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Caro ricordo ti scrivo
Magari in quei posti dove non ti ho portata mai ci sei stata qualche volta con la mente.
Sbattevi le nocche delle dita su tavoli di un qualche legno pregiato all'angolo di una strada assolata.
Sorseggiavi caffè accompagnando alla bocca sigarette rosse.
Con gli occhi divoravi ciò che ti circondava.
Spogliavi le pietre delle cattedrali, le pareti delle case e cercavi il loro candore con il pensiero.
La gente intorno raffigurava soavi nuvole a cui dare forma e spazio.
Gli uomini erano belli e le donne profumavano i viali delle loro essenze.
I bambini conoscevano senza saperlo l'arte degli aquiloni.
Volavano altissimi e maestosi.
In quei tuoi sogni, però, eri sempre sola.
In realtà mi aspettavi, sempre, come il cielo e la terra aspettano la pioggia.
Io nemmeno tardavo, semplicemente non mi presentavo.
Tu eri un bocciolo giovane dalla vivace curiosità, avresti potuto nutrirti dei giorni, del vivere.
Io, dal canto mio continuavo a versarmi rum nel bicchiere nelle notti e ad offrire i tuoi giovani seni alle lenzuola di qualche squallido motel di periferia.
Cercavi di chiedermi spesso del passare del tempo e del mutare delle stagioni ma io continuavo ad azzittirti ripetendoti che era da sciocchi porsi domande astratte.
L'ho detto talmente tante volte che tu hai finito per credermi e non hai speso altre parole inutili.
Mi facevi capire che non sopportavi il grigio spento che invadeva il mio cuore.
Mi amavi così tanto ma non ti sentivi corrisposta.
Io continuavo a bere e a sfogare su di te le voglie, i dolori, i tormenti.
Ricordo ancora le infinite volte in cui ti ho costretta a scappare per la strada ancora nuda a causa dei miei comportamenti folli.
La tua tenera accondiscendenza alimentava le mie perversioni.
Era come se provassi un malato piacere nel seppellire sempre più in profondità la tua capacità di sopportazione, la tua capacità di amare.
Ritrovandomi solo mi pentivo ogni volta ma mai te l'ho detto.
Ho continuato a chiudermi nella bolla dell'aggressività e del menefreghismo.
Nei tuoi confronti. Nei confronti del mondo.
Alla fine di ogni nostro litigio si ripeteva sempre la stessa identica, patetica scena.
Te ne andavi sbattendo la porta, prendevo in mano il telefono e componevo il numero di qualche prostituta immischiata nello spaccio. Saltavo in macchina e andavo veloce verso una dose.
Solo così riuscivo a placare le tenebre che mi consumavano per un istante.
Un attimo fasullo composto dal niente.
Per affievolire il marcio di cui ero imbottito l'unico rimedio era lo stordimento.
Paradossalmente solo il veleno permetteva al mio cuore di non soccombere.
Io e te non riuscivamo a stare lontani per più di tre giorni.
Bastava incontrarsi per caso o una mia telefonata in piena notte.
Tornavano in un baleno il sesso, le mani unite, le carezza di marmo, i tuoi occhi gonfi di pianto quasi pronti a sanguinare.
Ci volle del tempo ma arrivammo a capire entrambi che tutto ciò che aveva a che fare con noi due era legato ad una specie di morbosa dipendenza reciproca.
Il cordone che ci univa era follia ma era forte come acciaio.
Indistruttibile e necessario ai nostri occhi.
Quando ti vidi la prima volta qualcosa si era sbloccato dentro me.
Nello stesso istante in cui incrociai il tuo giovane sguardo la mia schiena si riempì di brividi.
Brividi dolci, una dolcezza mai conosciuta prima.
I baci che avevo speso in passato erano di serpente.
Lo compresi quando posai le mie labbra sulle tue.
Una sensazione incredibilmente strana invase il mio corpo.
Non sapevo cosa fosse ma era bella ed intensa.
Tu giovane ragazza dagli occhi color primavera entrasti nella mia vita come un lampo.
Eri l'alba mai assaporata prima da me che da sempre vivevo nell'oscurità.
Ben presto ti costrinsi a conoscere la ribellione e l'incostanza del mio carattere.
Se esistesse un Dio in qualche angolo di cielo lontano non riuscirebbe a comprendere quanto tu abbia pazientato, quanto tu mi abbia amato.
Come quando ti tradivo con chissà chi e sparivo per giorni tu c'eri e non te ne andavi.
Eri capace di resistere alle parole umilianti di un folle ubriaco quale ero.
Incassavi il colpo, scappavi via ma poi tornavi.
Tornavi ogni volta.
Promettevo grandi cose nei momenti di stabilità.
La promessa a cui più ti affidavi era quella della completa disintossicazione da alcol e droghe.
Giuravo spesso di non voler più cadere nel baratro.
Inevitabilmente dopo qualche settimana ci ricascavo e tu mi spronavi a credere nelle mie capacità.
L'ultima volta che ti vidi ero strafatto e questo riesce a sintetizzare perfettamente il fallimento del tuo sogno. Della mia intera esistenza.
L'amore è sempre stato qualcosa di completamente distaccato da me.
Le carezze alle amanti erano fasulle, i baci erano gelidi.
La neve, quella sporca ai bivi delle strade in città ricopriva ogni specie di buon sentimento e dai pori della mia pelle fuoriusciva solo fastidio, noia e rabbia.
Scrivo oggi questa lettera dal terzo carcere che vedo nel giro di sei anni.
Continuo a fregarmene del tempo. Non so mai che giorno sia.
Mi sono accorto dell'arrivo dell'autunno perché vedo il continuo spogliarsi degli alberi fuori da questa cella.
Non mi interessa sapere dei giorni che passano.
Per un uomo come me non ha e non avrà mai nessuna importanza.
Quando si ignorano per tutta la vita la gentilezza, la dolcezza e i piccoli stupori per inseguire fasulle e letali letizie, emozioni di plastica, abbracci di cartone, non ci si rende conto più di niente.
Si vive o meglio sopravvive in un limbo malvagio e tutto il resto viene reso cenere.
Ho trascorsi pezzi di vita a marcire giustificando che avrei stoppato tutto solo per qualche giorno.
In verità sono passati anni.
Mentre scrivo questa lettera le tinte scure di questo inchiostro ricordano il mio passaggio sulla terra.
Dove sei ora? Cosa stai facendo? A quale angolo di mondo devo pensare per sentirti più vicina?
Ecco che tutto dentro me si frantuma per sempre. Il consumarsi rapido delle emozioni, lo sgretolarsi dirompente dei rapporti umani giusti. Sono un uomo la cui anima si è sbriciolata per intero.
Per il resto dei giorni che vivrò.
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