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Lavoro: rigidità, flessibilità, costi umani.

Scritto anni or sono, snobbato dalle parti sociali et aziendali

Fra le numerose e costruttive considerazioni che si possono apportare, perlomeno dal punto di vista culturale, in un piano strutturato contrattualistico che si impegna a modifiche o aggiunte per un contratto regionale integrativo, terrei in debita considerazione i costi umani.
Le riflessioni su questo delicato, ma impegnativo tema, dal quale trae forza buona parte della costruzione del lavoro, può apparire paradossalmente idealistico, utopico e permeato di contenuti filosofici, ma attualissime, prepotenti e dense di risvolti cui tutti siamo sottoposti.
Le numerose problematiche connesse ai variopinti scenari del precariato salariale, appartenenti al mondo della flessibilità, appaiono sempre più posizionate nel mondo del lavoro “rigido”.

È pur vero che nella sua accezione giuridica il lavoro è “un’attività intenzionalmente diretta, mediante un certo dispendio di tempo ed energia, a modificare una certa quantità di risorse materiali e simboliche, allo scopo di produrre beni e servizi che soddisfino bisogni individuali e collettivi, col fine di trarne mezzi di sussistenza”,
dove lo scopo consiste nell’accrescere il valore o l’utilità della risorsa simbolica o materiale che si intende trasformare ed il fine è l’obiettivo a cui tende colui che esegue un lavoro e consiste nel valore del prodotto, che viene destinato a ottenere ciò che si ritiene indispensabile, opportuno e desiderabile per la propria esistenza.

Se dal punto di vista economico può farsi rientrare nel concetto di lavoro qualsiasi attività psico-fisica che comporta la spendita di energia e che è idonea a soddisfare un bisogno mediante la produzione di beni e servizi,
in senso giuridico, il lavoro, così come è inteso dal punto di vista economico, presuppone l’esistenza di un rapporto giuridico tra il lavoratore e chi del lavoro fornito si avvantaggia per la soddisfazione dei propri bisogni.

Dovendo e potendo, dopo numerosissimi anni di lavoro e considerevoli modificazioni aggiunte al lavoro cui sono stata sottoposta in nome di trasformazioni sociali-economico-politiche dello scenario italiano, europeo, trasformazione dei processi produttivi, delle politiche del lavoro, del riordino aziendale e, non ultimo, del processi delle valorizzazione delle risorse umane, riordinarmi le idee ed effettuare un bilancio fra competenze maturate, produzione di servizi ed energie erogate con un vantaggio di riscontro sia in termini di mezzi di sussistenza, di opportunità e desideri per la propria esistenza vedo depauperata la professionalità che nel frattempo si è costituita, voluta costituire, in nome della collaborazione, comprensione, condivisione dei progetti di sviluppo che rientrano nello spirito di un’istituzione, quella degli enti di formazione, la cui natura è sempre stata legata all’assistenza e a progetti di crescita attraverso il travaso di collaborazioni collettive, soprattutto quelle dei dipendenti.
Ciò che è venuta a meno è stata paradossalmente la crescita stessa dell’azienda che, da una parte ha chiesto solo collaborazione, mentre dall’altra, non riconoscendo il pregresso di lavoro raggiunto, procede nell’esportare il più possibile le professionalità esistenti, peraltro senza valutarle ed eventualmente solo spremendole, a scapito di un reale processo mirato alla qualità.
La risorsa della flessibilità, quale la collaborazione, l’espansione di politiche aziendali anche fuori territorio base, l’estendibilità degli orari di lavoro, docenza, servizi, coordinamenti, prove continue di gestioni di corsi, rimodellamenti di conoscenze applicate ai continui corsi, attraverso l’enorme dispendio energetico delle risorse umane devono essere riconosciute come reali costrutti dei processi di lavoro che rendono l’azienda tale.

 

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2 commenti:

  • gabriella zafferoni sala il 31/12/2008 19:17
    grazie dell'attenzione, da vero lavoratore
  • Fernando Biondi il 31/12/2008 19:02
    il mondo del lavoro ormai è ridotto ad essere mero sfruttamente, senza riconoscimento alcuno di professionalità, ciao Fernando

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