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Il canto dei pioppi

Nessuno sapeva da dove fosse venuto, o perché. In paese non erano in molti, a dirla tutta, nemmeno a sapere quand'è che fosse arrivato. Ai bambini raccontavano, con la certezza granitica di chi inventa una nuova fiaba, che in realtà c'era sempre stato. Ma per i più, sostanzialmente, era semplicemente comparso lì una mattina d'ottobre come tante altre: prima non c'era, dopo invece sì.
L'autunno stava, proprio allora, cominciando a fare sentire grossa la sua voce roca: il cielo era grigino anzichenò, tirava da nordovest un vento foriero di rivoluzioni, e poco prima che si levasse il sole c'era anche un'ombrolina di quella nebbia leggera e tenace che in quei paraggi è una parte del paesaggio tanto quanto l'argine del fiume o il campanile della pieve. E proprio dall'argine del fiume era comparso questo tizio: che fosse forse arrivato a nuoto?
Con il tempo, era diventato anche lui una parte del paesaggio: tanto quanto l'argine del fiume, il campanile della pieve o la nebbiolina leggera e tenace. Soleva sedere al limitare del deciduo di pioppi che abitava la golena, e cantava. Era già lì prima dell'alba, quando i contadini assonnati uscivano in silenzio per andar sui loro campi, e cantava. Era ancora lì dopo il tramonto, quando il birocciaio rientrava addormentato sul suo carretto guidato da un mulo che conosceva la via del ritorno meglio di lui, e cantava.
La voce era clamorosamente segnata dall'età che questo individuo aveva ereditato dallo scorrere della sua vita, ma era comunque ferma e ben tenuta. Governata con maestria quasi innaturale, si piegava ora docile, ora ruvida, alle varie esigenze di quel canto solitario e misterioso. Si taceva soltanto quando il campanile della pieve batteva il mezzodì: attendeva con solerte pazienza che il riverbero ovattato dei dodici rintocchi fosse assorbito dalla pianura, poi ricominciava daccapo.
Passarono gli anni, i bimbi divennero adulti e i contadini divennero vecchi. Il mulo del biroccio fu pensionato e sostituito prima da una Lambretta, poi da un furgoncino sgangherato: che però non conosceva la strada del ritorno come invece la conosceva bene la bestia. Il cantore dei pioppi era sempre lì, tutti i giorni, col sole e con la pioggia, col nebbione e con la neve, fino a che anche la sua misteriosa melodia divenne una parte del paesaggio, come i rintocchi del mezzodì dal campanile della pieve, il frusciare costante del fiume oltre l'argine o il fragoroso silenzio avvolto nella nebbia.
In paese avevano prima cominciato a fare congetture su chi fosse quel tizio, poi erano passati a temerlo un poco, quindi avevano cominciato ad inventargli addosso delle storie, e alla fine non ci facevano più nemmeno troppo caso: vivevano la loro vita come ritenevano fosse opportuno, e credevano che quel vecchio canto solitario, che mai era venuto meno, ci sarebbe sempre stato, là al limitare del deciduo di pioppi che abitava la golena.
E invece, una mattina d'ottobre come tante altre, non c'era più.

 

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