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LA RIVOLUZIONE SOTTILE

La follia libera.
Sciolta dal fardello della propria conoscenza, torna ad essere lo “zero”.
Dal quale tutto ha inizio e nel quale tutto ritorna. Ora è movimento.
Spirito disubbidiente e allegro eccede i margini.
Espressione limpida del sentire ride del calcolo.
Incosciente sovverte la ragione.
Entusiasta offre la novità.

Corre voce di un fugace teatro metropolitano. Difficile rintracciarlo sulla mappa della città.
È il teatro della rivolta semantica; dipinge gli umori dell’eccezione, smonta la trama dei vecchi cardini. Muove la follia della sovversione e fonda i fulcri creativi della rivoluzione sottile.
La sua locandina è un quadro appeso al rovescio. La si legge solo se per un attimo confusi, ci si scopre un istante dopo con la testa inclinata e il sorriso sulle labbra. Quando la scenografia assume dimensioni imponenti, ne cogliamo solo un cantone e rimaniamo sgomenti. Un tavolo e una sedia alti come un palazzo di quattro piani, sorgono nel grande prato di una villa fino al giorno prima rimasta fedele alla nostra memoria. Per un momento ci si sente brevi, precari; e in attesa di rimettere le misure al loro posto, si resta a guardare.
Quel teatro lo montarono un giorno in una piazza del centro, in scena la guerriglia semiotica. Palline colorate grandi quanto un pugno, i suoi attori ribelli. Scendevano saltellando a migliaia dalla lunga scalinata che finiva sulla piazza. Rotolavano all’assalto giù dai gradini, in un crepitio di colpi secchi e martellanti. Con stupore e sorpresa i passanti si resero conto che il teatro sbocciava da quella grandine colorata, che saltellando sulle scale, scoppiettava come legna secca nel camino. Raccontava una storia nuova e curiosa, fatta di occhi increduli e sorrisi in una giornata di pioggia. Per ogni pallina raccolta dagli spazzini però, il teatro perdeva ora una voce, ora una maschera; ora, era il palco a scomparire. Svaniva a poco a poco inghiottito dalla notte dei loro sacchi neri.
Il terzo atto il giorno dopo al semaforo di un grande incrocio, era sera. Per la verità non riuscì di vederlo tutto. Le fiaccole infuocate dei ragazzi giocolieri che si esibivano per gli automobilisti fermi al semaforo, fecero in tempo ad illuminare solo la platea. Scattò il verde. E quel poco che c’era fu spazzato via all’improvviso dal rumore violento e impaziente di un clacson. Del teatro non rimase che il rumore degli applausi, subito confuso nello scoppiettare delle marmitte in partenza.
Quando lo allestirono alla stazione era un pomeriggio d’inverno. Il traffico intricato e noncurante di turisti e pendolari riempiva il grande atrio centrale quasi fosse il suo apparato nervoso. Circolava nel ventre dello scalo mantenendolo vivo e irrequieto.
La compagnia si esibì solo per tre minuti. Si fermarono prima di finire il gesto che avevano iniziato. Rimasero immobili, congelati. Le lancette dell’orologio per pochi minuti girarono a vuoto, sganciate dal tempo, che rimase sospeso.

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8 commenti:

  • GIULIO BARBATO il 19/05/2010 14:07
    Grazie!
  • Salvatore Ambrosino il 12/02/2010 19:27
    molto bello iltuo scrivere, complimenti
  • Len Hart il 26/07/2009 17:18
    great!!!
  • Anonimo il 09/02/2009 01:13
    Davvero speciale. Complimenti.
  • c m il 16/06/2008 12:40
    concordo con egon...
    veramente apprezzata
    ma non trovo parole che riescano a rendere.
    buonagiornata
  • Egon il 16/06/2008 04:38
    senza parole
    e vorrei scrivere qualcosa ma veramente non so come commentare,
    sono rimasto stupito/do

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