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Laggiù in fondo

Da quando avevano scoperto il giacimento di antracite ed era stata avviata l'attività di estrazione tutti gli uomini del paesino avevano lavorato nella miniera, una generazione dietro l'altra, e anche ora che la vena stava inaridendosi nessuno pensava di lasciare quella pericolosa attività e di emigrare all'estero, come avevano fatto quelli della valle vicina. Il rischio era sembra incombente, la fatica ogni giorno più improba, ma il legame con la propria terra, con le origini era più forte di qualsiasi considerazione.
Anche Fasulin, benché avesse solo 14 anni, ogni giorno scendeva nel pozzo a sudare, a respirar polvere di carbone per 12 ore, perché così aveva fatto suo padre, e prima ancora suo nonno, e perché la fame era sempre tanta. Aveva cominciato a 10 anni, quando ancora le mani avevano quella morbidezza e quel colorito roseo dell'età, e ora si erano già indurite e nelle unghie si annidava il nero del carbone, così tenace che nemmeno a lavarle con la spazzola veniva via.
Era stato il bisogno a farlo scendere in miniera, ma in lui c'era anche una vocazione, nata nelle lunghe sere d'inverno intorno al focolare, quando il nonno e gli altri vecchi raccontavano le storie del mondo sotterraneo. Lui se ne stava ad ascoltare per ore, gli occhi sgranati, quasi rapito da quelle vicende di elfi, di folletti che animavano le buie gallerie del sottosuolo. E anche se alla fine dicevano che non era vero, ma solo una favola, lui stava zitto, mentre i suoi occhi vedevano profondi cunicoli animati da lucine volteggianti, da omini verdi che cantavano canzoncine allegre e melodiose.
Quando, in uno dei tanti incidenti, gli venne a mancare il babbo e la sera si ritrovò di colpo solo con il nonno da tempo inabile e con la mamma, stravolta dal dolore e da una vita di stenti, fu giocoforza proporsi di andare a lavorare giù in miniera. Lo presero subito, visto che se rendeva la metà di un adulto, però lo pagavano un quarto del salario, una miseria appena sufficiente per sopravvivere. Ma lui andò, perché almeno la grande fame non fosse di casa e anche perché voleva entrare in quel mondo di fantasia che tanto sognava. Gli diedero come istruttore il vecchio Giamba e così cominciò una dura realtà che Fasulin volle vedere come una fiaba.
- Per i primi tempi, scenderemo poco e non scaverai, ma aiuterai a spingere i carrelli pieni di carbone. Così, poco a poco, ti abituerai all'oscurità, alla poca aria e imparerai i segreti della miniera.
- Sì, parlami dei segreti, voglio sapere.
E Giamba si lasciava andare a raccontare cose strampalate, a cui nemmeno credeva, leggende che aveva ascoltato da bambino e che la dura realtà aveva quasi cancellato dalla sua mente.
- Sembra che sotto non ci sia nessuno, ma la miniera è più popolata del paese. Ci sono gli gnomi, piccolissimi e dispettosi, che ti tirano i capelli. E poi gli elfi
- Come sono gli elfi? Descrivimeli, per piacere.
- Sono difficili da vedere.
- Ma tu li hai visti, vero?
- Sì, una volta, in una delle gallerie più profonde. C'era un gran buio, ma poi è comparsa una gran luce, insieme a una musica allegra, come quella che si suona per ballare nella festa del paese. Mi sono guardato intorno e a non più di tre metri da me l'ho visto.

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