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Le bambine non amano

Era lei. Una piccola donna, morta prima di nascere. Il suo unico scopo sarebbe stato amare, ma il sentimento la consegnò nelle mani esperte della crudeltà.
Era lei anche quella mattina, amava ancora, sognava ancora, sapeva ancora piangere, decise di distruggere tutto, anche se stessa. Bussò con mani tremanti alla sua porta, era ciò che faceva sempre, con costanza, ma di solito le sue mani non tremavano e il cuore non le rimbombava impaziente nelle orecchie. Lui aprì con la sua solita calma, sapeva rendere magnifico anche quel suo semplice gesto, girare le chiavi nella toppa della porta, diventava un rito propiziatorio, quella volta non ci sarebbe stata nessuna funzione da svolgere, lei lo sapeva. Fu accolta dal suo perfetto sorriso di uomo, una fila diritta di perle risplendeva tra le sue labbra dischiuse, contratte in quella che per lei era solo una smorfia di dolore. La salutò passandole una mano tra i capelli, le pizzicò una guancia, quasi a stabilire un rapporto di superiorità nei suoi confronti, le diede fastidio e lo allontanò, bruciavano nei suoi occhi fiamme d’amore, negli occhi di lui solo di passione. Lei aveva le mani sudate di paura, il silenzio tormentava il suo animo, “Vuoi qualcosa da bere?” le chiese con il suo fare disinvolto. Non rispose. Lo fissò, nervosa accese una sigaretta. “Sai che non voglio che fumi!” prontamente le tolse la sigaretta dalle labbra e la spense sotto il getto d’acqua del lavello. L’odore di quella cucina, così sobriamente arredata, le dava la nausea, sedette su una sedia intorno un anonimo tavolo tondo, lui la seguì. “Sicura che non vuoi niente prima che…” lui non finì la frase, aveva forse vergogna di giudicare la colpa di cui si macchiava ogni volta che la rendeva la Dea del suo squallido altare?
Lei abbassò lo sguardo, mille pensieri e più scorrevano nella sua mente come una pellicola sbiadita, si alzò, contando i passi raggiunse la sedia di lui, gli accarezzò maternamente i capelli, lui voltò il viso per guardarla, brillava una nuova luce nei suoi occhi, lo terrorizzava la potenza di quei due piccoli iridi blu, di una profondità immensa: per la prima volta si perse nel suo sguardo. Strinse tra le sue dita quei folti capelli castani, lo costrinse a piegare la testa indietro, il silenzio che li circondava era surreale, sembrava che anche il tempo avesse deciso di fermarsi per aiutarla. Più le sue dita serravano le sue ciocche, ormai sudate, tra le sue mani, e più scopriva di amarlo. Ricordò, poi, ad un tratto, le sue parole: <<Le bambine non amano>>. Lei, allora, non stava amando. Odiava. E l’uomo le sembrò un ragazzino insicuro, bisognoso delle cure della mamma, un infante fisicamente cresciuto, nulla di più. Lasciò i suoi capelli e gli diede uno schiaffo, lui fu preso alla sprovvista, imbarazzato dal gesto di una ragazzina impertinente, poi, vide, lei stava piangendo. Gli aveva voltato le spalle per guardare fuori dalla finestra, ma i suoi singhiozzi risuonavano nella stanza, si avvicinò a lei, la girò come se fosse stata una bambola di porcellana, la costrinse a guardarlo trattenendole il viso tra le mani. I suoi occhi erano tornati quelli di sempre, fragili. La baciò. Lo baciò. Fu ancora una volta Dea e Sacrificio, Regina e Schiava, Amore e Odio. Fu ma non è e non sarà.
Correndo aprì la porta della casa maledetta, i suoi piedi battevano sull’asfalto bagnato, correva in un posto che nessuno conosceva, neanche lei. S’inginocchiò per l’ultima volta gridando una blasfema preghiera ad un Dio sconosciuto ed inesistente, urlò, ancora una volta, Amore. Fu l’ultima volta, perché lei non è e non sarà: Lei era.

 

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2 commenti:

  • VINCENZO ROCCIOLO il 24/12/2007 15:52
    Rosita, mi lasci sempre più incantato nel leggere le tue opere. Ti avevo conosciuto come poetessa, e ti ritrovo come stupenda narratrice.
    Tu hai un grande talento, non mi stancherò mai di ripetertelo, e hai il dovere di provarci, di riuscire a diventare qualcuno in questo campo, perché ne hai tutte le potenzialità.
    Bravissima.
    Ti saluto con affetto,

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