La festa non è ancora finita, l'alcohol ormai è agli sgoccioli e solo i residui continuano a fare la loro comparsa tra una risata e l'altra. La musica continua a battere i colpi nelle casse tuonanti, rimbombando nei timpani, e la gente si spassa tra un bacio e un abbraccio.
Cerchi di sospenderti anche te nel turbine di gioia infinita che la notte continua a portare, fingendo che il resto del domani deve ancora arrivare, mentre invece lo stai già vivendo.
Si battono le mani al tempo del tamburo: dieci, cento, mille volte di seguito, per sentir dentro quello scandire del tempo che ti dà la voglia di tirare avanti.
Si susseguono le facce davanti allo sguardo quasi perso, occhi piccoli come le asole dei bottoni, percependo appena quello che dicono. Orecchie ovattate, parole masticate, fanno di quelle ore un solo tremendo collasso generale.
I visi cominciano a diventare pallidi, fiammelle rosse ogni tanto si accendono sfumandosi dietro una nuvola di catrame che si schianta direttamente nei polmoni.
Sale poi la voglia di andare sù, nei piani alti delle sensazioni, allora ci si immerge tra la folla e le luci accecanti della pista.
La mente trasuda fiaccole di spensieratezza che stimolano il movimento incosciente di ogni parte del corpo: vago, vago, vago e non mi stanco.
Pattino nella semirealtà della situazione, siamo tutti nello stesso mondo parallelo che fa di noi le uniche persone che possono fare quello che vogliono senza averne nessuna responsabilità, quello che tutti amano dannatamente allo stesso modo.
Vaghiamo e non ci stanchiamo, finchè la luce artificiale della coscienza non ci riporta sulla terra ferma, spiegandoci che quella sensazione esiste solo nel momento della desolazione e che non dobbiamo farci sopraffare da essa.
Ma io, appena posso, vago, vago e non mi stanco.