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Calipso

Mi ricordo ora dei lunghi anni trascorsi con Calipso, nella sua lontana isola, ad Occidente. Mi ricordo dell'amore innaturale di quella ninfa immortale per me. È la donna con cui per più tempo, nella mia vita, ho diviso il letto. È bella, è sapiente, è una dolce amante, è immortale. La mia intima e prolungata consuetudine con lei mi ha permesso di riflettere a lungo sulla condizione dell'immortalità. Parlo, beninteso, dell'immortalità che si coniuga all'eterna giovinezza, ciò che non capitò in sorte al valoroso Titono, sfortunato sposo di Eos, costretto ad invecchiare in eterno, sempre più mostruosamente.
L'immortale eterno giovane non ha urgenza, non ha bisogni la cui soddisfazione non può essere rimandata; non ha impulso ad agire, perchè ne ha tutto il tempo; non consuma a caldo vendette, perchè può attendere, o perdonare, o dimenticare. L'immortale non cerca favori, possedendo già quello supremo, nè cerca gloria. L'immortale non ha posteri. Egli, ella, non ha curiosità perchè ha l'eternità per poter conoscere. La curiosità esige l'urgenza.
Non ha paura, perchè sa che a tutto sopravviverà; e dunque non ha sentimenti, perchè tutti i sentimenti - amore, amicizia, avversione, tenerezza, angoscia - contengono in sè una componente di paura. Non ha voglia. L'immortale non ha motivo di agire, e si adatta all'immobilità, all'assenza perfino del pensiero. Il pensiero, in quanto progetto costruttivo, in quanto somma di operazioni, gli è alieno.
Calipso, ho sempre pensato, volle per una volta tentare la fuga da quella prigione dorata amandomi come le più focose e passionali donne mortali sanno amare, donando se stessa, affrettandosi a soddisfare ogni mia necessità, giorno dopo giorno. Ne fui presto stanco. Desideravo la mia donna e la mia patria. La nostalgia molte volte mi ha portato al pianto, anche perchè avvertivo la colpa di venir meno al giuramento di fedeltà a Penelope. Ma la stanchezza divenne man mano angoscia, oppressione, senso di prigionia, fino a che, pur continuando a dormire con lei, smisi di condividere con lei i piaceri del letto. Lei, che capì, non si spazientì, nè si disperò. È immortale, e dunque continuò a servirmi, ad amarmi, ad offrirsi a me anche impudicamente, senza umiliarsi al mio rifiuto. Aveva tempo.
Fui io disperato quando, nel tentativo di riconquistarmi a sè, mi offrì l'immortalità. Stupore e disperazione, per dire meglio, furono tutt'uno. Seppi istintivamente, da subito, che non avrei accettato. La mia vita si era sempre misurata con le scadenze, con la necessità di fare, e di fare presto. Presto vincere quella folle inutile guerra - quale guerra non lo è? - presto tornare alla mia donna, alla mia terra, alla mia gente, prima di invecchiare al punto di non poterne più godere, o di non essere più nemmeno riconosciuto da loro. Loro stessi, mia moglie, il mio popolo, anche la terra cambiavano a prescindere da me, via via separando il loro destino dal mio.
A cosa serve l'immortalità a chi ha legato affetto, speranze, futuro, a persone e cose caduche? La vita dell'uomo è segnata dal tempo, ed anzi la qualità dell'uomo sta proprio nel farne tesoro. Il tempo amico, la giovinezza, l'amore, la vittoria, ed il tempo nemico, la sconfitta, l'odio, la morte. Crono, il disgraziato padre di Zeus, Era, Poseidon, Ade. Il tempo che adempie se stesso con formidabile potenza, continuità inesorabile, inamovibile indifferenza. È l'autentica essenza divina che accompagna l'uomo, lo penetra e lo domina. Questo io capii, e fui disperato. L'immortalità, per chi è nato mortale, è la condanna al vuoto immobile senza tempo e senza dio, anche se l'immortale è perciò stesso divino. Dio è infelice.

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5 commenti:

  • Gennaro Piccolo il 14/12/2009 21:48
    Ho anche letto velocemente "Calipso": sì, vivere il nostro tempo, il tempo che ci è stato dato, è un dovere morale da compiere fino in fondo. Accettiamone il peso e le conseguenze. Dobbiamo dare il massimo di noi stessi in questo "raggio di luce" nel quale viviamo. Assolutizzare e divinizzare quello che facciamo o pensiamo noi o gli altri, "eternizzarlo", vuol dire davvero smarrire il senso della vita. Mi piacerebbe continuare a leggere questa sorta di viaggio critico di Ulisse-Antonio, una sorta di rilettura per riapprodare ad Itaca: "Calipso" mi sembra solo un capitolo di qualcosa che hai dentro, forse già germogliato, chiissà. Spero di avere colto almeno la centesima parte del tuo "messaggio" e di non essere fuori strada.
  • Micaela Marangone il 02/05/2009 22:41
    molto belle le riflessioni. io avrei aggiunto qualche fatto narrato, intercalato alle riflessioni, ad esempio qualche ricordo o qualcosa del genere...
  • Antonio Guizzaro il 23/09/2007 23:09
    Grazie a Maria e Gigi.
    A Maria, perchè ha colto il sentire inquieto dell'immortalità. Ed a Gigi per la sua simpatia, benchè aspetti ancora sue illuminanti opinioni sulla concezione, qui accennata, della divinità.
  • Maria Lupo il 18/09/2007 01:52
    Una fusione armoniosa del mito col racconto, la riflessione filosofica, i sentimenti. Molto bello il passaggio sull'immortalità e"l'infelicità di Dio"... Sembra quasi una condanna quella di Ulisse, di non poter accettare l'immortalità che gli viene offerta, anche se apparentemente è una scelta(io comunque non avrei avuto dubbi...)
  • luigi deluca il 17/09/2007 22:09
    Uhm uhm, "Ulisse" divide con piacere il letto di Calipso per molto tempo, godendone appieno i doni, poi però, quando con l'offerta dell'immortalità, di fatto, gli vien chiesto di scegliere fra "Penelope" e "Calipso", sceglie la via più "facile" ovvero, il pentito ritorno all'ovile... uhm, visto che questo finale già è avvenuto, io... gli avrei fatto scegliere CALYPSO e con lei avrei raggiunto le isole dei Caraibi, dove trasformare la "maga" in "musica" (calypso, appunto) gigi
    scusa ma mi sono proprio divertito a scriverti tutto questo

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