerne i dettagli, il profondo spirituale significato. L'embrione cristiano era già composto, necessitava di svilupparsi e di prendere coscienza di sé.
Grazie a te ciò è avvenuto!
Nella mia esperienza di madre ho sempre desiderato non fallire nel compito d'insegnare ed educare i figli ad amare Gesù. Sapevo che sarebbe bastato poco per disorientarli: una insistenza eccessiva avrebbe potuto ottenere un istintivo rifiuto così come accade facilmente ai bambini, specie se adolescenti, vuoi per l'affermazione di sé, vuoi perché non sanno comprendere gli aspetti delle cose che vengono loro proposte nella loro ampiezza, tendono a scegliere ciò che i genitori ancora non hanno spiegato e comunque a loro pare sempre meglio ciò che viene proposto al di fuori della famiglia.
Anche il "troppo poco" non va bene perché il seme va gettato nella terra alla giusta stagione; più avanti il tempo e l'orizzonte più allargato dei rapporti con cui i piccoli verranno in contatto, faranno sì che il seme possa germogliare.
Essendo questa la cosa più importante che desideravo per i miei figli, ricordo d'aver riflettuto a lungo e decisi di farmi aiutare dalla comunità, facendo in modo che vedessero da vicino la testimonianza della loro vita affinché incidesse nella loro personalità, prima ancora che con discorsi teorici, con la concretezza del vivere, con un modo diverso di affronto dei problemi di tutti i giorni, una vita insomma vissuta sulla base i valori cristiani. Un modo nuovo di stare insieme, di aiutarsi, di trascorrere il tempo; il lavoro e le vacanze, il mangiare, il bere ed il dormire, l'amore e tutte le decisioni per la vita da condividere e da vivere in comunione.
Diversamente tutto il mio piccolo impianto educativo, progettato secondo i miei criteri, sarebbe stato a rischio contin uo di crollo, di delusione dolorosa per me, e rischiosa per i ragazzi.
E feci bene! Di ciò non mi sono mai pentita al di là di tutte le contraddizioni, gli errori ed i peccati da cui la comunità cristiana è offuscata.
Mi sono affidata e fidata, ho consegnato me stessa e con me i miei figli ed ho visto crescere nella fede la loro persona.
A volte soffrivo e mi sentivo umiliata nel vedermi sostituita da altri come punto di riferimento della loro giovanissima vita. Soffrivo mentre andavo perdendo quell'autorevolezza che avevo sempre esercitato fin dal giorno della loro nascita, decidendo tutto ciò che li riguardava, con l'approvazione paterna, quale unico ed insindacabile giudizio.
A volte mi sbalordivo nel sentirli esprimere opinioni e pareri, già molto vicini ad un atteggiamento giudicante su quanto andavo dicendo o facendo; si capovolgevano i ruoli ed il mio amor proprio ne veniva abbondantemente ferito:
"Mamma sarebbe meglio... mamma dovresti... mamma non farlo..."
Pian piano però capii che non mi ero sbagliata e mentre crescevano si accorgevano che la mia vita era guardata con attenzione e che poteva essere un esempio da seguire.
Ciascuno nella propria diversità li ho visti crescere saldamente ancorati ai valori del cristianesimo
Amare Cristo non significa affatto provare un sentimento; vuol semplicemente dire dargli sempre la priorità; ritenerlo e metterlo sempre al primo posto, volerlo e desiderarlo quale bene supremo della nostra vita, anche quando l'immagine che ci è proposta non ci piace affatto.
Egli si rende incontrabile nell'intricato animo dell'uomo peccatore che lo ospita come una invadenza scomoda e non voluta. Tuttavia il nostro Gesù non si lascia certo intimorire dalla cattiveria degli uomini; Egli è sempre il vincitore ed ama abitare in chiunque e dovunque
Verrebbero meno i nostri indugi e la strada sarebbe più facile se potessimo incontrarlo nell'innocenza dei bimbi, negli ammalati, negli animi generosi, nell'umiltà ecc.; non avremmo ripensamenti e potremmo percorrere il nostro cammino senza grande sforzo.
Ma ancora non è il nostro sforzo a farci andare avanti; come già ho accennato, talora basta una semplice invocazione per raddrizzarci la via.
È bello ed anche gratificante compiere il bene, quello stesso bene che vorremmo per noi. Se non accadesse tanto spesso d'essere impediti da problemi di carattere psicologico, ci verrebbe addirittura spontaneo vivere con amabilità, cortesia, generosità. Perché noi siamo fatti per il "bene", siamo stati creati ad immagine di Dio e con il Santo Battesimo, ne abbiamo riacquistata tutta la potenzialità attuabile. Il Santo Battesimo è come uno sparti-acque tra il prima, in cui il peccato originale aveva carpito l'autenticità del nostro essere ed il dopo in cui lo abbiamo riavuto.
Siamo fatti d'amore, siamo stati fatti dall'Amore, l'amore ci è intrinseco e persino congeniale e pur nell'intricato groviglio in cui ci dibattiamo ogni giorno tra una cattiveria e l'altra, tra le ingiustizie che ci provocano odio e vendetta, pur nella meschinità miserabile della nostra condizione, aneliamo continuamente ad esso.
La Santa Chiesa ci insegna che dobbiamo amare Gesù e servirlo per poterlo poi godere in Paradiso.
La prima cosa essenziale è il conoscerlo per poterlo riconoscere e distinguere in tutti gli esseri umani. Se non lo conosciamo non lo possiamo riconoscere, né tanto meno amare.
La nostra disponibilità a servirLo ci mantiene sul suo cammino educativo che ci consentirà di lasciare via- via dietro di noi tutte le scorie del male che ci ostacolano, come il fiume che scendendo al mare lascia ai margini le proprie ramaglie portate via dalla forza della corrente e dai detriti sfaldatisi dalle rocce tra le quali scorre.
Il demonio è invidioso e non vorrebbe mai che camminassimo diritti verso la meta felice che Gesù ci ha preparato; non importa se il nostro cammino è lento, non possiamo noi capire quanta strada facciamo in Sua compagnia; siamo certi però che andremo avanti diritti se staremo con Lui.
Satana fa di tutto per distrarci, per confonderci, per proporci nuove mete e ci alletta in mille modi che finiscono per disorientare la nostra comprensione, non riuscendo più a distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è.
Poiché ho già detto che Gesù ci vuole felici, come possiamo noi allora distinguere quella positività che allieta la nostra vita e che è pur fatta di beni anche materiali?
Riusciremo a sapere se ciò che ci rallegra proviene da Gesù? Perché il nostro impegno deve essere quello di non far vincere il demonio; avrebbe di che strofinarsi le mani; il suo scopo è sottrarre al cielo quante più anime gli è possibile. Certo la nostra confusione e la nostra debolezza gli darebbero una mano ogni volta che la nostra ambizione, la nostra cupidigia e la voglia di toglierci ogni soddisfazione vengano soddisfatte.
Innanzitutto noi dobbiamo ricordare che il Segno del Signore Gesù è colui che ottiene il nostro libero riconoscimento ed il Segno può essere una persona singola od una intera compagnia, quando non addirittura un popolo.
Dobbiamo imparare ad ascoltare le parole che ci vengono dette con molta attenzione poiché lo Spirito del Signore che ci giunge passa proprio dalla parola che ascoltiamo.
Il presupposto necessario è la nostra semplicità ad accettare che la volontà di Dio ci raggiunga nei modi e nei momenti più impensabili ma torno a ripetere che il Segno deve essere da noi liberamente scelto.
Nel corso della vita può accadere che il Segno a cui facciamo riferimento cambi per vari motivi: possono cambiare i luoghi dove abitiamo, l'età che con il passare del tempo modifica la nostra personalità, il livello di comprensione, uno sguardo più maturo sulla vita. I nostri orientamenti richiedono allora una più adeguata e proporzionata attenzione affinché non ci accada come a Santa
Teresa del Bambino Gesù che andava al pozzo a prender l'acqua con la cesta di vimini, perché così le aveva ordinato la Madre Superiora. Ovvio che fosse una prova di cieca obbedienza tuttavia io ritengo che simili eccessi non debbano accadere poiché non deve mai venir meno il rispetto alla dignità della creatura. La Santa non anteponeva il proprio parere alle parole della sua Superiora e per come ella ha vissuto la vicenda, si è procurata un tesoro immenso agli occhi di Dio, poiché non vi è virtù più grande dell'umiltà, presupposto fondamentale della carità cristiana.
Ma noi non dobbiamo scoraggiarci perché dobbiamo sapere che il nostro Signore Gesù non è né meschino né sciocco e ciò che ci chiede è sempre qualcosa che emana dalla sua persona intelligente e piena di bontà.
Perciò quando le indicazioni che ci vengono date hanno in sé quel tanto di sapienza e di giustizia che ci consente di poter riconoscere il Signore Gesù, allora noi possiamo dormire sonni tranquilli ed affidarci con un reale abbandono, anche nel caso non fossimo del tutto d'accordo su quanto ci viene indicato.
Il Segno diffonde ed irraggia un dinamismo positivo che tocca la nostra interiorità e ci fa sentire sicuri, in compagnia verso la meta, portando con noi la responsabilità morale di una scelta, fatta con consapevolezza e fiducia.
Infatti proprio per queste ragioni, la verità del Segno ottiene una sequela, senza coercizioni, senza ledere la libertà della persona. Con ciò intendo dire che chi è intrinsecamente libero perché vive della memoria della presenza del Signore Gesù produce libertà, positività, benessere morale e tutto quanto di materiale possiamo aver bisogno, nella misura in cui il contesto in cui viviamo permette.
La realtà del Segno è testimoniata ed attuata dall'amore di Cristo; la sua verità è integra soltanto perché vive nella misericordia che lo monda dai suoi errori ed ogni volta lo rialza alla dignità di uomo vero. Da sé l'uomo non saprebbe essere vero, ossia integro nella sua totalità spirituale e fisica; offrirebbe sempre e comunque una parzialità, una incompiutezza che possono essere colmate soltanto nella misericordia del Cristo Risorto.
Sappiamo che nelle strutture sorte a garantire un cammino sicuro, dove la persona chiede ed attende l'adempimento di sé stesso, talvolta accadono vere e proprie ribellioni, insopportabili stanchezze morali, deviazioni dagli iniziali propositi ed avviene che la persona si lasci prendere dall'apatia e finisca nel totale disimpegno il che spesso è peggio dell'odio stesso.
Una persona piena di rancore la si può calmare amandola e consolandola, la si incoraggia a proseguire; ma l'apatia è quel macigno inamovibile che spegne la speranza e non di rado non bastano fatti e parole a riaccendere quel lumicino flebile che comunque sempre permane, poiché l'uomo vivo spera. Per far ritornare la volontà di proseguire il cammino, per far divampare di nuovo la gioia e l'entusiasmo per ciò che ci è stato promesso, occorrono adeguati interventi da parte, di persone esperte che conoscano l'animo umano in profondità e sappiano coltivare la ripresa partendo proprio dalla originalità di ciascuno, dalla sua struttura, dalla sua storia, dalle caratteristiche che negli anni vissuti hanno in qualche modo costruito il carattere.
Quindi se manca il dinamismo che irraggia all'esterno quella verità di sé, il cristianesimo non c'è perché il cristiano è in quanto missionario, portatore della Buona Novella, annunciatore della venuta e della Resurrezione di Cristo che ci ha presi nella Sua Vita.
Noi non possiamo starcene quieti perché tutto ciò è sottinteso in ogni cosa che la Santa Chiesa ci ha insegnato ed alla quale abbiamo obbedito: Sacramenti, catechismo, la fedeltà alla Messa domenicale; tutti in qualche modo hanno imparato e sanno cosa fare. Niente affatto! Due terzi del mondo insiste per orientarci altrove, verso altre mete e con altri modi di procedere verso un destino.
La nostra testimonianza cristiana, la nostra missione sono vere? Esistono nella nostra persona? Sono all'origine delle nostre azioni quale motivo di vita affinché tutti conoscano il Salvatore?
Noi abbiamo il vero Salvatore, cerchiamo di non dimenticarcene o di fare confusione: noi abbiamo il "Figlio di Dio". Se dopo aver testimoniato il Redentore, non siamo voluti, possiamo anche scuotere le nostre scarpe sull'uscio dove siamo entrati, come Gesù ci ha insegnato e lasciare a sé stessi coloro che ci rifiutano.
Io provo una pena infinita quando dico "sé stessi" sapendo bene quanto misero, minuscolo, privo di consistenza sia l'uomo solo con sé stesso, dobbiamo però proseguire altrove, senza stancarci di essere portatori di Annuncio e, il più delle volte, noi che non abbiamo microfoni o posizioni di rilievo per farci ascoltare da milioni di persone, possiamo tessere intorno a noi una fitta cordialità, fatta di aiuto, di ascolto, di ospitalità, di sostegno alla vita per camminare insieme verso il destino comune.
In che cosa consiste una "proposta di vita nuova?" Qual è la Buona Novella che Gesù ci ha portato venendo tra noi e lasciandosi crocifiggere?
Che Gesù, così facendo, ci abbia salvati è quanto la Chiesa ci ha sempre insegnato; ma cosa vuol dire "l'essere stati salvati?" Dall'Inferno, dalla pena eterna? Dal male? Ma ciò era atteso dal popolo di Dio ancor prima della sua venuta. Il popolo di Dio voleva essere liberato dal male terreno, dai nemici, che il loro Messia avrebbe sconfitto una volta per tutte.
Gesù è venuto, ha detto quanto e perché l'Eterno Dio Lo avesse mandato; eppure Egli non è stato riconosciuto dalla maggior parte del popolo perché aveva deluso tutte le loro attese e non avevano capito duemila anni fa così come oggi ancora non capiscono che il male si sconfigge con il bene e che Gesù è disarmato, non lotta ad armi pari con il demonio.
Gesù è il Figlio di Dio, è l'Amore, è il Bene, è l'Essere in assoluto e come tale vince su tutto il male e su tutti coloro che non sono con Lui.
Perché il male continua ad esserci sulla nostra Terra? Non è forse perché i cristiani battezzati non hanno testimoniato che ciò è già avvenuto? Che Gesù ha già vinto e che tocca a noi esseri viventi sul pianeta rendere visibile la salvezza? Come dobbiamo vivere noi fedeli per far capire a tutti che siamo già stati salvati, che il male è già stato sconfitto?
Dopo duemila anni di storia, il popolo di Gesù continua a gemere sotto il peso del male nella valle di lacrime.
Quando recitiamo la "Salve Regina" dobbiamo ricordarci di chiedere anche il
dono dello Spirito Santo affinché ci sia dato di capire che, con l'aiuto di Maria, altissima madre nostra, la Salvezza, cioè la gioia, sono già presenti nella nostra vita sebbene non possiamo non vedere che ancora l'odio, la distruzione, la morte ed ogni tipo di crudeltà, continuino ad imperare annichilendo il nostro animo e suggerendoci di rispondere allo stesso modo.
Allora l'arma vincente per il cristiano è sempre la preghiera che, aldilà delle nostre comprensioni, ci ottiene sempre e comunque il bene.
Non possiamo non vedere che lo Spirito di Dio abbia abbondantemente agito in nostro favore in tutti i settori in cui la nostra vita oggi, nel tempo moderno, è stata organizzata.
Siamo riparati dal freddo, ci nutriamo, tutte le fatiche fisiche sono state alleviate, ci conosciamo da un continente all'altro come abitassimo tutti vicini ecc. ecc.
Il progresso è sempre Opera di Dio e le imperfezioni che ne diminuiscono la totale positività, sono da attribuire alla piccolezza del cervello umano che non arriva a capire come, abbattendo o bruciando le foreste, ci distruggiamo la vita, ci togliamo l'ossigeno che ci occorre per respirare.
Lo Spirito di Dio opera sempre l'azione salvifica della nostra vita, rispondendo sempre alla preghiera, così come Gesù ci ha insegnato; premia la nostra fede e la Madonna non si stanca mai di pregare per noi e con noi, affinché quelle beatitudini cantate da Gesù sulla Montagna, divengano realtà vivibile e godibile.
Io personalmente ho la possibilità di testimoniare una sola cosa e lo faccio con gioia oltre che con forza: la mia piccola fede è premiata ogni giorno. Tra le tribolazioni di ogni giorno vedo trionfare il Suo Bene presente; pur piccola la mia fede ottiene l'attenzione di Gesù e m'accorgo della quotidianità del miracolo, nelle piccole e nelle grandi circostanze.
Nella nostra vita ci sono i piccoli ed i grandi problemi, e ce ne sono alcuni il cui spessore e la cui incidenza sono tali da potercela cambiare da un momento all'altro e sono i casi della malattia, del lavoro che s'interrompe, di uno spostamento d'ambiente ecc.
Il nostro vivere è tuttavia sempre supportato dalla azione salvifica dello Spirito Santo che ad ogni chiusura, provvede a spalancare nuove ed altre possibilità; ad ogni perdita ricompensa con doni nuovi e, poiché la vita appartiene a Dio, finché Egli vuole ci vengono date tutte le possibilità di miglioramento e di guarigione fisica e morale.
Nonostante le nostre distrazioni, le nostre dimenticanze della presenza del Signore, con l'aiuto di Maria Santissima, abbiamo la possibilità di continuare a crescere.
Quando il Segno si è esaurito, si è vuotato e, pur mantenendo virtualmente tutte le potenzialità intrinseche del Battesimo, si ritrova con l'animo accasciato, incapace a donarsi e a donare. Allora lo Spirito Santo non attende neanche che la creatura Gli si rivolga: prende sempre l'iniziativa che proviene liberamente da Dio e protegge l'uomo, gli si fa d'appresso valorizzando perfino i suoi difetti come ad esempio l'ignoranza, per aiutarlo e salvarlo. "L'uomo nell'ignoranza è salvato".
Lo Spirito del Signore ci consola, ci fortifica, ci rimette in piedi, ci anima e ci rimette diritti sul cammino buono.
Lo stato d'animo dell'uomo è in pace quando ciò avviene, in qualunque condizione si trovi a vivere.
Tutto ciò che è bello e buono sulla Terra, è opera dello Spirit1o Santo e per noi non deve essere inquietante dover riconoscere la presenza di Gesù anche là dove il bello ed il buono non li sappiamo vedere.
La bellezza, tutta la bellezza del creato fa parte di quel bene che Iddio ha voluto per le sue creature: la bellezza dei fiori e delle piante in tutte le loro innumerevoli varietà di colori; il cielo e le acque che si scambiano l'azzurro nel mirabile prodigio della natura che sempre dona e sempre riceve; la bellezza degli animali ed ogni altra cosa che vive sulla Terra, se soltanto noi avessimo l'attenzione di guardare e di contemplare pensando al nostro Creatore.
La più affascinante tra tutto è però la bellezza delle creature, che sfolgora nella pienezza della giovane età e della quale il demonio se ne vuole sempre impadronire e si accanisce in ogni occasione per volerla per sé, approfittando dell'immaturità dei giovani.
Bisogna saper vedere perché il creato è la maggior opera d'arte possibile ed assistiamo amaramente alla più grande distrazione che possiamo compiere: il più delle volte tutto ci passa inosservato cosi come il nostro pensiero non si eleva al suo Artefice.
È bene che l'uomo sia creativo ed esprima con le proprie opere d'arte qualcosa di sé; ma è anche bene che non dimentichi che la vera arte emana da Dio e quanto gli sarà dato di realizzare non è soltanto merito della sua bravura; non è neppure il semplice seppur importante estro personale: l'arte travalica l'uomo e dice all'artista stesso ciò che egli non avrebbe saputo, prevedere proprio perché l'ispirazione attinge là dov'è l'Essere.
Ma qui non dobbiamo assumere quale strumento di misura i nostri criteri perché, ciò che Iddio fa è sempre bello e se a noi sfugge è dovuto alla opacità del nostro sguardo, alla chiusura della nostra mente che non si. pongono in adeguata attenzione.
Tendenzialmente il nostro animo è cattivo e riteniamo che se la bellezza non è per noi, per un nostro personale possesso, se non per la nostra felicità, non ci interessa e non la vediamo nemmeno.
Invece la bellezza è per tutti e proprio perché è opera di Dio dobbiamo saperla guardare con occhi sgombri da qualsiasi cupidigia e con estremo rispetto perché essa è opera di Dio, gli appartiene e la dona a chi vuole e quando vuole.
Tutto è nostro poiché ogni cosa è stata creata per l'uomo ma Iddio ha anche collocato tutte le cose al loro posto.
Noi non ci dobbiamo affannare per averne il possesso, però ci è consentito di desiderare e di ammirare le cose di Dio e, quando Egli vorrà, ce ne farà dono.
Uno degli errori che facciamo è quello di aspirare ad essere molto ricchi proprio per poterci, procurare, quanto più è possibile, quelle bellezze che ci attraggono.
Ecco perché nella ricchezza non c'è felicità vera; non basta possedere i beni terreni che pur in grande quantità, costituiscono comunque una parzialità e sono sottoposti alla caducità del tempo. Inoltre il tutto suscita rivalità e ciò provoca inimicizia in chi non possiede altrettanto innescando una competizione, una guerra ambiziosa spesso a caro prezzo perché il possesso della ricchezza produce il potere, strumento che permette la prevaricazione degli uni sugli altri.
Chi più possiede, tanto più ha la possibilità di decidere della sorte dei suoi simili, soltanto perché ha più mezzi, più possibilità, più credito.
I poveri che hanno quasi nulla da godere e quindi da perdere, subiscono la volubilità e non di rado la crudeltà e l'ignoranza di coloro che, " avendo" , pensano di "'essere".
Inoltre chi è ricco teme sempre di perdere quel che ha e non vive tranquillo; talvolta per difendere le proprie cose, rischia anche la vita.
Anche noi siamo portatori di male e non ci dobbiamo stupire se talvolta veniamo rifiutati e cacciati.
Allora cosa fare? Dobbiamo preoccuparci noi innanzitutto di lasciar trasparire il bene che Cristo è in noi ed opera per mezzo nostro; ci dobbiamo rendere trasparenti rinunciando alla soddisfazione del nostro Io, affinché Egli sia quanto più possibile riconoscibile, presente in noi e tra noi limpidamente.
Ecco allora che l'opera di Dio si costruisce nel tempo, crea nuovi rapporti e nuove condizioni di vita e, come conseguenza, anche il progresso, il benessere materiale ne faranno parte.
Ma la cosa più importante è sapere che il bene è sempre e soltanto opera di Dio, senza l'intromissione del potere dell'uomo, benché Egli si serva sempre dell'uomo per attuare la sua volontà benefica sulla Terra. Rimane comunque e sempre una emanazione Sua, con l'apporto del nostro sacrificio che gli offriamo ed il cui utilizzo è soltanto nelle sue mani.
Guai a chi si ponesse al di sopra degli altri con l'intento di gestirne la vita, con l'unico scopo di togliergli la libertà, di rubargliela; quella libertà che è il dono supremo che abbiamo ricevuto ne1, Battesimo.
Certo che si può fare il bene alle spalle di coloro che amiamo, anche a loro insaputa o di nascosto; ma dobbiamo essere disposti al sacrificio affinché il bene che abbiamo fatto si avveri.
Anche il più grande stratega della vita spirituale che volesse distribuire il Bene utilizzando il sacrificio altrui, senza saper prima offrire il proprio, sarebbe in grave errore; il suo agire non sarebbe nel Mistero di Dio bensì farebbe parte della opportunistica misteriosità umana, spesso avida e biecamente interessata.
La verità è illuminante purché uno abbia il cuore semplice; non è mai ambigua; la si intende nell'unico modo in cui si manifesta, il modo giusto e mai ambivalente per far capire ciò che vuol comunicare. Non è mai equivoca ed ha un volto solo che irraggia dovunque senza doversi mai frazionare o mutare.
Ciò che non è verità è menzogna. Le bugie stanno alla menzogna come le droghe leggere stanno a quelle pesanti.
Certamente una non verità di lieve spessore può non fare alcun danno, per lo meno non più di tanto, poiché è relativa a cosa di poco conto o di ambito ristretto; tuttavia anche se piccolo, il danno vien fatto lo stesso: è comunque un tradimento.
La scorretta abitudine a mentire, a volte senza alcuna ragione o con motivazioni banali, a lungo andare producono sfiducia e disistima e su queste basi non si può costruire la vita nuova che è invece basata sul Signore Gesù che è la verità in persona.
È molto importante poter seguire chi è davvero autorevole e meritatamente ci sta davanti.
Più facile è invece per ognuno di noi godere della bontà che ci circonda e riconoscere il volto del Cristo Risorto in questa grande virtù che unisce gli animi, che affratella nell'aiuto vicendevole, nella comprensione e nella condivisione dell'aiuto dell'altro, ponendoci con amore cristiano al servizio di Cristo per costruire il Suo Regno, la nuova vita redenta che Egli ci ha guadagnato.
Occorre però saper distinguere il superficiale buonismo, una tolleranza a buon mercato, dalla virtù vera.
La bontà cristiana ha una caratteristica ben precisa: è gratuita, non attende contraccambio, è totalmente priva di quell'Io invadente che sciupa ed annulla anche la migliore delle iniziative: "Non veda la mano destra quello che fa la sinistra"... dice il Vangelo.
È comunque umano attendere una gratitudine quando facciamo qualcosa di buono; ma se offriamo a Gesù ciò che abbiamo fatto, ciò ci sarà di grande merito per la vita di ora e per l'altra in Paradiso.
Dell'aspetto terreno mi preme parlare perché ora l'impegno è per l'"al di qua" , essere salvi dal male ora e qui.
Partendo dall'aver imparato a fare memoria della sua presenza, ciò che ho vissuto ed avuto nella vita, è stato determinato da quella tensione, da quel volerlo riconoscere quale artefice di ogni bene che volevo e che non avevo neppure espresso e desiderato.
Ma quando il male ha ottenebrato il mio animo e mi ha tolta la pace, la mia fede ha vacillato e non sono stata capace di riconoscere l'azione salvifica del Signore Gesù.
È accaduto che mi sono lasciata prendere dal male, gli ho aperto la porta del mio cuore, non sono stata prudente e non ho fatto nulla per cacciarlo.
Ho cercato, ho chiamato, ho chiesto aiuto; ma tu non c'eri! La mia vita riprende il suo cammino senza di te nella libertà dei figli di Dio che mi è donata, senza tralasciare nulla di ciò che mi è stato detto perché riconosco rispondente a verità.
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