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Le pantofole del maragià

Il maragià indiano Ratanagron era arrivato a Parigi con il treno delle 19, 30. Era molto stanco e molto seccato perché, a causa di una forte pioggia, aveva dovuto viaggiare con quel noiosissimo treno anziché con il magnifico paio di pantofole in velluto rosso, ricamate d'oro, capaci di sfrecciare nel cielo più veloci del più veloce aeroplano. Eh, già! Le pantofole del maragià erano magiche e bastava dire il nome della città o del paese dove si voleva andare perché le pantofole si alzassero in volo immediatamente, arrivando a destinazione in perfetto orario e senza incidenti.

Il maragià viaggiava sempre con le pantofole tranne, naturalmente, quando pioveva o nevicava perché le pantofole erano magiche ma non impermeabili. Il viaggio a Parigi, dunque, il maragià aveva dovuto farlo in treno, però aveva avuto cura di mettere in valigia le pantofole, deciso ad usarle nel viaggio di ritorno, se il tempo glielo avesse permesso. Appena arrivato in albergo il maragià disfece la valigia, sistemò ordinatamente gli abiti nell'armadio e mise, incautamente, le pantofole sotto il comodino. Poi andò a cena, si fece fare una borsa d'acqua calda, andò a letto e si addormentò subito. Il mattino dopo si sentiva fresco, riposato e allegro e siccome il tempo era molto migliorato, decise di fare una passeggiata a piedi per andare a vedere la torre Eiffel. Mentre il maragià gironzolava per Parigi il cameriere Jean entrò nella sua stanza per metterla in ordine. Sotto il comodino stavano le bellissime pantofole, morbide e splendenti. Jean non resistette alla tentazione: si sfilò le sue scarpe, mise le pantofole, fece un giretto nella stanza e andò allo specchio per ammirare i suoi piedi così splendidamente calzati. In quel momento un altro cameriere si affacciò alla porta e chiese: "Sai dove è andato il signor Garassilov che è partito stamattina?" "A Mosca"- rispose Jean. Immediatamente una forza irresistibile lo sollevò da terra, lo lanciò fuori dalla finestra e lo spinse in alto, nel cielo di Parigi, in direzione Est. Il povero Jean era terrorizzato. "Quale malefico incantesimo si è abbattuto su di me?"- gridava e puntava i piedi nel tentativo assurdo di tornare a terra. A quell'altezza aveva il capogiro e quando capì che era inutile opporsi a quella forza misteriosa, si raggomitolò tutto, con le ginocchia piegate e le mani sugli occhi non osando guardare in basso le montagne, i fiumi e i paesi che scorrevano sotto i suoi piedi. Ad un certo punto la stessa forza misteriosa lo spinse in giù e, riaprendo gli occhi, Jean si trovò nel bel mezzo di un'enorme piazza dominata da un castello con le cupole a forma di cipolla, tutto coperto di neve. Jean si guardò intorno: donne e uomini, con pellicce e colbacchi in testa, passavano davanti a lui e si voltavano a guardare la sua giacchetta di cotone a righe e le sue pantofole di velluto. Che fare? Dove andare? Jean non aveva con sé nemmeno un soldo, non sapeva parlare il russo e non aveva il cappotto. Quando stava proprio per svenire dal freddo, un signore gli si avvicinò e gli rivolse delle parole che il povero Jean non capì. Il signore stette a guardarlo per un po' in silenzio, poi riaprì bocca per dire, questa volta in francee, "Scusi, sa indicarmi un buon albergo?" "Io no - rispose Jean - ma quel vigile laggiù forse si". Al cameriere era venuta un'idea: se lo avessero assunto in un albergo avrebbe potuto guadagnare i soldi necessari per tornare a Parigi. Intanto erano arrivati dal vigile il quale, sempre nella lingua incomprensibile a Jean, indicò al signore la strada dell'albergo. E così il viaggiatore trovò la stanza per dormire e Jean il lavoro di cui aveva bisogno. Passarono tanti e tanti giorni. La sera, quando era libero dal lavoro. Jean passeggiava per le vie di Mosca, silenziose e bianche di neve. Pensava con malinconia alla sua casa e ai suoi amici. Tornato in albergo, si metteva a contare il suo gruzzolo che cresceva lentamente ma regolarmnte. Una sera, passando davanti ad un'edicola, vide un giornale francese. Lo comprò e si mise subito a sfogliarlo. I suoi occhi si posarono su un annuncio che diceva: "Il maragià Ratanagron regalerà dieci diamanti, cento perle e dieci lingotti d'oro a chi gli riporterà le sue pantofole di velluto rosso ricamate in oro". A Jean non venne nemmeno in mente che, per valere tanto, le pantofole dovevano essere proprio straordinarie e non collegò questa straordinarietà a quella sua misteriosa capacità di volare che, del resto, con suo gran sollievo, non si era manifestata più. Pensava ai diamanti, alle perle, all'oro e il cuore gli batteva forte. Corse in albergo e, con le mani che gli tremavano, contò il suo gruzzolo. Ma, si! Per un biglietto di seconda classe sarebbe stato sufficiente. Prese le pantofole che, appena assunto in albergo, aveva riposto in un angolo di un cassetto, fece in fretta e furia la valigia e, dopo essersi licenziato, si precipitò alla stazione e prese il primo treno per Parigi. Quando il maragià vide le sue pantofole, abbracciò e baciò Jean, non preoccupandosi nemmeno di chiedergli come ne fosse venuto in possesso. Come gli aveva promesso gli consegnò i dieci diamanti. le cento perle e i dieci lingotti d'oro. Ora il maragià non aveva più niente. Gli restava un piccolo appannaggio sufficiente per vivere come un qualunque cittadino medio. Ma che importava? si infilò lentamente le pantofole, incrociò le mani sul petto, pronunciò il nome del suo paese, sorrise e spiccò il volo. Quando fu in alto, nel cielo azzurro, respirò profondamente l'aria frizzante, si sdraiò su una nuvola, chiuse gli occhi e si dispose ad assaporare il lungo viaggio che lo avrebbe riportato al suo Paese. Jean, con il tesoro che possedeva, convocò i suoi colleghi camerieri in una riunione nella quale fece la proposta di costituirsi in cooperativa e aprire un albergo in prossimità del Bois de Boulogne. I colleghi accettarono entusiasti. Costituirono la cooperativa, comprarono un'area edificabile vicino al luogo indicato da Jean e costruirono un albergo dove erano tollerati cani e gatti e dove i bambini avevano a disposizione uno spazio-giochi animato da ragazze e ragazzi. Presto l'albergo si riempì di ospiti: i prezzi erano accessibili, la vista sul parco meravigliosa e i pasti... beh, stiamo parlando della cucina francese, una delle più famose nel mondo. C'è chi ama volare e chi, volando, soffre di capogiri. Jean amava stare con i piedi per terra. Ma c'è anche chi guarda in alto e desidera spiccare il volo. Voi che ne dite?

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2 commenti:

  • Franca Maria Bagnoli il 29/10/2007 17:32
    Nona so le nuove regole. Trovo un cartello di silvana Pagello con scritto : rimuovi questo commento. Perché? Franca

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