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Passeggiata nel Raval

Camminare per le strette vie del Raval vuol dire sentire il profumo soffice degli incensi mescolarsi all’odore grasso degli shawarma di pollo che si arrostiscono girando sullo spiedo; vuol dire ascoltare, mentre si gira l’angolo, schiamazzi in tre lingue differenti. Ci si trova nel settore popolare del nucleo cittadino di Barcellona, dove i lenzuoli colorati stesi ad asciugare sui fili dei balconi, fanno dei vicoli strade imbandierate a festa. Il vento li agita diffondendo il loro profumo di sapone, una bimba indiana dalla lunga sciarpa celeste e il pile color di mela, corre nella calle con il suo monopattino. Gli impianti elettrici sono tutti esterni, molti penzolanti, non stupisce che una buona parte degli abitanti non paghi la corrente. Tubi, cavi e ferri arrugginiti fregiano le facciate meno in vista, quelle delle traverse più interne. I palazzi hanno di solito quattro o cinque piani, ma fino al terzo difficile che arrivi la luce del sole. La vita si svolge giù, per la strada. E come i ragazzini giocano sui marciapiedi, gli adulti s’incontrano sulle soglie dei locutori e dei barbieri dalle scritte in arabo, in stile anni ’60. Immigrati e senza tetto sui marciapiedi stendono invece i loro lenzuoli, per vendere a pochi euro gli oggetti più vari. Li hanno trovati, spesso accanto alla spazzatura; non è raro incontrare su queste tovaglie stese a terra una scarpa sola, la destra. “È per chi già ha la sinistra” risponde con semplicità il vagabondo alla domanda un po’ maliziosa di un passante divertito. Ed ecco che al segnale, tutti raccolgono alla rinfusa nei lenzuoli quelle chincaglierie che fino ad un attimo prima stavano disponendo con gran cura e meticolosità. Arriva la polizia, dei venditori di strada non rimangono che cartoni e fogli di giornale. Ci penserà poi la nettezza urbana.
È molta la gente che vive per la strada; rasentando i muri per lasciar passare un furgone nelle viuzze del barrio succede di sfiorare persone rannicchiate per terra, spalle al muro e capo basso fra mani e ginocchia. Non si muovono, e se lo fanno, lo fanno lentamente. Sono i tossicodipendenti, gli strascichi di quell’ondata devastante di eroina che negli anni ’80 portò malessere, criminalità e squallore nelle vene del Barrio Chino. Si avverte un senso di desolazione e malinconia nel vedere questi uomini e queste donne tentare di rialzarsi e camminare con enormi sforzi. Non molto lontano l’ambulatorio della Creu Roja somministra gratuitamente il metadone, in molti berranno quel bicchierino amaro mischiato a succo di frutta per addolcirlo. Ai margini delle strade stanno anche le prostitute, una diversa dall’altra, come le facce del Raval. Ventenni in minigonna passeggiano ammiccando, altre portano la foto dei nipotini nella borsetta e siedono stanche e rassegnate sul ciglio del muretto che affianca la via.
Per la strada si trovano mobili, lavatrici, scatole di cartone piene di libri, soprammobili, tappeti... ciò che non serve più, qualcun’altro lo riciclerà. È un modo semplice per disfarsi degli oggetti e una maniera intelligente per limitare i rifiuti; per molti una via alternativa per arredare casa.
Sono molti gli atelier di giovani artigiani che espongono in vetrine oggetti costruiti con materiali riciclati e di recupero. Alcuni sono vere e proprie opere d’arte. Boutique con arredamenti minimali e tubature per l’areazione bene in mostra riflettono la cultura dell’underground metropolitano dei loro giovani proprietari e stilisti, che qui appendono abiti e indumenti da loro disegnati e cuciti. Gioielli ed accessori in plexiglass colorano le teche di questi laboratori sperimentali del giovane commercio urbano. Gallerie d’arte contemporanea accolgono il curioso che si affaccia con musiche d’ambiente e scale di ferro. Studi di grafica e botteghe al piano terra sembrano lavorare tra i passanti, solo un vetro li separa dalla calle. Uno de pochi slarghi del quartiere è per metà occupato dalle sedie e dai tavolini di un bar, l’arredamento è curato, bianco e nero, con dei dettagli in rosso, tazze e posate sono oggetti di design. Chi siede porta cravatta e pantaloni con la piega, le donne solitamente una borsetta grande quanto un porta trucco. È all’ora del brunch o dell’aperitivo che i piccoli tavoli rotondi si riempiono e i passanti camminano rasente a chi siede.

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