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Anno Domini 2150

Quella domenica di giugno dell’anno 2150 si annunciava eccellente sotto tutti gli aspetti:
sole splendente, cielo azzurro, temperatura gradevole, divieto assoluto del traffico automobilistico, insomma tutto quanto necessario perché i romani accorressero in frotte a piazza San Pietro per la messa, senza la necessità di dover ricorrere alle cariche delle guardie svizzere per convincere anche i più riottosi.
Ma alle 11, ora fissata per la cerimonia, l’immenso anfiteatro appariva tristemente vuoto. Dietro le finestre dei palazzi del Vaticano stavano volti sgomenti, mentre gli occhi vagavano nel nulla. Il pontefice, San Giovannino I (era ormai da tempo prassi che il papa venisse santificato una volta superato il periodo di prova dei canonici sei mesi) camminava su e giù per il lungo corridoio, con sguardo furente e pensieroso, e alla fine si decise a chiamare il segretario di stato, il cardinale Prosperone:
- È inammissibile. Che escano subito le guardie, in tenuta di guerra, e radunino tutti i romani. Mi raccomando tutti, anche i paralitici, e senza tanti riguardi.
- Sarà fatto.
Brevi ordini secchi, i militi svizzeri indossarono le tute antisommossa e, imbracciati i mitra a lampi paralizzanti, partirono per eseguire l’incarico ricevuto.
Intanto le lancette dell’orologio Luigi XV giravano, fino a che a mezzogiorno, con la piazza ancora vuota, San Giovannino I, affranto, si accasciò sulla poltrona, non senza aver tirato prima un paio di moccoli.
- Prosperone! Prosperone! Ma che cazzo succede, che non tornano nemmeno gli svizzeri.
Il segretario di stato, visivamente preoccupato, si affacciò al santo uscio e mormorò:
- Santità, è arrivato l’onorevole Fiaschettino che ha da riferire notizie importantissime. Lo faccio accomodare?
- Fiaschettino? Chi è? Ah, sì, quello con la faccia da cretino, tutto casa, chiesa e amanti. Che entri.
L’onorevole si precipitò a genuflettersi, sbaciucchiò più volte il sacro anello, poi quasi piangendo prese a parlare:
- Cose terribili, ho da raccontare, Santità.
- Suvvia, basta con i preamboli e sentiamo.
- Sono tutti all’EUR, anche gli svizzeri.
- E che fanno?
- È da ieri che è comparso uno straniero, che sembra uno di quei figli dei fiori di più di un secolo fa.
- E allora?
- Li ha stregati, ascoltano le sue parole in estasi.
- E che dice?
- Che tutti gli uomini sono uguali, che nessuno deve prevalere sull’altro, che l’onestà e la bontà devono reggere il mondo.
- Ho capito: è un povero scemo.
- Magari lo fosse!

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3 commenti:

  • Patrizia Cremona il 19/02/2010 22:53
    Complimenti...
    versi stellari x il tuo racconto...
    fantastico!
  • Rocco Burtone il 29/06/2009 11:27
    Renzo, temo che racconti come il tuo servano poco agli adulti, incaponiti come siamo nelle nostre certezze. Però spero tu ne scriva altri. Bravo. Bravo e ironico.
  • Solo Aivlis il 25/06/2009 12:15
    fantastico RACCONTO!!!! Davvero bello!!!

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